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La nonviolenza e' in cammino. 644
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 644
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 15 Aug 2003 20:06:33 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 644 del 16 agosto 2003 Sommario di questo numero: 1. Luciano Bonfrate: da Assisi a Gubbio ricordando Darina Silone 2. La speranza e la profezia di padre Balducci 3. Emanuel Anselmi: la Corte penale internazionale e i motivi dell'avversione degli Stati Uniti (parte prima) 4. Jennifer Friedlin: le donne del Kenia accusano l'esercito britannico 5. Mario Pianta, Federico Silva: alcune recenti pubblicazioni sul "movimento dei movimenti" 6. Francesca Lazzarato presenta "Memorias de la represion", collana diretta da Elizabeth Jelin 7. Augusto Illuminati presenta "Cervantes filosofo" di Antonio Gagliardi 8. Giobbe Santabarbara: di Averroe', di Cervantes e di noi stessi 9. Riletture: Nadia Fusini, Mariella Gramaglia (a cura di), La poesia femminista 10. Riletture: Laura di Nola (a cura di), Poesia femminista italiana 11. Riletture: Francesca Pansa, Marianna Bucchich (a cura di), Poesie d'amore 12. Riletture: Angela Cattaneo, Silvana Pisa, L'altra mamma 13. Riletture: Silvia Lagorio, Lella Ravasi, Silvia Vegetti Finzi, Se noi siamo la terra 14. Riletture: Maria Luisa Boccia, Grazia Zuffa, L'eclissi della madre 15. Riletture: Luce Irigaray, Speculum 16. Riletture: Goliarda Sapienza, L'universita' di Rebibbia 17. Riletture: Wanda Tommasi, I filosofi e le donne 18. La "Carta" del Movimento Nonviolento 19. Per saperne di piu' 1. MEMORIA E FUTURO. LUCIANO BONFRATE: DA ASSISI A GUBBIO RICORDANDO DARINA SILONE [Si svolgera' dal 4 al 7 settembre la camminata per la nonviolenza da Assisi a Gubbio (il 4 e il 5 la camminata vera e propria lungo il tradizionale sentiero francescano; il 6 e il 7 a Gubbio si terra' un impegnativo convegno) promossa dal Movimento Nonviolento (per informazioni e contatti: e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org); a sostegno della partecipazione il nostro amico Luciano Bonfrate ha voluto scrivere queste righe in cui si ricorda altresi' Darina Silone, scomparsa alcune settimane fa, indimenticabile e tenerissima lottatrice per la dignita' umana, la verita' e la nonviolenza; Darina Laracy Silone era nata a Dublino il 30 marzo 1917, laureata in letteratura francese alla Sorbona di Parigi, conobbe Silone tra gli esuli antifascisti a Zurigo durante la guerra e ne divenne compagna, interlocutrice e collaboratrice preziosa, e traduttrice in inglese e in francese; viveva a Roma nella casa in cui aveva abitato con Silone fino alla sua scomparsa nel 1978; e' deceduta il 25 luglio 2003; curatrice del lascito siloniano, alle sue cure si deve la pubblicazione postuma dell'ultimo e incompiuto capolavoro siloniano, Severina, presso Mondadori] Lungo la strada che da Assisi giunge a Gubbio dove il povero persuase il lupo ad altre imprese nella coscienza della stessa fame che si raddoppia in scienza dell'insieme ed opera da farsi, condiviso bene donato dalla compresenza, anche sara' Darina nel ricordo. Sara' Darina, poiche' quel cammino prosegue di Darina e Secondino il viaggio lungo e la memoria bella, face e favella, e aprire strada andando. Poiche' la nonviolenza e' questo: il varco - diceva Capitini - attuale si' della storia, che al gorgo del male oppone comprensione e dignita', e resistenza che fa forte il frale e solidarieta' che non si estingue e riconosce umanita' ed invera. 2. INIZIATIVE. LA SPERANZA E LA PROFEZIA DI PADRE BALDUCCI [Riproduciamo un estratto da un nostro comunicato di un anno fa. E' nostra intenzione riproporre ed estendere quest'anno l'iniziativa del 4 novembre di pace, in memoria delle vittime, contro le guerre, le armi e gli eserciti. Ernesto Balducci e' nato a Santa Fiora (in provincia di Grosseto) nel 1922, ed e' deceduto a seguito di un incidente stradale nel 1992. Sacerdote, insegnante, scrittore, organizzatore culturale, promotore di numerose iniziative di pace e di solidarieta'. Fondatore della rivista "Testimonianze" nel 1958 e delle Edizioni Cultura della Pace (Ecp) nel 1986. Oltre che infaticabile attivista per la pace e i diritti, e' stato un pensatore di grande vigore ed originalita', le cui riflessioni ed analisi sono decisive per un'etica della mondialita' all'altezza dei drammatici problemi dell'ora presente. Opere di Ernesto Balducci: segnaliamo particolarmente alcuni libri dell'ultimo periodo: Il terzo millennio (Bompiani); La pace. Realismo di un'utopia (Principato), in collaborazione con Lodovico Grassi; Pensieri di pace (Cittadella); L'uomo planetario (Camunia, poi Ecp); La terra del tramonto (Ecp); Montezuma scopre l'Europa (Ecp). Si vedano anche l'intervista autobiografica Il cerchio che si chiude (Marietti); la raccolta postuma di scritti autobiografici Il sogno di una cosa (Ecp); il manuale di storia della filosofia, Storia del pensiero umano (Cremonese), ed il corso di educazione civica Cittadini del mondo (Principato), in collaborazione con Pierluigi Onorato. Opere su Ernesto Balducci: cfr. i due fondamentali volumi monografici di "Testimonianze" a lui dedicati: Ernesto Balducci, "Testimonianze" nn. 347-349, 1992; ed Ernesto Balducci e la lunga marcia dei diritti umani, "Testimonianze" nn. 373-374, 1995. Un'ottima rassegna bibliografica preceduta da una precisa introduzione biografica e' il libro di Andrea Cecconi, Ernesto Balducci: cinquant'anni di attivita', Libreria Chiari, Firenze 1996. Recente e' il libro di Bruna Bocchini Camaiani, Ernesto Balducci. La Chiesa e la modernita', Laterza, Roma-Bari 2002. Cfr. anche Enzo Mazzi, Ernesto Balducci e il dissenso creativo, Manifestolibri, Roma 2002] Possa venire presto un tempo in cui non si permettera' piu' di insultare la memoria delle vittime della guerra; possa venire presto un tempo in cui sara' proibito di oscenamente festeggiare la guerra, l'uccidere, gli apparati di morte; possa venire un tempo in cui si adempia la speranza e la profezia del compianto padre Ernesto Balducci: che la guerra, uscita per sempre dalla sfera della razionalita', sia infine cancellata dalla storia umana. 3. RIFLESSIONE. EMANUEL ANSELMI: LA CORTE PENALE INTERNAZIONALE E I MOTIVI DELL'AVVERSIONE DEGLI STATI UNITI (PARTE PRIMA) [Ringraziamo Emanuel Anselmi (per contatti: anselmie at libero.it) per averci messo a disposizione questo testo di cui pubblichiamo oggi la prima parte. Emanuel Anselmi e' un collaboratore del Centro di ricerca per la pace di Viterbo, dottore in economia, gia' obiettore di coscienza in servizio civile presso la Caritas di Viterbo, collabora con alcune ong] In questo testo si cerchera' di mettere in evidenza quali sono, a parere di chi scrive, le ragioni vere che si nascondono dietro il rifiuto da parte degli Stati Uniti d'America di riconoscere la giurisdizione della Corte penale internazionale, cioe' l'organismo internazionale di giustizia penale entrato in vigore il primo luglio 2002, che rappresenta il primo esempio di istituzione penale a carattere permanente di tale livello nella storia dell'umanita'. Questo mancato riconoscimento determina, da parte degli Stati Uniti, un atteggiamento che si risolve nella volonta' esplicita di sottrarre i propri cittadini (militari, innanzitutto) ad un eventuale giudizio negativo per quanto riguarda il comportamento di questi nei casi previsti dallo Statuto dell'organismo. La tesi sostanziale, in estrema sintesi, e' che gli Usa hanno imboccato da tempo una strada che li sta portando progressivamente alla perdita di quella posizione egemonica che hanno ricoperto a partire dalla vittoria nella cosiddetta "seconda guerra dei trent'anni" (1914-1945) (1) contro l'egemonia britannica, assicurata dalla capacita' degli stessi Stati Uniti di concentrare e rappresentare gli interessi del "mondo libero" di fronte all'avanzata del modello sovietico; una volta decaduto il cosiddetto bipolarismo, il ruolo egemonico di questo paese e' venuto assottigliandosi in un mondo divenuto ormai un unico mercato, e per mantenere/recuperare il proprio predominio e' necessario ricorrere ad una politica estera particolarmente aggressiva, e quindi ad una violenza che verrebbe giustamente sanzionata da una corte internazionale. * La nascita di questo organismo di natura cosi' importante si deve fondamentalmente alle esperienze dei tribunali ad hoc creati per i crimini commessi nel Ruanda e nell'ex Jugoslavia - i quali hanno pur avuto il merito di generare familiarita' ed una certa aspettativa nei confronti dell'idea di una giustizia penale per la sanzione delle piu' gravi violazioni del diritto internazionale (2) -, ma anche, meno recentemente, a seguito della creazione delle due giurisdizioni speciali consistenti nel Tribunale militare internazionale di Norimberga e nel Tribunale militare per l'Estremo Oriente di Tokyo. E' proprio a seguito dell'istituzione del tribunale di Norimberga che furono iniziati dei lavori preparatori da parte della neonata Commissione del diritto internazionale atti a preparare lo Statuto per una corte permanente, che pero' si distinguesse dal Tribunale militare stesso per il fatto di essere una istituzione super partes e non l'espressione di solamente una parte della comunita' internazionale, come nel caso delle potenze vincitrici della seconda guerra mondiale (3). Il periodo della guerra fredda si frappose a rallentare e bloccare il processo di formazione normativa che avrebbe dovuto condurre alla creazione della corte internazionale, fino al crollo dei regimi collettivistici dell'Est europeo a seguito dell'implosione dell'Unione Sovietica, periodo durante il quale poterono riprendere i lavori che si sono poi felicemente conclusi nel luglio del 1998 con l'approvazione dello Statuto di Roma, istituente l'organizzazione. Rientrano nella competenza dei giudici internazionali i crimini piu' gravi che ledono la coscienza dell'umanita' e cioe' i crimini di guerra, i crimini contro l'umanita', il genocidio ed i crimini di aggressione, questi ultimi ancora purtroppo in balia di un limbo paradigmatico che indugia a darne una definizione chiara ed esauriente. Per quanto concerne il crimine di "genocidio", questo, secondo lo Statuto, puo' essere perpetrato attraverso la commissione di atti deliberatamente posti in essere al fine di distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso; questi atti (art. 6) sono: uccisione dei membri del gruppo, gravi lesioni fisiche o mentali inferte ai componenti di tale gruppo, imposizione al gruppo di condizioni di vita che necessariamente ne provochino la distruzione fisica in tutto o in parte, imposizione di misure intese ad impedire nascite all'interno del gruppo, trasferimento forzoso di bambini del gruppo ad un altro gruppo. L'articolo 7 prevede, quali crimini contro l'umanita', lo sterminio - consistente nell'imposizione intenzionale di condizioni di vita intese a provocare la distruzione di una parte della popolazione (fra cui l'esclusione dall'accesso a fonti alimentari e medicinali) -, la deportazione o il trasferimento forzato di popolazione, la costrizione alla gravidanza, l'occultamento di persone sequestrate. L'articolo 8 invece riguarda i crimini di guerra e sancisce che la Corte avra' competenza su di essi in modo particolare se perpetrati su larga scala o nel quadro di una pianificazione politica. Da quanto sin qui riportato si evince che sanzioni economiche terribilmente pesanti come l'embargo (quale ad esempio quello imposto a Cuba, e quello imposto all'Iraq) hanno caratteristiche tali da poter rientrare tra le fattispecie menzionate dagli articoli citati. La Corte e' entrata in vigore dopo che e' stata raggiunta la sessantesima ratifica dello Statuto da parte di uno stato nazionale e questa e' stata depositata presso il segretario generale dell'Onu. La sua giurisdizione e' soggetta al principio di complementarieta', cio' significa che i soli casi in cui il procuratore internazionale sara' legittimato ad agire saranno quelli in cui le corti interne non siano in grado di esercitare l'azione penale o non intendano farlo: in merito a questo punto, sara' la stessa Corte a decidere il momento e le circostanze di un proprio intervento, secondo il principio della competenza sulla propria competenza, cosi' come risulta dal combinato disposto del preambolo e degli artt. 17-20 dello Statuto: essa si trova praticamente al vertice del sistema di giustizia penale internazionale di cui fanno parte, con giurisdizione primaria, i Tribunali nazionali degli Stati firmatari del Trattato. Percio' la sfera giurisdizionale dell'organismo in parola si presenta delineata da frontiere mobili che si estendono e si restringono a seconda delle contingenze (4). Le modalita' attraverso le quali si estrinsechera' il suo operato sono di due tipi. Un primo caso di attivazione si avra' dal momento in cui il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite riterra' opportuna una decisione in tal senso sulla base di una Risoluzione dedicata alle misure necessarie al mantenimento della pace internazionale, ai sensi del capitolo VII della Carta dell'Onu: in questa ipotesi la Corte avra' giurisdizione in qualunque parte del mondo e nei confronti di qualunque cittadino, mentre la data del primo luglio 2002 rappresenta un termine iniziale incondizionato, cioe' tutti i crimini compiuti successivamente rientreranno nella competenza di quell'istituzione. Altro caso di attivazione si ha su iniziativa del Procuratore internazionale (ai sensi degli artt. 13.a e 13.b, in combinazione con l'art. 12), iniziativa comunque limitata da criteri di necessita' ed opportunita', oppure su richiesta di uno Stato che abbia ratificato il trattato, per crimini compiuti dunque successivamente alla data di ratifica del trattato medesimo da parte dello Stato stesso e posti in essere all'interno del territorio dello Stato parte o ad opera di un suo cittadino. Caratteristica importante della Corte e' quella di garantire i piu' alti standard internazionali del "giusto processo" al fine di tutelare i diritti degli indagati e degli accusati e di garantirne la presunzione di innocenza; i giudici si dovranno mostrare ovviamente indipendenti da ogni influenza esterna, in primo luogo da quella dei governi, e controlleranno la legalita' delle attivita' dell'organismo. E' anche prevista l'istituzione di un'Assemblea degli Stati Parti quale organo politico dell'istituto. Altra caratteristica notevole dello Statuto che istituisce la Corte e' il fatto che l'ONU, nella persona del suo Segretario Generale, costituisce solamente il depositario del trattato, dato che l'organismo internazionale dovrebbe costituire un'entita' del tutto indipendente dall'Organizzazione delle Nazioni Unite e per questo motivo avra' quella caratteristica prima accennata di costituire un organismo non soggetto alle decisioni prese in seno al Consiglio di sicurezza dell'Onu, che nei fatti rimane ancora, dopo piu' di mezzo secolo, espressione della volonta' politica e degli interessi nazionali degli stati vincitori del secondo conflitto mondiale attraverso la loro presenza quali membri permanenti del Consiglio stesso. La capacita' riconosciuta alla Corte di attivarsi qualora il Procuratore internazionale decida, una volta ottenuta l'autorizzazione da un collegio di tre giudici (la Pre-Trial Chamber), di esercitare l'azione penale d'ufficio, permette quindi a questa istituzione di prendere delle decisioni in maniera completamente indipendente rispetto a quelle che possano apparire come pressioni o adesioni a compromessi imposti da chi puo' esercitare un potere relativamente maggiore nel consesso delle Nazioni Unite, primo paese fra tutti appunto gli Stati Uniti. Nonostante questa possibilita', il Consiglio di sicurezza, oltre ad avere la facolta' di attivare la giurisdizione della Corte nelle ipotesi di crimini compiuti nel territorio di uno stato non-parte ad opera di cittadini di uno stato non-parte - cioe' nelle ipotesi in cui altrimenti sarebbe impossibile rendere operativa la Corte stessa -, e' provvisto anche di un potere di tipo speculare: esso consiste nella sospensione per il periodo di un anno - eventualmente rinnovabile - di qualsiasi attivita' del Procuratore (sia essa un'indagine preliminare o un processo in corso), nei casi in cui lo richiedano particolari esigenze di mantenimento della pace: esso possiede quindi anche lo strumento che gli consente di contrastare l'azione dell'organo di accusa internazionale, pur legittimato ad agire. Il ruolo del Consiglio dunque, anche se nelle intenzioni dei suoi fautori la Corte doveva esserne autonoma, si rivela uno dei perni centrali di tutto il sistema, essendo "il solo custode di una doppia chiave, che gli consente l'attivazione o l'interruzione dell'azione giurisdizionale nei casi piu' complessi" (5). * Note 1. Simoncelli M. (2003) "Geografia politica, fisica ed economica", lezione tenuta il 6 marzo nell'ambito della Spices. 2. Donat-Cattin D. (2001) "Dai Tribunali Penali Internazionali ad hoc alla Corte Penale Internazionale permanente: alcune riflessioni sul processo decisionale nella comunita' internazionale" in Calvetti G. (a cura di), Il Tribunale Internazionale dell'Aia per la ex Iugoslavia, Milano, Cuem. 3. Donat-Cattin D. (2002) "Corte penale internazionale e Stati Uniti: alcune considerazioni", nella rivista "Volontari e terzo mondo", Roma, n. 4, ottobre-dicembre. 4. Della Morte G. (2002) "Il Tribunale adesso c'e' ma avra' vita difficile", nella rivista "Fondazione internazionale Lelio Basso", Roma, n. 2, aprile-giugno. 5. Della Morte G., op. cit. (Continua) 4. DIRITTI UMANI. JENNIFER FRIEDLIN: LE DONNE DEL KENIA ACCUSANO L'ESERCITO BRITANNICO [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione la traduzione di questo articolo del 3 agosto 2003 di Jennifer Friedlin, corrispondente di "We News"] Un gruppo di donne della zona nord del Kenya sta intentando un'azione legale contro l'esercito britannico, per gli stupri subiti in un periodo di oltre trent'anni, durante le manovre dei soldati nella loro regione. Karamas Walebutunui, di Dol Dol, dice di essere sempre stata spaventata dalla presenza dei soldati inglesi accanto al suo villaggio. Le storie sulle violenze da loro perpetrate ai danni delle donne Masai abbondavano: venivano aggredite mentre pascolavano capre e pecore nei vasti pascoli e lei lo sapeva bene. Circa 10 anni fa, le sue paure diventarono realta'. "Vidi arrivare gli uomini e cominciai a correre via, ma altri uscirono dalla foresta, ricorda Walebutunui, Gridavo e gridavo, ma non c'era nessuno che potesse aiutarmi. Quando mi presero, mi violentarono in cinque. E' tutto quello che ricordo". Walebutunui e' solo una delle circa 600 donne Masai e Samburu che hanno presentato la loro denuncia contro i soldati che si sono alternati per 30 anni, nel nord del Kenya, per le manovre militari. Il loro avvocato e' Martyn Day, lo stesso che ha recentemente vinto la causa contro l'esercito britannico per i danni causati alla regione di Dol Dol dalle munizioni inesplose lasciate in loco dai soldati, ottenendo un risarcimento di 7,4 milioni di dollari. Durante le sue visite a Dol Dol, un villaggio polveroso privo di elettricita', Day ha raccolto certificati medici, rapporti di polizia ed altri documenti che proverebbero la negligenza dell'esercito nel contrastare gli attacchi alle donne. In moltissimi casi, i rapporti sugli stupri vennero fatti all'esercito britannico, dice Day. E la trascrizione di un incontro avvenuto nel 1983 prova che i capi tribali Masai presentarono le accuse agli ufficiali inglesi: ma gli stupri continuarono nei due decenni successivi. "Trovo cosi' spaventoso cio' che l'esercito britannico ha fatto, che sarei molto felice di vederli al banco dei testimoni a difendere la loro posizione", dice ancora Day. Le testimonianze continuano ad arrivare da numerosi villaggi. Da uno di essi, Archer's Post, 200 donne sostengono che i soldati le hanno cacciate per anni come animali. Una di esse, Haliwa Milgo, fu stuprata vent'anni fa mentre lavava la biancheria nel fiume. Dei tre soldati, due distrassero la sua nipote bambina con dei biscotti, e il terzo la trascino' ad una distanza di 150 metri, dove la tenne con la faccia nel fango mentre la stuprava. Milgo fa parte della minoranza musulmana del villaggio e quando suo padre venne a sapere cio' che era accaduto si vergogno' troppo per denunciare il fatto alle autorita'. "In questo clan, racconta Milgo, una ragazza deve stare con la famiglia finche' non si sposa. Non si suppone che vada con un uomo". Lo stigma dello stupro, infatti, le ha impedito di sposarsi. Nove mesi dopo di esso, Milgo diede alla luce un bambino, la cui vita e' stata altrettanto difficile. I suoi compagni di scuola lo chiamavano "mzungu" (persona bianca) a causa del colore piu' chiaro della sua pelle, e piu' tardi fatico' a trovare lavoro e ad avere relazioni, poiche' era vissuto come un intruso. Rebecca Samaria, attivista per i diritti delle donne ad Archer's Post, racconta che ha passato anni a protestare e a lamentarsi con i capi Samburu, tutti maschi, degli stupri perpetrati dai soldati. Ma quelli ascoltavano appena: i mariti lasciavano le mogli violentate, portandosi dietro le mucche ed ogni altro bene della famiglia, com'e' loro diritto nella cultura Samburu. In risposta Samaria, che oggi ha 38 anni, fondo' un villaggio indipendente nel 1990, dove 25 donne abbandonate a causa degli stupri oggi vivono e lavorano: vendono oggetti di artigianato ed hanno un centro culturale per il turismo. Stanno organizzando la scuola elementare, mentre risparmiano denaro per poter mandare all'universita' due dei loro ragazzi. Nello spazio sicuro del collettivo, le donne del villaggio discutono di mutilazioni genitali e di violenza domestica, due fatti che fanno parte della tradizione Samburu. "Abbiamo deciso che volevamo sollevare le nostre vite, racconta Samaria, mentre il suono delle donne che danzano e cantano in Samburu echeggia in tutto il villaggio, Le donne qui stanno bene insieme, possono aver cura delle loro famiglie e renderle piu' forti". Ora, Samaria spera che l'azione legale le aiuti ad ottenere anche un po' di giustizia. 5. LIBRI. MARIO PIANTA, FEDERICO SILVA: ALCUNE RECENTI PUBBLICAZIONI SUL "MOVIMENTO DEI MOVIMENTI" [Dal quotidiano "Il manifesto" del 12 agosto 2003. Mario Pianta e' nato ad Asti nel 1956, economista, ricercatore del Cnr, docente universitario di politica economica, impegnato nel movimento per la pace, collalbora al quotidiano "Il manifesto"; tra le opere di Mario Pianta: Stati Uniti: il declino di un impero tecnologico, Edizioni Lavoro, Roma 1988; (a cura di), L'economia globale, Edizioni Lavoro, Roma 1989; (con Giulio Perani), L'industria militare in Italia, Edizioni Associate, Roma 1989; (a cura di), Jesse Jackson. La politica dell'arcobaleno, Datanews, Roma 1989; (con Alberto Castagnola), La riconversione dell'industria militare, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1990; (con altri), Tecnologia, crescita e occupazione, 1998; Globalizzazione dal basso, Manifestolibri, Roma 2001. Federico Silva ha preso parte all'esperienza del "Cantiere per la pace" all'Universita' La Sapienza di Roma] Chi pensasse che l'attivismo dei movimenti globali sia un'altra vittima del caldo estivo esprimerebbe un giudizio affrettato. L'autunno e' gia' fitto di iniziative, come le proteste globali contro il vertice dell'Organizzazione mondiale per il commercio a Cancun in Messico a settembre, la nuova edizione dell'Assemblea dell'Onu dei popoli e della marcia Perugia-Assisi a ottobre, il Forum sociale europeo di Parigi a novembre. * Sotto l'ombrellone e' allora opportuno ripassare l'essenziale sui movimenti globali in un agile libretto, I new global. Che cosa sono e cosa vogliono i critici della globalizzazione, di Donatella della Porta (il Mulino, collana "Farsi un'idea", 135 pp., 8 euro) che ne mette a fuoco con rigore l'identita e le proposte. Un movimento sociale nasce quando quando emergono "reti di interazioni prevalentemente informali, basate su credenze condivise e solidarieta', che si mobilitano su tematiche conflittuali attraverso un uso frequenti di varie forme di protesta". Lo sforzo di Donatella della Porta, che sintetizza un vasto lavoro di ricerca su questi temi, e' quello di verificare in che misura i movimenti sulla globalizzazione esprimono davvero identita' e obiettivi "globali", si mobilitano con modalita' adeguate a cause di rilievo planetario e agiscono con campagne e forme di organizzazione transnazionali. A ciascuno di questi temi e' dedicato un capitolo del libro, che unisce una forte concettualizzazione (assai utile nel dibattito italiano) radicata nella teoria politica e sociologica e una puntuale descrizione delle attivita' dei movimenti globali. Le diverse componenti di questi movimenti sono ritratte legando in modo sistematico identita' e soggettivita' da un lato e forme e contenuti delle mobilitazioni dall'altro. C'e' naturalmente molta attenzione alle proteste contro il G8 di Genova del luglio 2001, che erano state analizzate nel precedente lavoro del gruppo di ricerca raccolto intorno a Donatella della Porta (Global, no global, new global, Laterza 2002), e si esaminano le interazioni con le istituzioni e i rapporti dei movimenti con la politica. La conclusione e' che siamo davvero di fronte a movimenti globali che mettono in discussione elementi chiave della politica e pongono in termini nuovi - globali, certo, ma anche partecipativi e deliberativi - la questione della democrazia. * Alle identita' del movimento e' dedicato un altro libro uscito di recente, Altri mondi. Storie, personaggi, idee del movimento new global (Marco Tropea editore, 190 pp., 8 euro) scritto da Mario Portanova, giornalista di "Diario", che intreccia percorsi individuali, reportages sugli eventi chiave del movimento e temi delle mobilitazioni (un libro di cui "Il manifesto" ha gia' parlato il 20 giugno con una recensione di Angelo Mastrandrea). * Per prendere in esame le proposte dei movimenti globali bisogna passare a un testo inglese, Another World is possible (Zed Books) curato da William Fisher e Thomas Ponniah, che e' forse il primo tentativo di raccogliere le diverse proposte politiche del movimento dei movimenti. Lo fa a partire dalla pletora di documenti, formali e non, dalla serie di proposte e resoconti emersi da quelle fucine politiche che sono stati i World Social Forum di Porto Alegre. Quattro sono le principali aree tematiche in cui il materiale e' organizzato: economia, ambiente e sostenibilita', democrazia, pace e diritti umani. il quadro che ne risulta e' la nota ricchezza e pluralita' del movimento ma anche le sue importanti differenze. Due cruciali dicotomie attraversano l'intero spettro delle proposte. Primo, la nota divisione tra radicali versus riformisti (con l'aggiunta dei toni intermedi di coloro che chiedono "riforme radicali"). Il nocciolo e' se la parola d'ordine sia lo shrink, il ridimensionamento del sistema di Bretton Woods, attraverso riforme che aprano alla partecipazione di spezzoni della societa' civile; oppure il sink, l'affossamento dei diversi poteri globali o quantomeno un loro sostanziale decentramento e localizzazione all'interno d'una Onu finalmente riformata. E' una scelta che ha un forte rilievo per la strategia dei movimenti: fare lobbying per portare a casa risultati, magari piccoli, o mettere il sistema in condizioni di fare meno danni senza pensare da subito ad alternative praticabili? Il grado di autonomia dei movimenti, gli spazi per costruire alternative e l'entita' del lavoro di partnership con le grandi istituzioni internazionali rimangono questioni aperte nei vari documenti del libro. * La seconda dicotomia e' quella tra localisti e globalizzatori. I primi chiedono una forte svolta verso la localizzazione (A turn towards localization e' il sottotitolo di The Case Against the Global Economy, Earthscan, curato da E. Goldsmith e J. Mander, che contiene scritti anche di Martin Khor e Walden Bello). La tesi e' che la soluzione dei problemi economici e ambientali non passa attraverso un ordine internazionale monolitico e gerarchico bensi' tramite il ritorno di processi e decisioni a una scala locale (e nazionale), con l'auto-organizzazione, l'economia solidale, l'auto-sufficienza locale, la sovranita' alimentare e il controllo diretto delle risorse. I globalizzatori sono invece impegnati a trovare soluzioni di democrazia internazionale con forme piu' o meno articolate di global governance, ripartendo dalla democratizzazione delle Nazioni Unite, nella convinzione che la risposta alla globalizzazione sia soprattutto la sua democratizzazione. E ci sono infine le spinte per un ritorno di attenzione alla dimensione degli stati nazionali, con richieste di maggiore autonomia e di una rinnovata sovranita' nazionale. Su questa varieta' di temi non mancano le contraddizioni. Sovranita' nazionale non ha mai significato autonomia locale, ne' democrazia a livello sovranazionale ed interstatale. La richiesta di un'economia di pieno impiego dettata dai diritti dei lavoratori contrasta con la necessita' ambientale di una drastica riduzione dei consumi e della crescita economica. Infine, come sottolineano i curatori, l'enfasi sulla diversita' culturale ma il contemporaneo accento su diritti universali propri del linguaggio occidentale, sottende le note tensioni tra globalismo e localismo, tra universalismo e comunitarismo, tra eccessi in derive liberali o etnocentriche. * Al di la' di tali tensioni e differenze, nei documenti si ritrova una soglia minima importante di obiettivi politici e sociali attorno ai quali l'eterogeneita' del movimento si e' coagulata. La riforma delle istituzioni economiche internazionali, l'annullamento del debito dei paesi poveri, la sospensione dei programmi di aggiustamento strutturale, sistemi di tassazione globale - sulle transazioni finanziarie, sugli investimenti diretti all'estero, sui profitti delle multinazionali -, una rete di monitoraggio e tutela dei diritti umani, sociali e economici, sono obiettivi prioritari comuni a tutto il movimento. Un'importante convergenza propositiva emerge ben al di la' delle critiche alla globalizzazione neoliberista. * L'eterogeneita', ma anche la ricchezza di queste dinamiche sociali emerge dal nuovo libro di Mary Kaldor Global Civil Society (Polity Press). Adottando un punto di vista teorico e storico, il libro analizza la genesi del concetto di societa' civile globale. L'autrice riconosce non solo l'ambiguita' del termine, ma anche i suoi recenti abusi. L'uso di societa' civile e' stato spesso permeato dall'ipocrisia nelle politiche e nei documenti dei grandi organismi internazionali; ma riveste anche valore del tutto particolare nella letteratura neoliberista - come rammendo alle mancanze del laissez faire dello stato minimo. Tuttavia, Kaldor, conscia della forza descrittiva e normativa che il termine ha assunto nei nuovi movimenti e delle sue importanti radici storiche, lo difende. La definizione del termine adottata, e tratteggiata in parte sull'uso kantiano e gramsciano, riflette la percezione che gli attivisti hanno di se' e il lato normativo del loro progetto politico: societa' civile globale come cittadinanza attiva, radicalizzazione democratica, empowerment degli spazi di partecipazione politica e profonda critica al militarismo. Il tutto in uno spazio politico che si colloca tra la sfera dello stato e quella del mercato, in una dimensione globale. Muovendo dalla sua storia politica che l'ha vista tra i fondatori dell'End (il movimento europeo per il disarmo nucleare), Mary Kaldor rintraccia le radici di tale definizione nei movimenti per la pace degli anni Ottanta. Quell'attivismo europeo contro i missili Cruise e Pershing e Ss20 e' stato doppiamente cruciale. Primo, come scavalcamento delle barriere poste dalla allora situazione geopolitica promuovendo nuovi legami tra est e ovest dell'Europa e dando cosi' prima forma al loro carattere transnazionale. Secondo, come confronto politico attraverso i primi controvertici con istituzioni sovranazionali - favorendo cosi' istanze di controllo democratico e partecipazione attiva. Tuttavia, l'adozione del termine societa' civile globale non significa a detta dell'autrice minimizzare ne' la diversita' ne' il pluralismo, riducendo i movimenti ad un corpo monolitico. Anzi, Mary Kaldor riconosce all'interno di esso almeno tre categorie differenti, a volte parzialmente sovrapposte: ong, movimenti sociali e quei network globali che spesso tentano di fungere da tramite tra le altre due forme di organizzazione. Questa partizione sebbene riguardi certamente strutture, repertori d'azione e competenze, e' anche differenza nelle proposte avanzate e nel modo di avere rapporti con la sfera politica dei partiti e delle istituzioni sovranazionali. All'auto-organizzazione sovente spontanea dei nuovi movimenti sociali pronti al confronto/scontro politico ed istituzionale sui grandi temi corrispondono le strutture formali di alcune grandi ong internazionali, la loro specializzazione di nicchia ed il loro ruolo privilegiato di interlocutori. Ma la strategia di lobbying, come ricorda l'autrice, rischia di portare all'"addomesticamento", a strutture istituzionalizzate e verticistiche prive di mordente: che a protesta e proposta possa sostituirsi la mera "fornitura di servizi"; alla solidarieta' il beneficio interessato, all'auto-organizzazione la professionalizzazione. C'e' poi la divaricazione tra soggetti sociali del Nord e del Sud del mondo, con un forte squilibrio di risorse e rischi d'egemonia culturale. Sebbene tali pericoli che possono apparire fratture siano ben presenti, e' sulla base di un'identita' di fondo, che collima con la richiesta di forme di democrazia radicale, che l'autrice riconosce la potenziale forza politica del movimento. Il rinnovato militarismo statunitense seguito all'11 Settembre 2001, con le guerre in Afghanistan e Iraq ha fatto si' che la pace tornasse a essere un tema centrale dell'agenda dei movimenti globali, e un elemento di unificazione. La fiducia espressa nel sottotitolo, nella societa' civile come risposta alla guerra, cioe' come capace di influenzare la politica di sicurezza e di riprendere il controllo democratico delle decisioni globali, ha trovato un riscontro importante nelle manifestazioni mondiali del 15 febbraio 2003 contro i preparativi di guerra degli Stati Uniti contro l'Iraq, la data di nascita - a detta del "New York Times" - della societa' civile globale come "seconda superpotenza". 6. LIBRI. FRANCESCA LAZZARATO PRESENTA "MEMORIAS DE LA REPRESION", COLLANA DIRETTA DA ELIZABETH JELIN [Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 agosto 2003. Francesca Lazzarato dirige collane editoriali ed e' autrice, curatrice e traduttrice di molti libri soprattutto per giovani e bambini. Elizabeth Jelin e' una prestigiosa sociologa e docente universitaria, autrice di varie pubblicazioni] Forse in nessun luogo come in Argentina, nazione la cui storia recente e' stata attraversata da una violenza politica di inaudita ferocia, il passato e' un problema del presente: un passato che permea di se' ogni istante della vita privata e pubblica, e che, simile a uno "specchio scuro" nel quale e' impossibile non affondare lo sguardo, diviene oggetto di innumerevoli indagini, analisi, interpretazioni e fabulazioni. Mai come adesso - in questo paese dove il conflitto tra le differenti versioni di un traumatico vissuto collettivo esprime tutta la difficolta' di garantire l'applicazione della giustizia e dell'ordine democratico - si e' parlato tanto della memoria, mai si e' rivendicato con tanta forza il diritto a coltivarla, esercitarla, esplorarla. Il che, come suggerisce il filosofo Ricardo Forster, comporta la necessita' di riflettere sul suo uso e di costruire un'etica ad hoc, per evitare il rischio di cancellare e rinarrare in continuazione la storia "fino a trovare quella che ci si adatta". Ed e' sempre Forster a far notare che "un'attualita' segnata dalla crisi e dalla disperazione" puo' essere compresa solo a partire da un passato ancora pieno di segreti, dalle sue trame oscure e labirintiche, dai vuoti che tutt'ora lo costellano. A riempire questi vuoti saranno indubbiamente gesti interamente politici come l'adesione alla convenzione internazionale che rende imprescrittibili i crimini di guerra e quelli contro l'umanita' (il presidente Kirchner l'ha annunciata lo scorso lunedi') e la vera e propria offensiva del nuovo governo argentino contro le leggi dette dell'Obediencia Debida e del Punto Final, che il 12 agosto sono state dichiarate nulle a larga maggioranza dalla Camera dei Deputati e la cui nullita' - ieri - e' stata trasmessa al Senato (il voto e' stato accompagnato da una manifestazione indetta da Madri e Nonne di Plaza de Mayo e da decine di altri movimenti umanitari, partiti politici e sindacati). Quelle leggi avevano permesso a centinaia di responsabili della dittatura in Argentina di non essere processati per le violazioni dei diritti umani. Ma a riempire quei vuoti sara' anche un nuovo approccio alla storia, finalmente "scritta" invece che "riscritta", permettera' all'Argentina di pensare criticamente il passato a partire da una sorta di "artigianato della memoria" come quello ottimamente rappresentato da Memorias de la represion, una nuova e documentatissima collana dell'editore Siglo XXI, diretta dalla sociologa Elizabeth Jelin (dei sei titoli previsti ne sono usciti gia' quattro) e dedicata all'analisi del dibattito sulla repressione nel Cono Sur. Nel primo volume, Los trabajos de la memoria, e' la stessa Jelin a tracciare una sorta di mappa che servira' al lettore per inoltrarsi nei territori definiti dalle opere successive, illustrando le diverse posizioni teoriche sulla memoria, analizzando temi come la relazione tra memoria sociale e storia, facendo presente l'esistenza di memorie multiple ("Come sarebbe la Storia raccontata da un'indigena, o dal discendente di qualcuno le cui terre furono occupate durante la campagna del deserto?") spesso in conflitto tra loro, memorie che, nel caso appartengano ai vinti, vengono apparentemente cancellate e sopravvivono incamminandosi per altre strade, diverse da quelle della storiografia ufficiale. Nel volume collettivo Las conmemoraciones: las disputas en las fechas "infelices", queste premesse teoriche trovano concretezza e si incarnano nell'esame di avvenimenti topici degli anni Sessanta e Settanta: il golpe dell'11 settembre in Cile, quello del 24 marzo in Argentina, i festeggiamenti per il compleanno di Alfredo Stroessner in Paraguay, il colpo di stato dei militari brasiliani il 31 marzo del 1964, insomma una sorta di effemeridi della crudelta', una collezione di date "infelici" e di anniversari mortali. In Del estrado a la pantalla: las imagenes del juicio a los ex comandantes en la Argentina, Claudia Feld si dedica invece a uno studio esaustivo e rigoroso sul modo in cui i media parteciparono al giudizio dei militari argentini, impegnandosi in una ricostruzione quasi poliziesca che si destreggia tra occultamenti, manipolazioni, volontarie omissioni, e finisce per coinvolgere in una utile e terrificante meditazione su come la politica della memoria venga praticata (in Argentina come altrove) da mezzi di comunicazione asserviti e compiacenti. Nell'ultimo dei titoli apparsi, Los archivos de la represion: documentos, memoria y verdad, Elizabeth Jelin e Ludmila da Silva Catela ripercorrono le tragiche vicende di Argentina, Brasile, Cile e Paraguay, in cerca di documenti che consentano la ricostruzione oggettiva di un tempo in cui burocrazia e repressione agivano in perfetta sintonia: un compito indispensabile che, nel caso dell'Argentina, e' destinato non solo a smascherare le strategie repressive elaborate dalla dittatura, ma anche a restituire un nome e un'identita' alle vittime. Di fronte a libri come questi (e ai tanti altri piu' o meno simili che in questo ultimo anno sono apparsi sugli scaffali delle librerie argentine) qualcuno ha parlato di "epidemie di memoria" o di "eccesso di passato", ma la curatrice della collana non e' affatto d'accordo. Dice infatti Elizabeth Jelin che parlare di un "eccesso di passato" avrebbe senso solo se quest'ultimo si limitasse a riapparire senza rielaborazione alcuna, nelle vesti dell'infinita, ristretta, coattiva ripetizione che Todorov chiama memoria letterale. Ma quella che l'Argentina si sta oggi sforzando di praticare tra mille difficolta' e' piuttosto una memoria esemplare, cioe' quella che riesce a ripensare una dolorosa esperienza del passato in termini piu' ampi, non riferiti soltanto a quanto e' accaduto in un luogo e in un momento dati. Una memoria elaborativa, dunque, che riguarda un popolo intero e tuttavia non puo' prescindere dai sentimenti e dalla sofferenza di ciascuno, quindi dalle tante e diverse memorie, quelle che in tempi di totalitarismo sono costrette a nascere e a svilupparsi in luoghi segreti, privati, occulti, in cui si osa pensare "altre cose". E' il venire alla luce di queste memorie, a volte contrapposte, che fa da contravveleno a una memoria ufficiale, ripetitiva, celebrativa e dunque tendenzialmente egemonica e saturante. Ed e' proprio qui, nella capacita' di affrontare le altre memorie e di creare un luogo ove esse riescano a confrontarsi e a dibattere, ad analizzare i rispettivi linguaggi e processi di simbolizzazione, a decifrarsi vicendevolmente, che si possono accumulare "ricordi per il futuro". Una lezione, questa, che non vale solo per l'Argentina. 7. LIBRI. AUGUSTO ILLUMINATI PRESENTA "CERVANTES FILOSOFO" DI ANTONIO GAGLIARDI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 12 agosto 2003. Augusto Illuminati, nato a Perugia nel 1937, e' docente di filosofia politica all'Universita' di Urbino; tra le sue molte opere segnaliamo particolarmente Sociologia e classi sociali, Einaudi, Torino 1967, 1977; Kant politico, La Nuova Italia, Firenze 1971; Lavoro e rivoluzione, Mazzotta, Milano 1974; Rousseau e la fondazione dei valori borghesi, Il Saggiatore, Milano 1977; Classi sociali e crisi capitalistica, Mazzotta, Milano 1977; Gli inganni di Sarastro, Einaudi, Torino 1980; La citta' e il desiderio, Manifestolibri, Roma 1992; Esercizi politici. Quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994. Antonio Gagliardi lavora da anni in ambito universitario sulla presenza dell'averroismo nella cultura e nella letteratura italiana, ed e' autore di acuti saggi sull'argomento] Cervantes filosofo: il titolo del libro di Antonio Gagliardi e l'ulteriore sottotitolo, Averroismo e cristianesimo (Torino, Tirrenia stampatori, pp. 182, euro 12), possono stupire il lettore, casomai aduso alle interpretazione filosofiche piu' o meno plausibili del Don Chisciotte, ma si giustificano con gli assunti sottintesi al meno noto Le avventure di Persiles e Sigismonda. Questo romanzo postumo si iscrive a pieno diritto in un'ideale biblioteca di racconti allegorici sul destino dell'uomo, di ´"commedie" che procedono da una situazione di pericolo alla salvezza finale. Il termine rinvia innanzi tutto alla Commedia dantesca, ma anche ad alcune opere minori di Boccaccio (che del Dante filosofo fu accurato interprete) e alla stessa cornice del Decamerone. Cervantes, anzi, sembra costruire la sua trama a ridosso di quella boccaccesca: un filo conduttore (qui il viaggio-pellegrinaggio come in Chaucer, piu' che la fuga dalla peste, del resto strutturalmente equivalente) intorno a cui si articolano gruppi di novelle. In tutti questi autori, sfruttando in ogni modo la continuita' linguistica fra codici eterogenei, circola una comune ideologia, piu' o meno tecnicamente definita, che presuppone una matrice averroista. Per Gagliardi, autore di numerosi studi sull'argomento (ricordiamo il recente volume di sintesi dedicato a Tommaso d'Aquino e Averroe', Rubbettino editore, 2002) e soprattutto indagatore della ricaduta letteraria di quel senso comune filosofico (da Cavalcanti e Dante al Tasso), esistono due direzioni interpretative: una mirante a conciliare le oggettivamente divergenti prospettive dell'averroismo latino (o aristotelismo radicale che dir si voglia), l'altra piuttosto a polarizzare i percorsi. Cervantes, come il Dante maturo, appartiene alla prima tendenza e costruisce pertanto un itinerario che armonizzi l'impianto averroista con l'ordine cristiano e le sue istituzioni. Non a caso la peripezia si conclude a Roma, sede del papato - dove invece, negli anni della stesura, un averroista non conciliante come Giordano Bruno doveva sperimentare ben altra sorte. Il senso comune averroista di cui discorre non si identifica direttamente con la sua piu' nota dottrina dell'unicita' dell'intelletto materiale per tutta la specie umana, ma rimanda piuttosto al processo di formazione di un intelletto personale secondo un'evoluzione graduale che va dal bruto alla pienezza della conoscenza grazie all'apprendimento, attraverso i fantasmi immaginativi, della forma pure delle cose. L'uomo e' un centauro, meta' animale meta' spirituale, in convivenza temporanea, fino alla morte, fra le due parti. Quando il legame si scioglie, il corpo ritorna alla materia grezza e l'intelletto personale ritorna nel tutto dell'intelletto unico. Il bambino-bruto per diventare uomo in senso proprio puo' e deve cercare di conoscere tutto il conoscibile, fino a pervenire in vita all'assimilazione (tramite contatto diretto con l'Intelligenza Agente o angelo del cielo della Luna) a Dio. La felicita' e' in questa vita e non in un'altra come recita fieramente una delle tesi condannate a Parigi nel 1277. Cammino prometeico, che anticipa la dottrina del progresso scientifico illimitato e fa della scienza, species intelligibilis, l'autentica perfezione e beatitudine, l'apertura alla storia e al futuro. Nella poesia medievale la donna angelicata allegorizza ordinariamente questa forma beatificante, intesa come forza immanente (nell'averroismo radicale) o come messaggera di un ordine superiore (la Beatrice dantesca), qualora si cerchi di conciliare la pericolosa dottrina araba con l'impianto salvifico cristiano. Del resto che l'umanizzazione dell'uomo sia opera di una figura femminile puo' echeggiare anche in ulteriori schemi del tutto laicizzati - Gagliardi accenna significativamente a quanto fa la Fata Turchina per trasformare in ragazzo perbene il burattino Pinocchio... Tale funzione e' svolta nella romanzesca vicenda cervantina da Auristela, anche se la controparte Periandro ha in se' fin dall'inizio la spinta alla conversione cristiana. Il pellegrinaggio che dall'isola Barbara, sui cui due versanti si esplicano i guasti della ferocia naturale e i pregi della ragione naturale, conduce attraverso vari regni pagani alla Spagna cristiana (anzi, ansiosa di liberarsi degli ultimi moriscos) e infine a Roma, e' l'opposto del folle volo dantesco di Ulisse, che in nome di una razionalita' radicalmente averroista va dalla sua isola all'orgoglioso naufragio. Assomiglia peraltro (vorremmo aggiungere) alle peregrinazioni insulari di un altro romanzo andaluso, lo Hayy Ibn Yaqzan di Ibn Tufayl (XII secolo), piu' tardi tradotto in inglese e modello del Robinson Crusoe, che mira del pari a conciliare la falsafa con il misticismo sufi e l'osservanza esteriore del Corano. Gagliardi esamina accuratamente il complicato intreccio di novelle che si diramano a cascata dal resoconto centrale del viaggio, documentandone i molteplici riferimenti ad Aristotele e le analogie con gli schemi costruttivi del Decamerone e del Filocolo boccacceschi, mostrando come gradualmente l'esercizio delle virtu' noetiche e dianoetiche dell'Etica nicomachea venga integrato dalla misericordia e carita' cristiane, che introducono all'amore di Dio e al riconoscimento della Provvidenza. Resta il problema intrigante del rapporto con il Chisciotte, dove tutti i termini del discorso appaio a rovescio: Dulcinea e' un prodotto dell'immaginazione del protagonista e non la dama salvifica in travestimento cavalleresco e il cavaliere errante fallisce il programma di trascendimento avventuroso del mondo quotidiano, mentre Sancio riduce parodisticamente la scienza a un cumulo sterminato di proverbi. I due testi convivono nella reciproca esclusione, testimoniando dell'estremo anelito e del fallimento simbolico di un progetto di trascendenza. Qualcosa di simile accadde anche nella vecchiaia di Boccaccio, ma nel nostro caso e' piu' l'apertura di una crisi epocale che un episodio personale. 8. LIBRI E DINTORNI. GIOBBE SANTABARBARA: DI AVERROE', DI CERVANTES E DI NOI STESSI 1. Alcuni libri: Averroe', Il trattato decisivo, Rizzoli, Milano 1994; (a cura di Augusto Illuminati), Averroe' e l'intelletto pubblico, Manifestolibri, Roma 1996; Guido Cavalcanti, Rime, (edizione critica a cura di Letterio Cassata), De Rubeis, Anzio 1993; Miguel Asin Palacios, Dante e l'islam, Pratiche, Parma 1994, Est, Milano 1997; Giuliana Di Febo, Rosa Rossi (a cura di), Interpretazioni di Cervantes, Savelli, Roma 1976; Miguel de Cervantes Saavedra, Tutte le opere, due volumi, Mursia, Milano 1972, 1978; Rosa Rossi, Ascoltare Cervantes, Editori Riuniti, Roma 1987; Franco Meregalli, Introduzione a Cervantes, Laterza, Roma-Bari 1991; Antonio Rey Hazas, Florencio Sevilla Arroyo, Cervantes. Vida y literatura, Alianza, Madrid 1995; Gotthold Ephraim Lessing, Nathan il saggio, Garzanti, Milano 1992; Primo Levi, Opere, due volumi, Einaudi, Torino 1997. 2. E' probabile che per molti dei lettori di questo foglio Averroe' oltre ad essere un nome incontrato di sfuggita a scuola sia solo l'eroe di un film (magnifico, e forse talvolta anche un film puo' bastare per accostarsi a cogliere la sostanza di un lungo discorso e di una vasta eredita') di Youssef Chahine, Il destino, che ce lo presenta magistrato equanime, teologo e filosofo e scienziato musulmano acutissimo, studioso di Aristotele e tramandatore grande dell'opera sua, nemico di ogni fanatismo e di ogni violenza, figura tra le piu' grandi della cultura europea (e mediterranea, ed araba; e classica, e medioevale; e musulmana, e cristiana; e insomma umana). O anche solo il protagonista di un folgorante racconto di Borges, che ci rivela molto dello statuto della nostra capacita' conoscitiva, della nostra storia e storicita', e del nostro in-der-welt-sein, delle lacerazioni e dei compiti e della dignita' che ad ogni essere umano, e all'umanita' intera, sono dati, nostra stoffa, nostro travaglio, nostro tragitto comuni. 3. E tramite Guido Cavalcanti e Dante Averroe' e' anche una delle radici della poesia italiana, e quindi della cultura italiana tout court: poiche' di questa cultura la poesia e', se non tutto, quasi. E con e come Averroe' anche l'islam e' una presenza segreta e forte nella cultura e la storia del nostro paese: per vari e contraddittori tramiti, certo, e nel gorgo di una vicenda storica di intrecci e cozzi drammatica e vitalissima, tutti sappiamo. Il libro di Asin Palacios e' una pista; leggendo Dante al centro sociale occupato di Viterbo qualche anno fa su questo tema riflettemmo a lungo. E decisiva (e' ovvio dirlo) e' la presenza dell'ebraismo, e finanche segnatamente della qabbalah, senza di cui tanta parte del Rinascimento italiano (e del Rinascimento europeo, e della modernita') non avrebbe avuto una delle piu' ricche e nutrienti radici, uno degli stimoli vitali. Nel nostro meticciato e' il meglio della nostra tradizione, nel nostro collocarci all'incrocio e nel vivo del conflitto e dell'incontro di grandi diverse culture, del loro convivio - e drammatico, sovente, convivio - beneficiari. 4. Cervantes, l'eroe di Lepanto, il prigioniero ad Algeri, il conoscitore per esperienza di tutti i mondi possibili e di quelli solo immaginati (e degli altri non meno veri, talora forse anzi piu' autentici), l'autore di opere che sempre alludono alla scissura e all'interpretazione come sostanza del nostro friabile e sfuggente, eppur denso e prezioso ed ineludibile, esistere ed incontrarci ed incontrare il mondo, non esitiamo a dirlo, e' con Kafka, Leopardi e Marx l'autore che piu' ha influenzato la visione del mondo di chi scrive queste righe. Cervantes tutto, poiche' come ebbe a scrivere Friedrich Schlegel, e Meregalli ricorda (a incipit e chiave), "di Cervantes bisogna aver letto tutto o niente". 5. Perche' in questa sorta di genealogia non poteva non essere Nathan il saggio, e' talmente evidente che non occorre scriverne. E perche' culmine ne sia Primo Levi - maestro dei maestri e testimone dell'orrore cui ancora e sempre e' da resistere - non posso dire in breve, le lacrime me ne impedirebbero. Ma che genealogia e' questa? Di cosa stiamo veramente parlando? 6. E' che stiamo parlando di noi, dell'ora presente, dei compiti nostri: fermare la guerra, costruire ponti, ascoltare voci, riconoscere umanita', agire benevolenza; resistere alla barbarie, ad ogni fanatismo opporre apertura, contrastare ogni sopruso, con la mitezza e la misericordia combattere il fascismo altrui e nostro. Fare la cosa giusta, cercare, amare, dire, afferrarsi alla verita' - l'atteggiamento e la prassi umile e tenace, intima e condivisa, che Gandhi chiama satyagraha -, rispondere al volto dell'altro, scegliere la nonviolenza. Questo imparammo da Eschilo e da Swift, da Averroe' e Cervantes, da Primo Levi e Hannah Arendt, da Virginia Woolf e Simone Weil, e non abbiamo piu' dimenticato. 9. RILETTURE. NADIA FUSINI, MARIELLA GRAMAGLIA (A CURA DI): LA POESIA FEMMINISTA Nadia Fusini, Mariella Gramaglia (a cura di), La poesia femminista, Savelli, Roma 1974, pp. 304. Una raccolta di poesie di autrici americane, inglesi e francesi. 10. RILETTURE. LAURA DI NOLA (A CURA DI): POESIA FEMMINISTA ITALIANA Laura di Nola (a cura di), Poesia femminista italiana, Savelli, Roma 1978, pp. 176. Oltre ai testi in versi di trentuno autrici, include anche alcuni interventi critici di Mariella Bettarini, Sandra Petrignani, Biancamaria Frabotta. 11. RILETTURE. FRANCESCA PANSA, MARIANNA BUCCHICH (A CURA DI): POESIE D'AMORE Francesca Pansa, Marianna Bucchich (a cura di), Poesie d'amore. L'assenza, il desiderio, Newton Compton, Roma 1986, 1994, pp. 256, lire 3.900. "Le piu' importanti poetesse italiane contemporanee" presentate da trentasei accurate schede critiche. 12. RILETTURE. ANGELA CATTANEO, SILVANA PISA: L'ALTRA MAMMA Angela Cattaneo, Silvana Pisa, L'altra mamma, Savelli, Milano 1979, pp. 128. Una raccolta di testimonianze e riflessioni del movimento delle donne sulla maternita'. 13. RILETTURE. SILVIA LAGORIO, LELLA RAVASI, SILVIA VEGETTI FINZI: SE NOI SIAMO LA TERRA Silvia Lagorio, Lella Ravasi, Silvia Vegetti Finzi, Se noi siamo la terra, Il Saggiatore, Milano 1996, pp. 128, lire 18.000. "La riflessione di tre donne, tre psicoanaliste, sulla maternita' e sul Regno delle Madri, per sottolinearne la radicalita' etica". 14. RILETTURE. MARIA LUISA BOCCIA, GRAZIA ZUFFA: L'ECLISSI DELLA MADRE Maria Luisa Boccia, Grazia Zuffa, L'eclissi della madre, Pratiche, Milano 1998, pp. 260, lire 28.000. Una approfondita riflessione sulla fecondazione artificiale. 15. RILETTURE. LUCE IRIGARAY: SPECULUM Luce Irigaray, Speculum. L'altra donna, Feltrinelli, Milano 1975, 1989, pp. 352, lire 19.000. Un testo ormai classico. 16. RILETTURE. GOLIARDA SAPIENZA: L'UNIVERSITA' DI REBIBBIA Goliarda Sapienza, L'universita' di Rebibbia, Rizzoli, Milano 1983, 1984, pp. 176. L'esperienza carceraria di una acuta intellettuale recentemente scomparsa. 17. RILETTURE. WANDA TOMMASI: I FILOSOFI E LE DONNE Wanda Tommasi, I filosofi e le donne, Tre lune edizioni, Mantova 2001, pp. 272, euro 18,07. Una assai utile monografia; l'autrice, una delle piu' note pensatrici italiane di oggi, fa parte della comunita' filosofica femminile "Diotima". 18. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 19. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 644 del 16 agosto 2003
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