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La nonviolenza e' in cammino. 643
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 643
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 14 Aug 2003 22:43:13 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 643 del 15 agosto 2003 Sommario di questo numero: 1. Flavio Marcolini: la scomparsa di Darina Laracy Silone 2. Giorgio Mariani: la scomparsa di James Welch 3. "Beati i costruttori di pace": lettera aperta ai soldati ed agli ufficiali delle basi di Vicenza e di Longare 4. Stephanie Hiller intervista April Hurley 5. Il 4 novembre contro guerre, eserciti ed armi 6. Giovanna Boursier: un viaggio nei luoghi della Shoah 7. Rossana Rossanda: svegliati Europa 8. Sveva Haertter: obiettori di coscienza in Israele 9. Alcuni testi scritti durante un incontro di accostamento alla nonviolenza ad Acquapendente 10. Amnesty International: in Messico dieci anni di intollerabili crimini nei confronti delle donne 11. Riedizioni: Benny Morris, Vittime 12. Riletture: Lia Levi, Una bambina e basta 13. Riletture: Salwa Salem, Con il vento nei capelli 14. La "Carta" del Movimento Nonviolento 15. Per saperne di piu' 1. LUTTI. FLAVIO MARCOLINI: LA SCOMPARSA DI DARINA LARACY SILONE [Da Flavio Marcolini (per contatti: fmar at inwind.it) riceviamo e diffondiamo. Flavio Marcolini e' direttore del "Centro di ricerca nonviolenta" di Brescia. Darina Laracy e' stata la compagna di Ignazio Silone e con lui ha condiviso l'impegno per la dignita' umana e la nonviolenza; segnaliamo particolarmente che alle sue cure e' dovuta la pubblicazione postuma - con utilissimi materiali allegati - di Severina, Mondadori, Milano 1981, 2001 - un volume la cui lettura vivamente raccomandiamo] Venticinque anni dopo il marito, se n'e' andata il 25 luglio (ma la notizia e' stata resa pubblica dalle sorelle solo l'altro ieri) Darina Laracy, vedova di Ignazio Silone. Nata a Dublino il 30 marzo 1917, da promettente intellettuale irlandese si e ra laureata in letteratura francese alla Sorbona di Parigi. Per anni aveva custodito, difeso e valorizzato la memoria del marito dalla sua casa di via Villa Ricotti a Roma, proseguendo idealmente una relazione intellettuale e affettiva nata a nel 1941 a Zurigo, dove il narratore marsicano si era rifugiato per scampare alle persecuzioni fasciste. Insieme erano tornato in Italia dopo la Liberazione e si erano sposati nella Roma del dopoguerra, suggellando un'unione feconda per le attivita' letterarie (sue le traduzioni inglesi di diverse opere siloniane), teatrali (fondarono una delle prime esperienze filodrammatiche nella capitale appena liberata) e politiche (insieme scelsero la strada della nonviolenza, sostennero Dorothy Day e gli oppositori alla guerra del Vietnam, Danilo Dolci e don Milani, gli obiettori di coscienza e il movimento libertario). Dopo le esequie le sue ceneri sono state disperse nel ceruleo mare d'Irlanda. Chi scrive la frequento' alla fine degli anni '80 nella sua casa romana, conversando con lei in lunghe e amene passeggiate intorno a Piazza Bologna. Indelebile resta il ricordo di una intelligenza acuta, ricca di inedite intuizioni e di un'attenzione meticolosa per i fermenti che in tutti questi anni hanno mantenuto vivo il messaggio siloniano nel mondo. 2. LUTTI. GIORGIO MARIANI: LA SCOMPARSA DI JAMES WELCH [Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 agosto 2003. Giorgio Mariani e' docente universitario di lingue e letterature anglo-americane, autore di varie pubblicazioni, condirettore di "Acoma. Rivista internazionale di studi nord-americani". James Welch e' stato uno dei piu' grandi scrittori indiani-americani del Novecento] "Bones should never tell a story to a bad beginner": cosi' recita il primo verso di una delle poesie piu' belle di James Welch, lo scrittore indiano-americano scomparso questo lunedi' all'eta' di 62 anni. Non dobbiamo lasciare che le ossa, la morte, ci impongano le loro storie perche' altrimenti noi sopravvissuti saremmo risucchiati verso un tempo mitico nei confronti del quale non potremmo che essere "principianti", privi di originalita', pallide copie di origini assolute. Anche se ora la sua scomparsa non puo' che farci sentire dei "bad beginner", privi delle parole giuste per ricordarlo, il suo invito a trasformare la memoria - e soprattutto la memoria di cio' che fa male ricordare, come l'epocale sconfitta subita dalle nazioni indiane, con i suoi orrori e i suoi massacri - da zavorra in forza vitale, capace d'incidere positivamente sul presente, deve aiutarci a ricostruire l'eredita' letteraria e culturale lasciataci da James Welch. Senza timore d'esagerare, Welch e' semplicemente uno dei piu' importanti romanzieri statunitensi degli ultimi trent'anni. Nato nel Montana da padre blackfeet e madre gros ventre, Welch e' stato tra i protagonisti di quell'American Indian Renaissance che, a partire dagli anni '60, ha rappresentato una delle piu' gradite e fruttuose novita' della scena letteraria statunitense. Dopo un iniziale interesse per la poesia (la raccolta Riding the Earthboy 40 e' del '76), Welch ha scelto di dedicarsi esclusivamente alla narrativa. Il suo primo romanzo, Winter in the Blood (1974), oltre a divenire uno dei classici della letteratura indiano-americana (e non solo) contemporanea, e' stato anche il primo di uno scrittore indiano a essere tradotto in Italia (Inverno nel sangue, Savelli, 1978), un particolare che merita di essere ricordato perche', pur essendo ambientato in una riserva blackfeet, il racconto si ispira in parte - come Welch stesso amava ricordare - a Conversazione in Sicilia di Vittorini. Con The Death of Jim Loney (1979, tr. it.: La morte di Jim Loney, La Salamandra, 1988), lo scrittore continua a esplorare la condizione indiana nell'America contemporanea. Anche se in questo caso la conclusione e' piu' cupa rispetto a quella di Inverno nel sangue, Welch resta coerente con l'impostazione intellettuale ed estetica del suo primo libro. La sua scrittura non concede nulla ai temi e agli stilemi leggendari e romanticheggianti con cui la letteratura americana ha tradizionalmente riportato sulla pagina le vicende indiane. Insofferente rispetto alle rituali invocazioni di un passato mitico - cui a volte gli stessi indiani sono incapaci di resistere - Welch e' uno scrittore per il quale credo si debba spendere l'aggettivo "brechtiano". Anche in un romanzo come Fools Crow (1986, tr. it.: La luna delle foglie cadenti, Rizzoli, 1996), sugli ultimi giorni dei suoi antenati blackfeet come nazione indipendente, Welch non idealizza mai ne' quel passato, ne' quegli indiani. Come Brecht, che ricordava a Walter Benjamin quanto alla rievocazione dei "bei tempi andati" si dovesse sempre anteporre un interesse per "i brutti giorni d'oggi", Welch non fa del suo semi-immaginario predecessore Fools Crow un eroe epico, ma una figura della memoria storica: uno di quei brandelli di passato che all'improvviso riafforano per gettare una luce rivelatrice sul presente. Se la sua quarta opera narrativa, The Indian Lawyer (1990), e' forse quella meno riuscita, con il saggio storico-biografico sul Little Big Horn del 1994 (Killing Custer) e col romanzo The Heartsong of Charging Elk (tr. it.: Il canto d'amore di Alce Impetuoso, Rizzoli, 2000) lo scrittore torna a dare il meglio di se'. Dedicato alle vicende di un indiano oglala abbandonato dal circo di Buffalo Bill nella Marsiglia di fine Ottocento, quest'ultimo romanzo rovescia uno dei generi letterari fondanti della letteratura americana: quello delle narrative di prigionia dei bianchi catturati dagli indiani. Ma ancora una volta Welch rifugge dalle opposizioni assolute. Pur se segnato dal dolore di una perdita incolmabile, Charging Elk sopravvive nonostante tutto al mondo dei bianchi. E per questo, come scrive Welch, il suo canto e' un canto di pace che suona come un canto di vittoria. 3. DOCUMENTI. "BEATI I COSTRUTTORI DI PACE": LETTERA APERTA AI SOLDATI ED AGLI UFFICIALI DELLE BASI DI VICENZA E DI LONGARE [Da Francesco Iannuzzelli di Peacelink (per contatti: francesco at peacelink.org) riceviamo e diffondiamo questa lettera aperta che e' stata consegnata da "Beati i costruttori di pace" - uno dei principali movimenti nonviolenti italiani (per contatti: Beati i costruttori di pace, via Antonio da Tempo 2, 35131 Padova, tel. 0498070522, fax: 0498070699, e-mail: beati at libero.it, sito: www.beati.org) - al personale delle basi militari statunitensi di Vicenza e di Longare, il giorno 6 agosto, anniversario della bomba su Hiroshima] Vogliamo rivolgervi un saluto, augurarvi una buona giornata. Nonostante tutti i nostri sforzi, non siamo riusciti ad ottenere l'autorizzazione dal vostro comandante a parlare con voi. E' come se fossimo noi quelli pericolosi, come se delle persone che vogliono condividere con voi un'opinione, seppure diversa, fossero una minaccia da cui difendersi. Noi crediamo che il rispetto reciproco, il dialogo e lo scambio possano creare quel rapporto di fiducia che, tutto sommato, e' la miglior difesa che si possa avere. Ne siamo convinti. Negli anni abbiamo avuto modo di conoscere e collaborare con molti soldati il cui compito era prevenire la guerra. Noi non crediamo di essere prevenuti nei confronti delle persone in divisa e vorremmo che lo sapeste. Sebbene abbiamo sempre condannato tutti coloro che decidono le guerre, riconosciamo quanto sia diverso dare ordini da distante e affrontare dal di dentro il macello della guerra. Spesso sono i militari stessi ad essere contrari alla guerra perche' la vedono da vicino, la soffrono sui loro corpi. Sappiamo che un reduce su quattro della guerra del Golfo del '91 e' oggi un disabile. E questo non e' la conseguenza di azioni nemiche. Vorremmo che sapeste che per noi ogni vita umana e' di valore inestimabile: e' vero che spesso nell'esprimere la nostra opposizione alla guerra parliamo solo della tragedia dei morti civili, ma vi vogliamo assicurare che le vite dei militari per noi sono ugualmente preziose perche' vite umane. La pace sara' il frutto dello sforzo e del concorso di tutti. Molte volte proprio l'azione di soldati che si ribellano ad ordini ingiusti ha salvato molte vite, ha cambiato la situazione, dando la svolta alla guerra. Abbiamo letto documenti di soldati Usa che denunciano la grande ingiustizia di questa e altre guerre. Non sono obiettori di coscienza (anche se poi molti di loro lo sono diventati), sono uomini e donne che hanno scelto carriere militari e che desiderano tenere alto l'onore militare. Cio' che hanno scritto ha aiutato anche noi a mettere a fuoco la realta': riconosciamo la grande differenza tra l'uso della forza regolamentata per il mantenimento della pace, per la difesa delle popolazioni inermi, per la prevenzione della violenza, e invece l'uso sproporzionato, la mancanza di distinzione tra obiettivi militari e civili, ecc. Le testimonianze di alcuni soldati e ufficiali vostri compatrioti da dentro l'Iraq ci dipingono una realta' diversa da quella riferita dai portavoce governativi o dai capi di stato maggiore. Proprio perche' vedete le cose da dentro, non possiamo insieme costruire qualcosa di nuovo? I reduci statunitensi che hanno combattuto altre guerre hanno scritto parole commoventi e convincenti (ad esempio l'appello di coscienza da parte dei reduci delle forze armate degli Stati Uniti ai militari effettivi ed ai riservisti http://italy.peacelink.org/pace/articles/art_1196.html). Vi preghiamo di trovare il tempo per ascoltare le voci di questi vostri compatrioti. Perche' e' sempre e solo dopo che arrivano le denuncie dei crimini? Perche' non e' possibile vedere gia' prima le conseguenze delle nostre azioni, prima di compierle? Il presidente Bush ha sdoganato il nucleare. Le armi atomiche non sono piu' un tabu'. Ormai, da decenni, pensavamo tutti che il nucleare sarebbe presto stato messo al bando e che nel frattempo sussisteva solo come deterrente. Invece, adesso e' stato dichiarato dall'amministrazione Usa che si svilupperanno nuove atomiche tattiche da usare come primo colpo. A noi sembra che gia' l'uso di armi all'uranio impoverito abbia avuto conseguenze devastanti per i soldati che le hanno lanciate, per le loro famiglie e ancor di piu' per le popolazioni che sono state colpite. Se guardiamo le conseguenze, non possiamo forse dire che le armi all'uranio impoverito sono gia' armi di distruzione di massa? * Oggi commemoriamo Hiroshima, la prima bomba atomica sganciata 58 anni fa. Non ripetiamo la storia, i suoi errori, i suoi crimini. Il colonnello Paul Tibbetts, che quella mattina del 6 agosto 1945 pilotava l'Enola Gay, alla vista del fungo atomico, grido' disperato: "Mio Dio, che cosa abbiamo fatto!". Voi siete in Italia adesso, fuori dal vostro paese, siete in un certo senso rappresentanti del popolo statunitense. Forse non vi sentite molto amati, ma anche su questo vorremmo poter discutere con voi. Vorremmo che vi poneste qualche domanda sulle certezze di cui vive la vostra cultura, guardando la storia anche dal punto di vista degli altri popoli del mondo. I vostri governanti vi dicono che le vostre azioni servono a portare liberta' e democrazia, ma poi quando incontrate gli altri popoli non e' amore o gratitudine che vi esprimono. Vi ricordiamo le parole dei reduci: "Affinche' un giorno tutte le persone del mondo possano essere libere, dovra' pure arrivare il momento in cui sara' piu' importante essere cittadino del mondo che non essere soldato di un paese". Tutti abbiamo bisogno degli altri. Non abbiamo bisogno di armi e dell'uso della forza; abbiamo bisogno di comprensione e tenerezza. L'11 settembre una giovane palestinese scrisse una lettera aperta al popolo degli Stati Uniti: "Cari fratelli e sorelle americane, noi sentiamo il vostro dolore e ci stringiamo a voi; ma voi lo sentite il nostro?". Dopo l'11 settembre anche noi scrivemmo una lettera aperta al popolo statunitense. Lasciate che ve ne citiamo un brano. "Ci chiediamo come puo' essere veramente significativa l'espressione della nostra solidarieta' a tutte le vittime e ai loro familiari. Vorremmo che tutto il popolo statunitense potesse capire e soprattutto sperimentare in questo momento di smarrimento e sofferenza quanto e' importante la solidarieta' e la tenerezza degli altri popoli. E vorremmo che i suoi governanti e responsabili politici avessero la saggezza di comprendere che non l'egemonia costruita sulla forza economica e sulle armi, ma la collaborazione con tutti alla pari e' la grande risorsa politica per garantire la sicurezza mondiale e per rispondere alle urgenze dell'umanita' e del pianeta". Un saluto di pace. 6 agosto 2003. 4. TESTIMONIANZE. STEPHANIE HILLER INTERVISTA APRIL HURLEY [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione la sua traduzione dell'intervista che segue. Stephanie Hiller e' direttora di "Awakened Woman" (assai nota ed utile fonte di informazione e riflessione delle donne). April Hurley, medica ospedaliera, e' stata in Iraq con l'organizzazione pacifista e umanitaria "Iraq Peace Team"] April Hurley, 48 anni, e' medica in un ospedale californiano, ed attivista di "Not in Our Name" della Contea di Sonoma (Nionsc). Mesi fa ha deciso di unirsi a "Voices in the Wilderness" un'organizzazione originariamente fondata da Kathy Kelly per protestare contro le sanzioni all'Iraq. "Voices in the Wilderness" ha formato l'Iraq Peace Team per recarsi a Baghdad e portare testimonianza. Ho intervistato April due giorni dopo il suo ritorno dall'Iraq. Ad un primo sguardo, non la prendereste per un'attivista radicale: e' una donna minuta dal sorriso luminoso e dai morbidi riccioli biondi, e parla in un tono sommesso e quieto che induce gli altri a tacere per ascoltarla. April ha delle forti convinzioni, ed e' coraggiosa. - Stephanie Hiller: Perche' sei andata in Iraq? - April Hurley: La guerra stava minacciando un popolo la cui meta' era composta da bambini sotto i 15 anni. Mi ero convinta che Bush facesse sul serio, con le sue incredibili minacce, e mi sentivo impotente e frustrata. Quando ho saputo che delle persone sarebbero partite per l'Iraq ho sentito che dovevo farlo anch'io, non potevo restare qui e guardarlo accadere. - S. H.: Cosa pensavi di ottenere? - A. H.: Innanzitutto volevo che gli iracheni sapessero che c'erano moltissimi statunitensi, ed io li rappresentavo, che ritenevano una tale atrocita' non scusabile e che solo l'essere minacciati di bombardamenti era un crimine di guerra in se stesso. - S. H.: Sei una pacifista? - A. H.: Non riesco a vedere una giustificazione per la guerra come la conosciamo oggi. Un secolo fa, l'80% delle vittime della guerra erano soldati, oggi l'80% sono civili, non combattenti. Come possiamo giustificarlo, anche se ci fossero giustificazioni per la guerra? - S. H.: Pensi che l'umanita' sia ad un punto di svolta? - A. H.: Vedo la "guerra preventiva" come un orrendo precedente. Violenza preventiva, invasione preventiva, bombardamento preventivo: e' terribile. L'intero mondo si e' sollevato contro di questo, e ancora lo stiamo fronteggiando. - S. H.: Quando sei partita per l'Iraq, e cosa ti aspettavi? - A. H.: Sono partita con l'Iraq Peace Team il 6 marzo scorso, ma non siamo arrivati che il 13, cinque giorni prima dell'inizio dei bombardamenti. Ci dissero che ci sarebbe stato un bombardamento a tappeto e che le persone sarebbero rimaste confinate nelle loro case o nei rifugi. Io sono medica, cosi' mi sono messa a disposizione per estrarre la gente dalle macerie e prestare loro il primo soccorso. - S. H.: Ma non stavi rischiando la tua vita? - A. H.: Non m'importava. Non potevo restare qui, quindi ero pronta ad affrontare quello che la gente di Baghdad avrebbe affrontato. - S. H.: Cosa pensavi, cosa sentivi, a proposito di noi che siamo restati qui? - A. H.: I vostri volti, che vedevo nelle manifestazioni, mi facevano venir voglia di piangere. Specialmente i volti delle persone in situazioni in cui protestare e' un grosso rischio, come in Egitto o nelle Filippine. Tutte quelle persone che senza sosta protestavano per cio' che stava accadendo mi commuovevano profondamente. Ero in grado di mantenere freddamente il controllo, perche' sono addestrata professionalmente a vedere cose terribili, ma non riuscivo a guardare senza commuovermi il vedere persone che tentavano di fermare una guerra, sapendo che il loro agire non l'avrebbe fermata. - S. H.: Perche' pensi che sia stato importante essere la' durante la guerra? - A. H.: Per gli iracheni e' stato di incredibile sostegno poter vedere che la gente era preoccupata per loro, che si curava di loro, anche se non avevamo i mezzi per essere davvero d'aiuto. - S. H.: Com'e' stato, puoi raccontarlo? - A. H.: Disperante, da impazzire. Impazzivi di rabbia nel vedere cosa e' stato fatto, deliberatamente, per "stanare" i civili. I posti che hanno scelto di bombardare, e gli errori, i cosi' tanti errori che hanno distrutto quartieri, che hanno massacrato bambini. Bastava andare all'ospedale, e guardare la carneficina. I telefoni non funzionavano, cosi' non si potevano chiamare le ambulanze. Le persone che estraevano le altre dalle macerie non sapevano come farlo. La gente ha aspettato giorni per vedersi curate ferite e amputazioni. Tutti, tutti parlavano dell'aver visto vicini di casa e bambini decapitati dalle bombe, e nessuno dovrebbe vedere cose del genere. Tentavano disperatamente di capire perche', e come, questo era accaduto, e non c'era nulla che io potessi dire loro. I dottori hanno inveito contro di noi, erano stremati, e non l'avrebbero fatto se tutto non fosse stato cosi' orrendamente inspiegabile: non avere anestesia, antibiotici, medicinali per la pressione del sangue o per il diabete, e l'ospedale era pieno di persone con queste problematiche, oltre che di feriti. Le donne abortivano, i bambini facevano pipi' a letto, tenendo i denti stretti e tremando tutta la notte, senza dormire. Alcuni bimbi hanno smesso di parlare.I bombardamenti andavano avanti di giorno e di notte. Gli edifici ondeggiavano, tremolavano e cadevano. Le finestre si piegavano, si scuotevano, andavano in pezzi. Frammenti di case cadevano dal cielo come pioggia, uccidendo altra gente. Le persone cercavano di vendere cibo in cambio di medicine, i mercati in qualche modo funzionavano ancora, e difatti sono stati bombardati direttamente. Ho la foto di una pozza di sangue, un lago di sangue in cui si e' mutato uno di questi mercati, e qualcuno vi aveva deposto dei fiori. Non hanno mai smesso di aver cura l'uno dell'altro: gli iracheni sono incredibilmente resistenti, ed erano rassegnati all'attacco. Sanno benissimo che gli Usa sono interessati alle risorse del loro paese, ma nessuno ha capito perche' dovevano essere bombardati per quelle stesse risorse. Gli iracheni non avevano troppi motivi per amare Saddam Hussein, tranne il fatto che l'economia dell'Iraq era l'invidia del Medio Oriente, con un sistema sanitario efficiente e istruzione. C'e' stato praticamente un tentativo di colpo di stato all'anno, e persone che rischiavano la vita opponendosi al regime. Non li abbiamo aiutati, devastando il loro paese con le sanzioni, che hanno ridotto ad immondizia la loro economia e ucciso brutalmente cosi' tante persone. - S. H.: Le sanzioni sono usate come alternativa alla guerra. - A. H.: Ma sono sbagliate! Adesso si sta facendo lo stesso in Birmania. La gente che vive la' ne sopporta il peso. Le sanzioni non fanno che rafforzare i dittatori. - S. H.: E allora cosa dobbiamo fare con questi tiranni? - A. H.: Vogliamo essere violenti? Ci vanno bene le azioni illegali? E allora, per la guerra abbiamo gia' speso 100 miliardi di dollari. Stiamo spendendo 4 miliardi al giorno. Con una cifra simile avremmo potuto assoldare un milione di sicari. Percio' alla gente che dice "la guerra mi va bene" io dico: ripensateci, ripensateci. Abbiamo assassinato i figli di Saddam Hussein, e con cio' abbiamo detto che l'omicidio non e' un problema per noi, sara' illegale, ma non ce ne importa. Dove puo' portare tutto questo? - S. H.: Che notizie hai dall'Iraq, oggi? - A. H.: L'ultima e' che i nostri soldati stanno torturando i civili. C'e' cosi' tanta tensione e paura che le nostre truppe uccidono civili ogni giorno. I nostri soldati stanno morendo in numero ben piu' grande di quello che ci viene detto. I feriti non si contano, e molti sono in condizioni critiche. Ma noi siamo tenuti all'oscuro. Ho visto i giornali che voi leggevate mentre noi eravamo in Iraq, e so cosa non vi e' stato detto. Le nostre fotografie non sono state pubblicate. Ne ho una di una mamma, aveva appena messo al mondo il suo bambino, privata delle braccia dai bombardamenti: non poteva cullarlo, non poteva toccarlo, non poteva portarselo al seno. Chi aiutera' le persone come lei? La realta' in cui vive non e' attrezzata a prendersi cura dei disabili, perfino la nostra ha grossi problemi a farlo. E c'e' ancora una cosa che voglio dire: abbiamo disonorato i nostri soldati con la nostra politica, e oggi temono per le loro vite, e sono i bambini iracheni che hanno cominciato a sparargli addosso. La rabbia degli iracheni sta montando e montando, cio' che noi gli abbiamo fatto e gli stiamo facendo e' intollerabile. Quando i bambini imbracciano le armi, la situazione non puo' che peggiorare. - S. H.: E da qui dove andremo a finire? - A. H.: Siamo giunti al punto che dovremo stare davanti ai fucili e ai cannoni. Se c'e' gente che e' disposta a morire in nome della guerra, noi dovremmo essere disposti a rischiare la vita in nome della pace. Siamo giunti a questo. Non me ne importa piu', perche' ormai e' cosi' che la vedo: se finiro' in prigione, finiro' in prigione. E se saremo coinvolti in un altro conflitto, sono pronta a partire di nuovo. 5. INIZIATIVE. IL 4 NOVEMBRE CONTRO GUERRE, ESERCITI ED ARMI [Riproduciamo un estratto da un nostro comunicato di un anno fa. E' nostra intenzione riproporre ed estendere quest'anno l'iniziativa del 4 novembre di pace, in memoria delle vittime, contro le guerre, le armi e gli eserciti] 1. La guerra e' nemica dell'umanita', poiche' essa consiste nell'uccisione di esseri umani. Non solo: nell'epoca aperta dall'orrore di Hiroshima la guerra mette in pericolo la sopravvivenza stessa della civilta' umana. Cosicche' e' un indispensabile imperativo morale e civile, e un cruciale necessario progresso culturale e politico, il ripudio assoluto della guerra, la sua assoluta e definitiva esclusione dal novero dei mezzi a disposizione dell'umanita' per gestire e risolvere i conflitti. 2. Vanno smascherati e confutati gli speciosi sofismi di quanti la guerra propugnano: - La guerra non e' efficiente nel contrastare il terrorismo: poiche' essa e' prosecuzione e seminagione di stragi, odio e terrore: essa e' il trionfo del terrorismo; e' terrorismo elevato all'ennesima potenza. - La guerra non e' efficiente nel contrastare le dittature: poiche' essa le dittature provoca e moltiplica, e poiche' essa stessa riducendo gli esseri umani a nulla e' dittatura e nichilismo nella sua essenza e nel suo farsi. - La guerra non e' di natura diversa dall'omicidio: solo che essa omicidi esegue su scala di massa. E' quindi ingigantimento dell'omicidio, omicidio in forma di strage. E poiche' giustamente consideriamo un progresso grande e un provvedimento necessario - fortunatamente in Italia gia' inserito nell'ordinamento - l'abolizione dai sistemi penali della cosiddetta "pena di morte" (scilicet: omicidio di eseri umani da parte di ordinamenti giuridici), a maggior ragione dobbiamo estendere tale giudizio e tale interdetto alla guerra, che appunto consiste nell'irrogazione della morte a tanti esseri umani oltretutto senza processo e nella gran parte di essi del tutto innocenti di qualsivoglia crimine. Se prendiamo sul serio la nostra stessa legislazione penale, a maggior ragione la guerra e' incompatibile col nostro stato di diritto, con la nostra democrazia, con la nostra civilta' giuridica, con la nostra civile convivenza. 3. Solo chi ripudia la guerra e' fedele alla Costituzione della Repubblica Italiana e alla Carta delle Nazioni Unite, ovvero alle fondamentali fonti di diritto cui tutti dovremmo ispirarci nel nostro agire. Con riferimento alla Costituzione della Repubblica Italiana, che all'articolo 11 inequivocabilmente ed irrevocabilmente "ripudia la guerra", va sottolineato che siamo in presenza di un obbligo di legge per tutti cogente, non eludibile da parte di alcun cittadino italiano, non eludibile da parte di alcuna istituzione italiana che in tanto e' legittima in quanto fedele alla Costituzione. 4. Ma infine e decisivamente: la guerra consiste nell'uccidere, nega quindi il diritto alla vita. ma se si nega il diritto alla vita, cessa la base materiale di tutti i diritti umani e il primo e fondante di essi diritti; e cessa altresi' la possibilita' della convivenza, della societa', della civilta'; e cessa infine l'umanita' stessa come esistenza concreta degli individui che la compongono, come solidarieta' che tutti gli esseri umani tiene insieme, come impresa ed essenza comune - la cultura umana, la civilta' umana, la condizione umana, l'umana famiglia - di tutti gli esseri umani passati, presenti e futuri; e come sentimento, come concetto, come realta'. 5. Le vittime delle guerre passate devono essere un perenne monito affinche' non abbiano luogo nuove guerre che nuove vittime provocherebbero. Il rispetto alle vittime dovuto deve estrinsecarsi nell'impegno ad impedire che nuove vittime vi siano. 6. Solo chi si oppone a nuove guerre esprime sincero lutto e solidarieta' autentica per le vittime delle guerre passate. Chi invece nuove guerre propugna, prepara, decide, avalla, comanda ed esegue e' indegno di commemorare le vittime delle guerre passate, poiche' col suo agire nuovamente le uccide e le umilia. 7. Solo se si e' costruttori di pace si e' avversari della guerra. E solo se si e' avversari della guerra si raccoglie il muto messaggio delle vittime della guerra, l'appello che dal loro volto, dalla loro vicenda promana. E per essere costruttori di pace occorre fare la scelta teoretica e pratica, morale e civile, della nonviolenza. La nonviolenza e' la scelta dell'opposizione integrale, la piu' nitida e la piu' intransigente, alla violenza in tutte la sue forme: alle oppressioni, come alle dittature, come al terrorismo, come alle guerre. La nonviolenza, come ebbe a scrivere Aldo Capitini, e' il varco attuale della storia. 6. INIZIATIVE. GIOVANNA BOURSIER: UN VIAGGIO NEI LUOGHI DELLA SHOAH [Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 agosto 2003. Giovanna Boursier e' una studiosa che ha dedicato particolare attenzione ed importanti ricerche alla storia e alla cultura dei rom, ed allo sterminio nazista] Sachsenhausen e Ravensbruck, con soste a Dresda, Norimberga e Berlino: tra i luoghi dello sterminio nazista e citta' simbolo di una tragedia storica e delle sue conseguenze. E' questo l'itinerario proposto dall'Associazione nazionale ex deportati di Torino. Un appuntamento ormai consueto, un viaggio nella topografia dell'orrore nazista che quest'anno e' in programma dal 2 al 7 settembre. Come dice Ferruccio Maruffi - sopravvissuto a Mauthausen e autore di "Codice Sirio" e altri libri - rivolto soprattutto ai giovani, "ricordare e' fondamentale. Ricordare, oltre all'orrore, che nei lager c'erano uomini e donne che si comportavano da uomini e donne e morivano con dignita'. Vorrei che la gente sapesse e capisse che la piu' grande sconfitta del nazismo e' stata la resistenza umana". Un messaggio di memoria ma anche di lotta, quindi. L'attivita' dell'Aned di Torino e' particolamente significativa perche' si concentra su uno degli aspetti meno ricordati del delirio nazista: quello della persecuzione politica. I militanti di sinistra tedeschi furono infatti i primi deportati nei lager, a partire da quello di Dachau, a soli 20 chilomentri dal centro di Monaco di Baviera, costruito subito dopo la presa del potere di Hitler nel 1933. E proprio Sachsenhausen e Ravensbruck furono luoghi di morte per molti prigionieri politici. A Buchenwald, in funzione dal 1936, dove i deportati erano schiavi industriali per la produzione bellica, i comunisti organizzarono una vera e propria rete di resistenza clandestina: il comitato internazionale si radunava nell'infermeria del lager e il comitato del fronte popolare tedesco nella sala attrezzi. Insieme questi due organismi clandestini organizzarono il sabotaggio e il contrabbando di armi, le stesse che poi utilizzarono per liberare il lager, l'11 aprile 1945. Per questo chi decidera' di partecipare al viaggio dell'Aned (per informazioni e prenotazioni, tel. 0115213320, dalle ore 15 alle 18 nei giorni di lunedi', mercoledi' e venerdi'), grazie alla guida storica dei sopravvissuti e dei reduci, vivra' un'esperienza antifascista, in cui oltre alla memoria - la cui documentazione resta assolutamente fondamentale - si valorizzano cultura politica e partecipazione come strumenti di difesa da ogni violenza e sopraffazione. 7. APPELLI. ROSSANA ROSSANDA: SVEGLIATI EUROPA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 agosto 2003. Rossana Rossanda e' nata a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio Banfi, antifascista, dirigente del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per aver dato vita alla rivista "Il Manifesto" su posizioni di sinistra), in rapporto con le figure piu' vive della cultura contemporanea, fondatrice del "Manifesto" (rivista prima, poi quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata da sempre nei movimenti, interviene costantemente sugli eventi di piu' drammatica attualita' e sui temi politici, culturali, morali piu' urgenti. Opere di Rossana Rossanda: Le altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio inutile, o della politica come educazione sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche per me. Donna, persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione, immortalita', Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati Boringhieri, Torino 1996. Ma la maggior parte del lavoro intellettuale, della testimonianza storica e morale, e della riflessione e proposta culturale e politica di Rossana Rossanda e' tuttora dispersa in articoli, saggi e interventi pubblicati in giornali e riviste] L'esile filo della Road Map si sta spezzando. Hamas ha interrotto una tregua, che aveva malamente accettato, e Sharon, che non ha mai attuato le modeste condizioni poste dal quartetto, continua con le "rappresaglie". Ancora una volta non si vede la fine di uno scontro mortale per l'una parte e per l'altra, Israele, di gran lunga militarmente piu' forte di tutti i paesi arabi messi assieme ma logorata nella sicurezza e l'Anp, devastata nelle strutture che era riuscita a darsi e assediata nel suo territorio. Su nessun conflitto ci si dilania come su questo, anche fuori dai due paesi. E chi si sforza di partire dal presente viene trascinato su orizzonti storici, biblici o novecenteschi, dentro i quali nessun accordo e' possibile. E cosi' si perpetua la serie dei corpi maciullati o dalla tecnologia militare israeliana o dagli attentati suicidi palestinesi. I quali fanno piu' impressione e meno morti, ma e' un ragionare rozzo - ogni morte deflagra sui suoi. Non si avviera' nessuna pace se dalle due parti non si assume come dato fermo l'esistenza di due stati liberi e sovrani. E' evidente che chi crede che quelle terre appartengano per diritto divino a Israele non ammette l'esistenza di uno stato palestinese. E ugualmente quella parte dei palestinesi, che non conosce ormai se non un'occupazione dichiarata illecita anche dalle Nazioni Unite, non riesce a considerare Israele come un interlocutore. E mentre la maggioranza degli israeliani non sembra in grado di esprimere politicamente che Sharon o lo zigzagante Perez, l'Anp non e' in grado di controllare le fazioni armate; nell'uno e nell'altro campo, le forze che vorrebbero trovare un inizio di soluzione sono altamente soggette alle relative opinioni ed establishment, se cosi' si puo' dire, parlando di uno stato regolarmente costituito e di un altro mai costituito e sotto il tiro dei missili del primo. Ma se Sharon non vuole e Abu Mazen non puo', senza una decisa pressione internazionale non si daranno mai le due condizioni che preludono a un dialogo di pace. La prima e' che Israele si ritiri nei confini del 1967; tutti gli argomenti proposti l'altro giorno su "La stampa" da Yehoshua a proposito dell'opportunita' di un muro - che a chi scrive sembra odioso come tutti i muri - hanno come premessa che, se muro deve essere, non puo' essere che sul quel confine, mentre costruirlo come si sta facendo oggi dentro i territori palestinesi e' una provocazione disastrosa. La seconda e' che i palestinesi accettino di discutere del diritto al ritorno degli espulsi nei tempi e nei limiti che garantiscano lo stato ebraico di non diventare minoritario al suo proprio interno. Sono condizioni pesanti per l'un popolo e per l'altro, perche' Israele deve far fuori le colonie, e non solo quelle cosiddette illegali che ha fomentato, e i palestinesi devono rinunciare a un diritto che sembra primario, che nessuno sia espulso non in tempi biblici ma storici dalla propria terra. Perche' le due condizioni si realizzino, la pressione del quartetto e' decisiva e colpevoli i diplomatismi che continuano mentre la situazione si degrada. Le condizioni per esercitare un peso ci sono. Verso i palestinesi che vivono in una situazione drammatica, e verso lo stato di Israele, che ha nell'Europa il massimo interlocutore commerciale e negli Usa il massimo fornitore di mezzi, denaro e armi. Non c'e' giustificazione alcuna nel non agire. E nel caso dell'Europa, sola responsabile dello sterminio degli ebrei e della divisione della terra imposta ai palestinesi, un persistere dell'inerzia fa dubitare, malgrado le tonnellate di carta che dovrebbero definirne l'identita', che essa abbia una capacita' e un ruolo fuori dalle proprie imprese monetarie. 8. TESTIMONIANZE. SVEVA HAERTTER: OBIETTORI DI COSCIENZA IN ISRAELE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 agosto 2003. Sveva Haertter fa parte della rete "Ebrei contro l'occupazione"] Si riapre il caso del pacifista Yoni Ben-Artzi. La lettura della trascrizione dell'interrogatorio del colonnello Shlomi Simchi, capo del Conscience committee che ha seguito la vicenda del pacifista e obiettore israeliano Yoni Ben-Artzi, non puo' che confermare la battuta dell'avvocato Michael Sefarad: "quel comitato ha dimestichezza con il pacifismo quanto gli allevatori di suini ne hanno con le regole alimentari ebraiche". Tant'e' che i giudici della Corte marziale, durante l'ultima udienza, hanno deciso che "alla luce del nuovo materiale" il caso dovra' essere riconsiderato. Sempre secondo l'avvocato, la raccomandazione della corte di riesaminare il caso suona come una smentita della decisione presa dal comitato che all'epoca si era rifiutato di riconoscere Yoni come pacifista. Sostenere che Yoni e' convinto di essere un pacifista ma in realta' non lo e', che il suo problema riguarda piu' che altro l'accettazione di un sistema di regole, che vuole solo evitare l'esercito perche' lo ritiene una perdita di tempo, che quindi la sua scelta non si basa su reali convinzioni e principi e' un po' complicato quando si ha di fronte un ragazzo che ha passato piu' di 200 giorni in un carcere militare e che rifiuta anche il compito di infermiere (da svolgere senza divisa), pur di non essere parte dell'esercito. * Intanto e' stato rilasciato Uri Yaakovi, un altro dei firmatari della lettera degli studenti che ha dato vita al movimento di ragazzi e ragazze che rifiutano il servizio di leva (Shministim). La decisione, per la quale non sono state fornite ulteriori spiegazioni, e' stata presa dal Comitato che ha facolta' di esentare dal servizio militare per ragioni fisiche, piscologice, economiche e simili. * Hagai Matar, uno dei protagonisti del "processo dei cinque", potra' invece uscire dal carcere militare, ma dovra' rimanere confinato all'interno di una base dell'esercito. Da quanto dice il suo avvocato non dovra' tuttavia svolgervi alcuna attivita' di tipo militare. Nell'udienza relativa alla sua vicenda, tra l'avvocato Dov Chenin ed il pubblico ministero e' sorta un'accesa discussione sulla definizione del concetto di "coscienza": Hagai non si autodefinisce pacifista, ma piuttosto come persona che rifiuta di servire in un esercito di occupazione in base a motivazioni morali. Secondo il pubblico ministero pero', questa definizione e' politica e non morale. Per ulteriori informazioni sul movimento degli Shministim e sui processi in corso: www.refusersolidarity.net 9. MATERIALI. ALCUNI TESTI SCRITTI DURANTE UN INCONTRO DI ACCOSTAMENTO ALLA NONVIOLENZA AD ACQUAPENDENTE [Riportiamo le poesie scritte collettivamente da tutti i partecipanti col metodo surrealista del "cadavere squisito" ad Acquapendente, presso la "casa di Lazzaro", la sera del 13 agosto 2003, al termine di una intensa giornata di condivisione e di riflessione dedicata all'accostamento alla nonviolenza; nel corso della giornata, dopo una presentazione reciproca dei partecipanti, si e' letta la Oracion por Marilyn Monroe di Ernesto Cardenal; si e' riflettuto sulla storia politica, delle istituzioni e dei partiti politici in Italia nel Novecento; sono stati letti alcuni testi di Primo Levi; si e' letto integralmente L'obbedienza non e' piu' una virtu' (la raccolta degli atti del processo a don Lorenzo Milani); si sono condivise le riflessioni e le emozioni di ciascuna e ciascuno sull'esperienza condotta; oltre, naturalmente, alla consumazione dei pasti in comune, ed alla condivisione dei momenti di cura reciproca, di affidamento, e di contemplazione e meditazione. La giornata e' stata parte di una esperienza di una settimana di attivita' formative e di servizio di un gruppo scout di Bracciano. Persone - se io che scrivo queste scarne note di presentazione posso permettermi costi' di esprimere un parere - dolcissime e meravigliose] L'anima la solitudine e la felicita' sono due lati della stessa moneta nebbia come polvere sulla pelle la mia unica certezza sono i miei amici. * Il bicchiere cristallino emanava la sua luce la voglia di aiutare il prossimo marrone del nodo giu' in gola avere pieta' e' tutto. * Finche' esistera' la speranza nel mondo le cose potranno cambiare verita' e bugie la nostra vita e' solo un attimo malinconia di un giorno gia' vissuto. * Rosso di natura verde foglia veniva sera, eravamo piu' amici crack! una persiana che cade vivere per il bene. * Avevo paura e vi incontrai serenita', buio, paura! il desiderio di un mondo migliore beve, e non chiede altra felicita'. * Siamo come un granello di sabbia il ricordo mi chiama sorridere e' contagioso. Cerchiamo di farlo piu' spesso forse solo ricordarsi di vivere. * Sognare ricorda il cuore gli occhi se tu lo vuoi, sara' e il cuore si gela. * L'odore si confonde nella notte sacrificandosi per gli altri si raggiunge la vera felicita' cadere, volare o forse fuggire la verita' e' come un sottile muro di nebbia che divide la realta' dall'illusione. 10. DIRITTI UMANI. AMNESTY INTERNATIONAL: IN MESSICO DIECI ANNI DI INTOLLERABILI CRIMINI NEI CONFRONTI DELLE DONNE [Dall'ufficio stampa di Amnesty International (per contatti: press at amnesty.it) riceviamo e diffondiamo] Non essere riusciti a fermare dieci anni di sequestri e omicidi didonne nello Stato di Chihuahua fa dubitare della capacita' del governo messicano di tradurre in realta' la sua retorica sui diritti umani. Lo ha dichiarato Irene Khan, segretaria generale di Amnesty International, nel corso di una conferenza stampa tenuta oggi, 11 agosto, a Citta' del Messico. Nella sua prima visita in Messico, durante la quale incontrera' il presidente Fox e alcuni suoi ministri, leader politici e rappresentanti della societa' civile, Irene Khan intende sollecitare un'azione piu' efficace da parte delle autorita' federali per indagare sulla brutale serie di violenze contro le donne a Ciudad Juarez e Chihuahua e assicurare alla giustizia i responsabili. "Il totale fallimento delle autorita' nell'affrontare questa situazione equivale a tollerarla", ha denunciato Irene Khan al termine di una visita a Ciudad Juarez, dove ha incontrato diverse madri di donne scomparse e assassinate. Secondo dati ufficiali, sono 70 le donne di Ciudad Juarez e Chihuahua di cui si e' persa ogni traccia. Altre fonti parlano di oltre 400 donne scomparse dal 1983. Le loro famiglie temono il peggio, dato l'allarmante numero di donne scomparse e poi trovate morte giorni, o anche anni, dopo il loro rapimento. Le indagini di Amnesty International hanno accertato che negli ultimi dieci anni sono state assassinate circa 370 donne, almeno 137 delle quali avevano subito violenza sessuale prima di morire. Altri 75 corpi non sono stati ancora identificati e si ritiene che alcuni di essi possano appartenere a donne scomparse: una eventualita', questa, che la grave inadeguatezza delle autopsie non ha reso possibile confermare. Molte vittime erano state sequestrate, tenute in prigionia per diversi giorni e sottoposte a umiliazioni, torture e sevizie sessuali della peggior specie prima di essere uccise, nella maggior parte dei casi per asfissia da strangolamento o a causa delle percosse subite. I loro corpi erano stati rinvenuti in mezzo ai rifiuti o in zone disabitate nei pressi di Ciudad Juarez. In molti casi, le donne scomparse o assassinate erano impiegate nelle fabbriche di assemblaggio note come maquilladoras. Gli anonimi assalitori hanno preso di mira anche cameriere, studentesse o lavoratrici del settore dell'economia informale. In sintesi, donne prive di qualunque potere all'interno della societa', alcune delle quali con figli a carico e comunque di origine sociale modesta. Le loro morti non hanno un prezzo politico per le autorita' locali. "Per molte delle donne che emigrano in cerca di lavoro a Ciudad Juarez e a Chihuahua, il sistema di violenza in cui si sono imbattute ha trasformato il loro sogno di nuove opportunita' in un incubo" - ha dichiarato Irene Khan. "E' una vergogna che, quando questo fenomeno e' iniziato, le autorita' abbiano mostrato aperta discriminazione verso queste donne e le loro famiglie. In piu' di una occasione, la colpa del sequestro o dell'assassinio e' stata addossata alle stesse vittime: vestivano in modo sconveniente o lavoravano di notte nei bar". In un rapporto diffuso oggi e intitolato "Messico, crimini intollerabili: dieci anni di sequestri e omicidi a Ciudad Juarez e Chihuahua", Amnesty International punta il dito contro "un decennio di mancata azione da parte delle autorita' competenti, dovuta a indifferenza, assenza di volonta', negligenza o incapacita'". Il rapporto denuncia ingiustificabili ritardi nell'avvio delle ricerche delle donne sequestrate, la mancata presa in considerazione di prove cruciali e testimonianze oculari, la costruzione di prove false e l'uso della tortura nei confronti di presunti colpevoli. E ancora, l'inadeguatezza delle autopsie e la comunicazione di informazioni contraddittorie e rivelatesi non corrette alle famiglie delle vittime. Le autorita' dello Stato di Chihuahua sostengono che la maggior parte dei casi di omicidio sono stati "risolti" e che sono state incriminate 79 persone. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, giustizia non e' stata fatta. La qualita' delle indagini e l'uso della tortura nei confronti delle persone sospettate di aver preso parte agli omicidi fa dubitare sulla correttezza delle procedure seguite dagli inquirenti. In ogni caso, anno dopo anno, questi crimini continuano. "I casi di Ciudad Juarez e Chihuahua sono un sintomo dei fallimenti dell'amministrazione della giustizia a livello nazionale" - ha sottolineato Irene Khan. "Il presidente Fox e il suo governo si sono impegnati a promuovere la protezione dei diritti umani a tutti i livelli. I casi delle donne sequestrate e assassinate minano per molti aspetti la credibilita' di queste affermazioni". * Ulteriori informazioni I primi casi di sequestri e omicidi seriali a Ciudad Juarez risalgono a dieci anni fa. Situata nel deserto al confine con gli Stati Uniti, Ciudad Juarez e' ora la piu' popolata citta' dello Stato di Chihuahua. La sua posizione l'ha trasformata in terreno fertile per il traffico di stupefacenti e altre attivita' della criminalita' organizzata: cio' ha dato vita ad alti livelli di delinquenza e di insicurezza pubblica. La creazione delle maquilladoras, la cui convenienza economica deriva in gran parte dall'impiego di manodopera locale con paghe assai basse, ha attratto grandi masse di lavoratori provenienti dagli altri Stati messicani. In molti casi si tratta di donne che vivono e lavorano nella precarieta' e pertanto sottoposte a un rischio ancora maggiore di subire violenza. Per ulteriori informazioni: Amnesty International Italia, ufficio stampa, tel. 064490224 - 3486974361. 11. RIEDIZIONI. BENNY MORRIS: VITTIME Benny Morris, Vittime, Rizzoli, Milano 2001, 2003, pp. 944, euro 12,90. La storia del conflitto isrealo-palestinese in un libro fondamentale del grande storico e docente dell'Universita' Ben Gurion. Finalmente in edizione economica. 12. RILETTURE. LIA LEVI: UNA BAMBINA E BASTA Lia Levi, Una bambina e basta, Edizioni e/o, Roma 1994, 1999, pp. 128, lire 12.000. La vicenda di una bambina dinanzi alle persecuzioni razziste e la guerra; a questo tenero e nitido libro e' stato conferito il "Premio Elsa Morante - opera prima" nel 1994. 13. RILETTURE. SALWA SALEM: CON IL VENTO NEI CAPELLI Salwa Salem, Con il vento nei capelli. Una palestinese racconta, Giunti, Firenze 1993, 2001, pp. 190, euro 8,50. A cura di Laura Maritano, la testimonianza di Salwa Salem (1940-1992), appassionata e indimenticabile. 14. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio com unitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 15. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 643 del 15 agosto 2003
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