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La nonviolenza e' in cammino. 570
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 570
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 18 Apr 2003 14:31:47 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 570 del 18 aprile 2003 Sommario di questo numero: 1. Rosa Luxemburg: la vita si spegne 2. Hannah Arendt: una societa' di consumatori 3. Luisa Muraro: per forza o per amore? 4. Tonio Dell'Olio: pasqua 2003 5. Michael S. Foley: l'America renitente alla guerra 6. Barbara Deming: il mio amore e' acqua 7. Augusto Cavadi: la preghiera e l'incontro 8. Gianfranco Bettin presenta "E' oriente" di Paolo Rumiz 9. La "Carta" del Movimento Nonviolento 10. Per saperne di piu' 1. MAESTRE. ROSA LUXEMBURG: LA VITA SI SPEGNE [Da Rosa Luxemburg, Scritti scelti, Einaudi, Torino 1975, 1976, p. 601. E' un frammento dello scritto, pubblicato postumo sul finire del 1921, su La rivoluzione russa. Un esame critico. Rosa Luxemburg, 1871-1919, e' una delle piu' limpide figure del movimento dei lavoratori e dell'impegno contro la guerra e contro l'autoritarismo. Assassinata, il suo cadavere fu gettato in un canale e ripescato solo mesi dopo; ci sono due epitaffi per lei scritti da Bertolt Brecht, che suonano cosi': Epitaffio (1919): "Ora e' sparita anche la Rosa rossa, / non si sa dov'e' sepolta. / Siccome ai poveri ha detto la verita' / i ricchi l'hanno spedita nell'aldila'."; Epitaffio per Rosa Luxemburg (1948): "Qui giace sepolta / Rosa Luxemburg / Un'ebrea polacca / Che combatte' in difesa dei lavoratori tedeschi, / Uccisa / Dagli oppressori tedeschi. Oppressi, / Seppellite la vostra discordia". Opere di Rosa Luxemburg: segnaliamo almeno due fondamentali raccolte di scritti in italiano: Scritti scelti, Einaudi; Scritti politici, Editori Riuniti (con una ampia, fondamentale introduzione di Lelio Basso). Opere su Rosa Luxemburg: Lelio Basso (a cura di), Per conoscere Rosa Luxemburg, Mondadori; Paul Froelich, Rosa Luxemburg, Rizzoli; P. J. Nettl, Rosa Luxemburg, Il Saggiatore; Daniel Guerin, Rosa Luxemburg e la spontaneita' rivoluzionaria, Mursia; AA. VV., Rosa Luxemburg e lo sviluppo del pensiero marxista, Mazzotta] Senza elezioni generali, liberta' di stampa e di riunione illimitata, libera lotta d'opinione in ogni pubblica istituzione, la vita si spegne, diventa apparente e in essa l'unico elemento attivo rimane la burocrazia. 2. MAESTRE. HANNAH ARENDT: UNA SOCIETA' DI CONSUMATORI [DA Hannah Arendt, Tra passato e futuro, Garzanti, Milano 1991, p. 272. Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel 1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l 'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951), Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001. Per chi legge il tedesco due piacevoli monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000] Una societa' di consumatori non sapra' mai prendersi cura di un mondo e delle cose pertinenti in esclusiva allo spazio delle apparenze terrene, perche' la sua posizione fondamentale verso tutti gli oggetti - il consumo - significa la rovina di tutto cio' che tocca. 3. RIFLESSIONE. LUISA MURARO: PER FORZA O PER AMORE? [Dal quotidiano "Il manifesto" del 17 aprile 2003. Luisa Muraro insegna all'Universita' di Verona, fa parte della comunita' filosofica femminile di "Diotima". Dal sito delle sue "Lezioni sul femminismo" riportiamo una sua scheda biobibliografica: "Luisa Muraro, sesta di undici figli, sei sorelle e cinque fratelli, e' nata nel 1940 a Montecchio Maggiore (Vicenza), in una regione allora povera. Si e' laureata in filosofia all'Universita' Cattolica di Milano e la', su invito di Gustavo Bontadini, ha iniziato una carriera accademica presto interrotta dal Sessantotto. Passata ad insegnare nella scuola dell'obbligo, dal 1976 lavora nel dipartimento di filosofia dell'Universita' di Verona. Ha partecipato al progetto conosciuto come Erba Voglio, di Elvio Fachinelli. Poco dopo coinvolta nel movimento femminista dal gruppo "Demau" di Lia Cigarini e Daniela Pellegrini e' rimasta fedele al femminismo delle origini, che poi sara' chiamato femminismo della differenza, al quale si ispira buona parte della sua produzione successiva: La Signora del gioco (Feltrinelli, Milano 1976), Maglia o uncinetto (1981, ristampato nel 1998 dalla Manifestolibri), Guglielma e Maifreda (La Tartaruga, Milano 1985), L'ordine simbolico della madre (Editori Riuniti, Roma 1991), Lingua materna scienza divina (D'Auria, Napoli 1995), La folla nel cuore (Pratiche, Milano 2000). Con altre, ha dato vita alla Libreria delle Donne di Milano (1975), che pubblica la rivista trimestrale "Via Dogana" e il foglio "Sottosopra", ed alla comunita' filosofica Diotima (1984), di cui sono finora usciti sei volumi collettanei (da Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987, a Il profumo della maestra, Liguori, Napoli 1999). E' diventata madre nel 1966 e nonna nel 1997"] Lo spettacolo della forza e' letteralmente impressionante e qualche volta spaventoso: si imprime a tutti i livelli, fino ai nervi e ai muscoli. La legge del piu' forte, quando la vediamo all'opera, ci entra nella mente e sbaraglia i ragionamenti. C'e' poco da fare. Ma, forse, c'e' da dire almeno una cosa e cioe' che questo vale piu' per gli uomini che per le donne. Lo dico sapendo di andare vicina ad uno stereotipo sessista che personalmente detesto. Lo dico lo stesso, per uno scopo molto preciso e cioe' che si cominci a fare un qualche uso pensante delle nostre differenze. Nel tremendo frangente storico in cui ci troviamo, tutte e tutti siamo impressionati dallo spettacolo della forza che schiaccia gli inermi, e moralmente abbattuti dal trionfo della legge del piu' forte. Ma questo non vuol dire che tutti facciamo il passo ulteriore (e a mio giudizio, catastrofico) di prendere la legge del piu' forte come criterio politico definitivo, al quale si potrebbe opporre unicamente l'utopia di un mondo pacificato, in cui il lupo e l'agnello bevono alla stessa fonte. No. Ci sono alcuni e, fra le donne, molte, che conoscono l'esistenza di un altro passaggio. Un esempio del contrasto di posizione fra donne e uomini, lo da' lo scambio tra Ida Dominijanni e Mario Tronti, Che fare dell'Occidente ("Il manifesto" di venerdi' 11 aprile). C'e' un punto in cui lo scambio si arresta e "lei" dice: "Non sono d'accordo". Non e' d'accordo che lo strapotere Usa possa e debba essere fermato solo con l'uso di un potere uguale e contrario, non e' d'accordo che tutto il resto che abbiamo visto in queste settimane (manifestazioni, bandiere, mobilitazione mondiale) sia da considerare impotente e gia' sconfitto. Ecco, se in quel punto d'arresto anche "lui" si fosse fermato e avesse ascoltato l'altra, avrebbe visto davanti a se' una persona che non era tutta invasa dalla legge del piu' forte, e lo scambio fra i due poteva ripartire di nuovo, in un orizzonte piu' grande, non piu' interamente occupato dalla logica dei rapporti di forza. Tu, gli chiede alla fine lei, dovendo appellarti a una figura filosofica della filosofia occidentale, chi sceglieresti? Risposta: per superare questa frattura - tra lavoro sporco della guerra, leggi Usa, e il lusso della pace, leggi Europa, tra guerra e politica - tanto vale ripartire da Hegel. Era un gioco, per chiudere l'intervista; nondimeno la scelta mi sembra significativa. Tanto per stare al gioco, io avrei scelto Montaigne. La risposta di Tronti fa venire in mente, per contrasto, il titolo di un bellissimo testo di Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel. A me fa venire in mente un'altra cosa ancora, poco nota, che Hegel, cercando una figura per significare la potenza della dialettica nella storia umana, penso' in un primo momento alla relazione amorosa e poi preferi' la figura della lotta tra servo e padrone. Questa notizia, velatamente, ci parla dei limiti politici della filosofia hegeliana, oggi. Oggi, infatti, tra le forze in campo c'e' anche quella dell'amore. Non lo dico misticamente, ma a partire dal grido, indimenticato, della ragazza americana dopo l'11 settembre: "Perche' ci odiano tanto?". Gli Usa hanno vinto la seconda guerra mondiale ma non stanno vincendo questa, se non altro per questa ragione, che non suscitano l'amore di cui, dopo quel grido, tutto il mondo sa che hanno bisogno. Lo dico perche' viviamo in una societa' e in una cultura segnate sempre piu' apertamente dalla presenza femminile e l'amore e', notoriamente, una cosa importante per la grande maggioranza delle donne. Forse anche degli uomini, anzi ne sono sicura, ma le donne lo sanno. La sorella che, secondo la dialettica di Hegel, restava indietro rispetto allo sviluppo etico, per diventare moglie e madre chiusa nel mondo privato degli affetti, oggi entra ed esce di casa abbattendo confini che marcavano opposizioni altamente significative per "lui". Ne parlano anche le tanto citate, ma forse poco capite, bandiere della pace. Lo strapotere degli Usa non si ferma con le bandiere iridate, dicono. D'accordo. Non si ferma neanche con l'amore, aggiungiamo pure, con gli occhi pieni dell'immagine di Rachel Corrie davanti al bulldozer che la schiaccera' insieme alla casa che lei ha tentato invano di difendere. Naturalmente che no, se facciamo il confronto sul terreno dei rapporti di forza. Ossia, se noi stessi restiamo su questo terreno e ragioniamo in questo orizzonte, facendo di quello che la' s'impone la nostra legge mentale. Il punto e' proprio questo, strapparsi a quel terreno, allargare l'orizzonte, non farsi trovare la'. Lo spieghero' con un'idea di Cristina Campo, citando le sue esatte parole, perche', come sa chi l'ha letta, lei pesava le parole con bilancia d'orefice. Parla delle fiabe (che vuol dire che parla anche del Vangelo) e dice: "La caparbia, ininterrotta lezione delle fiabe e' la vittoria sulla legge di necessita' e assolutamente niente altro, perche' niente altro c'e' da imparare su questa terra" (Parco dei cervi). Gli eroi delle fiabe, spiega, sono chiamati ad affrontare prove che superano solo quando, uscendo dal sistema dei rapporti di forza, cercano la salvezza in un altro ordine di rapporti. Finche' valgono i rapporti di forza, non c'e' gigante al quale non possa opporsi un piu' tremendo gigante e non c'e' fine al gioco pendolare delle contrapposizioni. E cita il pastorello coraggioso sfidato al tiro a segno da un tremendo gigante: se avesse tirato una pietra, non ce l'avrebbe fatta perche' il bersaglio era troppo distante; vince perche' fino al bersaglio invia un uccello in volo. L'idea di Cristina Campo e' un'idea immediatamente politica. Per saperlo, la si applichi al movimento no-global. Insegna la liberta' di un agire politico che si schioda dal confronto speculare con l'avversario dentro al sistema del potere. Non c'e' solo la liberta' di optare fra alternative gia' date. C'e' altro, un altro mondo e' possibile e comincia a nascere nello sguardo non affascinato dallo spettacolo che offre la forza. Ma la Campo parla di trascendenza e i suoi simboli hanno un significato religioso. Sorge inevitabile l'obiezione laica, di chi non crede in Dio o, anche credendoci, non vuole mescolare le cose divine con le faccende umane. Non e' un'obiezione da poco in questo frangente che vede la religione portare acqua al mulino della guerra, aggravando i conflitti oltre ogni misura umanamente praticabile. La cultura laica ci insegna a tenere Dio e la religione separati dalla scienza, dalla politica, dal diritto. Lo ha ribadito su questo giornale Valentino Parlato in garbata polemica con un noto opinionista che voleva spiegare (a noi europei) il senso normale e civile della giornata di meditazione e preghiera proclamata da Bush durante la guerra. Mi hanno insegnato a tenere separate certe cose, ha scritto facendo un elenco e nell'elenco c'era anche la separazione tra vita privata e vita pubblica. Sembrava quasi che dicesse: una volta... sembrava che sapesse che ormai l'equilibrio inventato dai filosofi moderni non regge piu'. Infatti. I nodi vengono al pettine. La modernita' laica occidentale era una complicata costruzione della classe intellettuale al potere. Doveva tenere a bada la bigotteria e il fanatismo, ha fallito e sarebbe ridicolo mettersi a difenderla come una religione. Fra le molte cose lette in questi mesi di intensificate letture, ricordo il lungo articolo di un analista inglese che diceva, acuto e sprezzante: Bush non ha ne' l'intelligenza ne' la cultura minime richieste per parlare di politica con argomenti razionali, e percio' si aggrappa al linguaggio religioso. Azzeccato, ma che cosa prova questo se non il fallimento della cultura laica? Fallimento tacitamente registrato, in sostanza, anche dai molti fra noi che, senza essere ne' credenti ne' cattolici, hanno esultato per la passione politica con cui il papa cattolico e' sceso in campo contro la guerra. Non e' stato solo per un calcolo, del tipo: se puo' servire, ben venga anche il papa. No, la sua foga virile intrisa d'angoscia e dolore, ci ha comunicato un sentimento di commozione e ci ha dato coraggio. Percio' propongo che torniamo sulla questione della trascendenza e dei simboli religiosi. Viviamo in un passaggio difficile e lo affrontiamo senza disporre della nostra eredita' religiosa, vale a dire del meglio della civilta' europea premoderna. Le premesse della separazione tra politica e religione risalgono al Medioevo, come noto. Ma il Medioevo non ne faceva una forma del pensiero definitiva, e non spezzava il continuum che e' ogni civilta', a causa della lingua che la pervade tutta, e che siamo noi stessi, per la stessa ragione, la lingua. Percio', nel Medioevo poteva capitare che un vescovo, Ambrogio, armato della sua autorita' spirituale, non consentisse all'imperatore di entrare in chiesa e lo rimandasse pubblicamente indietro, a fare penitenza per aver ordinato la distruzione di una citta' che non si sottometteva al suo potere. Noi oggi dobbiamo congedarci dalla modernita' e ci tocca farlo senza poter prendere ne' fiato ne' rincorsa. Tant'e' che ci chiamiamo, tristemente, postmoderni. Non abbiamo niente da opporre alle tendenze dell'integralismo. Lasciamo la religione all'uso e abuso di fanatici e bigotti. Qualcuno che mi legge si sara' accorto che ho fatto mia l'idea di un prete che fu anche un politico, ma in una maniera molto diversa da don Sturzo. Parlo di don Giuseppe De Luca che in politica fu, essenzialmente, un mediatore. L'idea di far parlare tra loro cultura laica e tradizione religiosa, in effetti, viene da lui e io non potrei aggiungervi nulla. Ma c'e' una cosa che si puo' dire in piu', perche' da allora qualcosa e' cambiato, la stessa che ho ricordato all'inizio, una presenza libera di donne e di pensiero femminile. Viviamo in una societa' in cui una donna puo' fermare il lui di turno e dirgli "Non sono d'accordo". La differenza femminile libera - alla condizione che "lui" si fermi e ascolti, chiaro - e' la possibilita' che io vedo che abbiamo di schiodarci dalla legge di necessita' in politica, ossia dal paralizzante confronto tra forze contrapposte. Possibilita' che si distribuisce su due versanti, uno rivolto al presente e uno al passato. Al presente, sta diventando riconoscibile una politica delle relazioni praticata di preferenza dalle donne, che si esercita fuori dal terreno del potere e del dominio, e che sa che il mondo non e' tutto consegnato a questa logica. C'e' altro ed e' possibile vederlo all'opera se lo sguardo non si lascia catturare dallo spettacolo della forza. Questo "altro" non e' un di piu', e' l'essenza della politica, oso dire, in quanto non do nome di politica al fatto che noi dobbiamo sottostare alla legge del piu' forte, ma, al contrario, che riusciamo a vincerla. Al passato, l'ermeneutica della differenza ci insegna a recuperare l'eredita' religiosa fuori dalla traiettoria di una storia maschile che e' terminata con la inevitabile separazione delle cose divine dalle faccende umane, pena guerre e intolleranza. Sono ormai parecchi anni che studio la cosiddetta mistica femminile, che forma un ricchissmo filone di ricerca libera di Dio, ininterrotto dal Medioevo ai nostri giorni. E ho imparato una liberta' religiosa che non avevo, quella di un dire dio che apre l'orizzonte chiuso dalla nostra presunta autosufficienza, e che in politica si traduce, senza troppi passaggi, nel sapere che la liberta' e' l'ingrediente piu' prezioso dell'amore, e l'amore quello della liberta'. 4. RIFLESSIONE. TONIO DELL'OLIO: PASQUA 2003 [Riceviamo e diffondiamo queso intervento di Tonio Dell'Olio (per contatti: tonio at paxchristi.it), infaticabile animatore di Pax Christi e di tante iniziative nonviolente, prosecutore dell'opera di Tonino Bello] Pasqua 2003. Hanno inchiodato alla croce l'abbraccio del Cristo. Credendo di fissarlo per sempre a quel legno, volevano impedirgli di stringere a se' ogni donna e ogni uomo che vive sulla terra. Ne hanno fatto l'icona piu' alta dell'amore e della pace. Talmente alta da divenire simbolo solidale delle vittime che non potranno piu' abbracciare i sogni e gli affetti, il domani e gli ideali. Quell'abbraccio crocifisso e' una mera "collocazione provvisoria" - ci ricorda don Tonino Bello di cui ricordiamo i dieci anni dalla morte proprio il giorno di Pasqua - perche' l'aurora del giorno nuovo reca in se' la lieta novella dei risorti. Abbracci finalmente liberati dalla morsa della morte, canto nuovo nelle gole e negli occhi, speranza e liberazione. L'augurio di Pasqua, cara sorella e caro fratello, e' che si diradi questo lugubre odore di morte che la guerra ha lasciato anche sulla nostra pelle. Ci sia tempo per respirare la primavera che prorompe nei colori dei prati e dei balconi, nei mille arcobaleni che segnano il futuro. Ci sia spazio per regalare ancora abbracci e riconoscere la poverta' dentro di noi, negli occhi delle vittime della violenza che sono anche gli autori della stessa. Come in quello stupendo affresco di Masaccio, chiediamo al Padre di sostenere ancora l'abbraccio del Figlio, ma anche il nostro. Siano in alto le nostre mani ma mai nel segno della resa, sempre in quello della supplica e dell'abbraccio. Che sia Pasqua, abbraccio della vita. Shalom. 5. RIFLESSIONE. MICHAEL S. FOLEY: L'AMERICA RENITENTE ALLA GUERRA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 16 aprile 2003. Cosi' il giornale presenta l'autore: "Michael Foley e' Assistant Professor di storia presso la City University del New York's College di Staten Island. E' autore di Confronting the War Machine: Draft Resistance During the Vietnam War (University of North Carolina Press, 2003), ricerca sul movimento pacifista Usa negli anni '60-'70. Sta lavorando alla raccolta delle lettere inviate al dottor Spock dove la gente comune parlava del Vietnam, e a un saggio sulla renitenza a quella guerra a Puerto Rico"] Nel corso degli ultimi anni - mentre l'amministrazione Bush marciava risoluta verso il conflitto contro l'Iraq - negli Stati Uniti cresceva il movimento contro la guerra preventiva. Un movimento al quale i media americani hanno riservato una scarsa attenzione e che e' stato completamente ignorato dall'amministrazione. Prestare attenzione alle proteste contro la guerra, ha detto il presidente Bush dopo la marcia del 15 febbraio scorso a New York, e' come decidere una politica "in base a un gruppo di discussione". Solo a guerra gia' iniziata - e con l'intensificarsi delle proteste - al movimento e' stata dedicata una piu' ampia copertura giornalistica: non benevola, pero', considerate le accuse di tradimento e di mancato "sostegno alle truppe". Quanto all'amministrazione, ha continuato a snobbarlo: i padroni di questa guerra hanno imparato molto dagli errori dei loro predecessori e certamente Bush, Cheney, Rumsfeld hanno imparato molto anche dalla massima che Hermann Goering pronuncio' al processo di Norimberga: "Naturalmente, la gente comune non vuole la guerra... ma dopo tutto sono i capi di stato a determinare la politica, ed e' sempre semplice trascinare la gente, si tratti di una democrazia, o di una dittatura fascista, o di un parlamento, o di una dittatura comunista. La gente puo' sempre essere portata a fare cio' che vogliono i leader. Questo e' facile. Tutto cio' che bisogna fare e' dire loro che qualcuno li sta attaccando, e accusare i pacifisti di mancanza di patriottismo e di voler esporre il paese al pericolo. Funziona nello stesso modo in tutti i paesi". L'amministrazione Bush riesce a "trascinare la gente" in parte grazie ai grandi media - che non svolgono una funzione critica - ma anche perche' gli americani hanno una scarsa memoria storica. E' facile dipingere il dissenso come aberrante quando la maggior parte degli americani crede che il solo precedente storico del movimento contro la guerra in Iraq sia stato quello tanto spesso demonizzato nella cultura popolare: il movimento contro la guerra in Vietnam. Se gli americani conoscessero meglio la loro storia, saprebbero che tutte le guerre americane hanno prodotto movimenti di protesta. Durante la Rivoluzione americana, almeno un terzo (se non la meta') della popolazione era contraria all'indipendenza. Il dissenso contro la guerra del 1812 divento' cosi' acceso che gli stati del New England presero seriamente in considerazione la secessione dall'Unione. Negli anni '40 dell'Ottocento, quando gli Stati Uniti attaccarono il Messico, nacque un importante movimento contro la guerra - scaturito principalmente da quello contro la schiavitu' - del quale fecero parte figure del calibro di Henry David Thoreau, John Quincy Adams e un membro del Congresso dell'Illinois che si chiamava Abraham Lincoln. E ancora: nel corso della guerra civile americana, specialmente nel nord, le proteste contro la leva militare obbligatoria divennero violentissime; il conflitto del 1898 contro la Spagna - e la repressione del movimento di indipendenza delle Filippine che ne segui' - scatenarono la protesta di tutte le classi della societa' americana. Allo stesso modo, nel 1917, l'ingresso dell'America nella prima guerra mondiale determino' un importante movimento trasversale contro il conflitto costituito da gruppi di professionisti della middle class e attivisti della working class che si battevano per i diritti dei lavoratori e che erano contrari alla leva obbligatoria. Il dissenso crebbe a tal punto che il governo mise in atto un ampio sistema di spionaggio e varo' leggi sulla sedizione che - in tempo di guerra - privavano la gente comune del diritto di parola. Nella seconda guerra mondiale, sebbene l'attacco a sorpresa su Pearl Harbor, insieme alla minaccia del fascismo, avesse creato un ampio consenso intorno alla politica di Roosvelt, comunque le proteste ci furono: in particolare contro l'internamento dei nippo-americani e i bombardamenti di Dresda e di altre citta' tedesche... Nonostante tutti questi precedenti storici, sembra che l'attuale movimento contro la guerra possa essere giudicato solo confrontandolo con quello contro il conflitto in Vietnam. Si tratta di un raffronto poco corretto: quella in Vietnam e' stata la guerra piu' lunga della storia americana e - persino nel momento della sua massima escalation - pochi americani sarebbero stati in grado di dire com'era cominciato l'intervento statunitense. E' anche la sola guerra che gli Usa abbiano perso. E tuttavia ancora oggi i no-war hanno molto da imparare dal movimento che si oppose alla guerra del Vietnam. In primo luogo, durante quella guerra, fu la stessa Casa Bianca a determinare le condizioni della protesta: nel 1967, un numero crescente di soldati americani - arruolati soprattutto tra i poveri, tra la working-class e le minoranze - tornarono a casa nelle bare. E cosi' ad allarmarsi furono anche i sostenitori della guerra. I reporter di guerra fecero entrare nelle case americane parole e immagini che contribuirono ad accrescere il senso di crisi: quelle, per esempio, dei civili vietnamiti sotto attacco, spesso scambiati per il nemico dai soldati americani - essi stessi spesso all'oscuro dell'obiettivo piu' ampio della loro missione. La follia di dover "distruggere un villaggio per salvarlo" non sfuggiva a larghi settori dell'opinione pubblica americana. Ma finora nella guerra americana all'Iraq, queste condizioni sono state largamente assenti. La leva non e' piu' obbligatoria e l'esercito e' formato interamente da volontari che il Pentagono riesce a dipingere come un corpo militare professionale, motivato e patriottico. Inoltre - secondo il modello gia' sperimentato nella prima guerra del Golfo che spostava i combattimenti soprattutto nei cieli dell'Iraq, e con la grande stampa americana ben stretta al guinzaglio - nelle case dei telespettatori ben poche sono state le immagini delle vittime civili causate dagli eccessi dell'aviazione americana. In queste condizioni opporsi alla guerra diventa piu' difficile ma ancor piu' essenziale, e sarebbe bene ricordare gli anni perduti del 1964-1967. Dopo l'"incidente" del Tonchino nell'agosto 1964, l'amministrazione Johnson condusse una guerra contro l'Asia sud-orientale per tre anni, senza preoccuparsi granche' dell'opinione pubblica o dei movimenti di protesta. Solo quando, nell'autunno del 1967, ebbe inizio la resistenza alla leva obbligatoria - con migliaia di cartoline di precetto rispedite al mittente - Johnson comincio' a prestare attenzione al movimento contro la guerra. E ordino' a Lewis Hershey, direttore dell'ufficio reclute, di convocare i renitenti al servizio di leva affidando al ministro della giustizia, Ramsey Clark, il compito di avviare un'azione penale nei loro confronti. Ma, soprattutto, fece rientrare negli Usa il generale William Westmoreland perche' avviasse una campagna di propaganda durante la quale il comandante americano assicuro' ripetutamente il paese: c'era "una luce alla fine del tunnel". Due mesi dopo, quando i nord-vietnamiti e i vietcong lanciarono l'offensiva del Tet, la credibilita' di Johnson ne usci' a pezzi e il movimento contro la guerra pote' incassare il suo primo successo. Il punto e' che ci vollero tre anni perche' l'opposizione - che intanto cresceva e assumeva varie forme - ottenesse dei risultati. Per tre anni, gli americani scrissero lettere di protesta ai membri del Congresso, ai senatori e al presidente. Tennero sit-in e dimostrazioni come quelle che si svolsero a New York, San Francisco e Washington. Anche se tutto cio' fu molto importante per far crescere un consenso di base per porre fine alla guerra, ancor piu' determinante fu il fatto che in quei tre anni morirono migliaia di americani e centinaia di migliaia di vietnamiti. Nell'attuale guerra all'Iraq, il movimento contro la guerra non ha a disposizione tre anni. In questa guerra cio' che conta e' porre subito la questione. Le lettere, le petizioni, le dimostrazioni e le marce a cui abbiamo assistito finora - non importa quanto riuscite - sono state di nuovo ignorate. E' necessario intensificare il lavoro. Immediatamente. Innanzitutto, e' particolarmente importante informare la popolazione americana. Per contrastare l'informazione acritica dei grandi media sulla guerra, il movimento deve restare "sul messaggio": deve fare del popolo iracheno l'equivalente odierno delle donne e dei bambini vietnamiti bruciati col napalm; deve trasmettere il messaggio che la guerra e' illegale, immorale, e che certamente causera' altri devastanti attacchi terroristici sul suolo statunitense. Ma una campagna di informazione non basta. Dobbiamo concepire un piano di disobbedienza civile contro la guerra a livello nazionale - un equivalente dei sit-in per i diritti civili degli anni Sessanta o del rifiuto di prestare il servizio militare all'epoca del Vietnam. Se c'e' qualche speranza di spostare l'opinione pubblica, chi si oppone alla guerra deve essere disposto ad andare in carcere, deve essere disposto, secondo il memorabile appello di Mario Savio, a gettare il proprio corpo su tutti gli ingranaggi e le leve della macchina bellica. Quando, settimane fa, e' cominciato il bombardamento su Baghdad finalmente negli Usa si sono verificati atti di disobbedienza civile, specialmente a San Francisco, Chicago e New York. A San Francisco, piu' di mille persone sono state arrestate durante la prima settimana di guerra, e svariate centinaia sono state arrestate a Chicago e New York. Ad oggi, questa disobbedienza civile ha preso di mira il governo, i media e quanti fanno affari con la guerra. Tali obiettivi non sono facilmente recepiti dal pubblico piu' ampio che il movimento spera di rendere piu' consapevole. Per farlo, deve continuare le marce, le dimostrazioni e la diso bbedienza civile, ma in forme e pratiche che le rendano comprensibili e condivisibili dall'opinione pubblica. E questo deve accadere in tutto il paese. Nei campus, dove ci sono istituti di ricerca per la difesa nazionale; ovunque ci siano imprese che hanno contratti con il Pentagono; in ogni grande citta' dove ci siano edifici federali e uffici di reclutamento delle forze armate; nella capitale dove ci sono la Casa Bianca, il Dipartimento di Stato e il Pentagono: ovunque dobbiamo essere disposti a rischiare l'arresto. La chiave di qualunque successo sara' la disciplina. Perche' sappiamo dalla storia, e le ultime settimane ce lo confermano, che questo movimento incontrera' l'ostilita' dei funzionari pubblici, della stampa, e di molti nostri concittadini. Verremo liquidati come pacifisti svitati e trattati alla stregua di traditori. Ma e' possibile portare i media dalla nostra parte, ad esempio non "concedendo" loro immagini stereotipate come quelle dei black block. Se il movimento seguira' l'esempio di quello per i diritti civili, se continuera' a praticare la nonviolenza senza tentennamenti, allora riuscira' - riusciremo - a farci sentire. Chi e' nauseato da questa guerra ora sa come deve essersi sentito Norman Morrison nel 1965 quando, di fronte al preponderante consenso alla guerra in Vietnam di Lyndon Johnson, si dette fuoco davanti all'ufficio del ministro della difesa McNamara al Pentagono. Senza dubbio fu spinto dalla frustrazione per la mancanza di un movimento organizzato. Non poteva aspettare due o tre anni. Neanche noi. 6. POESIA E VERITA'. BARBARA DEMING: IL MIO AMORE E' ACQUA [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione questa sua traduzione di una lirica di Barbara Deming. Su Barbara Deming riportiamo la seguente cronologia della stessa curatrice: "1917: Barbara Deming nasce a New York. Anni '40: lavora per la Library of Congress. Scrive recensioni cinematografiche e racconti. Anni '50: scrive poesie. Comincia lo studio di Gandhi. 1960: visita Cuba e incontra Fidel Castro. Si unisce al Cna (Comitato per l'Azione Nonviolenta) e partecipa a dimostrazioni. 1961: partecipa alla marcia per la pace S. Francisco-Mosca; tiene conferenze in Europa per conto della International Peace Brigade; si unisce al digiuno per l'abolizione della Cia. 1962: primo arresto a New York durante una manifestazione contro i test nucleari. Chiede pubblicamente il disarmo unilaterale. Partecipa alla marcia della pace del sud (Nashville-Washington) contro il razzismo. 1963: arrestata durante una protesta antirazzista e durante una marcia per la pace e la liberta'. 1964: arrestata durante la marcia per la pace e la liberta' Quebec-Guantanamo viene detenuta ad Albany, Georgia. Scrive "Prison Notes" (Appunti dalla prigione). 1965-1967: viaggia nel Vietnam del nord e del sud per protestare contro la guerra. Di nuovo imprigionata per aver partecipato ad un'azione di protesta davanti al Pentagono. Scrive "We Are All Part of One Another" (Siamo tutti parte di ogni altro). 1968-1970: numerose azioni dirette nonviolente con vari gruppi. 1971-1972: e'' sempre piu' coinvolta nel movimento delle donne. Scrive "On Anger" (Sulla rabbia). 1973: si dichiara pubblicamente lesbica. 1974: discussione con l'attivista Bradford Lyttle sull'omosessualita' che diventera' il testo "The Purpose of Sexuality" (Lo scopo della sessualita'). 1975-1977: tiene conferenze sulla connessione fra femminismo e nonviolenza. Scrive "Remembering Who We Are" (Ricordando chi siamo). Anni '80: vive in comunita' femminili. 1983: arrestata per l'ultima volta durante il "Campo delle donne di Seneca Falls per un futuro di pace e giustizia", una protesta femminista contro l'arrivo dei missili Cruise in loco. Sostiene pubblicamente le donne di Greenham Common. 1984: muore di cancro alle ovaie in Florida"] Il mio amore e' acqua, io nuoto fra le sue braccia, sforzandomi di raggiungere quale nuova terra? Visioni di essa mi afferrano la mente, mentre spinta e sostenuta io cambio, e cambio. La vita com'era e' affondata. La vita che nuoto geme: "Comincia". Ed io nasco: il sorriso luminoso di lei mi spinge fuori dalla mia pelle. Dietro a lei, il mare. 7. RIFLESSIONE. AUGUSTO CAVADI: LA PREGHIERA E L'INCONTRO [Ringraziamo Augusto Cavadi (per contatti: acavadi at lycos.com) per averci messo a disposizione questo articolo gia' apparso nell'edizione palermitana del quotidiano "La repubblica" del 16 aprile 2003. Augusto Cavadi e' docente di filosofia, storia ed educazione civica, impegnato nel movimento antimafia e nelle esperienze di risanamento a Palermo, collabora a varie qualificate riviste che si occupano di problematiche educative e che partecipano dell'impegno contro la mafia. Opere di Augusto Cavadi: Per meditare. Itinerari alla ricerca della consapevolezza, Gribaudi, Torino 1988; Con occhi nuovi. Risposte possibili a questioni inevitabili, Augustinus, Palermo 1989; Fare teologia a Palermo, Augustinus, Palermo 1990; Pregare senza confini, Paoline, Milano 1990; trad. portoghese 1999; Ciascuno nella sua lingua. Tracce per un'altra preghiera, Augustinus, Palermo 1991; Pregare con il cosmo, Paoline, Milano 1992, trad. portoghese 1999; Le nuove frontiere dell'impegno sociale, politico, ecclesiale, Paoline, Milano 1992; Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa puo' fare ciascuno di noi qui e subito, Dehoniane, Bologna 1993, seconda ed.; Il vangelo e la lupara. Materiali su chiese e mafia, 2 voll., Dehoniane, Bologna 1994; A scuola di antimafia. Materiali di studio, criteri educativi, esperienze didattiche, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Essere profeti oggi. La dimensione profetica dell'esperienza cristiana, Dehoniane, Bologna 1997; trad. spagnola 1999; Jacques Maritain fra moderno e post-moderno, Edisco, Torino 1998; Volontari a Palermo. Indicazioni per chi fa o vuol fare l'operatore sociale, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1998, seconda ed.; voce "Pedagogia" nel cd- rom di AA. VV., La Mafia. 150 anni di storia e storie, Cliomedia Officina, Torino 1998, ed. inglese 1999; Ripartire dalle radici. Naufragio della politica e indicazioni dall'etica, Cittadella, Assisi, 2000; Le ideologie del Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001. Vari suoi contributi sono apparsi sulle migliori riviste antimafia di Palermo. Indirizzi utili: segnaliamo il sito: http://www.neomedia.it/personal/augustocavadi (con bibliografia completa)] La notizia - lanciata da un articolo di Bolzoni sull'edizione nazionale del nostro quotidiano ["La repubblica"] e rimbalzata su altri fogli - e' facile da sintetizzare. A Caltanissetta l'associazione culturale "Musicarte" organizza una rassegna internazionale di canti ("Il canto dell'anima"), invita artisti da varie zone del Mediterraneo, chiede ed ottiene dal parroco del duomo l'ospitalita' per il concerto. Ma, dopo alcuni mesi, a ridosso della manifestazione, un fax del vescovo al suo parroco blocca tutto: "La Cattedrale non e' disponibile per un concerto in cui risuoneranno anche canti islamici dal Maghreb". Come mai, in un momento di cosi' elevata tensione interetnica ed interconfessionale in cui ogni minimo segnale di pacificazione sarebbe benedetto da Dio e dagli uomini di buona volonta', questo improvviso divieto per un'iniziativa chiaramente improntata allo spirito della riconciliazione e della fratellenza? Don Gaetano Canalella, segretario particolare di sua eccellenza monsignor Garsia, spiega il pensiero del suo superiore: "Il nostro vescovo ha insistito molto sulla reciprocita' che non c'e'". Tradotto in soldoni: visto che loro non ci farebbero cantare nelle loro moschee, non si vede perche' noi dovremmo farli cantare nello nostre chiese. Forse a qualche lettore si sara' affacciata alla memoria l'obiezione suggerita, secondo il vangelo, dalle parole stesse di Gesu' di Nazareth: "Se fate del bene a coloro che vi fanno del bene, che merito ne avrete? E se salutate solo coloro che salutano voi, che fate di speciale? Non fanno cosi' anche i pagani? Voi, invece, dovrete fare del bene a coloro che vi fanno del male. Proprio come il Padre comune che e' nei cieli: che dona la pioggia ai giusti e agli ingiusti". Ammesso che gli islamici - o, almeno, molti gruppi islamici - siano poco tolleranti nei confronti dei cristiani, questi ultimi devono rispondere secondo la legge del taglione ("Occhio per occhio, dente per dente") o secondo la novita' evangelica ("Se uno ti chiede il mantello, tu dagli anche la tunica")? Forse anche nella curia nissena qualche perplessita' sara' germogliata, qualche ripensamento si sara' delineato. Infatti il direttore regionale della commissione pastorale sui migranti, ha emanato un duro comunicato che smentisce tutto, tranne il punto essenziale della questione: "il fatto che il vescovo ha detto no nella sua cattedrale a questa manifestazione". (Che non l'abbia detto con un fax, ma con una telefonata o con un sms o con una e-mail o con un piccione viaggiatore non ci pare che muti il dato cruciale: il "diniego" di ospitare un concerto nel quale anche dei "musulmani" erano stati invitati a "cantare e suonare dietro l'altare"). Ma il solerte presbitero, non potendo smentire i fatti, si preoccupa di offrirne l'interpretazione autentica: "Va evitato quanto puo' portare il popolo credente ad una mentalita' falsamente irenica ed ecumenica, strettamente imparentata con l'indifferentismo religioso". In parole povere: non possiamo confondere nella testa dei fedeli, di solito neppure tanto ferrati in teologia, islamismo e cristianesimo. In altri tempi l'avvertenza sarebbe stata sufficiente. Ma viviamo in tempi strani. Molto strani. Viviamo in una fase storica in cui un papa, essenzialmente conservatore e preoccupato dell'ortodossia, o perche' ispirato dallo Spirito Santo (come credono alcuni) o perche' allenato alla solida riflessione analitica (come propendono a ritenere quelli che ne ricordano i trascorsi di docente di filosofia morale) sta concludendo la sua missione apostolica nel nome di una grande causa: abbattere le barriere fra i tre monoteismi mediterranei (ebraismo, cristianesimo e islamismo) e, possibilmente, fra le altre confessioni religiose dell'umanita' per fare fronte comune davanti all'avanzata dell'ateismo e del menefreghismo nelle questioni spirituali. Da qui l'iniziativa di convocare, per piu' di una volta, ad Assisi esponenti di tutte le religioni del pianeta per pregare insieme implorando dall'Altissimo la pace, la giustizia e la salvaguardia del creato. Decisioni profetiche come queste non hanno mancato di suscitare preoccupazioni in campi del tutto opposti. Qualche laico, anzi laicista, ha espresso il timore che - se veramente trovano un'intesa - le "chiese" ringalluzziscano al punto da accentuare trionfalismi e fondamentalismi, dilagando anche in ambito civile e socio-politico. Di segno opposto la preoccupazione degli ambienti integralisti, anche cattolici. Di recente, ad esempio, sul quotidiano dei vescovi italiani "Avvenire" e' stato per ben due volte pubblicizzato un libro (che, come si legge nell'annunzio, "si avvale dell'introduzione di mons. Antonio Livi, teologo dell'Opus Dei e docente ordinario alla Universita' Lateranense") in cui l'autore attacca con violenza incredibile tutti gli sforzi del Concilio Vaticano II, di papa Giovanni Paolo II e persino dello stesso cardinale Ratzinger di incoraggiare gli "incontri fra le tre religioni monoteiste" (per saperne di piu' cfr. l'agenzia di stampa cattolica "Adista", n. 23, del 22 marzo 2003). Come si intuisce, il caso di Caltanissetta e' solo la spia di tensioni molto piu' radicate e molto piu' diffuse che agitano il vasto mondo cattolico. Forse, piu' che di un mondo, si tratta ormai - per fortuna - di un arcipelago. Dove c'e' posto per chi ritiene, come l'estensore del comunicato stampa in difesa del presule nisseno, che i musulmani sono benvenuti solo se entrano "per partecipare a un rito cattolico, come potrebbe essere un matrimonio o un funerale, che li interessa personalmente"; o "per visitare la chiesa o per farvi una loro personale preghiera". E anche per chi, come il parroco della cattedrale qualche mese fa, li aveva ritenuti benvenuti anche nel caso che volessero esprimere a voce alta, con dei canti, una preghiera non meramente individuale, comunitaria. A testimonianza degli autentici sentimenti del suo anziano preposto, il direttore della commissione pastorale sui migranti scrive: "Nessuna obiezione da parte del vescovo e della diocesi se i musulmani si costruiscono anche a Caltanissetta la loro moschea". La dichiarazione onora la cultura siciliana nel momento in cui la differenzia dagli sproloqui (e dai gesti inconsulti) di alcuni amministratori leghisti che non sono arrivati neppure a questo livello di civilta'. Ma perche' non fare un passo avanti e donare alla comunita' islamica una delle tante chiese ormai chiuse ed inutilizzate per il culto? Sarebbe un gesto per restituire qualcosa delle moschee siciliane di cui la cristianita' si e' appropriata dai Normanni in poi. Ma anche, e soprattutto, un modo per costruire davvero quella "convivialita' delle differenze" che l'intolleranza di varie matrici ideologiche sta rendendo sempre piu' ardua nel Mediterraneo e, in prospettiva, sulla faccia della nostra povera terra. 8. LIBRI. GIANFRANCO BETTIN PRESENTA "E' ORIENTE" DI PAOLO RUMIZ [Dal quotidiano "Il manifesto" del 15 aprile 2003. Gianfranco Bettin, prosindaco di Venezia, e' sociologo, impegnato per l'ambiente, contro la guerra, contro i poteri criminali, nella solidarieta' con i popoli oppressi e le persone in condizioni di difficolta'. Paolo Rumiz, giornalista, inviato ed editorialista del quotidiano "La Repubblica", a lungo inviato speciale del quotidiano triestino "Il Piccolo", dal 1986 segue gli eventi dell'area balcanico-danubiana; tra le opere di Paolo Rumiz: Maschere per un massacro; La linea dei mirtilli; La secessione leggera; tutti presso gli Editori Riuniti] Scrive Paolo Rumiz che, in realta', l'Oriente comincia "subito dopo Mestre". Solo che ormai non lo sappiamo piu', ci siamo disabituati a riconoscerlo. "In Europa l'Oriente non c'e' piu', l'hanno bombardato a Sarajevo, espulso dal nostro immaginario, poi l'hanno rimpiazzato con un freddo monosillabo astronomico: 'Est'. Ma l'Oriente era un portale che schiudeva mondi nuovi, l'Est e' un reticolato che esclude", scrive in questo libro di viaggi, di appunti presi in corsa e di meditazioni, libro avvincente e affascinante, che raccoglie materiali in parte inediti e in parte gia' usciti come reportage su "Diario", "Il Piccolo" di Trieste e "la Repubblica" tra il 1998 e il 2001: E' Oriente, Feltrinelli, p. 199, euro 13. Sono anni cruciali, quelli dei viaggi di Rumiz: il duro, confuso dopoguerra dei Balcani, il lento ridisegnarsi "oltre cortina" dell'ex "socialismo reale" e il vorace affermarsi ovunque, nel "mondo ex", della logica neoliberista - le nuove gerarchie e le nuove miserie, le liberta' sregolate e le speranze svuotate. Rumiz cerca, partendo dal suo Nordest (e dall'ancora piu' sua Trieste), tracce dell'Oriente che l'Europa ha rimosso, oltre che bombardato. Quell'Oriente che oggi viene di nuovo bombardato a Baghdad, in uno dei luoghi che nel nostro immaginario piu' lo identificano, perfino miticamente, da ben piu' che da mille e una notte: da quando, in pratica, l'umanita' ha cominciato a sognarsi e a pensarsi come civilta', comunita' strutturata in regole, leggi, scritture, arti, architetture, citta'. E mentre a Baghdad il saccheggio dei beni del presente e dei reperti piu' preziosi della Mesopotamia avviene sotto gli occhi ottusi di chi ha appena finito di bombardarla, l'invito di Rumiz a guardare intorno a noi, a ripensare quella che anche dentro di noi e' stata ed e' la presenza dell'Oriente e' tanto piu' opportuno. Perche' la sua scomparsa coincide con una perdita di consapevolezza, un cedimento senza freni alle regole che hanno sconvolto e svenduto quello che avevamo chiamato Est. "Nordest. A mio padre che passava di qui in bicicletta, indicava ancora una fantastica direzione", scrive Rumiz. "Ora e' il marchio doc di un luogo che non porta da nessuna parte, si specchia in se medesimo. Lo stigma di uno spaesamento senza ritorno, di una follia sedentaria, un incredibile autosfruttamento... E' dalla caduta del comunismo che il Nordest ha smesso di produrre miti e proporre un Altrove. Non offre piu' alla nazione il suo ruolo di porta d'Oriente. Anzi. Forse non c'e' posto dove l'Oriente faccia piu' paura. A Nordest temono l'albanese, non il nigeriano; l'iracheno, non il senegalese. Vivono la sindrome di un mondo padano ricco che ridiventa 'barbaro', spazio brado, territorio comanche. Est, appunto. Sigla fredda come il marchio indelebile delle periferie sovietiche. Stravolta anch'essa da un totalitarismo, quello del mercato". Libro di intense e spesso folgoranti impressioni, e di riflessioni raffinate, cucite da una scrittura che e' oggi tra le migliori che si possano trovare rilegate in volume o svolazzanti in un giornale, E' Oriente, portandoci in giro per l'"Europa adriatico-danubiana", parla di noi, dello spreco di civilta', di ambiente, di risorse primarie (l'acqua e l'aria, ma anche la cultura) che caratterizza il nostro tempo, e i nostri luoghi, sotto il segno del mercato. 9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 10. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 570 del 18 aprile 2003
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