La nonviolenza e' in cammino. 569



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 569 del 17 aprile 2003

Sommario di questo numero:
1. Mary Ann Maggiore: la storia delle donne, lavoro di pace
2. Enrico Peyretti: che fare ora?
3. Maria G. Di Rienzo: un profilo di Barbara Deming
4. Erica Pedone: dallo sfruttamento all'istruzione
5. Rete Lilliput: settimana dell'impronta ecologica e sociale
6. Terre des hommes Italia: no alla militarizzazione degli aiuti umanitari
in Iraq
7. Forum del terzo settore e Associazione ong italiane; sull'intervento
umanitario in Iraq
8. Comitato per la bellezza: fermare saccheggi e distruzioni dei tesori
d'arte in Iraq
9. Pietro Ingrao: le prigioni di Cuba
10. Amra Ahmed: diffondendo la parola V
11. La "Carta" del Movimento Nonviolento
12. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. MARY ANN MAGGIORE: LA STORIA DELLE DONNE, LAVORO DI PACE
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione la sua traduzione di questo discorso di Mary Ann
Maggiore tenuto il 24 marzo 2003 in occasione della celebrazione della
storia delle donne, alla Dominican University, San Rafael, California, su
"Lavoro di pace/lavoro di costruzione: la storia della pace delle donne".
Mary Ann Maggiore, attivista pacifista, gia' editorialista del "Philadelphia
Inquirer", e' docente di Storia a Marin County, California (per contatti:
maggiore at infoasis.com)]
Io faccio lavoro di pace. Organizzo gruppi contro la guerra.
Mia nonna faceva un differente lavoro di costruzione. Cuciva bottoni in una
fabbrica. Un penny a bottone, 1.200 bottoni alla settimana, fa dodici
dollari. Manteneva con questo una famiglia di quattro persone. Era
un'orgogliosa delegata del sindacato tessile. Poiche' lei ha fatto cio' che
ha fatto, io ho il privilegio oggi di fare cio' che faccio.
Vedo con chiarezza di stare sulle spalle delle donne, inclusa mia nonna, che
sono venute prima di me. Stasera voglio salutare alcune di esse.
*
In primo luogo voglio gridare un saluto a Eva, la madre di molti. Dicono che
abbia confuso le cose, ma io dico che lei le ha rese piu' chiare. E io sto
dalla sua parte. Preferisco soffrire partorendo e avere la mia libera
volonta', piuttosto che nessun dolore e un paradiso drogato governato da due
uomini che controllano tutto.
E voglio mandare un biglietto d'amore a Giuditta per aver affrontato
Oloferne e a Maria Maddalena, a cui non e' importato un fico secco di cio'
che gli apostoli pensavano sul ministero delle donne. E' andata e ha
predicato.
Voglio cantare le lodi di Giuliana di Norwich e di Ildegarda di Bingen, che
hanno mantenuto libero il pensiero e la preghiera delle donne e hanno avuto
cura delle istanze care alle donne nel Medioevo.
Vorrei ringraziare Ann Hutchinson per essere stata una tal rompiscatole
nella colonia del Massachusetts che hanno dovuto buttarla fuori, e lei ha
dovuto fondare Rhode Island per farsi strada nella vita.
Vorrei ringraziare Mary Fell e Lucretia Mott e tutte le altre donne
quacchere che hanno detto "la guerra e' sbagliata, il razzismo e' sbagliato,
e la coscienza e' sacra".
Sojourner Truth e Mary McLeod mi precedono: la loro luce fulgida mi ricorda
che i marginalizzati, i criminalizzati, gli spossessati, i disperati, i
poveri hanno molto piu' da dirmi di chi mi propone avidita' e ricchezze.
Vorrei ringraziare Jane Addams per l'indomabile energia che ha messo a
favore della pace.
Vorrei ringraziare Jeanette Rankin che precedentemente alla prima guerra
mondiale era l'unica donna presente al Congresso e che, come Barbara Lee, fu
l'unica persona del Congresso ad opporsi al massacro di milioni di individui
in guerra.
Vorrei ringraziare Barbara Lee.
Vorrei ringraziare Emma Goldman, uccisa da uno sparo alla testa come
punizione per tutto cio' che aveva detto su come la guerra arricchisce i
ricchi e rende i poveri maggiormente schiavi.
Vorrei ringraziare Alice Paul, Emmeline Pankhurst e Doris Stevens,
imprigionate e torturate perche' io un giorno potessi votare.
Ringrazio Artemisia Gentileschi, Mary Cassatt, Frida Kahlo, Helen
Frankenthaler, Judy Chicago, Barbara Cosentino e Shareen Nishat che hanno
fatto in modo che l'arte parlasse alle donne e delle donne.
Ringrazio Victoria Woodhull, Eleanor Roosevelt e il collettivo lesbico di
Filadelfia che mi hanno insegnato che la sessualita' ha molte varianti, e
che la mia sessualita' e' mia. Appartiene a me e nessun altro.
Ringrazio Betty Friedan per avermi aiutata a capire che le donne hanno un
problema, e che questo problema ha un nome, e che il nome e' "sessismo".
Vorrei ringraziare Gloria Steinem e Ruth Rosen ed Eleanor Smeal e tutte
quelle donne bianche che hanno fatto un gran rumore, al punto da farmi
capire che lo stupro e' sbagliato, che non e' colpa mia, che il potere e'
mio e lo merito e che la gente puo' ridere quanto vuole. Ignorateli. Tenete
insieme il vostro gruppo di affinita' e andate avanti. Voi trionferete.
Vorrei ringraziare tutte quelle donne di colore e nere e le mie sorelle in
Asia, sulle isole e nelle foreste.
Includo nei ringraziamenti Angela Davis, Sandra Cisneros, Gloria Richardson
e le coraggiose donne di Rawa che non si sono mai arrese, neppure per un
attimo, neppure per un minuto.
Offro la mia gratitudine ad Arundhati Roy dell'India e a Rigoberta Menchu'
del Guatemala, che hanno contrastato i dominatori con la verita' e senza
timore.
Vorrei ringraziare le donne della Nigeria per aver arrestato la distruzione
che le compagnie petrolifere operano nel loro paese.
Grazie, Delores Huerta del sindacato dei contadini e Wilma Mankiller del
movimento dei nativi americani.
Il mio cuore ha anche un posto speciale per Coretta Scott King e Merlie
Evars.
Tutte queste donne: picchiate, arrestate, prese in giro, coperte di
malignita', spesso a rischio di essere uccise, le loro case mandate a fuoco,
i loro uomini assassinati o rovinati, tutte queste donne sono andate avanti,
e avanti, e avanti.
Vorrei offrire un ringraziamento speciale alle donne ebree che lottano per
la liberta' e la giustizia assieme alle loro sorelle palestinesi.
E un grazie speciale va a Rachel Corrie, 23 anni, dell'International
Solidarity Movement, che e' morta la settimana scorsa, mentre tentava di
difendere una famiglia palestinese da un bulldozer dell'esercito israeliano.
Il guidatore del bulldozer e' andato avanti e indietro sul suo corpo,
spezzandola.
Dichiaro la mia gratitudine per tutte le donne che fronteggiano
quotidianamente aggressioni, incluse le Donne in nero e tutte le favolose
donne di "Not in Our Name" e di "International Answer" che hanno organizzato
le recenti fortissime e riuscitissime marce per la pace.
Ringrazio quelle che mi sono particolarmente care, Donna Sheehan e le
"Unreasonable Women Baring Witness" del West Marin: esse hanno formato con i
loro corpi messaggi di pace ed hanno dato inizio ad un movimento che ha eco
in tutto il mondo: in tutto il mondo donne ed uomini formano con i loro
corpi simboli di solidarieta', a Hiroshima, in Australia, a Londra, a
Milano, nella regione antartica.
Ringrazio ogni donna che si e' dedicata alle cause care alle donne: le
istanze dei bambini, dell'istruzione, del welfare, dei diritti dei
lavoratori, dei diritti civili, dei diritti riproduttivi.
Non c'e' muro abbastanza alto o giorno abbastanza lungo per registrare la
loro magnificenza, i loro sacrifici, il loro senso del dovere e il loro
onore: hanno fatto della storia qualcosa di piu' che il compendio delle
guerre e della tecnologia delle armi. Hanno dato voce ad ogni infante, ad
ogni albero, ad ogni fiume, ad ogni cuore in pericolo di essere ferito.
Il mio ringraziamento all'impegno di Amy Goodman e Stephanie Henricks e
Vernon Avery Brown della Kpfa Radio, ad Ann Fagin Ginger della "Civil
Liberties Library", alle donne anarchiche, alle studiose Angana Chatterjee,
Arlie Hochschild ed Hannah Arendt che ci hanno mostrato le facce
dell'ingiustizia e che continuano ad indicarci strade per sconfiggerla.
Ringrazio la ragazza di 14 anni che deve aver confezionato i vestiti che io
indosso stasera, e tutte le lavoratrici che non vediamo mai, ma che hanno
faticato per creare questi vestiti, per ricevere un dollaro e quindici
centesimi e vivere in una baracca, le donne che non avranno mai una porzione
dei miliardi che l'industria dell'abbigliamento guadagna sul loro lavoro e
sulle loro sofferenze.
Io vedo queste ragazze e le ascolto. Do' voce alla loro storia e lotto per
la loro vittoria.
*
E voglio anche un'altra vittoria per la gioventu'. Non una vittoria di
fucili e bombe "intelligenti", ma la vittoria della compassione, del cibo
sano e dell'acqua pulita, del gioco, delle risa e della delizia.
Chiedo la fine delle ingiustizie nelle vite dei bambini minacciati dalla
guerra. Il 50% del popolo iracheno ha meno di 15 anni. Quando le nostra
violenza cerca di distruggere questa nazione, sono questi giovani che
vengono distrutti.
Io piango per la loro sofferenza perche' come donna, e come madre, ogni
bambino, in ogni citta' o villaggio, e' storicamente mio.
*
La storia delle donne e' mia madre, ed e' vostra madre. Mia sorella e vostra
sorella.
La storia delle donne sono donne di lontani paesi che trovate nei libri, ed
ogni voce di coraggio che sentite nel vento.
La storia delle donne sono tutte le storie di magia, di rigenerazione, di
creativita'.
La storia delle donne e' mia nonna, ed il suo lavoro di costruzione. E' il
lavoro di vostra nonna nei campi di qualcun altro o nel ristorante di
qualcun altro.
La storia delle donne e' storia di cameriere ed ereditiere, di scienziate e
lavoratrici del sesso. Tutte queste donne sono in voi. Tutte queste donne
sono in me.
Proprio come Rosa Parks e' in me e voi siete in me. Ora io sono nella vostra
storia, e voi nella mia. Noi portiamo dentro tutto questo, tutto questo
movimento, questa lotta, questo trionfo, questa celebrazione.
La storia delle donne e' dentro ciascuna di noi.
*
Siamo tutte testamenti del passato. Siamo tutte potenziali avvocate del
futuro. Non aspettate. Arrampicatevi e guardate avanti. Non esitate a darvi
voce. Non pensate solo a voi stesse ed alla vostra vita: pensate a tutte le
vite dentro di voi, di coloro che sono morte e di coloro che nasceranno.
Le donne del passato vi hanno donato la liberta'.
Prendetela ed allargatela ad ogni persona. Questo dono e' vostro ed avete il
diritto di reclamare il passato e di usarlo.
Percio', la prossima volta in cui qualcuno vi chiede: "Cos'e' la storia
delle donne?", rispondete: "Io sono la storia delle donne". E credetelo.

2. EDITORIALE. ENRICO PEYRETTI: CHE FARE ORA?
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti at tiscalinet.it) per
questo intervento. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di
questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno
di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non
uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il
Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la
guerra, Beppe Grande, Torino 1999. E' diffusa attraverso la rete telematica
(ed abbiamo recentemente ripresentato in questo notiziario) la sua
fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica
delle lotte nonarmate  e nonviolente]
Dopo il caos di Baghdad e le minacce all'Iraq, che fare?
Propongo qualcosa alla ricerca che il movimento organizzato deve fare:
- boicottaggio: ripetere in rete l'elenco dei prodotti Usa, farne copie e
volantini da diffondere dappertutto, nei modi giusti e opportuni. Non solo
dire "non comprare questo", ma "compra altro" se proprio ti e' necessario;
- manifestazioni: periodiche, ritmiche: ogni due mesi una nazionale, nel
mese di mezzo simultanea in tutti i capoluoghi di provincia. Oppure:
nazionale nel mese A; nel mese B macroregionali (nord, centro, sud, isole);
nel mese C provinciali; nel mese D nuovamente nazionale. Ogni mese quindi
una o mille manifestazioni. Cosi' hanno vinto senza violenza nel 1989
nell'Europa orientale, arrivando a manifestare ogni giorno. Manifestare con
parole d'ordine concordate nei comitati anti-guerra, con solo bandiere di
pace, non simboli di partito. Questa compattezza da' forza evidente;
- contro il rischio di infiltrati e provocatori: i manifestanti pacifici
portino sul petto la fotocopia ingandita della propria carta d'identita';
tutti con macchina fotografica, pronti a documentare sia atti violenti per
isolarli e identificarli sul nascere, sia abusi delle forze dell'ordine;
- tenere presidi regolari nelle citta', stesso giorno stessa ora, come le
ore di silenzio in piazza, oppure marce silenziose, col solo segno delle
bandiere della pace, almeno settimanali, in fila indiana (anche le
biciclettate) per non ostruire le strade, comunicando a tutti che la pace
vigila continuamente, non e' sconfitta. Essere costanti organizzandosi anche
nell'estate, stagione delle fregature;
- bandiere: magari dopo averle lavate e stirate, tenerle esposte e
aumentarle (incoraggiare chi le ha gia' esposte e chi non ancora), fino a
quando? Non alla fine del mondo (che speriamo non cosi' vicina come la
minacciano), ma fino a quando non sara' interrotta la serie di guerre
imperiali programmate. Se ci sara' un segno positivo, le ritireremo tutti
insieme, pronti a rimetterle. Saranno il segno permanente del movimento, la
"manifestazione" continua giorno-notte, la "marcia dei balconi";
- ma l'azione piu' importante di tutte e' l'informazione veritiera, lo
smascheramento della potente operazione calcolata che fa apparire
liberazione la conquista, beneficenza il dominio, democrazia l'occupazione
delle terre del petrolio e di importanza strategica, che chiama giustizia
l'ilegalita', liberta' il calpestare la legge, uccidendo e distruggendo.
Fogli e foglietti, non di improperi ma di documenti, anche in piccole dosi
di mezza pagina, chiari, sintetizzati, spiegati con parole semplici. Lettere
ai giornali, brevi, precise su un punto solo dei tanti possibili. Telefonate
alle trasmissioni radio e tv. Tv di strada, che stanno per nascere. Tra i
documenti da far conoscere il Project for New American Century (in
traduzione avanzata: traduttoriperlapace at yahoogrpups.com), che e' la
premeditazione scritta di cio' che avviene;
- in tutto, garantire la qualita' nonviolenta attiva, che e' forza vera,
l'opposto della violenza, quindi l'opposto della guerra;
- studiare le esperienze storiche di azioni nonviolente, imparare le
tecniche e soprattutto lo spirito di qualita', organizzazione, disciplina,
indispensabili per avere forza e efficacia;
- tallonare i partiti, perche' adottino senza nuovi tentennamenti il
criterio della pace, della soluzione pacifica, razionale, giusta, dei
conflitti, come criterio che distingue la politica umana dalla delinquenza
politica;
- scrivere, anche in italiano (meglio in inglese) a persone, gruppi (ci sono
indirizzi), giornali negli Stati Uniti, per riconoscere e sostenere il
movimento pacifico interno agli Usa, che c'e', considerevole, e ha bisogno
di crescere con la nostra solidarieta', e vuole ristabilire la legalita';
- fare incontri di scambio, informazione, dialogo culturale e religioso con
le associazioni di immigrati musulmani per sventare l'effetto (non troppo
collaterale) della guerra che e' l'odio, opposizione e scontro di civilta'.
Costruire relazioni e amicizie personali e associative per trasmettere al
mondo arabo che l'Occidente non e' tutto bellicoso come certi suoi governi.
Chi legge queste righe precisi, completi, aggiunga, faccia circolare.
L'importante e' agire, con lo spirito giusto e i mezzi giusti, senza
sotterfugi ma sempre comunicando prima le azioni, che non sono clandestine,
ma totalmente civili, perche' sono di pace. E con decisioni comuni, in
unita'.
"Le azioni non valgono tanto per la loro efficacia immediata, quanto per la
loro fecondita'" (Maurice Merleau-Ponty).
Se esigiamo la pace, dobbiamo cominciare dalla sobrieta' personale:
semplificare la vita, ridurre sprechi, consumi, perdite di tempo, e invece
impegnarsi.

3. TESTIMONIANZE. MARIA G. DI RIENZO: UN PROFILO DI BARBARA DEMING
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici
di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista,
giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto
rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento
di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel
movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta'
e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza]
1917: Barbara Deming nasce a New York. Anni '40: lavora per la Library of
Congress. Scrive recensioni cinematografiche e racconti. Anni '50: scrive
poesie. Comincia lo studio di Gandhi. 1960: visita Cuba e incontra Fidel
Castro. Si unisce al Cna (Comitato per l'Azione Nonviolenta) e partecipa a
dimostrazioni. 1961: partecipa alla marcia per la pace S. Francisco-Mosca;
tiene conferenze in Europa per conto della International Peace Brigade; si
unisce al digiuno per l'abolizione della Cia. 1962: primo arresto a New York
durante una manifestazione contro i test nucleari. Chiede pubblicamente il
disarmo unilaterale. Partecipa alla marcia della pace del sud
(Nashville-Washington) contro il razzismo. 1963: arrestata durante una
protesta antirazzista e durante una marcia per la pace e la liberta'. 1964:
arrestata durante la marcia per la pace e la liberta' Quebec-Guantanamo
viene detenuta ad Albany, Georgia. Scrive "Prison Notes" (Appunti dalla
prigione). 1965-1967: viaggia nel Vietnam del nord e del sud per protestare
contro la guerra. Di nuovo imprigionata per aver partecipato ad un'azione di
protesta davanti al Pentagono. Scrive "We Are All Part of One Another"
(Siamo tutti parte di ogni altro). 1968-1970: numerose azioni dirette
nonviolente con vari gruppi. 1971-1972: e'' sempre piu' coinvolta nel
movimento delle donne. Scrive "On Anger" (Sulla rabbia). 1973: si dichiara
pubblicamente lesbica. 1974: discussione con l'attivista Bradford Lyttle
sull'omosessualita' che diventera' il testo "The Purpose of Sexuality" (Lo
scopo della sessualita'). 1975-1977: tiene conferenze sulla connessione fra
femminismo e nonviolenza. Scrive "Remembering Who We Are" (Ricordando chi
siamo). Anni '80: vive in comunita' femminili. 1983: arrestata per l'ultima
volta durante il "Campo delle donne di Seneca Falls per un futuro di pace e
giustizia", una protesta femminista contro l'arrivo dei missili Cruise in
loco. Sostiene pubblicamente le donne di Greenham Common. 1984: muore di
cancro alle ovaie in Florida.
*
"Le azioni nonviolente non hanno lo scopo di far diventare gentili gli
altri, ma di forzarli a consultare la propria coscienza. Non e' la vendetta
il punto, il punto e' il cambiamento. Il problema e' nelle menti della
maggior parte delle persone, il pensiero della vittoria e della punizione
del nemico coincidono" (Barbara Deming).
La lotta di Barbara per l'amore, l'accettazione, la forza spirituale e la
possibilita' di fare il proprio lavoro in una societa' che spesso implicava
come lei non fosse degna di queste cose, la sua tenacia contro ogni
difficolta', sono davvero esemplari. I suoi convincimenti femministi e
nonviolenti, tradotti in parole ed azioni, furono il fondamento della sua
esistenza ed i suoi saggi suonano molto moderni al nostro orecchio. Barbara
fu una "visionaria pragmatica", una donna capace di ampio sguardo: vedeva la
comunita' umana non come un gruppo di individui atomizzati ma come qualcosa
di intimamente unito e furono le sue tecniche di inclusione a rendere le
azioni dirette nonviolente a cui partecipava cosi' efficaci. "Piu' a lungo
ci ascoltiamo l'un l'altro con attenzione, maggior comunanza troviamo nelle
nostre vite. Sempre che si sia cosi' attenti da scambiarci le storie delle
nostre vite, e non semplicemente delle opinioni".
Poiche' fu un'attivista politica durante gli anni '60, Barbara avrebbe
trovato immensamente piu' semplice scivolare nel modulo "noi contro di
loro", una mentalita' che all'epoca era prevalente. Trovare un nemico da
biasimare per i nostri problemi, e desiderare la sua cancellazione in quanto
"altro", e' molto facile: Barbara scrisse, in "We are all part of one
another", che questo e' anche il modo per distanziarci da noi stessi. "Noi
non apparteniamo ad un altro, ma le nostre vite sono connesse. Apparteniamo
ad un cerchio di altri". Questo convincimento non si limitava alle persone
che lei poteva considerare amiche o alleate nelle lotte nonviolente, e
Barbara esercito' il potere della compassione persino con i suoi carcerieri.
Ella riconosceva il potere negli individui (la parola individuo significa
"indivisibile") che si riunivano in comunita' (l'indiviso non separato dalla
cultura) e fu molto abile nel creare nei gruppi legami di appartenenza e
condivisione.
La sua tecnica di protesta fu sempre la resistenza. Rendere difficile il
lavoro agli oppressori era il modo di Barbara di rendersi visibile ad essi e
di mostrare loro nel contempo la comune umanita': mostrandosi come
inseparabile dalla propria cultura, parte del cerchio degli individui di cui
anche l'oppressore fa parte, Barbara costringeva i suoi oppositori a
confrontarsi con le somiglianze che potevano scorgere fra lei e se stessi ad
un livello piu' profondo dello sguardo superficiale relativo al
fronteggiamento.
Nel suo saggio del 1971 "On Anger", Barbara riconosce il dualismo come
fondamento dell'oppressione. "La gente di colore ha forse fatto meglio, a
questo proposito, delle donne: essi hanno riconosciuto congiuntamente la
loro oppressione, che era piu' ovvia, e congiuntamente hanno riconosciuto di
avere altri se' rispetto a quelli presentati ad essi dai loro dominatori. Le
donne hanno dovuto, per la maggior parte, cercare di tener vivo il loro
orgoglio in isolamento l'una dall'altra. Ed hanno troppo spesso nascosto la
loro rabbia anche a loro stesse". L'istanza dei diritti civili, almeno in
superficie, uni' neri di ogni genere e classe. Il femminismo ha avuto tempi
piu' duri al riguardo.
Barbara fu incarcerata durante la marcia per la pace e la liberta'
Quebec-Washington-Guantanamo, che protestava contro le azioni statunitensi a
Cuba. Il gruppo fu arrestato per aver "tenuto una parata senza
autorizzazione". Barbara, tramite la noncooperazione, rese difficile alle
autorita' carcerarie ignorare la sua umanita' o meglio, l'umanita' che esse
condividevano con lei. Non lascio' che le guardie carcerarie si
sostituissero alla sua volonta': "Nessuno ha bisogno di stampare in un
manuale per le guardie che il prigioniero deve essere spazzato via
dall'esistenza per il bene della societa': questo principio magico si
afferra per istinto".
Le azioni a cui partecipava con il Comitato per l'Azione Nonviolenta le
diedero il senso che un individuo poteva agire ed avere peso, oltre ad
esaltare la straordinaria spontaneita' con cui Barbara riusciva a creare
"comunita' amanti" fra gli attivisti, che combinavano la forza
dell'individuo con quella del gruppo, facendo coesistere liberta' e
responsabilita'. "L'unica scelta che ci rende capaci di mantenere la nostra
visione e di non spaventarci sino a desiderare di ritirarci, e' l'abbandono
del concetto del nominare i nemici, e l'adozione di un concetto familiare
alla tradizione nonviolenta: nominare i comportamenti che sono oppressivi,
nominare l'abuso di potere, che e' detenuto ingiustamente e va distrutto, ma
non nominare una sola persona con il desiderio di distruggerla".
La disobbedienza civile fu il modo in cui Barbara esercito' il proprio
potere nei confronti dello stato. Spesso i diritti individuali, che
dovrebbero garantire protezione, possono essere usati contro le stesse
persone che dovrebbero essere protette (la restrizione degli spazi d'azione
e della liberta' di scelta in nome della sicurezza) E dando questo potere
all'autorita', noi spesso vittimizziamo noi stessi. Le politiche
strettamente identitarie possono condurci allo stesso punto. Per poter agire
efficacemente, Barbara doveva agire unitamente ad altri, ma sapeva che le
categorie identitarie cadevano con facilita' nel dualismo e nell'opposizione
binaria "noi/loro", e percio' il legame doveva essere costruito su altri
fondamenti.
Nel maggio 1963, Barbara fu portata in prigione a Birmingham, nell'Alabama,
per essersi unita ad un gruppo di dimostranti di colore che stavano
raccogliendo firme "senza autorizzazione", per ottenere il diritto
collettivo ad essere trattati come gli esseri umani che erano. Durante le
marce in cui si univa alla gente di colore contro il razzismo, questo era il
suo intervento: "Sto protestando perche' esiste una classificazione che
parla di cittadini di seconda classe, e sto protestando in mio nome. Non lo
faccio per altruismo. Lo faccio perche' nella mia anima c'e' una qualche
conoscenza di cosa significa essere nera".
In quegli anni Barbara capi' come essere una donna fosse essere comunque una
cittadina di seconda classe. Piu' tardi, il dichiararsi lesbica le insegno'
che si poteva ulteriormente "scendere" nella scala sociale. "Tutte le
oppressioni prendono l'avvio dal sistema sessuale di classi, che e' il
modello per ogni altro sistema oppressivo, e finche' non resistiamo e ci
opponiamo a questo, non avremo successo nell'eliminare davvero gli altri".
Ella riconobbe che andare alla radice del problema era piu' efficace che
tentare di potarne le cime: la questione non era la sua sofferenza
personale, non era la sofferenza dei neri, e non era neppure dare degli
ignoranti o degli assassini ai leader politici degli Usa, la questione
concerneva l'umanita' di ciascuna e ciascuno di noi.
Le teorie femministe dell'epoca apparivano a volte molto astratte,
nell'affermare un'universalita' della solidarieta' tra donne: nella sua
"Lettera al Wisp (Women Strike for Peace, ovvero Donne in sciopero per la
pace)", dell'aprile 1963, Barbara sostiene che la verita' delle donne sta
nel "qui ed ora" della loro esistenza quotidiana, culturalmente resa
triviale. Ella suggerisce di non distogliere gli occhi dalle verita' che
scopriamo in noi stesse, dalle loro implicazioni radicali: "Scava a fondo
per la verita' e quando l'hai trovata, assieme al coraggio di dare ad essa
riconoscimento, allora agisci in suo nome. La funzione della storia e' il
registrare queste verita'".
Barbara sostenne le donne del Wisp quando esse incapparono nella repressione
del Comitato federale sulle attivita' antiamericane. Durante le udienze, il
presidente Doyle apriva le sessioni con frasi che riflettevano esattamente
il dominio patriarcale che Barbara aveva cominciato a sfidare. "Le donne
parlavano delle cose di cui avevano fatto esperienza diretta, come la loro
preoccupazione per i bambini, ed il comitato parlava da una grande distanza,
con certe frasi portentose che tacciavano le donne di 'un eccessivo
desiderio di pace', il quale implicava 'adeguata preparazione difensiva' e
'minava la forza nazionale' servendo 'i piani aggressivi del comunismo
mondiale'. Il comitato diceva queste cose come se esse fossero realta'
immutabili. Non si erano accorti che la rapidita' dei mutamenti nel mondo
prosciugava quelle parole da tutti i loro significati primari".
Da questo momento, la riflessione sul linguaggio assunse un grande peso
negli scritti di Barbara. Il suo uso del linguaggio divenne un importante
preludio all'azione; ella cercava un nuovo vocabolario nonviolento, che
potesse rendere maggiormente comprensibile l'azione diretta a chi la
guardava da fuori, un vocabolario che avrebbe reso descrivibile chiaramente
la visione di una societa' nonviolenta.
Nel 1971, Barbara subi' gravi ferite in un incidente automobilistico.
Impedita a viaggiare dalla propria condizione fisica, si dedico'
all'attivismo scritto: nelle lettere aperte, scritte durante gli anni
successivi, l'analisi politica e personale di Barbara raggiunge un'acutezza
abbagliante, disegnando un'intera filosofia femminista della nonviolenza.
"Gandhi una volta dichiaro' che era stata sua moglie ad insegnargli
involontariamente l'efficacia della nonviolenza. Chi meglio di una donna sa
che le lotte possono essere vinte senza imporre forza fisica? Chi meglio di
noi conosce il potere che risiede nella non-cooperazione?".
Il modo in cui questi scritti attraversano barriere di socializzazione,
addestramenti ed abitudini e' sorprendentemente attuale. Barbara ha ora
coscienza di quanto della sua esperienza e delle sue emozioni, come donna e
come lesbica, sia stato tenuto da parte o riconosciuto ed espresso solo in
analogia con la lotta contro il razzismo. Comincia a chiedere ai suoi
compagni nella lotta contro la guerra di rigettare la trivializzazione delle
donne e delle esperienze personali. Attraverso il femminismo, ella sostiene,
possiamo tutte e tutti osare dar credito e valore a cio' che vediamo con i
nostri occhi.
La sessualita', ad esempio, e' percepita come qualcosa di molto piu' ampio
della ricerca di piacere: "La nostra sessualita' ci e' data in modo che noi
si entri in comunione con qualcun altro. Rompe il nostro singolo se'. Senza
sessualita', saremmo terribilmente isolati all'interno della nostra
individualita'. Non potremmo far esperienza della comunita', non potremmo
far esperienza nella nostra carne della verita' che noi siamo, tutti noi,
membri di un cerchio di altri". La nostra sessualita', sosteneva Barbara, e'
danneggiata dal tentativo di separarla in comportamenti preordinati come
"maschili" e "femminili", e questa bugia ha indebolito le possibilita' di
comunione: "Se la societa' non tentasse di farci tutti eterosessuali, e se
il patriarcato fosse scomparso, la mia opinione e' che noi troveremmo
completamente naturale essere attratti dal nostro stesso sesso".
Barbara pensava che il capitalismo avesse parte nel costruire le costrizioni
di genere: la proprieta' privata della terra, attraverso la quale gli uomini
considerano il suolo e le donne dei semplici mezzi per la propria
riproducibilita', era il fulcro di questo suo convincimento. Se nessuna
persona potesse "possedere" la terra, nessuno avrebbe il diritto di
inquinarla perche' di sua proprieta'.
Gli uomini, secondo Barbara, non avevano ancora tentato di diventare del
tutto umani, ma di deificare se stessi. Cio' aveva costretto le donne,
subordinate agli uomini, a cercare giustizia attraverso le autorita', in un
sistema che non garantiva ad esse un'equita' di giudizio.
Barbara giunse alla convinzione che, se il mezzo per interpretare una
cultura e' il linguaggio, cambiare quest'ultimo era lo strumento piu'
efficace per vedere un cambiamento nella societa': se riconosciamo che i
diritti, la proprieta', il denaro ed il sistema legale esistono come testi,
mutare la natura generale del linguaggio esporrebbe le contraddizioni
interne ad ognuno di questi sistemi. Lo spostamento del paradigma di lettura
farebbe molto di piu' che aggiungere le donne all'ordine esistente, molto di
piu' di una presa d'atto sull'esistenza di un ordine maschile e di un ordine
femminile, ma ci costringerebbe a farci domande ben differenti da quelle
usuali. Ci condurrebbe a quella visione del mondo per cui Barbara lotto'
cosi' appassionatamente.
"Nessun essere umano dovrebbe essere pensato come altro da noi. La forma di
lotta per arrivare a questo e' ancora largamente da inventare, ma esiste: e'
la lotta nonviolenta. Non si puo' provare alle persone la nostra comune
natura umana usando violenza contro di esse".
"Noi donne apparteniamo alla storia, anche noi. Voi uomini ci avete rubato
da noi stesse. Noi non esistiamo perche' il vostro orgoglio possa nutrirsi
di noi. Noi siamo cio' che siamo".
*
Scritti di Barbara Deming utilizzati per questo testo:
- We Are All Part of One Another, Ed. Jane Meyerding, Philadelphia New
Society, 1984.
- Running Away from Myself: A dream portrait of America drawn from the films
of the forties. New York, Grossman, 1969.
- Prison Notes, New York, Grossman, 1966.

4. INIZIATIVE. ERICA PEDONE: DALLO SFRUTTAMENTO ALL'ISTRUZIONE
[Dall'ufficio stampa dell'associazione umanitaria Mani Tese (per contatti:
ufficiostampa at manitese.it) riceviamo e diffondiamo]
16 aprile 2003: Iqbal Masih e' stato ucciso otto anni fa, all'eta' di 12
anni.
Iqbal si era ribellato alla schiavitu' ed e' diventato il simbolo della
lotta allo sfruttamento dell'infanzia, una piaga che la comunita'
internazionale non puo' piu' accettare. Il triste e inaccettabile fenomeno
deve essere combattuto perche' non ci puo' essere pace nel mondo se non vi
e' giustizia.
Per affrontare il problema il primo passo fondamentale da compiere e' verso
l'istruzione.
Nel 2000, la comunita' internazionale riunitasi a Dakar nel World Education
Forum si e' impegnata a garantire l'accesso all'istruzione universale entro
il 2015 e il superamento delle discriminazioni di genere nell'accesso
all'istruzione entro il 2005.
Per garantire istruzione universale sarebbe necessaria una spesa pari a 10
miliardi di dollari l'anno, ma siamo ancora lontani dal raggiungimento di
questo obiettivo: infatti, solo di 0,4 miliardi di dollari e' il valore
degli aiuti che gli Stati dell'Unione Europea attualmente destinano
all'istruzione di base, e di soli 0,2 miliardi di dollari il valore degli
aiuti degli Stati Uniti (fonte: Reality of Aid 2002).
Mancano solo due anni al 2005, e almeno 70 milioni di bambine non vanno a
scuola! Degli 860 milioni di adulti analfabeti, i due terzi sono donne. Solo
un Paese su cinque in Africa e in Asia Meridionale, e tre Paesi su cinque in
America Latina, ha raggiunto l'obiettivo per l'istruzione elementare.
*
Basterebbero pochi ma mirati provvedimenti per favorire l'accesso
all'istruzione delle bambine:
- Aumentare gli investimenti a livello nazionale e nella cooperazione
internazionale da destinarsi all'istruzione;
- Garantire l'istruzione primaria gratuita, fornendo libri di testo,
uniformi scolastiche,  pasti;
- Migliorare la qualita' delle strutture e dei servizi scolastici, adeguando
gli edifici e promuovendo la formazione e l'impiego di insegnanti donne;
- Elaborare e realizzare progetti mirati a garantire una condizione
economica dignitosa per le famiglie, che permetta loro di mandare le bambine
a scuola, sensibilizzando i genitori sull'importanza e sui benefici
dell'istruzione.
Il 17 maggio 2003 Mani Tese chiede a tutti i cittadini italiani di
partecipare alle iniziative di piazza che coinvolgeranno i cittadini, le
associazioni,  i bambini, gli alunni delle scuole e gli enti locali nella
campagna "Dallo sfruttamento all'istruzione".
Per ulteriori dati e informazioni: ufficio stampa Mani Tese, Erica Pedone,
tel. 024075165 - 3389960030, sito: www.manitese.it, e-mail:
ufficiostampa at manitese.it

5. INIZIATIVE. RETE LILLIPUT: SETTIMANA DELL'IMPRONTA ECOLOGICA E SOCIALE
[Dall'ufficio stampa della Rete Lilliput (per contatti: tel. 3396675294,
e-mail: ufficiostampa at retelilliput.org) riceviamo e diffondiamo]
Rete Lilliput lancia la settimana dell'Impronta ecologica e sociale. Dal 31
maggio all'8 giugno in tutta Italia.
In occasione della giornata mondiale per l'ambiente del 5 giugno, Rete
Lilliput - dal 31 maggio all'8 giugno - lancia la seconda settimana
nazionale dell'impronta ecologica allo scopo di informare e sensibilizzare i
cittadini rispetto al peso che le nostre societa' hanno sull'ambiente.
L'appuntamento servira' anche a diffondere la conoscenza dei mezzi esistenti
per risparmiare energia e usare meglio le risorse.
Per questa occasione Rete Lilliput ha invitato in Italia ricercatori e
pensatori del valore di Mathis Wackernagel (Redefining Progress -
California - ha messo a punto il concetto di Impronta ecologica), Wolfgang
Sachs (Wuppertal Institut - Germania), Jochen Jesinghaus (ideatore del
Dashboard of sustainability, nuovo indicatore di benessere / Agenda 21
presentato anche a Johannesburg), Patrick Viveret (economista e consigliere
alla Corte dei Conti francese - che sta lavorando su una nuova concezione di
ricchezza e di economia) e Giancarlo Allen (segretario nazionale
dell'Associazione nazionale di bioarchitettura). Questo "tour italiano"
prevedera' non solo incontri col pubblico, ma anche veri e propri stage per
amministratori locali e per studenti.
Le "tappe" sono le seguenti: Napoli (sabato 31 maggio), Roma (1 giugno),
Firenze (2 giugno) per un incontro di confronto tra tutti gli addetti ai
lavori che si occupano in Italia di calcolare l'Impronta ecologica, Reggio
Emilia (3 giugno), Bologna (4 giugno), Monza e Milano (5 giugno), Mantova,
Verona, Modena (6 giugno) e Teglio Veneto (7 giugno).
Per ulteriori informazioni: www.retelilliput.org (dal 30 aprile).
*
Allo scopo di dimostrare che la diminuzione dell'impatto ambientale e'
possibile, il 5 giugno verra' presentata alla stampa la ristrutturazione di
un vecchio immobile nel centro di Concorezzo (Mi) curata da un ingegnere
lillipuziano con lo scopo di costruire una casa salubre e a basso impatto
sull'ambiente. In esso sono raccolti numerosi esempi di tecnologie
disponibili per il risparmio energetico: pannelli solari termici e
fotovoltaici, cappotto isolante in sughero, caldaia a biomassa, vetri a
bassa dispersione, vernici ecologiche, recupero dell'acqua piovana, sistema
di riscaldamento a basso consumo, vernici e intonaci eco-compatibili: basti
dire che la potenza richiesta per il riscaldamento e' diminuita dell'80%
rispetto ad una casa convenzionale.
Per ulteriori informazioni: Roberto Brambilla (Gruppo di lavoro impronta
ecologica e sociale di Rete Lilliput), tel. 0396908533 cell 3388803715.
*
L'impronta ecologica e' un indicatore molto utile per far cogliere ai
cittadini - in maniera rigorosa, ma facilmente intuibile - la relazione tra
il loro stile di vita e la "quantita' di natura" necessaria per sostenerli.
Il Dashboard of sustainability e' un sistema di visualizzazione che traduce
enormi quantita' di dati relativi all'andamento economico, sociale,
ambientale di una nazione o di una comunita' in elaborati grafici di facile
comprensione per tutti poiche' basati sul linguaggio dei colori. In questo
modo il cittadino puo' tenere sotto controllo piu' di 50 parametri del tipo:
emissioni di Co2, distribuzione del reddito, rapporto tra salari maschili e
femminili, etc. Il Dashboard e' scaricabile da
http://esl.jrc.it/envind/db_it.htm

6. DOCUMENTAZIONE. TERRE DES HOMMES ITALIA: NO ALLA MILITARIZZAZIONE DEGLI
AIUTI UMANITARI IN IRAQ
[Dall'ufficio stampa dell'associazione umanitaria Terre des hommes Italia
(per contatti: ufficiostampa at tdhitaly.org) riceviamo e diffondiamo]
Terre des hommes Italia esprime preoccupazione per l'invio in Iraq di un
contingente militare italiano senza mandato delle Nazioni Unite.
Per assicurare i convogli degli aiuti basterebbe creare dei corridoi di
sicurezza - come previsto dalla Convenzione di Ginevra -, e ripristinare il
ruolo dell'Onu per il coordinamento delle operazioni umanitarie.
L'aiuto umanitario non e' un business militare. Se il soccorso alla
popolazione in difficolta' e' effettuato sotto il controllo militare, gli
aiuti potrebbero facilmente diventare uno strumento di guerra. I volontari
sul campo devono poter operare secondo il principio di neutralita' e nella
piena fiducia della popolazione.
In queste ore un convoglio - organizzato da Terre des hommes, Ics Italia e
Un ponte per -  sta viaggiando verso Baghdad senza scorta militare. Il
camion contiene soluzioni disinfettanti e sterilizzanti ad uso chirurgico,
materiali di consumo per chirurgia di guerra (aghi, anestetici,
antidolorifici, flebo...) e integratori alimentari per bambini.
Nei giorni scorsi altre organizzazioni non governative, perlopiu' europee,
hanno trasportato in Iraq medicine e altro materiale di soccorso, senza
chiedere alcun appoggio alle forze della coalizione.
"Non ci sono giustificazioni per l'invio di ulteriori soldati. Il ministro
degli esteri - confondendo la causa con l'effetto - ha detto che 'per far
fronte all'emergenza che si e' creata in Iraq e' necessaria una presenza
militare'. Questa e' una strumentalizzazione al fine di militarizzare gli
aiuti umanitari", conclude Raffaele K. Salinari, presidente di Terre des
hommes.
Per informazioni: ufficio stampa tel. 0228970418, e-mail:
ufficiostampa at tdhitaly.org, sito: www.tdhitaly.org
Terre des hommes (Tdh) e' un movimento d'aiuto diretto e immediato
all'infanzia in difficolta', senza discriminazioni di ordine politico,
razziale o religioso.
La Fondazione Terre des hommes Italia, creata nel 1994, e' una ong di
cooperazione internazionale allo sviluppo e opera in 15 Paesi. Tdh e'
partner di Echo ed e' accreditata presso l'Unione Europea e l'Onu. E'
inoltre socio fondatore del Comitato Italiano Sostegno a Distanza. Tdh e'
membro della Coalizione italiana "Stop all'uso dei bambini soldato" ed e',
inoltre, impegnato a livello internazionale nella Campagna contro il
traffico dei minori (www.stopchildtrafficking.org) e il turismo sessuale
infantile (www.child-hood.com), nella Campagna sulla prevenzione dell'abuso
e del maltrattamento dell'infanzia e contro le peggiori forme di
sfruttamento del lavoro minorile.

7. DOCUMENTAZIONE. FORUM DEL TERZO SETTORE E ASSOCIAZIONE ONG ITALIANE:
SULL'INTERVENTO UMANITARIO IN IRAQ
[Dall'ufficio stampa del Forum del terzo settore (per contatti:
stampa at forumterzosettore.it) riceviamo e diffondiamo questa dichiarazione
congiunta del Forum del terzo settore e dell'Associazione ong italiane]
A tutt'oggi - dichiarano congiuntamente i portavoce del Forum del Terzo
Settore Edoardo Patriarca e Giampiero Rasimelli e il presidente
dell'Associazione Ong Italiane Sergio Marelli - nonostante le affermazioni
del Presidente del Consiglio e il dibattito parlamentare in corso, con
rammarico prendiamo atto di non essere stati ancora consultati.
Crediamo urgente la progettazione di interventi che realmente raggiungano la
popolazione irachena, e che non mascherino in alcun modo interessi
affaristici nella spartizione delle spoglie dell'Iraq.
E' dovere del governo italiano - come di tutti i governi - mettere a
disposizione le risorse economiche ed umane necessarie alla ricostruzione
dell'Iraq e per garantire la transizione verso uno Stato di diritto libero e
democratico. Cio' non puo' avvenire al di fuori di un coordinamento politico
ed operativo delle Nazioni Unite e delle agenzie internazionali
specializzate e con il coinvolgimento delle Ong e della popolazione locale.
Sulla disponibilita' italiana in mezzi ed uomini che il Ministro degli
esteri Frattini dovra' discutere con Kofi Annan nei prossimi giorni ad
Atene - proseguono Patriarca, Rasimelli e Marelli - esprimiamo alcune
preoccupazioni:
- le Ong abituate a gestire situazioni di post conflitto sanno che gli aiuti
umanitari sotto scorta armata ingenerano diffidenza, paura e spesso reazioni
incontrollabili tra la popolazione locale;
- la copertura finanziaria di questa operazione umanitaria non puo' essere
distolta dalle gia' magre risorse stanziate per la cooperazione
internazionale ne' essere garantita con un ulteriore sforzo dei cittadini
italiani, come ha proposto il Presidente del Consiglio attraverso
l'istituzione di una tassa straordinaria. Il governo italiano ha gia' le
risorse necessarie raccolte attraverso la normale fiscalita' che preferisce
destinare alle spese per la difesa e per gli armamenti anziche' alla
solidarieta' internazionale.
- La professionalita' del personale da impiegare nelle missioni umanitarie
non puo' essere ridotta alla sola esperienza tecnica ma deve comprendere la
capacita' e l'esperienza di saper agire in contesti di post conflitto,
difficili da un punto di vista ambientale e culturale che, nel caso
dell'Iraq, assume addirittura punte di conflittualita'. Questo e' il
criterio che le Ong da sempre utilizzano nella selezione dei propri
volontari impiegati in tali situazioni.
Infine - concludono Patriarca, Rasimelli e Marelli - sottolineiamo come
l'Iraq non sia paragonabile ad un Paese povero: e' tra i piu' grandi
esportatori di petrolio. Il consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha di
recente votato all'unanimita' una risoluzione - la cosiddetta "oil for
food" - che da' facolta' al segretario generale Kofi Annan di utilizzare per
l'acquisto di generi di prima necessita' ed alimentari, le migliaia di
miliardi di dollari vincolati su un conto francese costituito dal 1996 con
le rimesse della vendita del petrolio iracheno. Si dia attuazione a questa
risoluzione e si utilizzino quei soldi che sono del popolo iracheno.

8. APPELLI. COMITATO PER LA BELLEZZA: FERMARE SACCHEGGI E DISTRUZIONI DEI
TESORI D'ARTE IN IRAQ
[Riceviamo e diffondiamo. Per adesioni:
giorgio.santelli at articolo21.liberidi.org]
Aderiamo senza riserve al drammatico appello lanciato, tramite "Articolo
21", dal giornalista curdo iracheno Erfan Rashid dopo il desolante
saccheggio del grande Museo archeologico di Baghdad senza che alcuna forza -
essenzialmente l'esercito americano - intervenisse a fermare quella barbarie
che ha investito persino gli archivi, preziosissimi, sull'antica
Mesopotamia.
Se saccheggi del genere si ripeteranno nei musei e nei siti archeologici
dell'Iraq, andra' per sempre distrutta la memoria vivente di uno dei piu'
straordinari momenti della civilta' planetaria.
Stupisce che nessuna misura preventiva sia stata posta in essere. Persino
nell'ultima guerra mondiale vi furono accordi fra tedeschi e alleati per
evitare bombardamenti e occupazioni militari a intere citta' d'arte (per
esempio Urbino dove erano stati stivati, dopo il 1940, interi musei e tesori
di tutta Italia).
In questo momento bisogna che da un paese di antica civilta' mediterranea
come il nostro - che tanti legami culturali ha con quell'area del mondo - si
levi alta e forte la richiesta di un immediato intervento dell'Onu volto a
preservare, assieme alle vite umane gia' tanto colpite, i siti, le citta', i
musei dell'antichita' in Iraq. Una forza militare assolutamente pacifica, ma
capace di opporsi a saccheggi e distruzioni, che ricomprenda archeologi,
storici dell'arte, specialisti del restauro, ecc. Questo si' che e' un
intervento da predisporre senza indugi di sorta. Pena la devastazione
culturale di un paese importantissimo nella storia del mondo.
A nome del Comitato per la bellezza: Vittorio Emiliani, Luigi Manconi, Vezio
De Lucia, Andrea Emiliani (seguono molte altre firme).
Le adesioni possono essere inviate a:
giorgio.santelli at articolo21.liberidi.org

9. RIFLESSIONE. PIETRO INGRAO: LE PRIGIONI DI CUBA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 16 aprile 2003. Pietro Ingrao e' nato nel
1915 a Lenola (Lt), laureato in giurisprudenza e lettere, partecipa alla
lotta clandestina antifascista e alla Resistenza. Giornalista, direttore de
"L'Unita'" dal 1947 al 1957, dal 1948 deputato del Pci al Parlamento per
varie legislature e tra il 1976 e il 1979 presidente della Camera dei
Deputati. Sono di grande rilievo le sue riflessioni sui movimenti, le
istituzioni, la storia contemporanea e le tendenze globali attuali. Tra le
opere di Pietro Ingrao: Masse e potere, Editori Riuniti, Roma 1977;
Tradizione e progetto, De Donato, Bari 1982; Le cose impossibili, Editori
Riuniti, Roma 1990; Interventi sul campo, Cuen, Napoli 1990; Appuntamenti di
fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995 (con Rossana Rossanda ed altri)]
Le notizie che giungono da Cuba sono allarmanti e non consentono silenzi. Il
3 di aprile si sono svolti in diverse sedi dell'isola processi contro 78
"dissidenti", o - per usare parole piu' secche - oppositori del regime
castrista. Sommando le varie condanne comminate a questi oppositori si
arriva a centinaia e centinaia di anni di carcere. Sono cifre agghiaccianti.
E per questi processi parlare di rito sommario e' un eufemismo un po'
ridicolo. Ne' si puo' ingannare noi stessi: e' impossibile che in questi
veri e propri processi-lampo siano stati garantiti elementari diritti di
difesa, ne' ci si sia stata quella necessaria, elementare prudenza, che pure
e' il sale obbligato, quando si decide sulla liberta' o sulla prigionia
degli individui e dei gruppi. Gli imputati erano oppositori del regime
castrista, anzi - usiamo pure la parola forte - cospiravano contro il
regime? E che altro essi potevano fare visto che a Cuba difettano essenziali
diritti di parola, di organizzazione, di lotta politica pubblica e
riconosciuta? E questo ancora oggi, dopo quarant'anni dai giorni
dell'insurrezione armata e della emergenza rivoluzionaria. E inoltre dove
sta scritto che anche ai cospiratori in manette - quando non sono in
condizioni di nuocere - non si possono, non si debbano concedere elementari
poteri e strumenti di difesa? La giustizia - questa parola cosi' solenne e
alta - ha bisogno come il pane del contraddittorio pubblico e prolungato.
Senza di che l'aula del tribunale diventa una farsa, un inganno feroce.
Ancora all'inizio di aprile - con un intreccio allucinante - si e' tenuto a
Cuba un altro processo, che ha portato alla condanna a morte di tre giovani
che avevano sequestrato un traghetto per raggiungere la costa degli Stati
Uniti. Chi scrive nella sua vita ha imparato ad odiare la condanna a morte -
questo agghiacciante potere di uccidere colui che sta gia' in manette e
stretto dentro le mura di un carcere. Ma quella condanna a morte che si
consuma e si compie quasi in un lampo, e non consente appello e rifiuta
persino un momento di esitazione davanti all'uccidere l'inerme - e' davvero
qualcosa di ripugnante. Ed e' ingannevole: si illude di cancellare con la
mano del boia i problemi politici e umani che non sa risolvere. Si dira':
tutto questo e' necessario a Castro per tutelarsi dai complotti americani.
Io temo invece che cio' aiuti Bush a dire: vedete come e' indispensabile la
superpotenza americana.
Tale e' il quadro amaro. Io non dimentico cio' che dall'insurrezione cubana
e' venuto come speranza e simbolo per un Terzo mondo soffocato
dall'imperialismo, e anche per la difficile lotta della sinistra
anticapitalistica nell'Occidente avanzato. Anche se personalmente io ebbi
dubbi, tanti, davvero tanti - e dall'inizio - in quella seconda meta' del
Novecento ponemmo il ritratto del "Che" sul cassettone di casa, e cantammo
nei cortei quella canzone indimenticabile. E credo di afferrare, di capire
quanto ancora oggi Cuba agisca come speranza: prima di tutto per il
continente centro-americano in cerca di riscatto, e oltre ancora. E ancor
piu' adesso che la superpotenza americana ha proclamato - dinanzi al mondo -
l'avvento dell'era della "guerra preventiva". Ma tanto piu' se la questione
e' ormai questa - e si vede sul campo - non possiamo illuderci di superare
una tale prova con i processi sommari e le fucilazioni fulminanti.
Sento repulsione per quelle nuovissime carceri di Guantanamo, dove non
esiste piu' nemmeno la protezione, il ritrarsi in se' che da' il buio della
cella. Ma come posso contrastare le allucinazioni di Guantanamo se ricorro
alla pena capitale contro dei fuggiaschi riagguantati e ormai con le manette
ai polsi?
La battaglia contro Bush e contro la dottrina della "guerra preventiva"
chiede altre strade: nuove e diverse. E si nutre di pacifismo, non di
carceri e manette persino assurde, e di boia macchiati di sangue.
Un intellettuale, grande amico di Cuba, il nobel Saramago ha dichiarato il
suo dissenso. E' una scelta che chiama al coraggio della verita', e Dio sa
se ce ne vuole dinanzi alle prove aperte nel mondo.

10. INIZIATIVE. AMRA AHMED: DIFFONDENDO LA PAROLA V
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a  disposizione la sua traduzione di questo articolo apparso
sul "Friday Times" (Pakistan) del 3 aprile 2003]
La performance del Giorno-V e' stata organizzata a Islamabad da Amal, una
ong che lavora sui diritti di genere, la salute riproduttiva, l'hiv-aids e
lo sviluppo umano.
"I monologhi della vagina" fu messo in scena dall'autrice Eve Ensler per la
prima volta a New York, oltre 6 anni fa, e da allora e' stato riproposto in
tutto il mondo da attrici vincitrici di Oscar, studentesse nei campus e
organizzazioni di attiviste.
Il Giorno-V, come l'evento e' stato chiamato, e' parte di Mondo-V, un
movimento globale che ha lo scopo di fermare la violenza contro donne e
ragazze. Nel 1997, Eve Ensler si incontro' con un gruppo di femministe e da
quell'incontro prese forma l'idea di tenere dei Giorni-V. La messa in scena
dei Monologhi aiuta a raccogliere fondi per i gruppi locali che lavorano per
fermare ogni tipo di violenza verso le donne ed a destare consapevolezza sui
diritti delle donne. In questi ultimi cinque anni, il lavoro di Ensler ha
contribuito a portare oltre 14 milioni di dollari alle organizzazioni delle
donne. Nei primi mesi di quest'anno ci sono gia' stati 1.052 Giorni-V in
tutto il mondo.
Il Pakistan e' un paese che aveva terribilmente bisogno di un Giorno-V. Solo
nella scorsa settimana, i quotidiani nazionali riportavano la storia di uno
stupro di gruppo su una donna di 50 anni, stupro ordinato da un jirga
(governo di villaggio); la violenza carnale ai danni di una ragazzina di 12
anni, e il brutale assalto ad una sindacalista, che e' stata sfigurata.
Il Giorno-V e' un catalizzatore di fierezza, che ha lo scopo di rompere i
tabu' e di scuotere l'inerzia della comunita' nel combattere la violenza
contro le donne, che include lo stupro, le battiture, l'incesto e le
mutilazioni genitali.
Le otto storie, di volta in volta scioccanti, provocanti, rudi,
sconcertanti, sono state lette da donne dinamiche e coraggiose: Sameeta
Ahmed, artista ed insegnante, aveva i propri lavori esposti come sfondo
della scena; Ayeshah Alam, attrice, produttrice, direttora cinematografica
televisiva, e' molto conosciuta per i suoi seri filmati, in cui ha toccato
il problema dello stupro e della stigmatizzazione sociale delle minoranze;
Nadia Fragiacomo, una consulente italiana allo sviluppo, ha reso la sua
performance in modo cosi' sensibile da toccare il cuore; Samina Pirzada
sembrava davvero commossa durante la lettura, anche lei ha toccato temi
scottanti nei suoi film, come lo stupro maritale; poi c'erano Bilquis
Tahira, scrittrice di racconti, e Nadia Jamil che e' stata la star della
serata, la piu' giovane e la piu' naturale sulla scena. Era del tutto non
inibita dal materiale, ed ha evocato lacrime e risate dal pubblico. Nighat
Rizvi, la produttrice dello spettacolo e co-fondatrice di Amal e' una
formatrice al genere ed ha lavorato per la televisione ed il teatro. E'
stata lo spirito animatore del Giorno-V. Eve Ensler, l'autrice di questi
testi importanti, ha dato inizio ad un incredibile movimento ragionando
sulle sue personali esperienze con la violenza. Ensler stessa ha letto il
passaggio finale sulla nascita, disegnando una stupefacente conclusione
sull'essere donna e sull'essenza della vita e della maternita'.
I Giorni-V sono stati inclusi fra i cento migliori modi di raccogliere fondi
per l'attivismo nel mondo, avendo raccolto oltre 7 milioni di dollari solo
nel 2002. Sono stati ospitati in luoghi distanti e diversi, come il Teatro
Nazionale in Guatemala, la Royal Albert Hall a Londra, le Folies Bergeres a
Parigi, l'Appolo Theatre ad Harlem e l'Help Institute a Selangor, Malaysia.
Eve Ensler dice: "Mondo-V e' uno stato mentale. E' un posto che tu non
potrai mai toccare in me, non importa quante volte mi hai picchiato la testa
nel muro o hai frustato le mie gambe. Mondo-V e' il giardino in cui la
ragazze scomparse riappaiono, con le loro madri ed i loro padri che le
stavano aspettando. Mondo-V e' il centro in noi.  E' il desiderio ed il
ricordo. Mondo-V e' il profumo che senti quando sai di poter andare, quando
non ti aspetti di essere picchiata, quando se sudi e' per il sole, e non per
la preoccupazione. Mondo-V e' il raccontare le storie di donne reali in
tutto il mondo. Parla di noi, parla di me e, forse, parla di te".

11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

12. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
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Numero 569 del 17 aprile 2003