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La nonviolenza e' in cammino. 569
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 569
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 17 Apr 2003 15:45:18 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 569 del 17 aprile 2003 Sommario di questo numero: 1. Mary Ann Maggiore: la storia delle donne, lavoro di pace 2. Enrico Peyretti: che fare ora? 3. Maria G. Di Rienzo: un profilo di Barbara Deming 4. Erica Pedone: dallo sfruttamento all'istruzione 5. Rete Lilliput: settimana dell'impronta ecologica e sociale 6. Terre des hommes Italia: no alla militarizzazione degli aiuti umanitari in Iraq 7. Forum del terzo settore e Associazione ong italiane; sull'intervento umanitario in Iraq 8. Comitato per la bellezza: fermare saccheggi e distruzioni dei tesori d'arte in Iraq 9. Pietro Ingrao: le prigioni di Cuba 10. Amra Ahmed: diffondendo la parola V 11. La "Carta" del Movimento Nonviolento 12. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. MARY ANN MAGGIORE: LA STORIA DELLE DONNE, LAVORO DI PACE [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione la sua traduzione di questo discorso di Mary Ann Maggiore tenuto il 24 marzo 2003 in occasione della celebrazione della storia delle donne, alla Dominican University, San Rafael, California, su "Lavoro di pace/lavoro di costruzione: la storia della pace delle donne". Mary Ann Maggiore, attivista pacifista, gia' editorialista del "Philadelphia Inquirer", e' docente di Storia a Marin County, California (per contatti: maggiore at infoasis.com)] Io faccio lavoro di pace. Organizzo gruppi contro la guerra. Mia nonna faceva un differente lavoro di costruzione. Cuciva bottoni in una fabbrica. Un penny a bottone, 1.200 bottoni alla settimana, fa dodici dollari. Manteneva con questo una famiglia di quattro persone. Era un'orgogliosa delegata del sindacato tessile. Poiche' lei ha fatto cio' che ha fatto, io ho il privilegio oggi di fare cio' che faccio. Vedo con chiarezza di stare sulle spalle delle donne, inclusa mia nonna, che sono venute prima di me. Stasera voglio salutare alcune di esse. * In primo luogo voglio gridare un saluto a Eva, la madre di molti. Dicono che abbia confuso le cose, ma io dico che lei le ha rese piu' chiare. E io sto dalla sua parte. Preferisco soffrire partorendo e avere la mia libera volonta', piuttosto che nessun dolore e un paradiso drogato governato da due uomini che controllano tutto. E voglio mandare un biglietto d'amore a Giuditta per aver affrontato Oloferne e a Maria Maddalena, a cui non e' importato un fico secco di cio' che gli apostoli pensavano sul ministero delle donne. E' andata e ha predicato. Voglio cantare le lodi di Giuliana di Norwich e di Ildegarda di Bingen, che hanno mantenuto libero il pensiero e la preghiera delle donne e hanno avuto cura delle istanze care alle donne nel Medioevo. Vorrei ringraziare Ann Hutchinson per essere stata una tal rompiscatole nella colonia del Massachusetts che hanno dovuto buttarla fuori, e lei ha dovuto fondare Rhode Island per farsi strada nella vita. Vorrei ringraziare Mary Fell e Lucretia Mott e tutte le altre donne quacchere che hanno detto "la guerra e' sbagliata, il razzismo e' sbagliato, e la coscienza e' sacra". Sojourner Truth e Mary McLeod mi precedono: la loro luce fulgida mi ricorda che i marginalizzati, i criminalizzati, gli spossessati, i disperati, i poveri hanno molto piu' da dirmi di chi mi propone avidita' e ricchezze. Vorrei ringraziare Jane Addams per l'indomabile energia che ha messo a favore della pace. Vorrei ringraziare Jeanette Rankin che precedentemente alla prima guerra mondiale era l'unica donna presente al Congresso e che, come Barbara Lee, fu l'unica persona del Congresso ad opporsi al massacro di milioni di individui in guerra. Vorrei ringraziare Barbara Lee. Vorrei ringraziare Emma Goldman, uccisa da uno sparo alla testa come punizione per tutto cio' che aveva detto su come la guerra arricchisce i ricchi e rende i poveri maggiormente schiavi. Vorrei ringraziare Alice Paul, Emmeline Pankhurst e Doris Stevens, imprigionate e torturate perche' io un giorno potessi votare. Ringrazio Artemisia Gentileschi, Mary Cassatt, Frida Kahlo, Helen Frankenthaler, Judy Chicago, Barbara Cosentino e Shareen Nishat che hanno fatto in modo che l'arte parlasse alle donne e delle donne. Ringrazio Victoria Woodhull, Eleanor Roosevelt e il collettivo lesbico di Filadelfia che mi hanno insegnato che la sessualita' ha molte varianti, e che la mia sessualita' e' mia. Appartiene a me e nessun altro. Ringrazio Betty Friedan per avermi aiutata a capire che le donne hanno un problema, e che questo problema ha un nome, e che il nome e' "sessismo". Vorrei ringraziare Gloria Steinem e Ruth Rosen ed Eleanor Smeal e tutte quelle donne bianche che hanno fatto un gran rumore, al punto da farmi capire che lo stupro e' sbagliato, che non e' colpa mia, che il potere e' mio e lo merito e che la gente puo' ridere quanto vuole. Ignorateli. Tenete insieme il vostro gruppo di affinita' e andate avanti. Voi trionferete. Vorrei ringraziare tutte quelle donne di colore e nere e le mie sorelle in Asia, sulle isole e nelle foreste. Includo nei ringraziamenti Angela Davis, Sandra Cisneros, Gloria Richardson e le coraggiose donne di Rawa che non si sono mai arrese, neppure per un attimo, neppure per un minuto. Offro la mia gratitudine ad Arundhati Roy dell'India e a Rigoberta Menchu' del Guatemala, che hanno contrastato i dominatori con la verita' e senza timore. Vorrei ringraziare le donne della Nigeria per aver arrestato la distruzione che le compagnie petrolifere operano nel loro paese. Grazie, Delores Huerta del sindacato dei contadini e Wilma Mankiller del movimento dei nativi americani. Il mio cuore ha anche un posto speciale per Coretta Scott King e Merlie Evars. Tutte queste donne: picchiate, arrestate, prese in giro, coperte di malignita', spesso a rischio di essere uccise, le loro case mandate a fuoco, i loro uomini assassinati o rovinati, tutte queste donne sono andate avanti, e avanti, e avanti. Vorrei offrire un ringraziamento speciale alle donne ebree che lottano per la liberta' e la giustizia assieme alle loro sorelle palestinesi. E un grazie speciale va a Rachel Corrie, 23 anni, dell'International Solidarity Movement, che e' morta la settimana scorsa, mentre tentava di difendere una famiglia palestinese da un bulldozer dell'esercito israeliano. Il guidatore del bulldozer e' andato avanti e indietro sul suo corpo, spezzandola. Dichiaro la mia gratitudine per tutte le donne che fronteggiano quotidianamente aggressioni, incluse le Donne in nero e tutte le favolose donne di "Not in Our Name" e di "International Answer" che hanno organizzato le recenti fortissime e riuscitissime marce per la pace. Ringrazio quelle che mi sono particolarmente care, Donna Sheehan e le "Unreasonable Women Baring Witness" del West Marin: esse hanno formato con i loro corpi messaggi di pace ed hanno dato inizio ad un movimento che ha eco in tutto il mondo: in tutto il mondo donne ed uomini formano con i loro corpi simboli di solidarieta', a Hiroshima, in Australia, a Londra, a Milano, nella regione antartica. Ringrazio ogni donna che si e' dedicata alle cause care alle donne: le istanze dei bambini, dell'istruzione, del welfare, dei diritti dei lavoratori, dei diritti civili, dei diritti riproduttivi. Non c'e' muro abbastanza alto o giorno abbastanza lungo per registrare la loro magnificenza, i loro sacrifici, il loro senso del dovere e il loro onore: hanno fatto della storia qualcosa di piu' che il compendio delle guerre e della tecnologia delle armi. Hanno dato voce ad ogni infante, ad ogni albero, ad ogni fiume, ad ogni cuore in pericolo di essere ferito. Il mio ringraziamento all'impegno di Amy Goodman e Stephanie Henricks e Vernon Avery Brown della Kpfa Radio, ad Ann Fagin Ginger della "Civil Liberties Library", alle donne anarchiche, alle studiose Angana Chatterjee, Arlie Hochschild ed Hannah Arendt che ci hanno mostrato le facce dell'ingiustizia e che continuano ad indicarci strade per sconfiggerla. Ringrazio la ragazza di 14 anni che deve aver confezionato i vestiti che io indosso stasera, e tutte le lavoratrici che non vediamo mai, ma che hanno faticato per creare questi vestiti, per ricevere un dollaro e quindici centesimi e vivere in una baracca, le donne che non avranno mai una porzione dei miliardi che l'industria dell'abbigliamento guadagna sul loro lavoro e sulle loro sofferenze. Io vedo queste ragazze e le ascolto. Do' voce alla loro storia e lotto per la loro vittoria. * E voglio anche un'altra vittoria per la gioventu'. Non una vittoria di fucili e bombe "intelligenti", ma la vittoria della compassione, del cibo sano e dell'acqua pulita, del gioco, delle risa e della delizia. Chiedo la fine delle ingiustizie nelle vite dei bambini minacciati dalla guerra. Il 50% del popolo iracheno ha meno di 15 anni. Quando le nostra violenza cerca di distruggere questa nazione, sono questi giovani che vengono distrutti. Io piango per la loro sofferenza perche' come donna, e come madre, ogni bambino, in ogni citta' o villaggio, e' storicamente mio. * La storia delle donne e' mia madre, ed e' vostra madre. Mia sorella e vostra sorella. La storia delle donne sono donne di lontani paesi che trovate nei libri, ed ogni voce di coraggio che sentite nel vento. La storia delle donne sono tutte le storie di magia, di rigenerazione, di creativita'. La storia delle donne e' mia nonna, ed il suo lavoro di costruzione. E' il lavoro di vostra nonna nei campi di qualcun altro o nel ristorante di qualcun altro. La storia delle donne e' storia di cameriere ed ereditiere, di scienziate e lavoratrici del sesso. Tutte queste donne sono in voi. Tutte queste donne sono in me. Proprio come Rosa Parks e' in me e voi siete in me. Ora io sono nella vostra storia, e voi nella mia. Noi portiamo dentro tutto questo, tutto questo movimento, questa lotta, questo trionfo, questa celebrazione. La storia delle donne e' dentro ciascuna di noi. * Siamo tutte testamenti del passato. Siamo tutte potenziali avvocate del futuro. Non aspettate. Arrampicatevi e guardate avanti. Non esitate a darvi voce. Non pensate solo a voi stesse ed alla vostra vita: pensate a tutte le vite dentro di voi, di coloro che sono morte e di coloro che nasceranno. Le donne del passato vi hanno donato la liberta'. Prendetela ed allargatela ad ogni persona. Questo dono e' vostro ed avete il diritto di reclamare il passato e di usarlo. Percio', la prossima volta in cui qualcuno vi chiede: "Cos'e' la storia delle donne?", rispondete: "Io sono la storia delle donne". E credetelo. 2. EDITORIALE. ENRICO PEYRETTI: CHE FARE ORA? [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti at tiscalinet.it) per questo intervento. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999. E' diffusa attraverso la rete telematica (ed abbiamo recentemente ripresentato in questo notiziario) la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente] Dopo il caos di Baghdad e le minacce all'Iraq, che fare? Propongo qualcosa alla ricerca che il movimento organizzato deve fare: - boicottaggio: ripetere in rete l'elenco dei prodotti Usa, farne copie e volantini da diffondere dappertutto, nei modi giusti e opportuni. Non solo dire "non comprare questo", ma "compra altro" se proprio ti e' necessario; - manifestazioni: periodiche, ritmiche: ogni due mesi una nazionale, nel mese di mezzo simultanea in tutti i capoluoghi di provincia. Oppure: nazionale nel mese A; nel mese B macroregionali (nord, centro, sud, isole); nel mese C provinciali; nel mese D nuovamente nazionale. Ogni mese quindi una o mille manifestazioni. Cosi' hanno vinto senza violenza nel 1989 nell'Europa orientale, arrivando a manifestare ogni giorno. Manifestare con parole d'ordine concordate nei comitati anti-guerra, con solo bandiere di pace, non simboli di partito. Questa compattezza da' forza evidente; - contro il rischio di infiltrati e provocatori: i manifestanti pacifici portino sul petto la fotocopia ingandita della propria carta d'identita'; tutti con macchina fotografica, pronti a documentare sia atti violenti per isolarli e identificarli sul nascere, sia abusi delle forze dell'ordine; - tenere presidi regolari nelle citta', stesso giorno stessa ora, come le ore di silenzio in piazza, oppure marce silenziose, col solo segno delle bandiere della pace, almeno settimanali, in fila indiana (anche le biciclettate) per non ostruire le strade, comunicando a tutti che la pace vigila continuamente, non e' sconfitta. Essere costanti organizzandosi anche nell'estate, stagione delle fregature; - bandiere: magari dopo averle lavate e stirate, tenerle esposte e aumentarle (incoraggiare chi le ha gia' esposte e chi non ancora), fino a quando? Non alla fine del mondo (che speriamo non cosi' vicina come la minacciano), ma fino a quando non sara' interrotta la serie di guerre imperiali programmate. Se ci sara' un segno positivo, le ritireremo tutti insieme, pronti a rimetterle. Saranno il segno permanente del movimento, la "manifestazione" continua giorno-notte, la "marcia dei balconi"; - ma l'azione piu' importante di tutte e' l'informazione veritiera, lo smascheramento della potente operazione calcolata che fa apparire liberazione la conquista, beneficenza il dominio, democrazia l'occupazione delle terre del petrolio e di importanza strategica, che chiama giustizia l'ilegalita', liberta' il calpestare la legge, uccidendo e distruggendo. Fogli e foglietti, non di improperi ma di documenti, anche in piccole dosi di mezza pagina, chiari, sintetizzati, spiegati con parole semplici. Lettere ai giornali, brevi, precise su un punto solo dei tanti possibili. Telefonate alle trasmissioni radio e tv. Tv di strada, che stanno per nascere. Tra i documenti da far conoscere il Project for New American Century (in traduzione avanzata: traduttoriperlapace at yahoogrpups.com), che e' la premeditazione scritta di cio' che avviene; - in tutto, garantire la qualita' nonviolenta attiva, che e' forza vera, l'opposto della violenza, quindi l'opposto della guerra; - studiare le esperienze storiche di azioni nonviolente, imparare le tecniche e soprattutto lo spirito di qualita', organizzazione, disciplina, indispensabili per avere forza e efficacia; - tallonare i partiti, perche' adottino senza nuovi tentennamenti il criterio della pace, della soluzione pacifica, razionale, giusta, dei conflitti, come criterio che distingue la politica umana dalla delinquenza politica; - scrivere, anche in italiano (meglio in inglese) a persone, gruppi (ci sono indirizzi), giornali negli Stati Uniti, per riconoscere e sostenere il movimento pacifico interno agli Usa, che c'e', considerevole, e ha bisogno di crescere con la nostra solidarieta', e vuole ristabilire la legalita'; - fare incontri di scambio, informazione, dialogo culturale e religioso con le associazioni di immigrati musulmani per sventare l'effetto (non troppo collaterale) della guerra che e' l'odio, opposizione e scontro di civilta'. Costruire relazioni e amicizie personali e associative per trasmettere al mondo arabo che l'Occidente non e' tutto bellicoso come certi suoi governi. Chi legge queste righe precisi, completi, aggiunga, faccia circolare. L'importante e' agire, con lo spirito giusto e i mezzi giusti, senza sotterfugi ma sempre comunicando prima le azioni, che non sono clandestine, ma totalmente civili, perche' sono di pace. E con decisioni comuni, in unita'. "Le azioni non valgono tanto per la loro efficacia immediata, quanto per la loro fecondita'" (Maurice Merleau-Ponty). Se esigiamo la pace, dobbiamo cominciare dalla sobrieta' personale: semplificare la vita, ridurre sprechi, consumi, perdite di tempo, e invece impegnarsi. 3. TESTIMONIANZE. MARIA G. DI RIENZO: UN PROFILO DI BARBARA DEMING [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza] 1917: Barbara Deming nasce a New York. Anni '40: lavora per la Library of Congress. Scrive recensioni cinematografiche e racconti. Anni '50: scrive poesie. Comincia lo studio di Gandhi. 1960: visita Cuba e incontra Fidel Castro. Si unisce al Cna (Comitato per l'Azione Nonviolenta) e partecipa a dimostrazioni. 1961: partecipa alla marcia per la pace S. Francisco-Mosca; tiene conferenze in Europa per conto della International Peace Brigade; si unisce al digiuno per l'abolizione della Cia. 1962: primo arresto a New York durante una manifestazione contro i test nucleari. Chiede pubblicamente il disarmo unilaterale. Partecipa alla marcia della pace del sud (Nashville-Washington) contro il razzismo. 1963: arrestata durante una protesta antirazzista e durante una marcia per la pace e la liberta'. 1964: arrestata durante la marcia per la pace e la liberta' Quebec-Guantanamo viene detenuta ad Albany, Georgia. Scrive "Prison Notes" (Appunti dalla prigione). 1965-1967: viaggia nel Vietnam del nord e del sud per protestare contro la guerra. Di nuovo imprigionata per aver partecipato ad un'azione di protesta davanti al Pentagono. Scrive "We Are All Part of One Another" (Siamo tutti parte di ogni altro). 1968-1970: numerose azioni dirette nonviolente con vari gruppi. 1971-1972: e'' sempre piu' coinvolta nel movimento delle donne. Scrive "On Anger" (Sulla rabbia). 1973: si dichiara pubblicamente lesbica. 1974: discussione con l'attivista Bradford Lyttle sull'omosessualita' che diventera' il testo "The Purpose of Sexuality" (Lo scopo della sessualita'). 1975-1977: tiene conferenze sulla connessione fra femminismo e nonviolenza. Scrive "Remembering Who We Are" (Ricordando chi siamo). Anni '80: vive in comunita' femminili. 1983: arrestata per l'ultima volta durante il "Campo delle donne di Seneca Falls per un futuro di pace e giustizia", una protesta femminista contro l'arrivo dei missili Cruise in loco. Sostiene pubblicamente le donne di Greenham Common. 1984: muore di cancro alle ovaie in Florida. * "Le azioni nonviolente non hanno lo scopo di far diventare gentili gli altri, ma di forzarli a consultare la propria coscienza. Non e' la vendetta il punto, il punto e' il cambiamento. Il problema e' nelle menti della maggior parte delle persone, il pensiero della vittoria e della punizione del nemico coincidono" (Barbara Deming). La lotta di Barbara per l'amore, l'accettazione, la forza spirituale e la possibilita' di fare il proprio lavoro in una societa' che spesso implicava come lei non fosse degna di queste cose, la sua tenacia contro ogni difficolta', sono davvero esemplari. I suoi convincimenti femministi e nonviolenti, tradotti in parole ed azioni, furono il fondamento della sua esistenza ed i suoi saggi suonano molto moderni al nostro orecchio. Barbara fu una "visionaria pragmatica", una donna capace di ampio sguardo: vedeva la comunita' umana non come un gruppo di individui atomizzati ma come qualcosa di intimamente unito e furono le sue tecniche di inclusione a rendere le azioni dirette nonviolente a cui partecipava cosi' efficaci. "Piu' a lungo ci ascoltiamo l'un l'altro con attenzione, maggior comunanza troviamo nelle nostre vite. Sempre che si sia cosi' attenti da scambiarci le storie delle nostre vite, e non semplicemente delle opinioni". Poiche' fu un'attivista politica durante gli anni '60, Barbara avrebbe trovato immensamente piu' semplice scivolare nel modulo "noi contro di loro", una mentalita' che all'epoca era prevalente. Trovare un nemico da biasimare per i nostri problemi, e desiderare la sua cancellazione in quanto "altro", e' molto facile: Barbara scrisse, in "We are all part of one another", che questo e' anche il modo per distanziarci da noi stessi. "Noi non apparteniamo ad un altro, ma le nostre vite sono connesse. Apparteniamo ad un cerchio di altri". Questo convincimento non si limitava alle persone che lei poteva considerare amiche o alleate nelle lotte nonviolente, e Barbara esercito' il potere della compassione persino con i suoi carcerieri. Ella riconosceva il potere negli individui (la parola individuo significa "indivisibile") che si riunivano in comunita' (l'indiviso non separato dalla cultura) e fu molto abile nel creare nei gruppi legami di appartenenza e condivisione. La sua tecnica di protesta fu sempre la resistenza. Rendere difficile il lavoro agli oppressori era il modo di Barbara di rendersi visibile ad essi e di mostrare loro nel contempo la comune umanita': mostrandosi come inseparabile dalla propria cultura, parte del cerchio degli individui di cui anche l'oppressore fa parte, Barbara costringeva i suoi oppositori a confrontarsi con le somiglianze che potevano scorgere fra lei e se stessi ad un livello piu' profondo dello sguardo superficiale relativo al fronteggiamento. Nel suo saggio del 1971 "On Anger", Barbara riconosce il dualismo come fondamento dell'oppressione. "La gente di colore ha forse fatto meglio, a questo proposito, delle donne: essi hanno riconosciuto congiuntamente la loro oppressione, che era piu' ovvia, e congiuntamente hanno riconosciuto di avere altri se' rispetto a quelli presentati ad essi dai loro dominatori. Le donne hanno dovuto, per la maggior parte, cercare di tener vivo il loro orgoglio in isolamento l'una dall'altra. Ed hanno troppo spesso nascosto la loro rabbia anche a loro stesse". L'istanza dei diritti civili, almeno in superficie, uni' neri di ogni genere e classe. Il femminismo ha avuto tempi piu' duri al riguardo. Barbara fu incarcerata durante la marcia per la pace e la liberta' Quebec-Washington-Guantanamo, che protestava contro le azioni statunitensi a Cuba. Il gruppo fu arrestato per aver "tenuto una parata senza autorizzazione". Barbara, tramite la noncooperazione, rese difficile alle autorita' carcerarie ignorare la sua umanita' o meglio, l'umanita' che esse condividevano con lei. Non lascio' che le guardie carcerarie si sostituissero alla sua volonta': "Nessuno ha bisogno di stampare in un manuale per le guardie che il prigioniero deve essere spazzato via dall'esistenza per il bene della societa': questo principio magico si afferra per istinto". Le azioni a cui partecipava con il Comitato per l'Azione Nonviolenta le diedero il senso che un individuo poteva agire ed avere peso, oltre ad esaltare la straordinaria spontaneita' con cui Barbara riusciva a creare "comunita' amanti" fra gli attivisti, che combinavano la forza dell'individuo con quella del gruppo, facendo coesistere liberta' e responsabilita'. "L'unica scelta che ci rende capaci di mantenere la nostra visione e di non spaventarci sino a desiderare di ritirarci, e' l'abbandono del concetto del nominare i nemici, e l'adozione di un concetto familiare alla tradizione nonviolenta: nominare i comportamenti che sono oppressivi, nominare l'abuso di potere, che e' detenuto ingiustamente e va distrutto, ma non nominare una sola persona con il desiderio di distruggerla". La disobbedienza civile fu il modo in cui Barbara esercito' il proprio potere nei confronti dello stato. Spesso i diritti individuali, che dovrebbero garantire protezione, possono essere usati contro le stesse persone che dovrebbero essere protette (la restrizione degli spazi d'azione e della liberta' di scelta in nome della sicurezza) E dando questo potere all'autorita', noi spesso vittimizziamo noi stessi. Le politiche strettamente identitarie possono condurci allo stesso punto. Per poter agire efficacemente, Barbara doveva agire unitamente ad altri, ma sapeva che le categorie identitarie cadevano con facilita' nel dualismo e nell'opposizione binaria "noi/loro", e percio' il legame doveva essere costruito su altri fondamenti. Nel maggio 1963, Barbara fu portata in prigione a Birmingham, nell'Alabama, per essersi unita ad un gruppo di dimostranti di colore che stavano raccogliendo firme "senza autorizzazione", per ottenere il diritto collettivo ad essere trattati come gli esseri umani che erano. Durante le marce in cui si univa alla gente di colore contro il razzismo, questo era il suo intervento: "Sto protestando perche' esiste una classificazione che parla di cittadini di seconda classe, e sto protestando in mio nome. Non lo faccio per altruismo. Lo faccio perche' nella mia anima c'e' una qualche conoscenza di cosa significa essere nera". In quegli anni Barbara capi' come essere una donna fosse essere comunque una cittadina di seconda classe. Piu' tardi, il dichiararsi lesbica le insegno' che si poteva ulteriormente "scendere" nella scala sociale. "Tutte le oppressioni prendono l'avvio dal sistema sessuale di classi, che e' il modello per ogni altro sistema oppressivo, e finche' non resistiamo e ci opponiamo a questo, non avremo successo nell'eliminare davvero gli altri". Ella riconobbe che andare alla radice del problema era piu' efficace che tentare di potarne le cime: la questione non era la sua sofferenza personale, non era la sofferenza dei neri, e non era neppure dare degli ignoranti o degli assassini ai leader politici degli Usa, la questione concerneva l'umanita' di ciascuna e ciascuno di noi. Le teorie femministe dell'epoca apparivano a volte molto astratte, nell'affermare un'universalita' della solidarieta' tra donne: nella sua "Lettera al Wisp (Women Strike for Peace, ovvero Donne in sciopero per la pace)", dell'aprile 1963, Barbara sostiene che la verita' delle donne sta nel "qui ed ora" della loro esistenza quotidiana, culturalmente resa triviale. Ella suggerisce di non distogliere gli occhi dalle verita' che scopriamo in noi stesse, dalle loro implicazioni radicali: "Scava a fondo per la verita' e quando l'hai trovata, assieme al coraggio di dare ad essa riconoscimento, allora agisci in suo nome. La funzione della storia e' il registrare queste verita'". Barbara sostenne le donne del Wisp quando esse incapparono nella repressione del Comitato federale sulle attivita' antiamericane. Durante le udienze, il presidente Doyle apriva le sessioni con frasi che riflettevano esattamente il dominio patriarcale che Barbara aveva cominciato a sfidare. "Le donne parlavano delle cose di cui avevano fatto esperienza diretta, come la loro preoccupazione per i bambini, ed il comitato parlava da una grande distanza, con certe frasi portentose che tacciavano le donne di 'un eccessivo desiderio di pace', il quale implicava 'adeguata preparazione difensiva' e 'minava la forza nazionale' servendo 'i piani aggressivi del comunismo mondiale'. Il comitato diceva queste cose come se esse fossero realta' immutabili. Non si erano accorti che la rapidita' dei mutamenti nel mondo prosciugava quelle parole da tutti i loro significati primari". Da questo momento, la riflessione sul linguaggio assunse un grande peso negli scritti di Barbara. Il suo uso del linguaggio divenne un importante preludio all'azione; ella cercava un nuovo vocabolario nonviolento, che potesse rendere maggiormente comprensibile l'azione diretta a chi la guardava da fuori, un vocabolario che avrebbe reso descrivibile chiaramente la visione di una societa' nonviolenta. Nel 1971, Barbara subi' gravi ferite in un incidente automobilistico. Impedita a viaggiare dalla propria condizione fisica, si dedico' all'attivismo scritto: nelle lettere aperte, scritte durante gli anni successivi, l'analisi politica e personale di Barbara raggiunge un'acutezza abbagliante, disegnando un'intera filosofia femminista della nonviolenza. "Gandhi una volta dichiaro' che era stata sua moglie ad insegnargli involontariamente l'efficacia della nonviolenza. Chi meglio di una donna sa che le lotte possono essere vinte senza imporre forza fisica? Chi meglio di noi conosce il potere che risiede nella non-cooperazione?". Il modo in cui questi scritti attraversano barriere di socializzazione, addestramenti ed abitudini e' sorprendentemente attuale. Barbara ha ora coscienza di quanto della sua esperienza e delle sue emozioni, come donna e come lesbica, sia stato tenuto da parte o riconosciuto ed espresso solo in analogia con la lotta contro il razzismo. Comincia a chiedere ai suoi compagni nella lotta contro la guerra di rigettare la trivializzazione delle donne e delle esperienze personali. Attraverso il femminismo, ella sostiene, possiamo tutte e tutti osare dar credito e valore a cio' che vediamo con i nostri occhi. La sessualita', ad esempio, e' percepita come qualcosa di molto piu' ampio della ricerca di piacere: "La nostra sessualita' ci e' data in modo che noi si entri in comunione con qualcun altro. Rompe il nostro singolo se'. Senza sessualita', saremmo terribilmente isolati all'interno della nostra individualita'. Non potremmo far esperienza della comunita', non potremmo far esperienza nella nostra carne della verita' che noi siamo, tutti noi, membri di un cerchio di altri". La nostra sessualita', sosteneva Barbara, e' danneggiata dal tentativo di separarla in comportamenti preordinati come "maschili" e "femminili", e questa bugia ha indebolito le possibilita' di comunione: "Se la societa' non tentasse di farci tutti eterosessuali, e se il patriarcato fosse scomparso, la mia opinione e' che noi troveremmo completamente naturale essere attratti dal nostro stesso sesso". Barbara pensava che il capitalismo avesse parte nel costruire le costrizioni di genere: la proprieta' privata della terra, attraverso la quale gli uomini considerano il suolo e le donne dei semplici mezzi per la propria riproducibilita', era il fulcro di questo suo convincimento. Se nessuna persona potesse "possedere" la terra, nessuno avrebbe il diritto di inquinarla perche' di sua proprieta'. Gli uomini, secondo Barbara, non avevano ancora tentato di diventare del tutto umani, ma di deificare se stessi. Cio' aveva costretto le donne, subordinate agli uomini, a cercare giustizia attraverso le autorita', in un sistema che non garantiva ad esse un'equita' di giudizio. Barbara giunse alla convinzione che, se il mezzo per interpretare una cultura e' il linguaggio, cambiare quest'ultimo era lo strumento piu' efficace per vedere un cambiamento nella societa': se riconosciamo che i diritti, la proprieta', il denaro ed il sistema legale esistono come testi, mutare la natura generale del linguaggio esporrebbe le contraddizioni interne ad ognuno di questi sistemi. Lo spostamento del paradigma di lettura farebbe molto di piu' che aggiungere le donne all'ordine esistente, molto di piu' di una presa d'atto sull'esistenza di un ordine maschile e di un ordine femminile, ma ci costringerebbe a farci domande ben differenti da quelle usuali. Ci condurrebbe a quella visione del mondo per cui Barbara lotto' cosi' appassionatamente. "Nessun essere umano dovrebbe essere pensato come altro da noi. La forma di lotta per arrivare a questo e' ancora largamente da inventare, ma esiste: e' la lotta nonviolenta. Non si puo' provare alle persone la nostra comune natura umana usando violenza contro di esse". "Noi donne apparteniamo alla storia, anche noi. Voi uomini ci avete rubato da noi stesse. Noi non esistiamo perche' il vostro orgoglio possa nutrirsi di noi. Noi siamo cio' che siamo". * Scritti di Barbara Deming utilizzati per questo testo: - We Are All Part of One Another, Ed. Jane Meyerding, Philadelphia New Society, 1984. - Running Away from Myself: A dream portrait of America drawn from the films of the forties. New York, Grossman, 1969. - Prison Notes, New York, Grossman, 1966. 4. INIZIATIVE. ERICA PEDONE: DALLO SFRUTTAMENTO ALL'ISTRUZIONE [Dall'ufficio stampa dell'associazione umanitaria Mani Tese (per contatti: ufficiostampa at manitese.it) riceviamo e diffondiamo] 16 aprile 2003: Iqbal Masih e' stato ucciso otto anni fa, all'eta' di 12 anni. Iqbal si era ribellato alla schiavitu' ed e' diventato il simbolo della lotta allo sfruttamento dell'infanzia, una piaga che la comunita' internazionale non puo' piu' accettare. Il triste e inaccettabile fenomeno deve essere combattuto perche' non ci puo' essere pace nel mondo se non vi e' giustizia. Per affrontare il problema il primo passo fondamentale da compiere e' verso l'istruzione. Nel 2000, la comunita' internazionale riunitasi a Dakar nel World Education Forum si e' impegnata a garantire l'accesso all'istruzione universale entro il 2015 e il superamento delle discriminazioni di genere nell'accesso all'istruzione entro il 2005. Per garantire istruzione universale sarebbe necessaria una spesa pari a 10 miliardi di dollari l'anno, ma siamo ancora lontani dal raggiungimento di questo obiettivo: infatti, solo di 0,4 miliardi di dollari e' il valore degli aiuti che gli Stati dell'Unione Europea attualmente destinano all'istruzione di base, e di soli 0,2 miliardi di dollari il valore degli aiuti degli Stati Uniti (fonte: Reality of Aid 2002). Mancano solo due anni al 2005, e almeno 70 milioni di bambine non vanno a scuola! Degli 860 milioni di adulti analfabeti, i due terzi sono donne. Solo un Paese su cinque in Africa e in Asia Meridionale, e tre Paesi su cinque in America Latina, ha raggiunto l'obiettivo per l'istruzione elementare. * Basterebbero pochi ma mirati provvedimenti per favorire l'accesso all'istruzione delle bambine: - Aumentare gli investimenti a livello nazionale e nella cooperazione internazionale da destinarsi all'istruzione; - Garantire l'istruzione primaria gratuita, fornendo libri di testo, uniformi scolastiche, pasti; - Migliorare la qualita' delle strutture e dei servizi scolastici, adeguando gli edifici e promuovendo la formazione e l'impiego di insegnanti donne; - Elaborare e realizzare progetti mirati a garantire una condizione economica dignitosa per le famiglie, che permetta loro di mandare le bambine a scuola, sensibilizzando i genitori sull'importanza e sui benefici dell'istruzione. Il 17 maggio 2003 Mani Tese chiede a tutti i cittadini italiani di partecipare alle iniziative di piazza che coinvolgeranno i cittadini, le associazioni, i bambini, gli alunni delle scuole e gli enti locali nella campagna "Dallo sfruttamento all'istruzione". Per ulteriori dati e informazioni: ufficio stampa Mani Tese, Erica Pedone, tel. 024075165 - 3389960030, sito: www.manitese.it, e-mail: ufficiostampa at manitese.it 5. INIZIATIVE. RETE LILLIPUT: SETTIMANA DELL'IMPRONTA ECOLOGICA E SOCIALE [Dall'ufficio stampa della Rete Lilliput (per contatti: tel. 3396675294, e-mail: ufficiostampa at retelilliput.org) riceviamo e diffondiamo] Rete Lilliput lancia la settimana dell'Impronta ecologica e sociale. Dal 31 maggio all'8 giugno in tutta Italia. In occasione della giornata mondiale per l'ambiente del 5 giugno, Rete Lilliput - dal 31 maggio all'8 giugno - lancia la seconda settimana nazionale dell'impronta ecologica allo scopo di informare e sensibilizzare i cittadini rispetto al peso che le nostre societa' hanno sull'ambiente. L'appuntamento servira' anche a diffondere la conoscenza dei mezzi esistenti per risparmiare energia e usare meglio le risorse. Per questa occasione Rete Lilliput ha invitato in Italia ricercatori e pensatori del valore di Mathis Wackernagel (Redefining Progress - California - ha messo a punto il concetto di Impronta ecologica), Wolfgang Sachs (Wuppertal Institut - Germania), Jochen Jesinghaus (ideatore del Dashboard of sustainability, nuovo indicatore di benessere / Agenda 21 presentato anche a Johannesburg), Patrick Viveret (economista e consigliere alla Corte dei Conti francese - che sta lavorando su una nuova concezione di ricchezza e di economia) e Giancarlo Allen (segretario nazionale dell'Associazione nazionale di bioarchitettura). Questo "tour italiano" prevedera' non solo incontri col pubblico, ma anche veri e propri stage per amministratori locali e per studenti. Le "tappe" sono le seguenti: Napoli (sabato 31 maggio), Roma (1 giugno), Firenze (2 giugno) per un incontro di confronto tra tutti gli addetti ai lavori che si occupano in Italia di calcolare l'Impronta ecologica, Reggio Emilia (3 giugno), Bologna (4 giugno), Monza e Milano (5 giugno), Mantova, Verona, Modena (6 giugno) e Teglio Veneto (7 giugno). Per ulteriori informazioni: www.retelilliput.org (dal 30 aprile). * Allo scopo di dimostrare che la diminuzione dell'impatto ambientale e' possibile, il 5 giugno verra' presentata alla stampa la ristrutturazione di un vecchio immobile nel centro di Concorezzo (Mi) curata da un ingegnere lillipuziano con lo scopo di costruire una casa salubre e a basso impatto sull'ambiente. In esso sono raccolti numerosi esempi di tecnologie disponibili per il risparmio energetico: pannelli solari termici e fotovoltaici, cappotto isolante in sughero, caldaia a biomassa, vetri a bassa dispersione, vernici ecologiche, recupero dell'acqua piovana, sistema di riscaldamento a basso consumo, vernici e intonaci eco-compatibili: basti dire che la potenza richiesta per il riscaldamento e' diminuita dell'80% rispetto ad una casa convenzionale. Per ulteriori informazioni: Roberto Brambilla (Gruppo di lavoro impronta ecologica e sociale di Rete Lilliput), tel. 0396908533 cell 3388803715. * L'impronta ecologica e' un indicatore molto utile per far cogliere ai cittadini - in maniera rigorosa, ma facilmente intuibile - la relazione tra il loro stile di vita e la "quantita' di natura" necessaria per sostenerli. Il Dashboard of sustainability e' un sistema di visualizzazione che traduce enormi quantita' di dati relativi all'andamento economico, sociale, ambientale di una nazione o di una comunita' in elaborati grafici di facile comprensione per tutti poiche' basati sul linguaggio dei colori. In questo modo il cittadino puo' tenere sotto controllo piu' di 50 parametri del tipo: emissioni di Co2, distribuzione del reddito, rapporto tra salari maschili e femminili, etc. Il Dashboard e' scaricabile da http://esl.jrc.it/envind/db_it.htm 6. DOCUMENTAZIONE. TERRE DES HOMMES ITALIA: NO ALLA MILITARIZZAZIONE DEGLI AIUTI UMANITARI IN IRAQ [Dall'ufficio stampa dell'associazione umanitaria Terre des hommes Italia (per contatti: ufficiostampa at tdhitaly.org) riceviamo e diffondiamo] Terre des hommes Italia esprime preoccupazione per l'invio in Iraq di un contingente militare italiano senza mandato delle Nazioni Unite. Per assicurare i convogli degli aiuti basterebbe creare dei corridoi di sicurezza - come previsto dalla Convenzione di Ginevra -, e ripristinare il ruolo dell'Onu per il coordinamento delle operazioni umanitarie. L'aiuto umanitario non e' un business militare. Se il soccorso alla popolazione in difficolta' e' effettuato sotto il controllo militare, gli aiuti potrebbero facilmente diventare uno strumento di guerra. I volontari sul campo devono poter operare secondo il principio di neutralita' e nella piena fiducia della popolazione. In queste ore un convoglio - organizzato da Terre des hommes, Ics Italia e Un ponte per - sta viaggiando verso Baghdad senza scorta militare. Il camion contiene soluzioni disinfettanti e sterilizzanti ad uso chirurgico, materiali di consumo per chirurgia di guerra (aghi, anestetici, antidolorifici, flebo...) e integratori alimentari per bambini. Nei giorni scorsi altre organizzazioni non governative, perlopiu' europee, hanno trasportato in Iraq medicine e altro materiale di soccorso, senza chiedere alcun appoggio alle forze della coalizione. "Non ci sono giustificazioni per l'invio di ulteriori soldati. Il ministro degli esteri - confondendo la causa con l'effetto - ha detto che 'per far fronte all'emergenza che si e' creata in Iraq e' necessaria una presenza militare'. Questa e' una strumentalizzazione al fine di militarizzare gli aiuti umanitari", conclude Raffaele K. Salinari, presidente di Terre des hommes. Per informazioni: ufficio stampa tel. 0228970418, e-mail: ufficiostampa at tdhitaly.org, sito: www.tdhitaly.org Terre des hommes (Tdh) e' un movimento d'aiuto diretto e immediato all'infanzia in difficolta', senza discriminazioni di ordine politico, razziale o religioso. La Fondazione Terre des hommes Italia, creata nel 1994, e' una ong di cooperazione internazionale allo sviluppo e opera in 15 Paesi. Tdh e' partner di Echo ed e' accreditata presso l'Unione Europea e l'Onu. E' inoltre socio fondatore del Comitato Italiano Sostegno a Distanza. Tdh e' membro della Coalizione italiana "Stop all'uso dei bambini soldato" ed e', inoltre, impegnato a livello internazionale nella Campagna contro il traffico dei minori (www.stopchildtrafficking.org) e il turismo sessuale infantile (www.child-hood.com), nella Campagna sulla prevenzione dell'abuso e del maltrattamento dell'infanzia e contro le peggiori forme di sfruttamento del lavoro minorile. 7. DOCUMENTAZIONE. FORUM DEL TERZO SETTORE E ASSOCIAZIONE ONG ITALIANE: SULL'INTERVENTO UMANITARIO IN IRAQ [Dall'ufficio stampa del Forum del terzo settore (per contatti: stampa at forumterzosettore.it) riceviamo e diffondiamo questa dichiarazione congiunta del Forum del terzo settore e dell'Associazione ong italiane] A tutt'oggi - dichiarano congiuntamente i portavoce del Forum del Terzo Settore Edoardo Patriarca e Giampiero Rasimelli e il presidente dell'Associazione Ong Italiane Sergio Marelli - nonostante le affermazioni del Presidente del Consiglio e il dibattito parlamentare in corso, con rammarico prendiamo atto di non essere stati ancora consultati. Crediamo urgente la progettazione di interventi che realmente raggiungano la popolazione irachena, e che non mascherino in alcun modo interessi affaristici nella spartizione delle spoglie dell'Iraq. E' dovere del governo italiano - come di tutti i governi - mettere a disposizione le risorse economiche ed umane necessarie alla ricostruzione dell'Iraq e per garantire la transizione verso uno Stato di diritto libero e democratico. Cio' non puo' avvenire al di fuori di un coordinamento politico ed operativo delle Nazioni Unite e delle agenzie internazionali specializzate e con il coinvolgimento delle Ong e della popolazione locale. Sulla disponibilita' italiana in mezzi ed uomini che il Ministro degli esteri Frattini dovra' discutere con Kofi Annan nei prossimi giorni ad Atene - proseguono Patriarca, Rasimelli e Marelli - esprimiamo alcune preoccupazioni: - le Ong abituate a gestire situazioni di post conflitto sanno che gli aiuti umanitari sotto scorta armata ingenerano diffidenza, paura e spesso reazioni incontrollabili tra la popolazione locale; - la copertura finanziaria di questa operazione umanitaria non puo' essere distolta dalle gia' magre risorse stanziate per la cooperazione internazionale ne' essere garantita con un ulteriore sforzo dei cittadini italiani, come ha proposto il Presidente del Consiglio attraverso l'istituzione di una tassa straordinaria. Il governo italiano ha gia' le risorse necessarie raccolte attraverso la normale fiscalita' che preferisce destinare alle spese per la difesa e per gli armamenti anziche' alla solidarieta' internazionale. - La professionalita' del personale da impiegare nelle missioni umanitarie non puo' essere ridotta alla sola esperienza tecnica ma deve comprendere la capacita' e l'esperienza di saper agire in contesti di post conflitto, difficili da un punto di vista ambientale e culturale che, nel caso dell'Iraq, assume addirittura punte di conflittualita'. Questo e' il criterio che le Ong da sempre utilizzano nella selezione dei propri volontari impiegati in tali situazioni. Infine - concludono Patriarca, Rasimelli e Marelli - sottolineiamo come l'Iraq non sia paragonabile ad un Paese povero: e' tra i piu' grandi esportatori di petrolio. Il consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha di recente votato all'unanimita' una risoluzione - la cosiddetta "oil for food" - che da' facolta' al segretario generale Kofi Annan di utilizzare per l'acquisto di generi di prima necessita' ed alimentari, le migliaia di miliardi di dollari vincolati su un conto francese costituito dal 1996 con le rimesse della vendita del petrolio iracheno. Si dia attuazione a questa risoluzione e si utilizzino quei soldi che sono del popolo iracheno. 8. APPELLI. COMITATO PER LA BELLEZZA: FERMARE SACCHEGGI E DISTRUZIONI DEI TESORI D'ARTE IN IRAQ [Riceviamo e diffondiamo. Per adesioni: giorgio.santelli at articolo21.liberidi.org] Aderiamo senza riserve al drammatico appello lanciato, tramite "Articolo 21", dal giornalista curdo iracheno Erfan Rashid dopo il desolante saccheggio del grande Museo archeologico di Baghdad senza che alcuna forza - essenzialmente l'esercito americano - intervenisse a fermare quella barbarie che ha investito persino gli archivi, preziosissimi, sull'antica Mesopotamia. Se saccheggi del genere si ripeteranno nei musei e nei siti archeologici dell'Iraq, andra' per sempre distrutta la memoria vivente di uno dei piu' straordinari momenti della civilta' planetaria. Stupisce che nessuna misura preventiva sia stata posta in essere. Persino nell'ultima guerra mondiale vi furono accordi fra tedeschi e alleati per evitare bombardamenti e occupazioni militari a intere citta' d'arte (per esempio Urbino dove erano stati stivati, dopo il 1940, interi musei e tesori di tutta Italia). In questo momento bisogna che da un paese di antica civilta' mediterranea come il nostro - che tanti legami culturali ha con quell'area del mondo - si levi alta e forte la richiesta di un immediato intervento dell'Onu volto a preservare, assieme alle vite umane gia' tanto colpite, i siti, le citta', i musei dell'antichita' in Iraq. Una forza militare assolutamente pacifica, ma capace di opporsi a saccheggi e distruzioni, che ricomprenda archeologi, storici dell'arte, specialisti del restauro, ecc. Questo si' che e' un intervento da predisporre senza indugi di sorta. Pena la devastazione culturale di un paese importantissimo nella storia del mondo. A nome del Comitato per la bellezza: Vittorio Emiliani, Luigi Manconi, Vezio De Lucia, Andrea Emiliani (seguono molte altre firme). Le adesioni possono essere inviate a: giorgio.santelli at articolo21.liberidi.org 9. RIFLESSIONE. PIETRO INGRAO: LE PRIGIONI DI CUBA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 16 aprile 2003. Pietro Ingrao e' nato nel 1915 a Lenola (Lt), laureato in giurisprudenza e lettere, partecipa alla lotta clandestina antifascista e alla Resistenza. Giornalista, direttore de "L'Unita'" dal 1947 al 1957, dal 1948 deputato del Pci al Parlamento per varie legislature e tra il 1976 e il 1979 presidente della Camera dei Deputati. Sono di grande rilievo le sue riflessioni sui movimenti, le istituzioni, la storia contemporanea e le tendenze globali attuali. Tra le opere di Pietro Ingrao: Masse e potere, Editori Riuniti, Roma 1977; Tradizione e progetto, De Donato, Bari 1982; Le cose impossibili, Editori Riuniti, Roma 1990; Interventi sul campo, Cuen, Napoli 1990; Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995 (con Rossana Rossanda ed altri)] Le notizie che giungono da Cuba sono allarmanti e non consentono silenzi. Il 3 di aprile si sono svolti in diverse sedi dell'isola processi contro 78 "dissidenti", o - per usare parole piu' secche - oppositori del regime castrista. Sommando le varie condanne comminate a questi oppositori si arriva a centinaia e centinaia di anni di carcere. Sono cifre agghiaccianti. E per questi processi parlare di rito sommario e' un eufemismo un po' ridicolo. Ne' si puo' ingannare noi stessi: e' impossibile che in questi veri e propri processi-lampo siano stati garantiti elementari diritti di difesa, ne' ci si sia stata quella necessaria, elementare prudenza, che pure e' il sale obbligato, quando si decide sulla liberta' o sulla prigionia degli individui e dei gruppi. Gli imputati erano oppositori del regime castrista, anzi - usiamo pure la parola forte - cospiravano contro il regime? E che altro essi potevano fare visto che a Cuba difettano essenziali diritti di parola, di organizzazione, di lotta politica pubblica e riconosciuta? E questo ancora oggi, dopo quarant'anni dai giorni dell'insurrezione armata e della emergenza rivoluzionaria. E inoltre dove sta scritto che anche ai cospiratori in manette - quando non sono in condizioni di nuocere - non si possono, non si debbano concedere elementari poteri e strumenti di difesa? La giustizia - questa parola cosi' solenne e alta - ha bisogno come il pane del contraddittorio pubblico e prolungato. Senza di che l'aula del tribunale diventa una farsa, un inganno feroce. Ancora all'inizio di aprile - con un intreccio allucinante - si e' tenuto a Cuba un altro processo, che ha portato alla condanna a morte di tre giovani che avevano sequestrato un traghetto per raggiungere la costa degli Stati Uniti. Chi scrive nella sua vita ha imparato ad odiare la condanna a morte - questo agghiacciante potere di uccidere colui che sta gia' in manette e stretto dentro le mura di un carcere. Ma quella condanna a morte che si consuma e si compie quasi in un lampo, e non consente appello e rifiuta persino un momento di esitazione davanti all'uccidere l'inerme - e' davvero qualcosa di ripugnante. Ed e' ingannevole: si illude di cancellare con la mano del boia i problemi politici e umani che non sa risolvere. Si dira': tutto questo e' necessario a Castro per tutelarsi dai complotti americani. Io temo invece che cio' aiuti Bush a dire: vedete come e' indispensabile la superpotenza americana. Tale e' il quadro amaro. Io non dimentico cio' che dall'insurrezione cubana e' venuto come speranza e simbolo per un Terzo mondo soffocato dall'imperialismo, e anche per la difficile lotta della sinistra anticapitalistica nell'Occidente avanzato. Anche se personalmente io ebbi dubbi, tanti, davvero tanti - e dall'inizio - in quella seconda meta' del Novecento ponemmo il ritratto del "Che" sul cassettone di casa, e cantammo nei cortei quella canzone indimenticabile. E credo di afferrare, di capire quanto ancora oggi Cuba agisca come speranza: prima di tutto per il continente centro-americano in cerca di riscatto, e oltre ancora. E ancor piu' adesso che la superpotenza americana ha proclamato - dinanzi al mondo - l'avvento dell'era della "guerra preventiva". Ma tanto piu' se la questione e' ormai questa - e si vede sul campo - non possiamo illuderci di superare una tale prova con i processi sommari e le fucilazioni fulminanti. Sento repulsione per quelle nuovissime carceri di Guantanamo, dove non esiste piu' nemmeno la protezione, il ritrarsi in se' che da' il buio della cella. Ma come posso contrastare le allucinazioni di Guantanamo se ricorro alla pena capitale contro dei fuggiaschi riagguantati e ormai con le manette ai polsi? La battaglia contro Bush e contro la dottrina della "guerra preventiva" chiede altre strade: nuove e diverse. E si nutre di pacifismo, non di carceri e manette persino assurde, e di boia macchiati di sangue. Un intellettuale, grande amico di Cuba, il nobel Saramago ha dichiarato il suo dissenso. E' una scelta che chiama al coraggio della verita', e Dio sa se ce ne vuole dinanzi alle prove aperte nel mondo. 10. INIZIATIVE. AMRA AHMED: DIFFONDENDO LA PAROLA V [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione la sua traduzione di questo articolo apparso sul "Friday Times" (Pakistan) del 3 aprile 2003] La performance del Giorno-V e' stata organizzata a Islamabad da Amal, una ong che lavora sui diritti di genere, la salute riproduttiva, l'hiv-aids e lo sviluppo umano. "I monologhi della vagina" fu messo in scena dall'autrice Eve Ensler per la prima volta a New York, oltre 6 anni fa, e da allora e' stato riproposto in tutto il mondo da attrici vincitrici di Oscar, studentesse nei campus e organizzazioni di attiviste. Il Giorno-V, come l'evento e' stato chiamato, e' parte di Mondo-V, un movimento globale che ha lo scopo di fermare la violenza contro donne e ragazze. Nel 1997, Eve Ensler si incontro' con un gruppo di femministe e da quell'incontro prese forma l'idea di tenere dei Giorni-V. La messa in scena dei Monologhi aiuta a raccogliere fondi per i gruppi locali che lavorano per fermare ogni tipo di violenza verso le donne ed a destare consapevolezza sui diritti delle donne. In questi ultimi cinque anni, il lavoro di Ensler ha contribuito a portare oltre 14 milioni di dollari alle organizzazioni delle donne. Nei primi mesi di quest'anno ci sono gia' stati 1.052 Giorni-V in tutto il mondo. Il Pakistan e' un paese che aveva terribilmente bisogno di un Giorno-V. Solo nella scorsa settimana, i quotidiani nazionali riportavano la storia di uno stupro di gruppo su una donna di 50 anni, stupro ordinato da un jirga (governo di villaggio); la violenza carnale ai danni di una ragazzina di 12 anni, e il brutale assalto ad una sindacalista, che e' stata sfigurata. Il Giorno-V e' un catalizzatore di fierezza, che ha lo scopo di rompere i tabu' e di scuotere l'inerzia della comunita' nel combattere la violenza contro le donne, che include lo stupro, le battiture, l'incesto e le mutilazioni genitali. Le otto storie, di volta in volta scioccanti, provocanti, rudi, sconcertanti, sono state lette da donne dinamiche e coraggiose: Sameeta Ahmed, artista ed insegnante, aveva i propri lavori esposti come sfondo della scena; Ayeshah Alam, attrice, produttrice, direttora cinematografica televisiva, e' molto conosciuta per i suoi seri filmati, in cui ha toccato il problema dello stupro e della stigmatizzazione sociale delle minoranze; Nadia Fragiacomo, una consulente italiana allo sviluppo, ha reso la sua performance in modo cosi' sensibile da toccare il cuore; Samina Pirzada sembrava davvero commossa durante la lettura, anche lei ha toccato temi scottanti nei suoi film, come lo stupro maritale; poi c'erano Bilquis Tahira, scrittrice di racconti, e Nadia Jamil che e' stata la star della serata, la piu' giovane e la piu' naturale sulla scena. Era del tutto non inibita dal materiale, ed ha evocato lacrime e risate dal pubblico. Nighat Rizvi, la produttrice dello spettacolo e co-fondatrice di Amal e' una formatrice al genere ed ha lavorato per la televisione ed il teatro. E' stata lo spirito animatore del Giorno-V. Eve Ensler, l'autrice di questi testi importanti, ha dato inizio ad un incredibile movimento ragionando sulle sue personali esperienze con la violenza. Ensler stessa ha letto il passaggio finale sulla nascita, disegnando una stupefacente conclusione sull'essere donna e sull'essenza della vita e della maternita'. I Giorni-V sono stati inclusi fra i cento migliori modi di raccogliere fondi per l'attivismo nel mondo, avendo raccolto oltre 7 milioni di dollari solo nel 2002. Sono stati ospitati in luoghi distanti e diversi, come il Teatro Nazionale in Guatemala, la Royal Albert Hall a Londra, le Folies Bergeres a Parigi, l'Appolo Theatre ad Harlem e l'Help Institute a Selangor, Malaysia. Eve Ensler dice: "Mondo-V e' uno stato mentale. E' un posto che tu non potrai mai toccare in me, non importa quante volte mi hai picchiato la testa nel muro o hai frustato le mie gambe. Mondo-V e' il giardino in cui la ragazze scomparse riappaiono, con le loro madri ed i loro padri che le stavano aspettando. Mondo-V e' il centro in noi. E' il desiderio ed il ricordo. Mondo-V e' il profumo che senti quando sai di poter andare, quando non ti aspetti di essere picchiata, quando se sudi e' per il sole, e non per la preoccupazione. Mondo-V e' il raccontare le storie di donne reali in tutto il mondo. Parla di noi, parla di me e, forse, parla di te". 11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 12. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 569 del 17 aprile 2003
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