Newsletter N. 2 del 13 Gennaio 2003



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    Newsletter n. 2 del 13 gennaio 2003
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IN PRIMO PIANO
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PENSIERO CRITICO
Nella rete delle imprese imperiali
Il web in società. I movimenti sociali nascono sempre più attorno
all'affermazione di identità autonome da quelle dominanti e si diffondono
grazie alle tecnologie digitali. Ma il personal computer ha consentito
anche l'ascesa e la crisi delle imprese dot-com. Un'intervista con Manuel
Castells a partire dalla pubblicazione de «Il potere delle identità» e
«Internet Galaxy»
La crisi della «new economy» mentre soffiano i venti di guerra. E
l'opposizione alla globalizzazione economica sceglie Internet come lo
spazio sociale per organizzarsi
BENEDETTO VECCHI

La sua vita ha il sapore dolce amaro dello sradicamento. Spagnolo, Manuel
Castells ha lasciato il suo paese a causa del giro di vite deciso da Franco
alla metà degli anni Settanta per mettere in riga quella società spagnola
sulla quale il Generalissimo aveva fatto calare una cappa di piombo che
negava libertà a colpi di carcere, guardia civil e garrota. Giunto in
Francia Castells è entrato a far parte di quella piccola, ma ostinata
comunità intellettuale riunita attorno ad Alain Touraine dopo il Maggio
francese. Ma quella francese è stata una parentesi. Rifatte le valigie,
Castells si trasferisce nuovamente, questa volta per libera scelta:
destinazione gli Stati uniti, più precisamente la costa occidentale. Ed è
alla Stanford University che comincia a insegnare, iniziando al tempo
stesso a raccogliere materiali per The Age of Information, la trilogia che
lo farà conoscere in tutto il mondo. Uscita alla metà degli anni Novanta,
la trilogia di Castells è frutto dei suoi studi, inchieste e del suo lungo
girovag
are per il mondo. La sua vocazione cosmopolita emerge sopratutto nel
secondo volume da poco tradotto dalla casa editrice Egea di Milano con il
titolo Potere dell'identità (pp. 463, EUR 34,50, il primo volume è invece
uscito lo scorso anno sempre per la stessa casa editrice) e nel testo
Internet Galaxy pubblicato dalla Feltrinelli (pp. 312, EUR 16). Due libri
che affrontano temi per Castells complementari l'uno all'altro. Da una
parte c'è il nodo dell'identità nelle società del capitalismo flessibile,
dall'altra lo «spazio sociale», cioè Internet, dove il caleidoscopio
dell'identità ha il suo acme. Ma se il primo tema, quello delle identità
appunto, è per l'autore una risorsa per la trasformazione da parte dei
movimenti sociali, in quanto «processo sociale di costruzione di
significati e di attributi culturali ai propri comportamenti a cui è
assegnato una priorità maggiore rispetto ad altri fonti di significato»,
Internet diventa invece il luogo dove le sue tesi sulle caratteristiche
dell'attuale capitalismo
sono messe a verifica. Per intervistarlo ci vuole un pizzico di pazienza e
tanta fortuna, perché continuamente diviso tra una conferenza all'Onu,
l'insegnamento a Stanford e il ciclo di lezioni a Barcellona. E
l'intervista è stata condotta proprio nei giorni in cui Castells chiudeva
la sua casa californiana per trasferirsi per sei mesi a Barcellona,
complice la grande rete che sembra annullare lo spazio.

Nel suo libro «Internet Galaxy» lei si dilunga sulle diverse culture
presenti nel web. Dagli hacker agli imprenditori, tutti concorrono alla
crescita della rete. Eppure è indubbio che la new economy sia in crisi.
Molti «opinion maker» vedono in questa crisi una rivincita della «old
economy» sulle imprese dot-com. Concorda con questa analisi?

Non del tutto. Uno degli elementi della «new economy» è l'elevata
produttività, produttività che negli Stati uniti è cresciuta del 5 per
cento, nonostante la recessione che ha contraddistinto l'economia
statunitense lo scorso anno. Ma questo fattore mette in evidenza il fatto
che la new economy costringe a ripensare e a analizzare criticamente le
diverse teorie del ciclo economico. Infatti, in passato, quando la
recessione bussava alle porte la produttività diminuiva per poi riprendere
lentamente. Ora avviene il contrario: c'è recessione, ma la produttività
continua a crescere a ritmi abbastanza sostenuti. In Internet Galaxy ho
cercato di spiegare i motivi che hanno causato la crisi della new economy.
Va però subito chiarito che con questa espressione si intendono molte cose,
spesso contrastanti l'una con l'altra. E tuttavia, gran parte degli
studiosi, e io con loro, concorda sui due elementi che l'hanno
caratterizzata: l'aumento della produttività e venture capitalists disposti
ad investire in idee e innova
zione. La prima è dovuta alla diffusione del personal computer e degli
emergenti modelli produttivi riassunti nella formula «impresa a rete»,
mentre il capitale di rischio veniva dalla crescita della finanza, che
possiamo considerare il motore della new economy. Gli imprenditori, i
finanzieri, chi giocava in borsa, tutti si aspettavano profitti sempre
crescenti. Tutto è andato bene fino a quando sono cominciate a girare voci
e analisi che prevedevano imminente lo scoppio della bolla speculativa. A
quel punto tutti hanno avuto paura e alle aspettative di profitti si è
sostituita la sfiducia. Da allora, il valore delle azioni delle imprese
dot-com sono crollate e le grandi corporation delle telecomunicazioni hanno
cominciato a licenziare. Come ha scritto l'economista americano Michael
Mandel siamo quindi entrati nella fase dell'internet depression. Bene, quel
clima di sfiducia è stato aggravato da una generale incertezza politica che
scoraggia gli investimenti in innovazione. Ciò detto, mi preme sottolineare
i
l fatto che Internet, a differenza di quanto sostengono molti studiosi, non
è un solo «fenomeno economico», bensì è soprattutto uno spazio sociale che
favorisce la comunicazione. Un fattore, questo, molto importante perché
spiega gran parte delle difficoltà di trasformare un «medium libero» come è
Internet in un servizio a pagamento.

Nella sua trilogia sull'«Età dell'informazione» emergono diversi modelli di
capitalismo. C'è quello statunitense, quello renano, quello italiano,
quello giapponese, tailandese, e così via. Mi sembra però che allo stato
attuale quello anglosassone sia il modello dominante. Lei cosa ne pensa?

Se la sua domanda intendeva dire che le forze armate britanniche o
statunitensi sono gli eserciti più potenti nel mondo sono d'accordo, ma se
voleva sostenere che il capitalismo americano domina l'economia mondiale
non sono proprio d'accordo. Le diverse tipologie di capitalismo che lei
cita non sono mie, ma dell'economista americano Lester Turow. Certo anche
io nei miei studi metto in evidenza le differenze tra il modello
capitalista americano e quello europeo o giapponese. Ma ciò dipende dal
fatto che c'è una differenza tra capitalismo e società. Le società infatti
esistevano prima del capitalismo e alcune loro caratteristiche sono
rimaste. Inoltre, l'economia globale è dominata dai mercati finanziari
mondiali e dalle imprese transnazionali e non da questa o quella nazione.
Possiamo dunque dire che le reti di imprese piuttosto che i paesi sono da
considerare le strutture del dominio, così come possiamo rintracciare nella
struttura reticolare dei rapporti sociali le forme di resistenza a tale
dominio. Nel pr
imo volume della trilogia, La nascita della società in rete, ho sostenuto
che l'attuale capitalismo è caratterizzato da un paradigma specifico,
l'informazionalismo, che non è niente altro che la centralità
dell'informazione, della conoscenza e dell'innovazione nel capitalismo. In
fondo, computer oltre che a far di conto, consente di comunicare e questa
caratteristica è trasversale a tutti i settori produttivi.

Per tornare alla sua domanda, non ritengo quindi che si stia affermando un
modello anglosassone di capitalismo. L'epoca turbolenta che stiamo vivendo
ha a che fare con questo salto di paradigma che vede affermarsi
l'informazionalismo.

Tanto su «Internet Galaxy» che nel «Potere delle identità» il world wide
web è il luogo dove il caleidoscopio delle identità svolge un ruolo
dirompente. Mi sembra, però, che il discorso sulle identità sia
caratterizzato da una forte ambivalenza. Da una parte è un campo di
possibilità di emancipazione, basti pensare ai temi portati avanti dai
movimenti degli afroamericani, delle donne, dei gay, delle lesbiche.
Dall'altra parte mostra però il lato oscuro, quello del fondamentalismo.
Insomma, dalla sua analisi si può dedurre che i movimenti sociali debbano
navigare tra Scilla e Cariddi, cioè tra emancipazione e populismo
reazionario. E' d'accordo su questa analisi? Inoltre, mi sembra che
l'identità più che un concetto indichi un processo sociale: non sarebbe
quindi più appropriato parlar di forme di vita piuttosto che di identità
collettive?

Si, nel cyberspazio possiamo trovare le identità in tutti i formati
possibili. Ma con una avvertenza: su Internet si esprimono tutte le
identità che esistono nella società. Così, nei forum di discussione sul web
coesistono i cristiani fondamentalisti, cioè una forma specifica di stile
di vita inquisitorio, con la teologia della liberazione. Gli esempi sono
infiniti, ma ciò che mi interessa sottolineare è che nella network society
il tema dell'identità è essenziale per comprendere i comportamenti degli
attori sociali. Ne il Potere dell'identità definisco precisamente cosa
intendo per identità e nel quale sono documentati molti case studies sulle
dinamiche sociali legate all'identità, che possono essere di diversi tipi:
quella di resistenza, quella che punta alla legittimità, quella legata a un
progetto di vita, e così via. Possono apparire definizioni poco chiare, ma
se guardiamo l'identità dalla prospettiva degli attori sociali tutto
diventa più chiaro. Infatti, sono gli attori sociali che definiscono l'iden
tità come un processo sociale di costruzione di significati e di attributi
culturali ai propri comportamenti a cui è assegnato una priorità maggiore
rispetto ad altri fonti di significato. Non sono quindi d'accordo con lei
che l'identità sia un concetto vago. Infatti, per un indio del Chiapas è
chiaro cosa significa la difesa della sua identità: che è un modo di
vivere, di guardare alla natura, di intendere i rapporti tra gli uomini e
tra questi e le donne. Infine, è una forte spinta alla trasformazione come
testimoniano gli attuali movimenti sociali.

Molti studiosi sostengono che la cosiddetta globalizzazione economica sia
un processo inarrestabile. Eppure da alcuni anni c'è, a livello mondiale,
un forte movimento di contestazione del «Washington consensus». Un
movimento che guarda alla tematica dell'identità con qualche diffidenza. O
più precisamente che vede l'identità come un problema più che la soluzione
ai processi di trasformazione che vediamo in atto nel mondo. Qual è la sua
analisi sul movimento antiglobalizzazione?

Non credo che la globalizzazione sia un processo inarrestabile. O meglio:
che c'è una legge non scritta nelle società: ovunque c'è un dominio c'è
anche resistenza a quel dominio. Nei miei libri ho scritto a lungo di ciò
che ritengo possa essere considerato «l'altra faccia del pianeta». Mi
riferisco al movimento contro la globalizzazione basato su valori e
identità autonome da quelle dominanti. E' un movimento che ha avuto inizio
con la rivolta zapatista e che poi abbiamo visto all'opera in tante
occasioni e con modalità molto differenti da paese a paese, da situazione a
situazione. Così, se ci troviamo di fronte a un processo di globalizzazione
capitalista che coinvolge e include tutte le economie del pianeta, allo
stesso tempo ci troviamo di fronte a una rete globale di movimenti contro
la globalizzazione economiche: sono cioè due aspetti della stessa realtà.

Nella sua ricostruzione della nascita e dello sviluppo di Internet, lei
sottolinea che l'impulso alla «nascita» della rete sia venuto dal complesso
militare-industriale. Tuttavia, se la sua genesi è segnata dal Pentagono,
la crescita del web può essere considerata come un lungo congedo
dall'influenza che potevano esercitare i militari. Infatti, lei sostiene, a
ragione, che il tratto distintivo della rete è la rivendicazione
dell'autonomia del web dal potere economico. Questo spiega anche la forte
opposizione al diritto d'autore. Come giudica il movimento dell'open source
e del «free software»?

Io sono convinto, come d'altronde sostengono molti storici o esegeti del
World wide web, che l'impulso iniziale ad Internet sia venuto dai militari
del Pentagono. I finanziamenti del ministero della difesa statunitense sono
stati indispensabili per avviare i progetti di ricerca che successivamente
hanno portato ad Internet. E tuttavia i militari sono stati «discreti», non
hanno cioè fatto pressioni sui ricercatori impegnati nei progetti da loro
finanziati. Per questo, sarebbe errato considerare Internet come il
risultato di un programma di armamenti. Il ministero della difesa americano
era convinto che per essere superiori militarmente gli Stati uniti
dovessero essere superiori tecnologicamente ed è per questo motivo che
hanno investito milioni di dollari nei progetti di sviluppo della computer
science. Possiamo dire che hanno agito con il senso della prospettiva
storica. Infatti, ora che le forze armate americane si stanno trasformando
in una «rete militare» capace di fronteggiare scenari di guerra che rich
iedono flessibilità e adattabilità delle truppe impegnate i computer sono
essenziali per elaborare informazioni di intelligence o per decodificare le
informazioni del nemico. E' quindi abbastanza ovvio affermare che la
superiorità tecnologica degli Usa si è tradotta in una superiorità militare.

Quindi, piuttosto che parlare di lungo congedo dal Pentagono, preferisco
riconoscere il ruolo determinante degli investimenti del Ministero della
difesa americano nello sviluppo della computer science e di Internet e al
tempo stesso sottolineare l'«autonomia operativa» dei ricercatori
scientifici e della loro tendenza alla reciprocità e alla cooperazione tra
eguali, che è da sempre stata una caratteristica della comunità
scientifica. Ma su Internet è però accaduta anche un'altra cosa molto
importante: è venuta meno la distinzione tra specialista e utente. Tutti
infatti in rete possono dire la loro e ciò che ogni singolo esprime ha
uguale peso di un altro. Questo non significa che non emergano figure
carismatiche o delle autorità o delle gerarchie, ma generalmente il metro
di giudizio usato è quello meritocratico. Aver scritto un buon programma,
aver sviluppato un'idea radicalmente innovativa, dire qualcosa che riflette
il sentire comune: questo è ciò che conta nel Web. Il ricercatore Pekka
Himanen ha scritto
 dell'emergere di un'etica hacker del capitalismo. Concordo con lui. Per
quanto riguarda l'open source e il free software sono delle realtà molto
interessanti, perché attingono proprio a quello «spirito cooperativo» alla
base di Internet.

Nella sua analisi sull'«era dell'informazione» la guerra sembra appartenere
al recente passato. Ma dalla guerra del Golfo all'Afghanistan, sembra
drammaticamente tornata in auge. Lei che ne pensa dei venti di guerra che
soffiano nel pianeta?

Se lei si riferisce alle guerre così come le abbiamo conosciute nel
Novecento potrei concordare con lei, ma nei miei studi sono stato molto
attento ai nuovi tipi di guerra che io ho chiamato «instant war», cioè
guerre mordi e fuggi combattute con tecnologie molto sofisticate per
diminuire i tempi bellici e minimizzare le perdite. Allo stesso tempo e
all'opposto esistono guerre tra poveri che durano anni e anni. Stiamo
entrando in un periodo che potremmo definire di «guerre in rete», nelle
quali le reti degli agenti globali del terrore usano strumenti high-tech
dove gli atti bellici sono compressi nel tempo, mentre i risultati di
quegli atti durano negli anni e mutano le nostre vite. Penso che ci
troviamo di fronte al crudele paradosso che la più grande e profonda
rivoluzione tecnologica incentrata sulla creatività e sulla libertà di
comunicare sta subendo una mutazione perché è sempre più imbrigliata da una
mentalità poliziesca e da una ossessione per la sicurezza. Allo stesso
tempo quelle stesse tecnologie
sono sempre più usate per produrre armi di distruzione di massa.

Da questo punto di vista, potremmo provocatoriamente affermare che i
terroristi hanno già vinto una battaglia culturale, rendendo possibile un
supporto popolare ai vari Berlusconi presenti nel mondo. Ma come affermavo
prima, c'è sempre una resistenza alle forme del dominio. In questo caso c'è
resistenza a questa mentalità poliziesca e a questa manipolazione del
sentimento di insicurezza. Non è una cosa facile, ma la vita e la
creatività l'avranno vinta. E Internet può aiutarci in questa resistenza.
Per questo motivo molti governi, dalla Cina a quello di Roma, ultimamente
sono spaventati da Internet.
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/09-Gennaio-2003/art71.html


TECNOLOGIA&INTERNET
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I cittadini dello Stato denunciano il colosso di Gates
Ma poi le due parti trovano un accordo extra-processuale
Microsoft, un miliardo di dollari
per i clienti della California
Buoni acquisto gratuiti di hardware e software
per chi ha acquistato Windows tra il 1995 e il 2001
http://www.repubblica.it/online/scienza_e_tecnologia/microsoft/california/california.html

I veri costi di Linux e Windows
Un confronto fra i risultati di ricerche e valutazioni comparative
di Salvatore Deodato
http://www.mytech.it/mytech/mercato/art006010043972.jsp

Quale "fiducia" per la sicurezza?
di Andrea Monti
Note a margine di un convegno organizzato da Microsoft Italia: la sicurezza
non può essere completamente "delegata", l'utente deve essere consapevole...
http://www.interlex.it/attualit/amonti61.htm


TEMI&APPROFONDIMENTI
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Innocente per aver avuto un sito
News - Sulle pagine web aveva offeso il preside della sua scuola e
attaccato i propri compagni di classe. Dopo quasi tre anni di battaglia
legale è stato assolto dall'accusa di diffamazione
http://punto-informatico.it/p.asp?i=42683

Commenta su web, rischia la galera
News - Un messaggio sull'11 settembre pubblicato in una bacheca elettronica
avrebbe potuto portare il tedesco Holger Voss dietro le sbarre. Le ultime
dal fronte della censura
http://punto-informatico.it/p.asp?i=42678


ALTRAINFORMAZIONE
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Un'iniziativa di volontari statunitensi legati a Indymedia prevede di
spedire circa 300 computer equipaggiati con software libero in
Equador, allo scopo di creare un laboratorio gratuito e pubblico
collegato alla rete con schede wireless.
http://www.salon.com/tech/feature/2002/09/23/antiglobal_geeks/
http://docs.indymedia.org/twiki/bin/view/Global/SendingComputers


IN LIBRERIA
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David Lyon
La società sorvegliata
La sorveglianza come categoria sociale. Dall'invasione della privacy, si è
oggi arrivati secondo Lyon alle soglie di una vera e propria "gabbia
elettronica" che ci imprigiona dalla culla alla tomba. Prefazione di
Stefano Rodotà
http://www.feltrinelli.it/SchedaLibro?id_volume=1741986


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a cura di Loris D'Emilio
http://www.olografix.org/loris/
hanno collaborato a questo numero:
Carlo "gubi" Gubitosa
http://www.olografix.org/gubi/


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