[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
La nonviolenza e' in cammino. 402
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 402
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 31 Oct 2002 20:44:00 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 402 del primo novembre 2002 Sommario di questo numero: 1. Pasquale Pugliese, i movimenti e la guerra 2. Cornelia Dell'Eva intervista Rosemary Lynch 3. Judith Malina ricorda Dorothy Day 4. Norberto Bobbio commemora Erasmo da Rotterdam 5. Strumenti: Amnesty International, Rapporto annuale 2002 6. Strumenti: Nessuno tocchi Caino, La pena di morte nel mondo. Rapporto 2002 7. Strumenti: Norberto Bobbio, Nicola Matteucci, Gianfranco Pasquino (a cura di), Dizionario di politica 8. Strumenti: Luciano Gallino, Dizionario di sociologia 9. Strumenti. Franco Volpi (a cura di), Dizionario delle opere filosofiche 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. RIFLESSIONE. PASQUALE PUGLIESE: I MOVIMENTI E LA GUERRA [Ringraziamo Pasquale Pugliese (per contatti: puglipas at interfree.it) per averci permesso di anticipare qui un suo articolo che uscira' sul numero di novembre di "Pollicino gnus", mensile reggiano su pace, solidarieta', ambiente, convivenza (sito: www.pollicinognus.it). Pasquale Pugliese e' impegnato nel Movimento Nonviolento e nella Rete Lilliput, ed e' una delle figure di riferimento della nonviolenza in Italia] I movimenti e la guerra: di fronte alla guerra "ordinaria" occorrono iniziative strutturali. Nel nuovo assetto imperiale del mondo - con gli USA che si ergono a dominatori assoluti come una nuova Roma (1), ma immensamente piu' potente rispetto agli altri Stati di quanto qualunque impero lo sia mai stato in passato - la guerra e' diventata progressivamente elemento strutturale e ordinario di dominio: se non serve a risolvere le controversie internazionali o a sconfiggere i terroristi, le si da' una inedita legittimita', usandola in funzione preventiva. E solo l'impero potra' decidere quando, dove e che cosa e' necessario prevenire. Se pure questo passaggio di paradigma strategico fa fare all'umanita', di colpo, un brutale salto all'indietro, il mantenimento e l'espansione del dominio economico, energetico e militare sul pianeta non poteva che portare "naturalmente" alla guerra permanente come elemento ad essi strutturalmente funzionale. Di fronte a questo inquietante scenario, che si e' venuto man mano delineando dall'89 ad oggi, guerra dopo guerra, il movimento dei movimenti non ha ancora saputo dare una risposta situata all'altezza ed alla gravita' della situazione. I popoli di Seattle e Porto Alegre - e con essi le ong, i Centri di ricerca alternativi, gli intellettuali, le case editrici e le riviste impegnate - hanno raggiunto in questi anni sui temi ecologico-economici un livello di competenza scientifica (basti pensare alla capacita' di analisi e progettazione del Wuppertal Institut), di capacita' di proposta alternativa (basti pensare all'introduzione del modello di misurazione della "impronta ecologica" o ai Forum Sociali Mondiali) e di mobilitazione efficace (per es. ritiro del "Mai" o fallimento del Wto a Seattle) che li ha resi una controparte temuta dal potere. Sul tema della guerra, al contrario, cio' non e' avvenuto, o almeno non e' avvenuto allo stesso livello d'incidenza e di efficacia. E sicuramente non e' avvenuto in Italia. Il movimento per la pace attuale, pure costituito in gran parte dalle stesse organizzazioni, e spesso dalle stesse persone, che si impegnano nel movimento per la giustizia globale, non riesce ad uscire da una debolezza storica di tutti i movimenti pacifisti: l'essere prevalentemente straordinario e di testimonianza. Il suo attivarsi, cioe', in occasione dello scoppio delle guerre (e magari non di tutte, perche' non si puo' stare sempre in piazza), considerate come eventi straordinari, di fronte alle quali correre ai ripari, improvvisando le risposte e organizzando grandi manifestazioni (splendida l'ultima Perugia-Assisi), che pero' di norma non f ermano nessun jet ne' impongono nessuna pace. Senza cioe' la costanza - se non di piccoli e piccolissimi gruppi - di un lavoro continuativo e approfondito, delineando in tempo di pace scenari e proposte alternative alla guerra, agli armamenti e per la risoluzione dei conflitti e preparando, inoltre, forme di mobilitazione e di contrasto efficaci. Straordinario e di testimonianza, il movimento per la pace non disturba il manovratore imperiale che infatti, nell'ultimo decennio, ha attivato una escalation della guerra su scala globale (con una conseguente impennata delle spese militari): dal 1991 ad oggi si contano almeno cinque interventi diretti degli USA, compreso quello in preparazione (Irak 1, Somalia, Jugoslavia, Afghanistan, Irak 2), che ne dimostrano il ricorso assolutamente ordinario e strutturale al mantenimento della supremazia planetaria. In un libro ormai classico della letteratura pacifista degli anni ottanta, Johan Galtung (2) sostiene che la preparazione militare alle guerre segue le seguenti fasi: - software: dottrina - organizzazione (capitale) - forza-lavoro (numero) - ricerca - sviluppo - sperimentazione; - hardware: produzione - stoccaggio - proliferazione - esercitazioni - manovre - schieramento - azione. Il problema dei movimenti pacifisti e' quello di concentrare la propria attenzione - e di avviare la propria macchina organizzativa - solo sull'ultimo anello della catena, sull'azione, ossia sull'esplosione del conflitto armato, laddove ormai le possibilita' di bloccare la guerra sono in realta' quasi nulle, trascurando quasi completamente le fasi preliminari. "Se vuoi la pace prepara la pace" e' dunque un monito da rivolgere non solo ai governanti ma anche ai movimenti, che spesso vengono risvegliati dai tuoni e fulmini di guerra quando purtroppo non c'e' piu' molto da fare. * Allora che fare, prima? Come lavorare per la pace in tempo di pace, concentrando gli sforzi su elementi cruciali del sistema politico-industriale-militare, in modo tale da essere, almeno un po', efficaci nel ridurre la legittimita' e l'uso della guerra? Sono almeno cinque le iniziative che il movimento dei movimenti impegnato per la pace potrebbe e, a mio parere, dovrebbe far proprie: 1. Approfondire gli studi in materia di guerra, pace, disarmo e trasformazione dei conflitti, i cosiddetti peace studies, che in Italia fanno fatica a prendere piede; solo quest'anno ha visto la luce la prima rivista di approfondimento scientifico, "Quaderni Satyagraha" (3). 2. Riprendere il tema fondamentale dell'approccio nonviolento alla pace basato sul disarmo e sul superamento delle strutture militari, a cominciare dalla lotta per lo smantellamento di tutti gli eserciti. 3. Preparare forme nuove e inedite d'intervento per la trasformazione nonviolenta dei conflitti prima, durante e dopo la loro esplosione, sostitutive di quelle militari, e sostenere dunque iniziative come quelle dei Corpi Civili di Pace, che elaborano e sperimentano in questa direzione. 4. Collegare le campagne per il disarmo militare con quelle per il disarmo economico, essendo la guerra uno dei tre corni complementari della violenza di questo sistema di domino: violenza diretta, strutturale e culturale; 5. Formarsi alla nonviolenza attiva per imparare a compiere azioni dirette nonviolente, come forma concreta ed incisiva di contrasto alla macchina bellica attraverso la messa in campo di grandi campagne nonviolente di tipo satyagraha. L'insieme di questi cinque punti, assunti in maniera seria, impegnata e continuativa, potrebbe fare del movimento per la pace un autorevole ed efficace oppositore al sistema di guerra ed un costruttore di alternative praticabili. Il movimento lillipuziano, che si sta lentamente incamminando su questa strada, ha in cantiere due importanti progetti riferiti ai punti 4 e 5 sui quali e' utile soffermarsi: la Campagna "Scelgo la nonviolenza" e la costituzione dei Gruppi di Azione Nonviolenta. * "Scelgo la nonviolenza" e' una "campagna di obiezione di coscienza alla guerre e opzione nonviolenta per il disarmo economico e militare", proposta congiuntamente da MIR, Rete Lilliput e Movimento Nonviolento, ormai in fase di partenza dopo una lunga preparazione. L'obiettivo della Campagna e' quadruplice: a) mantenere vivo il diritto all'obiezione di coscienza al militare e impedire che venga annullato in coincidenza della sospensione dell'obbligo di leva; b) estendere la pratica dell'obiezione al sistema militare-industriale - che in passato interessava in particolare i giovani al momento della chiamata a svolgere il servizio militare - verso una forma di obiezione piu' diffusa e articolata che coinvolga tutti i cittadini; c) coordinare in un'unica "campagna-quadro" diverse campagne gia' attive (per esempio Campagna di obiezione alle spese militari e Campagna di pressione sulle banche armate); d) associare al rifiuto della politica militare del nostro paese e della Nato una scelta positiva di nonviolenza attraverso una serie di impegni (o opzioni) personali che vanno dalla formazione ed educazione alla pace ed alla nonviolenza all'obiezione di coscienza attiva all'interno delle campagne in corso, dalle azioni nonviolente al consumo critico e all'economia sostenibile e nonviolenta. Si tratta di una campagna complessa e ambiziosa, inedita nel nostro paese, che va nella direzione giusta, ossia di opposizione individuale e di coscienza, permanente e fattiva, strutturale e coordinata all'intero sistema di guerra. La Segreteria operativa della Campagna e' presso il Centro Sereno Regis di Torino. A Reggio Emilia si possono avere informazioni e materiali presso il Movimento Nonviolento e il locale nodo della Rete Lilliput (4). * Ma quando scoppia la guerra, nonostante tutti gli sforzi preventivi, come opporsi efficacemente ad essa? A questa domanda Peppe Sini, nel n. 233 de "La nonviolenza e' in cammino", foglio telematico di approfondimento del Centro di ricerca per la pace di Viterbo, forniva, tra le altre, le seguenti indicazioni (era in preparazione la guerra all'Afghanistan): "- Preparandoci all'azione diretta nonviolenta. Per contrastare la guerra praticamente, operativamente, e non solo simbolicamente, non solo a chiacchiere. L'azione diretta nonviolenta contro la guerra o e' concreta o non e'. Questo richiede una preparazione rigorosa, training di formazione, un'autentica persuasione alla nonviolenza, la profonda introiezione dei suoi valori, lo studio sistematico delle sue tecniche. Ed occorre essere intransigenti nello stabilire che ad una azione diretta nonviolenta contro la guerra possono partecipare solo le persone che hanno fatto la scelta della nonviolenza, e che ad essa intendono attenersi fino in fondo; gli altri, i non persuasi, non possono partecipare poiche' sarebbero di pericolo per se' e per gli altri, e farebbero fallire irrimediabilmente l'azione nonviolenta anche solo con una parola sbagliata. - Preparando la disobbedienza civile di massa. La quale disobbedienza civile e' una cosa seria che richiede serieta' di comportamenti e piena responsabilita', consapevolezza e preparazione. Essa e' quindi il contrario delle iniziative equivoche ed irresponsabili che personaggi stolti e fin inquietanti hanno recentemente preteso di spacciare sotto questa denominazione". E concludeva: "Un movimento per la pace che non scelga la nonviolenza non e' un movimento per la pace". Anche a questo scopo, all'interno della Rete Lilliput si e' sviluppato il progetto della costituzione dei Gruppi di Azione Nonviolenta (in sigla: GAN) presso i nodi locali. Ossia della formazione teorica e pratica di gruppi di lillipuziani all'azione diretta nonviolenta. La diffusione di questi gruppi, i GAN, presso tutti i nodi della Rete potrebbe portare nel giro di qualche anno alla diffusione, su quasi tutto il territorio nazionale, di una rete di attivisti capaci di praticare, con consapevolezza e preparazione, una lotta nonviolenta e intransigente contro la macchina bellica. Naturalmente la costituzione dei GAN non potra' avvenire a ridosso dei preparativi di guerra, ma svolgersi per tempo, con lungimiranza ed in maniera costante, perche' il tempo apparentemente "perso" in mesi e anni di formazione - anche sul campo ed anche a scapito di attivita' apparentemente piu' urgenti e contingenti - e' in realta' indispensabile ad una buona riuscita delle azioni e, soprattutto, a farsi trovare pronti al momento opportuno. I GAN dentro la Rete Lilliput non nascono, naturalmente, solo in funzione anti-guerra, ma con una serie di obiettivi che vanno dal condurre le campagne per un'economia di giustizia con la tecnica delle azioni dirette nonviolente, alla capacita' di attivare conflitti locali su questioni globali, al disporsi come rete di "difesa popolare nonviolenta" nei confronti di aggressori interni alle istituzioni democratiche. A Reggio Emilia da circa un anno e' costituito il GAN che conduce una formazione specifica, teorica e pratica, sul tema della trasformazione del sistema dei trasporti per una mobilita' sostenibile e nonviolenta. E considerato quanto incide il controllo delle risorse petrolifere nelle guerre imperiali degli USA (6), anche questo e' un impegno di lunga lena sulle cause profonde delle guerre presenti e future (7). Ma qui si apre un altro capitolo. * Note 1. Vedi Philip S. Gloub Le tentazioni imperiali degli Stati Uniti in le monde diplomatique/il manifesto n.8/9 sett.2002; 2. Johan Galtung, Ambiente, sviluppo e attivita' militare, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984. 3. "Quaderni Satyagraha. Il metodo nonviolento per trascendere i conflitti e costruire la pace", Centro Gandhi, Pisa (per contattare la redazione: e-mail: pdpace at interfree.it). 4. Movimento Nonviolento c/o Pasquale Pugliese, tel. 0522434767, e-mail: puglipas at interfree.it; Rete Lilliput, c/o Mag 6, via Vittorangeli 7/d, Reggio Emilia. 5. Sul sito del Movimento Nonviolento, www.nonviolenti.org, e' consultabile l'archivio, quotidianamente aggiornato. 6. Vedi, per esempio, Michael T. Klare, Guerra e petrolio, in "Internazionale", n. 455, settembre 2002. 7. Per informazioni e contatti: Resistenza e pace, e-mail: ass-rep at libero.it; Movimento Nonviolento (sito: www.nonviolenti.org) e Rete Lilliput (sito: www.retelilliput.org). 2. MAESTRE. CORNELIA DELL'EVA INTERVISTA ROSEMARY LYNCH [Dal fascicolo di febbraio 2001 di "Sempre", mensile dell'Associazione comunita' papa Giovanni XXIII (redazione: vicolo parallela 29/A, 37045 Legnago (Vr), tel. 044225174, fax 044225132), riprendiamo questa intervista a suor Rosemary Lynch, una delle grandi protagoniste della nonviolenza] Minuta e fragile nell'aspetto ma non certo nel temperamento, suor Rosemary, francescana dell'Arizona, racconta i suoi 83 anni vissuti da protagonista del movimento nonviolento americano per la difesa dei diritti umani e della "madre Terra". Nata in Arizona 83 anni fa, suor Rosemary Lynch non e' stanca di testimoniare la sua appartenenza all'ordine francescano. Dopo il noviziato ha insegnato per diversi anni ed ha diretto alcune scuole dell'ordine. Nel 1960 e' stata eletta membro del Capitolo generale dell'ordine, ed ha vissuto a Roma gli anni ricchi di speranza del Concilio Vaticano II. "La mia educazione e' cominciata con l'arrivo in Europa - racconta oggi - quando ho conosciuto gli Stati Uniti dall'esterno. Vivevo immersa nel mito americano, ed e' stato uno shock scoprire come il mio paese veniva visto all'estero: un paese che opprimeva, che sfruttava; non potevo credere ai miei occhi". Suor Rosemary ha viaggiato molto, visitando l'Africa e l'America Latina, e vivendo in Polonia ed Indonesia, prima di tornare negli Stati Uniti, precisamente a Las Vegas. Qui inizia, alla fine degli anni '70, l'avventura che la impegna per diversi anni: scopre infatti che poco lontano da Las Vegas si svolgono gli esperimenti nucleari ordinati dal governo americano. Con un gruppo formato da suore francescane e abitanti della zona inizia una protesta nonviolenta, che ben presto attira l'attenzione dei mass media di tutto il mondo. Oggi suor Rosemary guarda al passato con la soddisfazione di aver portato avanti la logica francescana basata sulla nonviolenza, e spera in un futuro che sappia recuperare questa eredita'. - Cornelia Dell'Eva: Suor Rosemary, dalla sua storia emerge il volto nonviolento degli Stati Uniti, un aspetto della grande potenza mondiale di cui si parla poco. - Rosemary Lynch: Effettivamente degli USA si parla sempre in riferimento all'economia, alla politica, alla bellicosita'. Ma esiste un'altra faccia di questo grande paese: e' un ricettacolo di persone che provengono da tutti gli angoli del mondo e che hanno la forza di vivere insieme senza perdere la propria identita'. Non e' cosa facile, e le tensioni certo non mancano. Accanto a chi cavalca i disagi e li strumentalizza esiste pero' una gran quantita' di gruppi ed associazioni che desidera fortemente un cambiamento. Nonostante ci sia una forte tendenza bellica, che le ultime elezioni hanno messo in evidenza, sento crescere tra la gente la ricerca del bene e della giustizia. La sfida per il prossimo millennio e' quella di riuscire a coordinare tutte queste persone e formare un vero e proprio movimento della nonviolenza. Non sara' semplice, visto che oggi mancano veri e propri leader, come furono Martin Luther King o Cesar Chavez; non vedo, nel panorama statunitense e neppure a livello mondiale, dei personaggi che potrebbero fungere da punto di riferimento per il popolo della pace. Qualcosa, comunque, si muove, e non e' detto che la mancanza di un leader sia negativa: probabilmente sara' lo stimolo per percorrere strade nuove, ancora da inventare. - C. D'E.: Se guardiamo al passato, gli Stati Uniti hanno avuto importanti leader nonviolenti. Lei ha conosciuto in particolare Dorothy Day cosa ricorda di questa amicizia? - R. L.: Ho conosciuto Dorothy Day in occasione di una conferenza alla quale dovevamo partecipare entrambe. Le ho telefonato per mettermi d'accordo sui temi da trattare, e subito ho capito che si trattava di una persona di grande integrita', attenta ai particolari. Visto che le mie telefonate diventavano troppo frequenti e lunghe, mi invito' a scriverle: le lettere permettevano, secondo lei, di esprimersi con maggiore profondita', prendendosi il tempo per pensare a cio' che si voleva dire; inoltre era inutile sperperare tanto denaro in telefonate. Dorothy aveva scelto di dedicare la sua vita ai poveri, e come loro voleva vivere in semplicita', senza possedere nulla. Quando mori' si diceva che avrebbe acconsentito a seguire Gesu' in Paradiso solo se lui fosse stato vestito di stracci. Non tutti potevano capire la sua scelta. Sua figlia, ad esempio, non volle avere nulla a che fare con lei per molto tempo. Ma nonostante questo ed altri dolori, Dorothy rimase sempre fedele a se stessa. Si puo' dire che il movimento nonviolento negli Stati Uniti sia nato con lei. Della sua incredibile esperienza rimane ancor oggi il "Catholic Worker", un giornale al servizio dei poveri fondato da Dorothy e distribuito per le strade al prezzo di un cent. C'e' chi vorrebbe vederla beata, ed ha cominciato a raccogliere documenti per avviare la causa di beatificazione, ma io non credo che ne sarebbe contenta. Ha sempre rifiutato ogni onore da viva, figuriamoci se sopporterebbe di vedersi beatificare. Oltretutto il suo rapporto con la Chiesa istituzionale non era dei migliori... Dorothy veniva da una tradizione famigliare non cristiana: suo padre era un importante punto di riferimento del partito comunista, e lei, fin dalla giovinezza, milito' in diversi gruppi anarchici. Si avvicino' al cattolicesimo grazie ad un'amica. Fu una scelta che pago' a caro prezzo: il suo compagno, a cui resto' intimamente legata per tutta la vita, la lascio'. Nei confronti della Chiesa ufficiale e' sempre stata molto critica, ma anche nell'esprimere il suo disappunto per certe scelte, decise di rimanere fedele all'ideale nonviolento: esercitava nei confronti di vescovi e prelati la sua compassione, dicendo la sua opinione con fermezza ma senza rabbia o rancore. A chi le chiedeva dei suoi rapporti con le gerarchie ecclesiastiche rispondeva che "la Chiesa e' la croce sulla quale Gesu' viene crocifisso tutti i giorni", e visto che "e' impossibile immaginare Gesu' senza la sua croce", era necessario dialogare anche con quei signori. - C. D'E: Allo stesso modo lei, nelle manifestazioni contro i test nucleari nel deserto del Nevada, scelse la strada della disobbedienza civile e della nonviolenza attiva. - R. L.: Esattamente. In quel periodo, un periodo fantastico della mia vita, eravamo in molti ad essere sulla stessa lunghezza d'onda. Tutto e' cominciato nel 1977: vivevo a Las Vegas, e scoprii che la' vicino c'era il cosiddetto Nevada Test Site. Si trattava di una superficie immensa (1350 miglia quadrate) di deserto, destinata a subire i test nucleari decretati dal governo americano. A partire dal 1951 per oltre 90 volte le esplosioni atomiche avevano scosso quella parte di deserto. Una larga fetta di quest'area e' gia' stata chiusa e dichiarata contaminata per un periodo di tempo stimato intorno ai 25 mila anni. Era una situazione inaccettabile, tenuta prudentemente nascosta dal governo statunitense. Il popolo americano non ne sapeva nulla, e gli stessi abitanti della zona venivano sapientemente tranquillizzati dai tecnici, che garantivano l'immunita' dalle radiazioni e misure di sicurezza eccellenti. Noi decidemmo di intervenire, ed organizzammo semplici veglie di preghiera nelle vicinanze dei cancelli del NTS. Con il passare del tempo imparammo a superare i cancelli della base di esperimenti atomici e portammo la nostra testimonianza silenziosa nel deserto radioattivo. Siamo stati piu' volte arrestati per questo, ma mai ci siamo lasciati andare alla rabbia. Siamo riusciti a creare un rapporto di amicizia anche con i poliziotti che, di tanto in tanto, ci ammanettavano. Testimoniando la pace siamo riusciti a far capire a molti di loro che abbiamo tutti la stessa Madre Terra, e che non si puo' violarla. - C. D'E.: Quali sono le altre persone che l'hanno accompagnata nelle sue scelte? - R. L.: In quegli anni era forte la testimonianza di Thomas Merton. Non l'ho conosciuto personalmente, ma era un personaggio molto popolare in quegli anni negli Stati Uniti e le sue parole echeggiavano in ogni singolo Paese. "Il deserto - diceva parlando degli esperimenti nucleari - e' divenuto il luogo di una nuova terribile creazione, il terreno di prova di un oscuro potere attraverso cui gli uomini tentano di annientare cio' che Dio ha benedetto". Accanto a lui mi piace ricordare Cesar Chavez, una vita impegnata a favore dei braccianti che dal Messico arrivavano in California in cerca di lavoro e vivevano in condizioni disumane. Cesar provo' in tutti i modi a parlare coi datori di lavoro ma, visto che la sua voce rimaneva inascoltata, organizzo' in maniera esemplare il boicottaggio dell'uva e del vino della California. Noi suore francescane aderimmo senza riserbo; per anni non toccammo un acino di uva provenente da quelle zone. - C. D'E.: Oggi, a distanza di piu' di vent'anni, cosa le sembra sia rimasto di quest'esperienza? - R. L.: Sicuramente non siamo riusciti a cambiare il mondo. Gli esperimenti nucleari esistono ancora, ma credo che grazie ad azioni come la nostra, la gente sia ora piu' informata. E' importante che i giornali parlino di tutto cio' che avviene nel mondo, senza tralasciare i particolari scomodi per governanti o economisti. Al di la' di questo, credo che l'esperienza del Nevada abbia cambiato molte persone: noi avevamo deciso di rivolgerci ai singoli, e questo metodo ha dato i suoi frutti. Molti poliziotti venuti per arrestarci, molti giudici chiamati a condannarci, sono rimasti colpiti da cio' che raccontavamo ed hanno cambiato lavoro. Molte persone hanno capito che la guerra e la militarizzazione sono velenose per il paese e per il mondo. Nel periodo delle veglie nel deserto siamo riusciti ad entrare in contatto anche con gli indiani che un tempo abitavano quelle zone. Erano praticamente sotto shock per quello che stava avvenendo, e non hanno esitato ad affiancarci nella preghiera e nella lotta. Anche questo e' stato molto importante e ci ha arricchiti: conoscere il rispetto con il quale gli indiani si avvicinano alla Terra ci ha dato un motivo in piu' per perseverare. Abbiamo scoperto inoltre la grande sintonia che lega il messaggio francescano di amore per tutte le creature e la cosmologia delle popolazioni indigene. E' stato sorprendente. - C. D'E.: L'inizio del terzo millennio ci impone una riflessione sul futuro; la nonviolenza, secondo lei, sapra' essere una risorsa anche nei prossimi decenni? - R. L.: Recentemente un grande storico americano ha pronosticato che il seme della nonviolenza crescera' e sara' l'eredita' che il ventesimo secolo consegnera' al nuovo millennio. Io credo che la nonviolenza abbia ancora molto da dire e che i movimenti che vanno formandosi in questi anni abbiano molto da dare. Certo e' che questi metodi non producono risultati immediati: ci vuole pazienza, ci vuole tempo per far crescere le cose. Le popolazioni indigene del continente americano hanno molto da insegnarci: ricordo che mi impressiono' sapere che per catturare un'aquila gli indiani seguivano un rito che poteva durare diverse settimane; dovevano purificarsi, conoscere la preda e spiegarle perche' la sua morte era necessaria. Oggi e' forse piu' difficile "prendersi il tempo", ma ritengo sia il primo passo da fare per poterci incamminare pacificamente lungo la storia che ci attende. 3. MAESTRE. JUDITH MALINA RICORDA DOROTHY DAY [Il brano seguente abbiamo ripreso da "A. Rivista anarchica" n. 254 del maggio 1999 (in rete nel sito, eccellente, www.anarca-bolo.ch/a-rivista; per contatti: e-mail: arivista at tin.it). Esso e' un estratto dal libro di Cristina Valenti, Conversazioni con Judith Malina. L'arte, l'anarchia, il Living Theatre, Eleuthera, Milano 1995, pp. 112-119. La rivista presenta i brani di conversazione qui riportati con una nota introduttiva di Cristina Valente, che riproduciamo qui di seguito: "Nel 1955, l'anno a cui si riferisce il brano che segue, Judith Malina aveva fondato da otto anni insieme a Julian Beck il Living Theatre a New York, e da un anno aveva aperto il piccolo spazio del Loft Theater in One Hundredth St., dove stavano provando Phedre. Nello stesso periodo fu Jackson Mc Low (interprete di Teramene in Phedre), attore e poeta anarchico che gia' aveva introdotto Julian Beck e Judith Malina nel gruppo anarchico Resistance, ad avvicinarli alle iniziative pacifiste dei War Resisters e del Catholic Worker. Fu seguendo Jackson Mc Low che Judith Malina partecipo' nel giugno 1955, presso il City Hall Park di New York, a una dimostrazione pacifista contro le esercitazioni in caso di incursione aerea, che consisteva nel rifiutare di "mettersi in salvo" al suono delle sirene. In questa occasione Judith Malina conobbe Dorothy Day, con la quale fu arrestata e incarcerata una prima volta (un piu' lungo periodo di detenzione, sempre per un episodio di "disobbedienza civile", l'avrebbe trascorso con Dorothy Day due anni piu' tardi). "Santa Dorothy delle Strade" la chiama Judith in una poesia; e Julian scrive di lei che fu accusata di tradire la causa dei poveri quando rifiuto' di ricevere finanziamenti dalla Fondazione Ford perche' quel denaro era sporco. Con Dorothy Day e con il Catholic Worker Julian Beck e Judith Malina strinsero un'intensa collaborazione per iniziative pacifiste, e in particolare promossero uno Sciopero Generale per la Pace nel 1961 che Judith continua a ricordare come uno dei progetti piu' importanti della sua vita. Judith Malina ricorda Dorothy Day nei suoi Diari e nel volume di Conversazioni da cui e' tratto il brano che segue come una delle persone che maggiormente hanno contato nella sua vita" (Cristina Valenti)] - Judith Malina: Al mio primo arresto ebbi il grande privilegio di essere messa in cella con questa grande donna. Dorothy Day aveva fondato il Catholic Worker molti anni prima e viveva una vita di poverta' volontaria fra i piu' poveri dei poveri. - Cristina Valenti: Dorothy si definiva anarchica? - J. M.: Si', assolutamente anarchica, e una buona anarchica anche. Il concetto di anarchismo cattolico ovviamente e' inconcepibile per molti, perche' implica una contraddizione fra obbedienza e disobbedienza. Dorothy praticava la disobbedienza civile in nome del cattolicesimo. A quei tempi a New York c'era un arcivescovo molto rigido e intollerante e, a quanti le chiedevano se pregasse per lui, Dorothy rispondeva: "Si', prego per lui perche' non ha posto ostacoli al Catholic Worker, che ha l'imprimatur della Chiesa, e prego perche' non voglia ostacolarci in futuro". I cattolici trovarono molto di che discutere con lei circa il suo modo anarchico di accettare l'autorita' della Chiesa. Il suo lavoro di carita' era molto conosciuto. Una volta le ho chiesto: "Fra quelli che vivono nella casa di accoglienza quanti sono del Catholic Worker e quanti i senzatetto?" e lei ha risposto: "Non ho notato la differenza". Dorothy si rifiutava di fare distinzioni fra i poveri, gli ubriaconi, i miserabili e i disoccupati che arrivavano per un piatto di minestra e la gente che la minestra la cucinava; d'altra parte accadeva spesso che chi arrivava facesse anche la minestra, cosi', in effetti, non si potevano fare grandi differenze. - C. V.: Com'era la vostra vita in carcere, quale fu il vostro rapporto con le detenute? - J. M.: La Women's House of Detention era una prigione che sorgeva proprio nel mezzo del Greenwich Village, il quartiere piu' vivace e artistico di New York (...). Era un carcere molto sovraffollato nel periodo in cui eravamo dentro noi: poteva contenere circa 400 donne e ce n'erano 900. Io ero in una cella in cui c'era un letto e un piccolo materassino che veniva estratto da sotto il letto, dopo di che non ci si poteva nemmeno camminare attorno. E delle 900 donne la' dentro credo che 800 fossero prostitute e 700 tossicodipendenti. (...) E la' ho visto Dorothy incontrare queste persone senza speranza in un modo cosi' incredibile, semplice e diretto, che mi ha fatto imparare moltissimo della vita, del sistema delle classi, dei nostri obblighi gli uni verso gli altri, e di me stessa. E questa popolazione carceraria mi ha spinto a nutrire una speranza concreta nelle possibilita' dell'anarchismo. Quando si toccano questi argomenti ci si sente sempre chiedere: "Cosa avresti intenzione di fare con le persone realmente cattive?". Il fatto e' che non lo sono: non lo erano neanche quelle che stavano scontando crimini orrendi, come la giovane donna che ci ha sfidato una volta - eravamo nella nostra cella, durante l'ora di attivita', quando le celle sono aperte ed e' consentito parlare con le detenute del proprio corridoio, e tutte venivano a parlare con Dorothy perche' era meraviglioso parlare con lei - e questa donna disse: "Senti, io ho ucciso cinque persone, cosa vorresti fare con gente come me?". E Dorothy seppe rispondere in un modo che le disarmo' tutte, compresa la donna che aveva ucciso cinque persone. Dorothy disse: "Come e' stato che hai ucciso tante persone? Cosa e' successo? Raccontaci la tua storia". Dorothy mi rimproverava spesso. Mi diceva: "Judith, non devi pensare di poter risolvere i problemi di tutti, puoi desiderarlo, ma e' una cosa senza speranza". E questo era oggetto di discussioni continue fra di noi. Io sentivo di doverci provare e lei diceva: "No, ognuno deve risolvere i propri problemi". Ma io non mi rassegnavo: "Voglio porre le condizioni perche' tutti risolvano i loro problemi". "Perche' credi di poterlo fare?". "Risolvero' i problemi di tutti". Un altro motivo di discussione frequente fra di noi riguardava l'inferno. Ho scritto una poesia su questo, credo che tu la conosca, sul fatto che l'inferno deve essere vuoto se e' vero che Dio e' tutto misericordia [Whose Mercy Endures Forever, poesia dedicata a Paul Goodman e Dorothy Day, in J. Malina, Poems of a wandering Jewess, Paris, Handshake Editions, 1982, pp. 22-23. Nota di C. V.]. Discutevamo di queste contraddizioni, della contraddizione fra il bene e il male nel cuore umano e nella societa', del nostro desiderio di cambiare il mondo e noi stessi e del fatto che invece dovevamo aspettare il momento in cui saremmo state in grado di raccogliere le forze necessarie per farlo. - C. V.: Dalle pagine del tuo diario emerge un'immagine molto bella: la giovane Judith osserva la canuta Dorothy, l'ascolta, vede come si comporta e prende nota di tutto. Nei lunghi tempi del carcere anche l'attenzione sembra dilatarsi, insieme alla disponibilita' a capire, ad osservare. E l'insegnamento di Dorothy non e' mai dichiarato, ma prende forma nel corso dell'esperienza, pian piano, di pari passo col dispiegarsi di quella. - J. M.: La cosa piu' importante che ho imparato da Dorothy in quella situazione e' che e' possibile, per chi e' anarchico e pacifista, occuparsi delle persone in modo completamente differente, avere con loro un tipo di relazione umana, anche all'interno di un carcere pieno di violenza. Nei miei Diari ci sono molte storie di violenza. C'era un enorme serbatoio di rabbia, di collera e di odio la' dentro; e la nostra presenza era quella di un piccolo gruppo che introduceva un altro tono e un altro livello di dialogo in una situazione in cui tutto cio' sembrava assolutamente incomprensibile. E voglio ricordare almeno un'altra donna, Deane Mowrer, un'anarchica che era stata arrestata con noi e che pure esercito' su di me un'influenza meravigliosa. Anche la nostra relazione con le guardie fu interessante... Il carcere e' un microcosmo incredibile, dove le guardie sono chiaramente la classe degli oppressori e il rapporto con loro e' insieme di odio e dipendenza: le temiamo, ci arrabbiamo, e nello stesso tempo dipendiamo da loro, in una forma che non e' altrettanto evidente nella societa' esterna. E Dorothy mostrava alle detenute un modo diverso di rapportarsi col potere dell'autorita': mostrando resistenza ma senza un atteggiamento di odio, sapendo opporre il proprio "no" senza rabbia, ma con la fermezza delle proprie posizioni nei confronti di un altro essere umano. Questa e' stata certamente una delle lezioni anarchiche che ho appreso da lei. Un'altra e' stata quella del mutuo appoggio fra detenuti. (...) Io credo che le persone, quando sono costrette a subire dolorose forme di violenza, rispondano aiutandosi reciprocamente, in quel modo che noi anarchici consideriamo naturale. E con la guida di una persona come Dorothy, che conosceva assai bene i principi base dell'anarchismo classico, queste forme di reciproca solidarieta' si ampliarono, senza bisogno che noi parlassimo di anarchismo: parlavamo di come vivere nel mondo, parlavamo soprattutto delle loro sofferenze, perche' queste erano le cose di cui si doveva parlare. In quel carcere Dorothy ci ha fatto capire come sia possibile ottenere grandi risultati, a livello pratico e a livello ideale, a partire da una qualita' diversa dei rapporti fra le persone. (...). - C. V.: E' persino paradossale che due persone che rappresentavano modelli femminili cosi' differenti, come te e Dorothy Day, abbiano pero' trovato, nel profondo, delle affinita' cosi' grandi. Dorothy che, a un certo punto della sua vita, ha scelto la pratica della castita', e tu che hai sempre lottato per la liberazione sessuale e la realizzazione totale dell'individuo. Eppure entrambe avevate scelto di non sottomettere il vostro progetto di vita alle condizioni poste dal vostro sesso o alle convenzioni sociali o alle norme stabilite. - J. M.: Abbiamo parlato molto di queste cose e, rispetto alla questione della liberazione sessuale, lei diceva che il problema non e' quello che poi si va all'inferno, ma che si soffre, perche' non funziona. Dorothy aveva molta esperienza di amore libero. Il problema era, secondo lei, che se si cerca il paradiso in terra si trova l'inferno; e su questo naturalmente non ero d'accordo con lei. Noi eravamo in una casa di detenzione con centinaia di donne che praticavano l'amore libero... non era amore libero, in effetti, ma fatto di dolore e sofferenza. (...) E l'unica felicita' che trovavano - erano in molte a dirlo - era quando venivano messe in cella con una donna che amavano e con la quale avevano una relazione omosessuale non piu' basata sulle orribili umiliazioni che vivevano fuori. Questo era il loro piu' grande desiderio e la loro consolazione reciproca. Dorothy si interessava alla loro sofferenza senza esprimere un giudizio morale. Sul piano sessuale, riteneva che la castita' fosse il miglior modo di vivere per chi non avesse un marito. Per quanto la riguardava, diceva che sarebbe forse stata piu' felice se avesse trovato un uomo da amare e con cui vivere una normale vita familiare. Ma anche se era a favore della castita' non la predicava certo alle prostitute. Con loro parlava piuttosto di come trovare la forza per opporsi al potere dei loro magnaccia, perche' era questo il loro problema: erano nelle mani di uomini che le maltrattavano e dei quali di solito erano innamorate. Questo amore per chi ti fa del male, questo desiderio masochistico di protezione era la cosa di cui parlava di piu', perche' aveva un'utilita' pratica. Se solo fossero state in grado, una volta ritornate ciascuna alla propria vita, di guardare le cose e le persone in modo differente, comprendendo piu' chiaramente gli aspetti terribili dei loro rapporti, allora forse ci sarebbe stata qualche speranza che la loro sofferenza potesse per lo meno diminuire. Quello che Dorothy cercava di dar loro era una piccola forza morale, una forza interiore che le aiutasse a sopportare quelle condizioni di vita. E quando mi rimproverava perche' cercavo di risolvere i loro problemi era perche' non potevo riuscirci. Io volevo che smettessero di fare le prostitute, ma questo non era un consiglio pratico e probabilmente non era nemmeno alla portata della maggior parte di loro. Certo, noi parlavamo della possibilita' di soluzioni alternative, dal punto di vista economico, personale e domestico. Ma d'altra parte la loro storia la conoscevamo: al momento di uscire dal carcere avrebbero ricevuto venticinque cents, qualcosa come poche migliaia di lire, e l'Esercito della Salvezza avrebbe dato un vestito nuovo a ciascuna. Un vestito nuovo e poche migliaia di lire: cosi' se ne sarebbero andate a riprendere la vita che avevano lasciato. (...). 4. MEMORIA. NORBERTO BOBBIO COMMEMORA ERASMO DA ROTTERDAM [La seguente commemorazione di Erasmo da Rotterdam fu tenuta nel 1996 da Norberto Bobbio all'Universita' di Torino, in cui Erasmo si laureo'; il testo di essa apparve in versione parziale sul quotidiano "La stampa", ed in versione integrale nell'eccellente mensile torinese "Il foglio", nel n. 231 del luglio 1996. Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti at tiscalinet.it) per averci trasmesso queste parole che un grande maestro di cultura, di diritto e di impegno civile ha dedicato al principe degli umanisti, fondatore dell'impegno pacifista nell'eta' moderna. Norberto Bobbio e' nato a Torino nel 1909, antifascista, filosofo della politica e del diritto, e' autore di opere fondamentali sui temi della democrazia, dei diritti umani, della pace. E' uno dei piu' prestigiosi intellettuali italiani del Novecento. Opere di Norberto Bobbio: per la biografia (che si intreccia con decisive vicende e cruciali dibattiti della storia italiana di questo secolo) si vedano il volume di scritti autobiografici De Senectute, Einaudi, Torino 1996; e l'Autobiografia, Laterza, Roma-Bari 1997; tra i suoi libri di testimonianze su amici scomparsi (alcune delle figure piu' alte dell'impegno politico, morale e intellettuale del Novecento) cfr. almeno Maestri e compagni, Italia civile, Italia fedele, tutti presso l'editore Passigli. Per la sua riflessione sulla democrazia cfr. Il futuro della democrazia; Stato, governo e societa'; Eguaglianza e liberta'; tutti presso Einaudi. Sui diritti umani si veda L'eta' dei diritti, Einaudi. Sulla pace si veda Il problema della guerra e le vie della pace, Il Mulino, varie ristampe; Il terzo assente, Sonda, Torino 1989; Una guerra giusta?, Marsilio, Venezia 1991; Elogio della mitezza, Linea d'ombra, Milano 1994. A nostro avviso indispensabile e' anche la lettura di Politica e cultura, Einaudi; Profilo ideologico del Novecento, Garzanti; Teoria generale del diritto, Giappichelli. Di Bobbio recentemente e' stato pubblicato il volume-conversazione con Maurizio Viroli, Dialogo intorno alla repubblica, Laterza, Roma-Bari 2001. Opere su Norberto Bobbio: segnaliamo almeno Enrico Lanfranchi, Un filosofo militante, Bollati Boringhieri, Torino 1989; Piero Meaglia, Bobbio e la democrazia: le regole del gioco, Edizioni cultura della pace; S. Domenico di Fiesole (Fi) 1994; Tommaso Greco, Norberto Bobbio, Donzelli, Roma 2000] Chi entra nel cortile di questo palazzo e percorre l'ala sinistra del porticato per accedere allo scalone che lo porta in questa aula non puo' fare a meno di imbattersi in una grande lapide di marmo, murata piu' di cento anni fa (1876), in cui si legge che Erasmo da Rotterdam ebbe il titolo di dottore in teologia in questa Universita' il 4 di settembre del 1506. E non puo' non essere colto da un moto di sorpresa nel trovare accostati i due nomi del grande Erasmo e della piccola citta' di Torino (aveva allora poche migliaia di abitanti) con la sua sconosciutissima e tutt'altro che vetusta Universita', che, come ha scritto Luigi Firpo (che all'episodio della laurea erasmiana ha dedicato una dottissima narrazione), era "poco frequentata e deserta di docenti illustri", "modesta scuola di provincia, piuttosto corriva nel concedere titoli dottorali". Nel 1506 Erasmo aveva 37 anni. Aveva.gia' scritto una delle sue opere che lo renderanno famoso, l'Enchiridion Militis Christiani. Il viaggio in Italia per visitarvi le principali citta', conoscere i dottori piu' famosi, frequentare le celebri biblioteche, era una sua vecchia aspirazione, che per diverse circostanze sfortunate era stato costretto piu' volte a rinviare. Questa volta, nel suo soggiorno inglese, l'occasione gli era stata offerta da un genovese autorevole, Giovan Battista Boeri, che era medico del re d'Inghilterra. Questi gli aveva affidato i suoi due figli perche' li accompagnasse nel viaggio in Italia. La partenza da Londra avvenne ai primi di giugno del 1506; attraverso la Francia, con una lunga tappa a Parigi, sosta a Lione, traversata delle Alpi per il colle del Moncenisio, Erasmo arrivo' a Torino alla fine di agosto. La discussione su vari temi teologici si svolse il 4 settembre nel Palazzo dei Vescovo, alla presenza di un collegio giudicante di teologi dell'Universita', che lo dichiararono "idoneo e sufficiente" a ottenere il titolo di dottore. La ragione principale per cui Erasmo si addottoro' nell'oscura Universita' torinese, anziche' in quella illustre di Bologna verso la quale era diretto, pare sia stata la opportunita', fattagli presente da alcuni amici, di avere un titolo di dottore, comunque, il piu' presto possibile, prima di presentarsi ai dottori che avrebbe voluto incontrare. Scendendo in Italia dalla Francia, la nostra citta' fu la prima che egli trovava sul suo cammino. Scrisse piu' tardi che aveva ricevuto il dottorato in teologia "contro voglia e sospinto dagli amici". Firpo osserva con malizia che nelle lettere in cui parla della laurea conseguita non indica mai il nome dell'Universita' di Torino. Si consolino pero' i torinesi qui presenti. In una lettera di molti anni piu' tardi (2 aprile 1533, pochi anni prima della morte) scrivera': "A Torino mi piaceva la straordinaria cortesia (humanitas) della popolazione". Il soggiorno di Erasmo in Italia duro' tre anni. Tanto amo' l'Inghilterra, paese in cui gli piaceva vivere, patria di Tommaso Moro, tanto poco amo' l'Italia e meno ancora gli italiani: il soggiorno in Italia negli anni delle gesta del bellicoso Giulio II, gli suggeri' non pochi argomenti per l'Elogio della pazzia, che pubblico' nel 1511. Detestava l'arroganza dei dotti che consideravano barbari tutti gli altri popoli, in specie i Romani "che van sognando, nella maniera piu' spassosa, le glorie dell'antica Roma". Non mancano peraltro anche giudizi qua e la' lusinghieri, su Venezia, per esempio. Erasmo, nonostante la sua cagionevole salute, viaggio' attraverso l'Europa, soggiornando anche a lungo in vari paesi, ma non ne adotto' nessuno. La sua lingua e' il Latino. L'unica sua patria - patria ideale cui aspira pur non ignorando che e' piu' divisa che mai - e' l'Europa cristiana. Scrive: "Una volta il Reno separava il Gallo dal Germano. Ora il Reno non separa il cristiano dal cristiano". Altrove: "I Pirenei disgiungono gli spagnoli dalla Francia, ma non dividono le comunita' della Chiesa. Il mare divide gli inglesi dai francesi, ma non divide l'unita' della fede". La divisione in nazioni separate e' incompatibile con l'universalita' del cristianesimo. Scrive anche: "Ubi bene est, ibi patria est". E ancora "Se il nome di patria serve a unire, ricordiamo che la patria comune e' il mondo". Non e' ne' inglese ne' francese ne' tedesco, tanto meno italiano. E' europeo. Europeo perche' cristiano. L'unica repubblica a cui ammette di appartenere, e ne trae vanto, e' la repubblica di coloro che, in quanto uomini di studi, si riconoscono, dialogano e disputano fra di loro, al di sopra delle frontiere. Patriota di nessuna patria, attribuisce a se stesso lo status di peregrinus, non quello di cittadino: "Ego mundi civis esse cupio, communis omnium vel peregrinus". Erasmo, principe della pace, come fu chiamato. Nel secolo in cui il problema della pace ha due aspetti diversi. La pace religiosa e quella politica. Entrambe, del resto, sono strettamente connesse l'una con l'altra: le discordie religiose non sono mai disgiunte dalle lotte politiche e territoriali, anzi sono con esse continuamente intrecciate. I suoi scritti politici appaiono l'uno a breve distanza dall'altro in poco piu' di un decennio, l'Elogio della pazzia nel 1511, il Dulce bellum inexpertis (in volgare: "Chi loda la guerra non l'ha mai vista in faccia") nel 1515 nella nuova edizione degli Adagia, l'Institutio principis christiani nel 1516, dedicata al futuro Carlo V, la Querela pacis l'anno dopo. Il 1517 e' l'anno in cui Martin Lutero affigge le 95 tesi sulle porte del duomo di Wittenberg. Nel decennio precedente si sono successe le imprese guerresche in Italia di Giulio II, che lo indignano. Nel 1515 il giovane re di Francia, Francesco I, invade l'Italia e vince la battaglia di Marignano. Erasmo commenta: "C'e' forse una nazione ove non si sia combattuto spietatamente in terra o in mare? Quale paese non s'inzuppo' di sangue cristiano?". Esclama: "O teologi senza lingua, o vescovi muti, che assistete senza far motto a questo sfacelo dell'umanita'". Due sono le ragioni della discordia che genera infelicita' e sofferenza infinite: religiose e politiche. Il nemico della pace religiosa e' il fanatismo, da cui nasce l'intolleranza delle idee altrui, l'ostinazione con cui ognuna della parti sostiene con accanimento la propria verita', la caparbieta' nel difenderla sino alla rottura irrimediabile di ogni tentativo di dialogo ragionevole, fondato sullo scambio di argomenti, il rifiuto di ogni invito alla pacata riflessione, alla mediazione fra tesi che non sono sempre, come appare a un giudizio passionale, inconciliabili. Tema ricorrente e' l'avversione per le sottili e futili dispute dei dotti, in particolare dei teologi che tanto piu' accanitamente litigano fra loro quanto piu' irrilevanti sono i temi della disputa. Nella Querela pacis, la pace, come la follia nell'elogio della medesima, parla in prima persona. Viaggia attraverso il mondo per trovare un angolo in cui sia rispettata. Dopo averla invano cercata fra i principi, si rifugia piena di speranza fra i dotti: "Quale pena!", esclama. Anche qui, un altro genere di guerra, se pure non cruenta, ma non meno folle (insana). Non cessa dallo sbeffeggiare le sottigliezze di cui costoro si compiacciono per il gusto della disputa fine a se stessa. E pretendono di sputare sentenze sull'universo mondo, costringendo i dissenzienti, quando ne hanno il potere, a piegarsi alle loro stramberie. Erasmo e' l'uomo della moderazione. La virtu' che egli apprezza, sopra ogni altra, nei sovrani e nei grandi uomini, e' la mitezza (mansuetudo); cerca nelle grandi idee e nei grandi uomini del passato piu' cio' che li unisce che quello che li divide. Come accade alle persone che sono in continuo dissidio con se stesse e non sono mai soddisfatte di se', sente il bisogno di essere in armonia con gli altri. Disse di se' in terza persona: "Non scrisse mai nulla di cui fosse soddisfatto, gli dispiaceva il suo stesso aspetto, e solo le insistenza degli amici lo costrinsero a stento a farsi ritrarre". Fu un uomo di dubbi piu' che di certezze, come conveniva al dotto che non fu mai uomo d'azione. Alla fine del secolo, come attesta Giovanni Botero, era diventato un modo corrente di dire per contrapporre Erasmo a Lutero: "Erasmus dubitat, Lutherus asseverat". Se il nemico della pace religiosa e' il fanatismo, il nemico della pace politica e' l'ubris dei principi, la libido dominandi di cui parla Agostino, oggi, dopo Nietzsche, diremmo la volonta' di potenza, da cui abbiamo appreso a riconoscere quello che Gerhard Ritter ha chiamato il "volto demoniaco del potere", considerandone capostipite Machiavelli contro Tommaso Moro, di Erasmo amico per elettiva affinita'. Il fanatismo genera intolleranza, la volonta' di potenza genera la guerra, che e' diventata, ma in realta' e' sempre stata, la condizione permanente dei rapporti tra stati sovrani. Questi, violando il principio fondamentale cui dovrebbe essere ispirata la loro condotta, il perseguimento del bene comune e della felicita' dei loro popoli, tendono a rendere il loro dominio non migliore ma maggiore. Tanto piu' grave la trasgressione quanto piu' sono cristiani i principi che la commettono. Nel celebre adagio, gia' menzionato, Dulce bellum inexpertis, scrive: "La nostra vita e' dominata dalla guerra. Non c'e' tregua. Imperversa tra le nazioni ma non risparmia neppure i rapporti di parentela, non conosce vincoli di sangue, mette fratelli contro fratelli, arma i figli contro il padre", e, ignominia ancora piu' grande, "il cristiano contro il cristiano". Erasmo e' assillato, ossessionato, tormentato da due pensieri che lo perseguitano. Il primo riguarda la futilita' o frivolita' delle ragioni per cui i sovrani sono disposti ad avventurarsi in guerre sanguinose. Ritorna il tema della futilita', che e' follia e, come tale, l'opposto dell'assennatezza, ma ben piu' grave per le conseguenze che ne derivano. Questo tema anticipa anche uno dei topoi della letteratura pacifista del futuro: la guerra come "capriccio dei principi". Il secondo pensiero si rivolge alla guerra che imperversa nell'Europa cristiana, tra sovrani che dovrebbero avere come somma guida il Vangelo. La guerra europea in quanto combattuta tra principi cristiani diventa, agli occhi di Erasmo, una vera e propria guerra civile (ricordo che "guerra civile europea" e' stata chiamata non a caso anche la nuova guerra dei trent'anni (1914-1945) che ha sconvolto il nostro secolo). Nella Querela pacis Erasmo mette la civile concordia che regna fra gli uomini all'interno della propria specie in contrasto con la belluinita' degli uomini nei rapporti fra loro. Una delle sue massime preferite: "La natura ha insegnato la concordia ma l'uomo vuole la discordia" (ma Kant sosterra' la massima opposta: "L'uomo vuole la concordia ma la natura vuole, per spingerlo a progredire, la discordia"). Nel suo vagabondaggio in cerca di se stessa, la pace non solo apprende che ovunque c'e' guerra, ma che ovunque ci sono anche i dottori che la giustificano. La teoria tradizionale. da Agostino a Tommaso, della guerra giusta, non piace al principe della pace. Il quale - affermazione scandalosa - ripete: "Meglio una pace ingiusta che una guerra giusta". Se pure con qualche ambiguita', e' contrario alla crociata contro i Turchi, bandita dal nuovo pontefice Leone X. Se volessimo respingere i Turchi con la guerra - argomenta - ci faremmo noi stessi Turchi. Correremmo il pericolo "Ut nos degeneremus in Turcis". Conclude: anche se possa esserci nella guerra qualcosa di giusto, sarebbe ben difficile trovarvi qualche cosa che non sia ispirato dalla collera, dalla libidine, dalla ferocia, dall'avidita'. Vi sono due forme di pacifismo: quello etico-religioso e quello istituzionale o giuridico. Il pacifismo dell'autore del Lamento e' senza ombra di dubbio il primo. Erasmo rifiuta l'ideale dantesco della monarchia universale, che considera un ideale non di pace ma di guerra. Il pacifismo istituzionale attraverso il diritto nascera' in Europa piu' tardi. L'unico strumento giuridico che egli prevedeva era quello tradizionale dell'arbitrato, ma ne attribuiva il compito non tanto ai principi quanto ai vescovi e al papa. Il futuro della pace non puo' essere affidato, secondo Erasmo, se non all'educazione del principe cristiano, il cui dovere principale dovrebbe essere quello di difendere la pace interna e quella esterna del proprio popolo. Nella Educazione del principe cristiano, che egli scrive negli stessi anni in cui Machiavelli scrive Il Principe, che ne e' l'antitesi, cosi' tratteggia le virtu' del principe cui e' affidato il mantenimento della pace universale: magnanimita', temperanza, onesta'. E ne indica i vizi che dovrebbe evitare: "Se vorrai entrare in gara con altri principi, non ritenere di averli vinti perche' hai tolto loro parte del loro dominio. Li vincerai veramente se sarai meno corrotto di loro, meno avaro, arrogante, iracondo, precipitoso". Negli stessi anni Machiavelli nel famoso cap. XVIII del Principe scriveva, al contrario: "Faccia dunque uno principe di vincere e mantenere lo stato: i mezzi saranno giudicati onorevoli e da ciascuno laudati". Il secolo di Erasmo era allora all'inizio. Non conobbe ne' la pace religiosa ne' quella politica. Il sogno di Erasmo non si avvero'. Noi siamo alla fine del nostro secolo e le due piu' grandi guerre nella storia dell'umanita', le abbiamo alle spalle. Non possiamo dire di essere "inexperti". Eppure anche noi non siamo sicuri che quel sogno si avveri. Ma non e' necessario essere sicuri, come non era Erasmo, per continuare a perseguirlo. 5. STRUMENTI. AMNESTY INTERNATIONAL: RAPPORTO ANNUALE 2002 Amnesty International, Rapporto annuale 2002, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 2002, pp. 632, euro 18.000. Uno strumento di lavoro indispensabile. 6. STRUMENTI. NESSUNO TOCCHI CAINO. LA PENA DI MORTE NEL MONDO. RAPPORTO 2002 Nessuno tocchi Caino, La pena di morte nel mondo. Rapporto 2002, Marsilio, Venezia 2002, pp. 574, euro 15. Una lettura e un impegno necessari. 7. STRUMENTI. NORBERTO BOBBIO, NICOLA MATTEUCCI, GIANFRANCO PASQUINO: DIZIONARIO DI POLITICA Norberto Bobbio, Nicola Matteucci, Gianfranco Pasquino (a cura di), Dizionario di politica, Utet, Torino 1983, 1990, Tea, Milano 1990, 1992, pp. XIV + 1.244, lire 40.000. Utilissimo sempre. 8. STRUMENTI. LUCIANO GALLINO: DIZIONARIO DI SOCIOLOGIA Luciano Gallino, Dizionario di sociologia, Utet, Torino 1978, 1993, Tea, Milano 1993, pp. XVIII + 774, lire 38.000. Validissimo strumento di lavoro. 9. STRUMENTI. FRANCO VOLPI: DIZIONARIO DELLE OPERE FILOSOFICHE Franco Volpi (a cura di), Dizionario delle opere filosofiche, Bruno Mondadori, Milano 2000, pp. CXXVIII + 1.168, euro 38,73. Varie voci sono autentiche gemme di finezza ermeneutica. 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: http://www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 402 del primo novembre 2002
- Prev by Date: Comunicazione.
- Next by Date: R.D.Congo: sarà pace o sarà ancora guerra ?
- Previous by thread: Comunicazione.
- Next by thread: R.D.Congo: sarà pace o sarà ancora guerra ?
- Indice: