L'etica della vendetta da un padre che ha perso suo figlio a causa del terrorismo



Discorso di Yitzhak Frankenthal, Presidente del Forum delle Famiglie, durante una manifestazione a Gerusalemme sabato 27 luglio 2002, fuori dalla residenza del Primo Ministro.

Il mio adorato figlio Arik, mia carne e mio sangue, è stato ucciso dai palestinesi. Il mio figlio dagli occhi azzurri e dai capelli d'oro che era sempre sorridente con l'innocenza di un bambino e il giudizio di un adulto. Mio figlio. Se, per colpire i suoi assassini, dovessero essere uccisi bambini palestinesi e altri civili innocenti, io chiederei alle forze di sicurezza di aspettare un'altra occasione. Se le forze di sicurezza dovessero uccidere anche palestinesi innocenti, io direi loro che non sono stati migliori degli assassini di mio figlio. Il mio adorato figlio Arik è stato ucciso da un palestinese. Se le forze di sicurezza avessero informazioni sul luogo in cui si trova questo assassino e se risultasse che è circondato da bambini e altri civili palestinesi innocenti, allora, anche se le forze di sicurezza sapessero che il killer sta programmando un altro attacco omicida che sta per essere lanciato entro alcune ore e se ora avessero la possibilità di frenare un attacco terroristico che ucciderebbe civili israeliani innocenti ma a costo di colpire palestinesi innocenti, io direi alle forze di sicurezza di non cercare la vendetta ma di tentare di evitare e prevenire la morte di civili innocenti, siano essi israeliani o palestinesi. Io preferirei che il dito, che preme il grilletto o il bottone che fa cadere la bomba, tremasse prima di uccidere l'assassino di mio figlio, piuttosto che venissero uccisi dei civili innocenti. Direi alle forze di sicurezza: non uccidete l'assassino. Piuttosto, portatelo davanti ad un tribunale israeliano. Voi non siete i giudici. La vostra unica motivazione non dovrebbe essere la vendetta, ma la prevenzione di ogni danno a civili innocenti. L'etica non è bianca e nera, è tutta bianca. L'etica deve essere libera dalla volontà di rivalsa e dalla sconsideratezza. Ogni atto deve essere attentamente soppesato prima che si prenda una decisione per vedere se risponde agli stretti criteri etici. L'etica non pur essere lasciata alla discrezione di chiunque sia frivolo o dal grilletto facile. La nostra etica è appesa a un filo, alla mercé di ogni soldato e politico. Non sono del tutto sicuro di voler delegare a loro la mia etica. E' immorale uccidere donne e bambini israeliani o palestinesi innocenti. E' immorale anche controllare un'altra nazione e portarla a perdere la sua umanità. E' palesemente immorale far cadere una bomba che uccide palestinesi innocenti. E' manifestamente immorale compiere la propria vendetta su astanti innocenti. D'altra parte, è sommamente etico prevenire la morte di ogni essere umano. Ma se tale prevenzione causa la morte inutile di altri, il fondamento etico per tale prevenzione va perduto. Una nazione che non è in grado di tracciare il confine è condannata alla fine ad applicare misure immorali contro il suo stesso popolo. Il peggio nella mia mente non è ciò che è già capitato ma ciò che sono sicuro succederà un giorno. E succederà perché ora l'etica viene distorta e la leadership politica e militare non ha neanche la fondamentale integrità per dire: "Ci dispiace". Abbiamo perduto di vista l'etica molto prima degli attentati suicidi. Il punto di rottura è stato quando abbiamo cominciato a controllare un'altra nazione. Mio figlio Arik è nato in una democrazia con una possibilità di una vita decente, sicura. L'uccisore di Arik è nato sotto una spaventosa occupazione, un caos etico. Se mio figlio fosse nato al suo posto, avrebbe potuto finire facendo la stessa cosa. Se io stesso fossi nato nel caos politico ed etico che è la realtà quotidiana palestinese, certamente avrei provato ad uccidere e a colpire l'occupante; se no, avrei tradito la mia essenza di uomo libero. Lasciamo che tutti gli ipocriti che parlano degli spietati assassini palestinesi diano uno sguardo severo allo specchio e chiedano a se stessi cosa avrebbero fatto se fossero stati loro a vivere sotto l'occupazione. Per quanto mi riguarda, posso dire che io, Yitzhak Frankenthal, sarei indubbiamente diventato un combattente per la libertà e avrei ucciso il maggior numero possibile di quelli dell'altra parte. E ' questa ipocrisia depravata che spinge i palestinesi a combatterci implacabilmente. Il nostro doppio metro che ci permette di vantare la più alta etica militare, mentre la stessa etica militare uccide bambini innocenti. Questa mancanza di etica è portata a corromperci. Mio figlio Arik è stato ucciso quando era un soldato da combattenti palestinesi che credevano nel fondamento etico della loro lotta contro l'occupazione. Mio figlio Arik non è stato ucciso perché era ebreo ma perché è parte di una nazione che occupa il territorio di un'altra. So che queste idee sono sgradevoli, ma devo esprimerle forti e chiare perché vengono dal mio cuore, il cuore di un padre il cui figlio non è riuscito a vivere perché il suo popolo era accecato dal potere. Anche se vorrei farlo, non posso dire che i palestinesi devono essere incolpati della morte di mio figlio. Questa sarebbe la via d'uscita più facile, ma siamo noi, gli israeliani, che dobbiamo essere incolpati a causa dell'occupazione. Chiunque rifiuta di tener conto di questa terribile verità porterà alla fine alla nostra distruzione. I palestinesi non possono cacciarci via; essi hanno riconosciuto da tempo la nostra esistenza. Sono stati pronti a fare la pace; siamo noi che non vogliamo fare la pace con loro. Siamo noi che insistiamo a mantenere il nostro controllo su di loro; siamo noi che aggraviamo la situazione nella regione e alimentiamo il ciclo dello spargimento di sangue. Mi dispiace dirlo, ma la responsabilità è interamente nostra. Non intendo assolvere i palestinesi e in nessun modo giustificare attacchi contro civili israeliani. Nessun attacco contro civili pur essere condonato. Ma come forza di occupazione siamo noi che calpestiamo la dignità umana, siamo noi che annientiamo la libertà dei palestinesi e siamo noi che spingiamo un'intera nazione a folli atti di disperazione. Infine, faccio appello ai miei fratelli e sorelle negli insediamenti perché vedano a che punto siamo arrivati.

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Operazione Colomba
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