modifiche in corso alla legge 185/90 sull'esportazione di armi




Vi invio alcune note su un disegno di legge attualmente in discussione che comporta modifiche alla legge n.185/90, la legge italiana sulla trasparenza e il controllo del commercio di armi, una delle più avanzate e lungimiranti nel contesto europeo ed internazionale. Le modifiche riducono drasticamente controlli, trasparenza e divieti per una parte rilevante dell export italiano di armamenti. Il ddl, presentato dall attuale governo, è molto simile ad uno precedente presentato dal governo D Alema, ma bloccato da ong come Amnesty ed Archivio Disarmo. E quindi prevedibile che verrà approvato in tempi brevi. L Osservatorio sul commercio delle armi vuole quantomeno informare opinione pubblica e parlamentari sulle possibili conseguenze di tali modifiche.

Per saperne di più potete leggere direttamente il ddl 1927 (su internet camera deputati).

Osservatorio sul Commercio delle armi

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IL DISEGNO DI LEGGE N.1927 CHE MODIFICA LA L. N. 185/90 SULLA TRASPARENZA E IL CONTROLLO DEL COMMERCIO DI ARMI ITALIANE: CONSEGUENZE E RISCHI SULLA PACE E SICUREZZA INTERNAZIONALE.



Oscar (Osservatorio sul Commercio delle armi di Ires Toscana)

E’ attualmente in discussione nelle Commissioni riunite Esteri e Difesa il disegno di legge n.1927 recante la ratifica ed esecuzione dell’accordo quadro relativo alle misure per facilitare la ristrutturazione e le attività per la difesa europea , che comporta, al contempo, emendamenti la legge n. 185/90 sulla trasparenza e il controllo del commercio di armi La modifica principale consiste nell’introduzione di un nuovo tipo di autorizzazione alle esportazioni di armamenti, la cosiddetta autorizzazione globale di progetto. Per quanto si inserisca nell’ottica dell’integrazione dell’industria europea degli armamenti, gli emendamenti introdotti possono avere conseguenze sulla trasparenza e il controllo del commercio delle armi, sulla pace e sicurezza sia italiana che internazionale. Il risultato è che una parte significativa delle esportazioni di materiale di armamento semplicemente scomparirà dalle possibilità di controllo degli organi parlamentari, della stampa e dell’opinione pubblica. Ugualmente le tradizionali rielaborazioni su tipo di armi esportate, imprese, banche coinvolte e paesi destinatari, le analisi sul trend realizzate da Oscar ogni anno non saranno più possibili per una parte rilevante dell’export italiano di materiale di armamento Su tale parte di export italiano non si applicheranno le normali procedure autorizzatorie né i normali controlli.

Per comprenderne la portata e il contesto nel quale si inseriscono è utile avere due parametri di riferimento: la legge n.185/90 recante “Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento” ed alcuni riferimenti all’ “Accordo quadro relativo alle misure per facilitare la ristrutturazione e le attività per la difesa europea” che con tale disegno di legge si vuole ratificare.


a)      I tratti salienti della legge vigente

La legge n.185/90, come noto, è un insieme organico di norme che regola la trasparenza e il controllo del commercio italiano di materiali di armamenti. I tratti distintivi della normativa sono identificabili nei seguenti tre punti:

1.      
il principio secondo cui le esportazioni sono subordinate alla politica estera dell’Italia, alla Costituzione e ad alcuni principi del diritto internazionale, segnando la fine del commercio di armi a basso grado di responsabilità, da cui discendono i divieti di cui all’art.1.5 e 1.6 (tra cui il divieto di esportare armi se queste contrastino con la lotta al terrorismo internazionale, il divieto di esportare a stati che responsabili di violazioni delle convenzioni internazionali sui diritti umani e il divieto di esportare a paesi in stato di conflitto), che hanno anticipato i criteri del Codice di Condotta Europeo;

2.      il sistema di autorizzatorio e di controllo che prevede chiare procedure di rilascio di delle autorizzazione e meccanismi di controllo successivi, segnando una chiara distinzione tra mercato lecito e illecito. Secondo la legge vigente esiste un solo tipo di autorizzazione individuale per ogni prodotto finito, pezzo o componente esportato. Il procedimento autorizzatorio è estremamente articolato e vede il concorso di diversi ministeri. Nella domanda di autorizzazione singola devono essere indicati, tra le altre cose, il tipo, il quantitativo e il valore del materiale esportato, i compensi per intermediazione, il destinatario intermedio e quello finale (nel caso in cui il materiale venga assemblato in un paese estero ed esportato ad un terzo paese). Alla domanda deve essere altresì allegato un certificato di uso finale, firmato dalle autorità del paese che importa il materiale, attestante che il materiale non verrà riesportato senza previa autorizzazione dell’Italia. Sono inoltre obbligatore l’autorizzazione alle transazioni bancarie, rilasciata dal Ministero del Tesoro, e la certificazione a dogana che viene comunicata al Ministero delle finanze. L’alto grado di collegialità ministeriale permette controlli incrociati ed limita possibilità di abusi o collusioni. Infine restano attivi controlli successivi quali il certificato di arrivo a destino e il controllo sull’uso finale. Tutti questi dati sono infine riportati nei loro valori, quantitativi, industrie esportatrici e destinazioni nei vari allegati della relazione annuale presentata al Parlamento, che svolge il ruolo di ulteriore indirizzo e controllo. L’obiettivo è quello di limitare le triangolazioni e impedire che pezzi o materiali finiti di fabbricazione italiana finiscano nelle mani di stati o di privati inaffidabili.

3.      Di estrema importanza è il divieto di cedere armi quando manchino adeguate garanzie sulla destinazione finale, richiedendo che alla domanda di autorizzazione sia allegato un certificato di uso finale attestante che il materiale non verrà riesportato senza preventiva autorizzazione dell’Italia. E’ rilevante che la legge richieda che il CUF sia rilasciato dalle autorità governative: per cercare di evitare traffici illeciti e il fenomeno delle triangolazioni  si mira a coinvolgere le autorità del paese in modo da impegnarlo a svolgere un’attività di controllo sugli operatori economici e a limitare il fenomeno delle triangolazioni.

4.      Infine la legge recepisce le istanze di trasparenza interna ed esterna emerse in sede ONU prevedendo un’ampia e significativa informazione al Parlamento, e quindi all’opinione pubblica, sulle esportazioni e importazioni di armi italiane, tramite la presentazione di una relazione annuale al Parlamento del Presidente del Consiglio dei Ministri, che riporta dati dettagliati su azienda fornitrice, materiale esportato, valore, destinatario finale, banche coinvolte, etc.

Per tali norme e principi l’Italia si colloca in una delle posizioni più avanzate a livello europeo, sul versante della trasparenza, dei controlli e delle prevenzione dei conflitti, ed è risultata uno dei paesi meno coinvolti nel riarmo di paesi instabili quali ex Jugoslavia, Iraq e Afghanistan.
 
b)      le modifiche introdotte dal disegno di legge

La modifica principale consiste nell’introduzione di un nuovo tipo di autorizzazione alle esportazioni di armamenti, la cosiddetta autorizzazione globale di progetto. Secondo l’art.7 del ddl, essa viene “ rilasciata a singolo operatore, quando riguarda esportazioni, importazioni o transiti di materiali di armamento da effettuare nel quadro di programmi congiunti intergovernativi o industriali di ricerca, sviluppo, produzione di materiali di armamento svolti con imprese di Paesi membri dell'UE o della NATO”, con i quali l’Italia abbia sottoscritto accordi che garantiscano il rispetto dei principi ispiratori della legge. In sintesi, per ciascun programma di coproduzione  realizzato con un paese Nato o dell’Unione Europea, un’unica autorizzazione globale si sostituisce alle singole autorizzazioni finora vigenti per l’esportazione di ogni specifico pezzo e componente.
Per ottenerla l’operatore deve dichiarare solo “la descrizione del programma congiunto; le imprese dei paesi di destinazione o di provenienza del materiale; il tipo di materiale”(art. 6 ddl).



c)      Le conseguenze sulla legge n.185/90

In linea generale (con i distinguo che andremo ad illustrare relativi alle coproduzioni con cinque paesi europei che hanno firmato l’accordo quadro), nel caso di  autorizzazione globale di progetto:

1.      non si applicano le tradizionali procedure autorizzatorie: scompaiono quindi i riferimenti nella domanda di autorizzazione all’esportazione al numero dei pezzi, al valore, al destinatario finale, alle intermediazioni finanziarie, sia per i pezzi e componenti esportati, sia per il prodotto finito (art. 6 del ddl).

2.      non si applica il sistema di controlli previsto dalla legge per le normali esportazioni. Tali esportazioni sono esenti dai controlli bancari (art.11. del ddl), e non viene richiesto né il certificato di arrivo a destino, nè il certificato di uso finale (art. 10 del ddl). Informazioni, procedure e controlli sono drasticamente ridotti non solo per i singoli pezzi e componenti esportati, ma anche per il prodotto finito. Esse non riguardano solo gli scambi tra i paesi Nato e UE, ma anche i casi di esportazione a paesi terzi o privati del materiale coprodotto dall’Italia ed assemblato in un paese partner .

3.      Il governo chiede di essere informato solo sulla destinazione intermedia e non su quella finale del materiale coprodotto. In altre parole il rilascio della licenza equivale ad un’abdicazione di sovranità e responsabilità e si traduce in una delega in bianco sulla scelta dei paesi di destinazione finale (anche extra europeo o extra Nato, anche repressivo o aggressivi o a privati inaffidabili) alle autorità del paese con cui si coproduce, senza che le nostre autorità possano controllare nulla in merito. Il riferimento all’adesione ai principi della nostra normativa risulta estremamente generico e insufficiente a garantirne il rispetto dei divieti e dei controlli. Secondo il magistrato Bellagamba “E’ così legittimata la triangolazione”. In una prospettiva più ampia europea, la prassi della delega favorirà lo spostamento della capacità manifatturiera e di assemblamento nei paesi con minori barriere all’esportazione e, al contempo, un’armonizzazione verso il basso delle normative sulla trasparenza e controllo;

4.      Ugualmente i divieti previsti dall’art-1 della legge saranno applicati solo sul paese di destinazione intermedia (il paese Nato o UE con cui si coproduce) e non su quello di destinazione finale (che può essere in contrasto con i divieti della legge italiana) come accadeva fino adesso, il che li rende superflui;

5.      Nel caso di autorizzazione globale di progetto viene drasticamente limitato anche il grado di trasparenza, di indirizzo e controllo parlamentare.  Per ciò che concerne le esportazioni che godono di autorizzazione globale dalla relazione scompariranno informazioni circa valore, destinatario finale, controlli bancari etc. Non sarà nemmeno più possibile desumere dalla relazione, come negli anni passati, un quadro completo e corretto sul valore aggregato delle nostre esportazioni, operare le tradizionali ù analisi diacroniche sul trend e avere un quadro chiaro di esportazioni per  paese e per valore.

Il campo di applicazione è molto vasto ed è prevedibile che, in pochi anni, essa coprirà una  parte rilevante delle nostre esportazioni di armi. La licenza si applica a tutti i progetti di coproduzione realizzati in con paesi della Nato o dell’Unione Europea, che abbiano genericamente aderito ai principi della nostra normativa. Considerando che i programmi di coproduzione intergovernativa coprono già il 50% degli scambi in ambito europeo e che tale percentuale è destinata ad aumentare in seguito al processo di integrazione e globalizzazione dell’industria si può avere una prima stima della  portata della modifica.  A tale quota va aggiunta la percentuale di coproduzioni interindustriali: secondo la formulazione dell’emendamento all’art.13 della legge, infatti, le procedure semplificate non si applicano solo agli accordi intergovernativi, “più sicuri” in quanto prevedono un accordo preventivo tra governi, ma anche ad accordi tra industrie dei paesi sopra elencati.


e) Un’ulteriore modifica

Il disegno di legge prevede un’ulteriore modifica che riguarda il divieto di esportare a paesi i cui governi siano responsabili di accertate violazioni dei diritti umani. Il nuovo testo precisa che le violazioni delle convenzioni devono essere gravi e accertate da appropriati organi dell’UE e dell’ONU. L’aggiunta dell’aggettivo gravi  restringe la cerchia dei paesi che ricadono all’interno del divieto.

,  viene motivata con la necessità di “adeguarsi al criterio numero 2 previsto dal "Codice di condotta", che prevede la specificità della gravità per le violazioni dei diritti dell'uomo”. Merita precisare che il Codice di Condotta, approvato nel 1998 e non vincolante giuridicamente, è stato inteso come una base di partenza, un minimo comun denominatore sul quale costruire una regolamentazione più rigorosa e vincolante.  I criteri che introduce, specifica lo steso documento, “should be regarded as the minimum for the management of, and restraint in, conventional arms transfers by all EU Member”. Ed ancora, nelle disposizioni operative è precisato che il Codice “non ostacolerà il diritto degli Stati membri di operare politiche nazionali più restrittive”.

f) Il contesto europeo e l’accordo quadro per la ristrutturazione dell’industria
 
Le modifiche introdotte dal disegno di legge sono motivate dalla necessità di adeguarsi e ratificare un accordo internazionale: l’accordo quadro per la ristrutturazione dell’industria europea della difesa ("Framework Agreement Concerning Measures to Facilitate the Restructuring and Operation of the European Defense Industry") presentato  il 27 luglio 2000. L’accordo, come noto firmato e ratificato da altri cinque paesi (Francia Gran Bretagna, Spagna, Germania e Svezia) è nato su spinta dei rappresentanti delle industrie europee degli armamenti con il fine di facilitare il processo di integrazione e di ristrutturazione dell’industria.
A tal fine l’accordo introduce appunto la licenza globale di progetto da applicare a singoli programmi di coproduzione intergovernativa realizzati solo tra i sei paesi che hanno ratificato l’accordo e che si sono impegnati a rispettare le norme in esso contemplate. Tale licenza si sostituisce alle singole autorizzazioni e copre tutto il progetto di coproduzione non preclude la richiesta di certificati di arrivo a destino e di utilizzo delle società, né i controlli a dogana.
Al contempo, per definire le destinazioni finali dei materiali coprodotti, l’accordo prevede l’obbligo di una procedura di decisione comune tra le autorità dei paesi partecipanti ad una coproduzione, volta a definire assieme una lista di destinazioni lecite, cui esportare il prodotto finito. La procedura è quella del consensus, molto simile all’unanimità, la quale conferisce a ciascun paese partecipante alla coproduzione una sorta di diritto di veto nel bloccare l’inserimento nella lista di un paese ritenuto, secondo la propria politica e normativa, a rischio, aggressivo o repressivo. In tal modo, almeno formalmente si favoriscono i paesi con le normative più avanzate (Italia, Svezia, Germania)  e un processo di orientamento dei criteri esportativi verso standard alti. Ogni paese le cui industrie partecipino alla coproduzione mantengono quindi una responsabilità e potere sulla definizione delle destinazioni finali.

Per quanto l’accordo quadro presenti vaghezze e limiti soprattutto sul versante politico e della trasparenza, è’ evidente che le modifiche introdotte dal ddl si spingono oltre a quanto previsto dall’accordo sui seguenti punti:

1.      La differenza principale, consiste nel fatto che licenza  di progetto globale prevista dal ddl non si applica solo alle coproduzioni con i cinque paesi partner, e che si sono impegnati a rispettarne gli obblighi, come previsto dal trattato, ma anche ai restanti paesi dell’Unione Europea o della Nato. Per i paesi che non hanno aderito all’accordo quadro (Belgio, Canada, Repubblica Ceca, Danimarca, Grecia, Ungheria, Islanda, Lussembugo, Olanda, Norvegia, Polonia, Portogallo, Spagna, Turchia, Stati Uniti, etc. alcuni dei quali hanno legislazioni estremamente permissive e controlli molto blandi) non valgono le norme relative alla procedura del consensus per definire assieme la lista delle destinazioni lecite. Nei confronti di tali paesi, il rilascio della  licenza globale di progetto equivale a conferire una delega in bianco sulla scelta delle destinazioni finali anche a paesi extra europei ed extranato, senza che le nostre autorità possano controllare nulla in merito, favorendo una deresponsabilizzazione e un ammorbidimento verso il basso. Tale estensione contraddice lo spirito dell’accordo quadro, che prevede invece una responsabilizzazione di tutti gli stati partecipanti alla coproduzione nella definizione delle destinazioni lecite. Inoltre la licenza non si applica solo a coproduzioni intergovernative, come previsto dall’accordo quadro, che quindi prevedono quantomeno un controllo statuale a priori minimo sia sulla coproduzione che sulle industrie, ma anche a qualsiasi coproduzione interindustriale. E’ quindi sufficiente per una società italiana stringere un accordo con una qualsiasi società ad es. turca  (anche costituita ad hoc) per godere delle procedure semplificate e aggirare i tratti salienti della legge n.185/90 (Bellagamba, magistrato).


Conclusioni

In sintesi gli effetti delle modifiche apportate dal disegno di legge sulla attuale normativa italiana, incidono, per una parte rilevante delle nostre esportazioni, sugli aspetti salienti della legge n.185/90: principi, trasparenza, controlli, divieti.  In generale lo spirito che lo informa sembra essere quello di una riduzione piuttosto drastica e frettolosa di alcuni elementi essenziali della legislazione nazionale, quando ancora la regolamentazione multi o sovranazionale non risulta sufficientemente forte, dettagliata o estesa, delegando a paesi con normative meno avanzate delle nostre l’applicazione di divieti controlli e trasparenza.

Le motivazioni di tali modifiche sono quelle di facilitare l’integrazione dell’industria degli armamenti e di adeguarsi a strumenti multinazionali, in particolare l’accordo quadro per la ristrutturazione dell’industria. A prescindere da alcune inesattezze, e da alcune modifiche introdotte dal ddl non richieste dagli strumenti internazionali (quali l’estensione dell’autorizzazione globale a paesi Nato e UE che non hanno ratificato l’accordo quadro o la restrizione del divieto di esportare a paesi i cui governi sono responsabili di violazioni delle convenzioni sui diritti umani), è importante sottolineare che, nel processo di integrazione dell’industria e nel difficile cammino verso la costituzione di una politica estera e di sicurezza comune, risultano estremamente importanti le modalità con cui questo cammino viene intrapreso e gli obiettivi di breve e lungo periodo da perseguire.

Sulle modalità  si possono tracciare alcuni brevi spunti di riflessione:
 
1.      Destinazioni finali. Nel caso di coproduzioni che coinvolgono più paesi la scelta delle destinazioni finali del materiale coprodotto si possono seguire due criteri. Il primo è quello dell’unanimità: una destinazione è lecita se accettata e compatibile dalle normative e politiche di tutti i paesi partecipanti alla coproduzione. Il secondo è quello di delegare al paese che assembla la scelta delle destinazioni finali o terze. Nel primo caso, il meccanismo che si favorisce è quello di orientare l’armonizzazione dei criteri per l’esportazione a paesi extraeuropei verso gli standard più alti e verso i paesi con normative più rigorose. Nel secondo caso, come dimostrato dalla prassi, la tendenza seguita dalle industrie sarà quella di spostare capacità manifatturiera ed assemblamento nel paese con legislazioni meno rigorose e barriere minori all’esportazione, favorendo la politica del minimo comun denominatore. L’accordo quadro (che si applica solo ai sei paesi che l’hanno firmato), rappresenta uno sforzo per applicare il primo criterio (pur temperato dalla mancanza di trasparenza), mentre il disegno di legge applica, per  tutti gli altri paesi Nato o UE che non l’hanno ratificato, la delega in bianco, favorendo l’armonizzazione verso il basso e incentivando triangolazioni con gravi rischi sulla pace e sicurezza internazionale. Applicare l’autorizzazione globale solo alle coproduzioni con i cinque paesi che hanno ratificato l’accordo quadro sembra la soluzione che meglio si armonizza, sia con lo spirito della nostra legislazione, che con quello che informa l’accordo.

2.      Controlli su pezzi e componenti. Facilitare gli scambi di materiali, pezzi e componenti tra le industrie di paesi diversi che partecipano ad una stessa coproduzione non significa eliminare un nucleo minimo di controlli.  L’autorizzazione globale (che si sostituisce alle singole autorizzazioni alle esportazioni dei singoli pezzi per un programma di coproduzione che può durarare anni) è stata formulata in modo talmente vago, senza alcun riferimento al numero dei pezzi, al loro valore, a controlli su materiali ed industrie, che non si comprende come si possa verificare l’aderenza delle esportazioni al programma, l’affidabilità delle industrie, né seguire e verificare l’iter di ogni pezzo e componente uscito dall’Italia, di cui si rischia di perdere traccia. I pericoli sono quelli di deviazioni a privati o paesi aggressivi o repressivi dei materiali di marca italiana, soprattutto se si tratta di componenti di elettronica e avionica e se sono assemblati in paesi con livelli bassi di controllo. In un’ottica di integrazione transnazionale delle industrie sarebbe inoltre necessario  integrare e progressivamente sostituire tali controlli nazionali con nuove forme di collaborazione e controllo prima multinazionale e poi sovranazionale (banche dati e sistema informatico transazionale, controlli periodici sulle industrie, collaborazioni tra dogane, autorità nazionali e polizia) più aderenti a questo nuovo contesto ma anche realmente efficaci.

3.      Trasparenza. E’ noto che anche i paesi più restii a porre vincoli alle proprie esportazioni, come Gran Bretagna e Francia, hanno pubblicato recentemente relazioni annuali sulle esportazioni effettuate. Conoscere l’iter dei flussi di armi è utile sia in un’ottica di prevenzione dei conflitti che in un’ottica di controllo.  Politicamente la redazione di una lista segreta di destinazioni permesse costituisce un passo indietro  rispetto alle istanze di trasparenza portate avanti dalle NU e dall’UE  e dai recenti passi avanti fatti dai paesi europei nella pubblicazione di un rapporto annuale sulle esportazioni di armi. Informare parlamento ed opinione pubblica sulle destinazioni finali ed intermedie dei materiali coprodotti, si traduce in un ulteriore strumento di controllo del rispetto degli accordi e delle regole nazionali e multinazionali, limitando possibilità di collusioni e condizionamenti. Inoltre il coinvolgimento e l’informazione al Parlamento conferisce un’impronta democratica al processo di costruzione di un’Europa politica, favorendo una maggiore responsabilizzazione e lungimiranza.

La scelta delle modalità ha effetti diretti sul risultato di medio e di lungo periodo che si vuole perseguire e sull’Europa politica che si vuole costruire, sulla pace e sulla sicurezza italiana, europea ed internazionale. Se il rapido processo di integrazione e globalizzazione dell’industria è un dato di fatto e può costituire, secondo alcuni,  una spinta verso l’armonizzazione delle normative sulla trasparenza e controllo, è evidente che la teoria funzionalista dello spill over così come quella del mercato unico, non può essere integralmente applicata ad un’area dalle molteplici implicazioni quale quella delle armi, in quanto gli interessi dell’industria non sempre si conciliano con le esigenze di politica estera nazionale sia essa intesa in termini tradizionali come mantenimento di una capacità difensiva interna, sia in termini più avanzati come strumenti di prevenzione dei conflitti che possono coinvolgere l’Italia e l’Europa, e della tutela dei diritti umani.. Il processo di integrazione industriale non può automaticamente creare un’Europa della difesa, se non è guidato, e corretto da una dimensione politica che integri gli aspetti economico industriali con quelli della   della pace e della sicurezza  e da un realismo che prenda atto della gradualità di questo difficile processo cercando di non lasciare vuoti normativi in un campo delicato quale quello del commercio di armi.


In linea generale, lo spirito delle modifiche apportate, anche nel contesto di accordi e documenti internazionali, come l’accordo quadro e il codice di condotta, sembra rispecchiare da parte del nostro paese una politica rinunciataria che risponde al principio del minimo comun denominatore. Al contrario l’Italia, in forza della propria normativa, che la poneva, fino adesso, in una delle posizioni più avanzate, avrebbe potuto svolgere un ruolo guida, propulsivo e responsabile, volto a costruire una regolamentazione europea di trasparenza e controllo del commercio delle armi orientata verso standard alti. Solo con un atteggiamento responsabile si può costruire politica estera e di sicurezza dell’UE, orientata al mantenimento della pace e della sicurezza europea ed internazionale, che accompagni azioni di soluzione dei conflitti ad azioni preventive realmente efficaci e lungimiranti.


Chiara Bonaiuti Oscar (Osservatorio sul Commercio delle armi di Ires Toscana)