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La nonviolenza e' in cammino. 322
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 322
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 26 Dec 2001 02:37:08 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 322 del 25 dicembre 2001 Sommario di questo numero: 1. Movimento Internazionale della Riconciliazione e Movimento Nonviolento, campagna di obiezione per il disarmo economico e militare 2. Lidia Menapace, amica fa rima con parola 3. Norma Bertullacelli, il 26 dicembre a Genova 4. Alessandro Marescotti, il sito di "Qualevita" e l'agenda "Giorni nonviolenti" 5. Riccardo Orioles, tre notizie 6. Enzo Mazzi, Natale di guerra 7. Umberto Santino: mafia, mafie, crimine transnazionale 8. Alcune azioni nonviolente per la pace in Palestina ed Israele (parte prima) 9. La "Carta" del Movimento Nonviolento 10. Per saperne di piu' 1. INIZIATIVE. MOVIMENTO INTERNAZIONALE DELLA RICONCILIAZIONE E MOVIMENTO NONVIOLENTO: CAMPAGNA DI OBIEZIONE PER IL DISARMO ECONOMICO E MILITARE [Dall'ottimo sito www.nonviolenti.org riprendiamo questa proposta formulata dal Movimento Internazionale della Riconciliazione (MIR) e dal Movimento Nonviolento (MN)] Proposta per una campagna di obiezione dei cittadini. Il no della coscienza alla violenza organizzata, all'omicidio come soluzione dei conflitti, si esercitava fino ad ora, nel nostro paese, soprattutto nella forma del rifiuto del servizio militare, cioe' dell'addestramento ad uccidere. La legge 230 del 1998, cosi' come quella piu' recente sull'istituzione del "servizio civile nazionale", che compiono alcuni importanti passi avanti nella cultura giuridica dell'obiezione al militare, sono arrivate contemporaneamente all'abolizione pratica della leva e al passaggio graduale all'esercito professionale. Nella nuova situazione che si presenta, e' dunque il cittadino in quanto tale che ha da esprimere il rifiuto della violenza strutturale e culturale, non solo di quella diretta, e ha da costruirne il continuo superamento. Ci sono da praticare obiezioni e da attuare programmi costruttivi sui due lati della cultura del dominio: il modello economico (produzione, scambi e consumi) e il modello difensivo (tutela da aggressioni e tutela del diritto). Percio' ci sembra urgente un rinnovato impegno, coordinato e coraggioso, per una nuova "campagna di obiezione per il disarmo economico e militare" che sia contemporaneamente di resistenza al nuovo militarismo e di costruzione dell'alternativa nonviolenta. La campagna e' centrata su tre punti: 1) Dichiarazione di obiezione del/della cittadino/a, nella quale ci si dissocia dalla politica militare del nostro paese e della Nato, evidenziando l'incostituzionalita', l'immoralita' intrinseca di scelte aggressive, la funzionalita' al sistema economico di rapina. Da parte delle donne accompagnata da una dichiarazione di rifiuto esplicito della cosiddetta "pari opportunita'" di servire nell'esercito. Da parte dei/delle giovani che scelgono il servizio civile accompagnata da una dichiarazione che evidenzi che la scelta fatta e' intesa come inconciliabile con il servizio militare, escludendo la possibilita' di "richiami" in caso di guerra. 2) una dichiarazione di opzione per la nonviolenza attiva, che si concretizza attraverso uno (almeno) dei seguenti impegni: - adesione e/o sostegno a movimenti nonviolenti organizzati; - versamento e/o partecipazione ad un progetto di intervento nonviolento in zona di conflitto (es. Operazione Colomba, Io donna vado in Palestina, Caschi bianchi, Berretti Bianchi...); - servizio civile o volontariato in progetti di difesa civile, mediazione, formazione alla nonviolenza presso associazioni o "uffici della pace", in Italia o all'estero; - versamento sul Fondo nazionale per il Servizio Civile, come opzione o anche obiezione fiscale, in vista del riconoscimento del diritto di opzione. 3) un impegno concreto a orientare i propri consumi tenendo conto dei principi della semplicita' volontaria e del consumo critico, che boicotta e cerca di sottrarre risorse a quei settori della produzione, del commercio e della finanza che sono implicati in modo piu' evidente nel sistema militare-industriale di dominio. 2. RIFLESSIONE. LIDIA MENAPACE: AMICA FA RIMA CON PAROLA [Questa riflessione di Lidia Menapace abbiamo estratto dall'ottimo sito femminista e pacifista "Marea" animato da Monica Lanfranco. Lidia Menapace e' tra le figure piu' vive della cultura delle donne, della pace, della liberazione, della dignita' umana] "Ma che cosa avevate da dirvi durante la ricreazione?" mi chiede - ancora curioso - un caro amico, uno di quegli uomini che si interrogano su se stessi e ripassano le loro reazioni verso di noi, bambine ragazze donne. "Di tutto, i vestiti, i compiti, i permessi e i divieti, le paure, i pettegolezzi, insomma parlavamo!". E mi accorgo di botto che "amicizia" tra donne significa "parlarsi". Invece i ragazzini, che noi guardavamo con un po' di compatimento, non facevano altro - durante la ricreazione nei grandi cortili delle scuole elementari di un tempo - che gridare correre urtarsi andare in branco dietro un pallone e via cosi'. Certo avranno avuto anche loro le loro amicizie, ma credo fondate su altro che sul parlarsi. L'amico mi dice che erano molto invidiosi di quel che ci dicevamo, pensavano che li criticassimo e per questo facevano di tutto per essere notati, esagerati, visibili, rumorosi, che ridere postumo! Da quella prima esperienza viene poi fuori la nota cultura dei generi, per cui le donne parlano di se', si parlano tra loro, pensano se stesse, si vedono, si giudicano, si costruiscono, si esprimono, e gli uomini parlano d'altro: come diciamo malignamente noi femministe: "le donne parlano di se', gli uomini di donne e di calcio". Ma poi di che si parla con le amiche? Di tutto, appunto, vestiti incontri litigi invidie amori emozioni speranze complicita' segreti, ma non in modo generale astratto, sempre riferito invece a una vicenda in corso, con nomi, cognomi, vicinanze. Mi pare che non potrebbe mai succedere al parlare delle donne di produrre eventi lontani, senza nessi con cio' che si dice: cerco di spiegarmi. Gli uomini hanno inventato i comandi che si gridano a distanza e producono effetti, lanci, bombe, sfilate ecc. ecc.: Bush dice "crociata" e in Pakistan attaccano un luogo di culto cristiano e uccidono persone. Non e' che le donne siamo piu' buone, anche il nostro parlare produce inimicizie cattiverie dolori, ma in qualche modo connessi vicini visibili concreti. Mi pare che non ci potrebbe mai succedere di trasformare una amicizia da scambio di parlari in scambio di ordini a distanza, tra suono delle voci, inflessione del dialetto, fiato sentore del corpo in disincarnato messaggio. Non sta nell'ordine della nostra parlata... E' vero che molte cose parlate tra noi amiche sono inessenziali, come vanno d'accordo i colori, che senso ha cucinare, come si tolgono le macchie da un vestito, come si compra meglio in un luogo ecc. ma anche che significa vivere amare legarsi liberarsi da vincoli ecc. sempre pero' nella cerchia del parlato. Quando donne gridano, il suono si perde perche' le grida delle donne significano qualcosa di triste pericoloso brutto per il gruppo coinvolto. A me piace che amicizia significhi parlarsi, mi piacerebbe che anche gli uomini imparassero a dire parole non definitive, non gridate, non scritte subito su importanti documenti, che imparassero la lieve dimensione del parlarsi, che puo' anche essere cattivo urtante insidioso, ma cui puo' sempre essere opposto un gesto, un verbo, una smorfia, un'altra parola: il loro linguaggio al contrario finisce sempre per avere un'eco definitiva, di minaccia, ultimatum, fetore di morte non accolta, non accompagnata da pieta', che orrore! Per non avere appreso l'amicizia, per avere paura di apparire meno virili perche' hanno amici con cui si parla con confidenza gli uomini hanno inventato la guerra, il piu' tremendo dei silenzi non comunicanti, la morte. 3. INIZIATIVE. NORMA BERTULLACELLI: IL 26 DICEMBRE A GENOVA [Norma Bertullacelli, insegnante, amica della nonviolenza, e' impegnata nella "Rete controg8 per la globalizzazione dei diritti" di Genova. Per contatti: norma.b at libero.it] Anche se e' un giorno festivo, anche mercoledi 26 dicembre si svolgera' l'ora in silenzio per la pace che ormai da tre mesi i pacifisti genovesi organizzano settimanalmente sui gradini del palazzo ducale. Il perche' e' presto detto. Continua una guerra: illegale, perche' esplicitamente vietata dalla nostra Costituzione; criminale, perche' moltiplica ogni giorno le vittime innocenti; inutile a perseguire il terrorismo internazionale ma utilissima per moltiplicare i profitti dei fabbricanti d'armi (le azioni del settore armiero sono salite del 25% dopo l'11 settembre). In piu', si aggrava ogni giorno il dramma del popolo palestinese, per il quale non valgono ne' le risoluzioni dell'Onu, ne' il diritto internazionale: a tutt'oggi a Yasser Arafat viene vietato di recarsi a Betlemme; un sopruso inaudito nei confronti di un capo di stato, ma anche nei confronti di qualsiasi persona. E, a fronte di tagli alla scuola, all'assistenza ed alla cooperazione internazionale, prosegue tranquillamente, nei cantieri di Riva Trigoso, la costruzione della seconda portaerei italiana, per la modica spesa di quattromila miliardi. L'appuntamento e' dunque per mercoledi 26 dicembre, dalle ore 18 alle 19, sui gradini del palazzo ducale. 4. CULTURA DI PACE. ALESSANDRO MARESCOTTI: IL SITO DI "QUALEVITA" E L'AGENDA "GIORNI NONVIOLENTI" [Alessandro Marescotti e' il presidente di Peacelink, la principale rete telematica pacifista italiana. Per contatti: e-mail: a.marescotti at peacelink.it, sito: www.peacelink.it] Cliccate su: www.peacelink.it/users/qualevita/ E' infatti stato creato su PeaceLink il sito Internet di Qualevita, l'ottima casa editrice che da anni e' impegnata sulle tematiche della nonviolenza. Qualevita distribuisce ogni anno un'agenda. Anche quest'anno quest'anno e' possibile ordinarla (con sconti per ordinazioni di gruppi): "Giorni nonviolenti 2002", Edizioni Qualevita, via Buonconsiglio 2, 67030 Torre dei Nolfi (AQ), tel. 086446448, lire 16.000. "Giorni nonviolenti 2002" e' l'agenda pensata per i pacifisti e i nonviolenti. Ogni giorno una massima piu' un archivio finale di indirizzi e informazioni utili. L'augurio che il curatore dell'agenda - il bravissimo Pasquale Jannamorelli - offre per il nuovo anno e' racchiuso in questa frase di Beltrand Russel: "Il mio sogno e' una societa' dove gli individui si sviluppino liberamente e dove l'odio, l'avidita' e l'invidia muoiano perche' non si possono nutrire di niente". Per informazioni: e-mail: sudest at iol.it; tel. 086446448; cell. 3495843946. 5. INFORMAZIONE. RICCARDO ORIOLES: TRE NOTIZIE [Dal n. 106 della rivista telematica "Tanto per abbaiare" redatta da Riccardo Orioles riprendiamo le seguenti note, ma l'intera rivista andrebbe letta. Per poterlo fare basta inviare una e-mail all'indirizzo ricc at libero.it e vi giungera' gratuitamente per e-mail. Riccardo Orioles e' il piu' grande giornalista italiano vivente, e' impegnato contro la mafia con la tenacia che era anche di Pippo Fava (suo amico e compagno di lotte che la mafia assassino' vent'anni fa), ha la memoria lunga e il caratteraccio dei vecchi militanti che non si sono mai arresi, e si batte da una vita per la verita' e la giustizia. Per questo la sua firma non compare mai sui mass-media che contano] Informazione 1. Poco rilievo sui giornali italiani alle novita' nelle indagini sulla morte del giornalista italiano Antonio Russo, assassinato perche' indagava sulle atrocita' commesse da militari russi sulla popolazione cecena. La madre del giornalista ha dichiarato che da qualche parte deve esistere una videocassetta con immagini di bambini ceceni sfigurati e uccisi dagli occupanti, e fa appello alle autorita' affinche' questa cassetta venga ricercata. Ma i russi ora sono fedeli alleati e i ceceni bruti terroristi; e il resto segue. Antonio Russo lavorava per Radio Radicale, che appartiene a un partito che detesto. Ma la verita', e i giornalisti che la servono, non hanno ne' partito ne' bandiera. * Informazione 2. America. Il giudice ha bloccato - dopo molti anni di rinvii - l'esecuzione di Mumia Abu Jamal, che nonostante il nome e' un giornalista (nero) americano ed e' accusato di delitti di cui si e' sempre proclamato innocente. "Mi vogliono condannare solo perche' scrivevo contro il potere". Le prove infine emerse per la sua innocenza evidentemente non debbono essere trascurabili se lo stesso giudice americano, e in un momento come questo, ha sospeso il procedimento. Io ne sono contento per due motivi: uno, che un innocente che si salva e' sempre una bella cosa; due, che la salvezza di Mumia deriva in buona parte dalla solidarieta' internazionale che ha impedito di farlo fuori aumma aumma. Questa solidarieta' in buona parte e' venuta dall'Italia. E in Italia a sollevare il caso e' stato Edgardo Pellegrini, un giornalista (compagno: prima a Radio Popolare e poi ad Avvenimenti) che adesso non c'e' piu' ma quando c'era faceva davvero bene il suo mestiere. E anche ora che non c'e' piu', a pensarci bene, sta continuando a fare il suo lavoro, visto che ha appena salvato un uomo. * Informazione 3. Condannati a centinaia di milioni Claudio Riolo dell'universita' di Palermo e Umberto Santino del Centro Impastato. Avevano scritto che Musotto (politico di Forza Italia) faceva male, come avvocato, a difendere un mafioso mentre come politico rappresentava i cittadini; e che alcuni mafiosi consideravano amico Mannino (ex ministro dc). Sotto tiro, per le medesime "colpe" Alfredo Galasso. Personalmente, sono stato querelato parecchie volte per aver scritto cose simili (e anche piu' dure) contro altri esponenti politici. Alla fine, sono sempre stato assolto. Qual e' il trucco? Ecco: grosso modo, se tu sei un pubblico ufficiale (quasi tutti i politici lo sono) e quereli uno, gli devi dare "facolta' di prova": se hai rubato davvero, il giornalista che ti ha denunciato di solito viene assolto. Se invece ti fai furbo e gli chiedi i danni civili, non hai bisogno di provare niente, ma viceversa. Il processo e' piu' lungo, ma l'esito e' matematicamente favorevole al politico. Esempio: "L'onorevole Al Capone ha a che fare coi gangster". Querela: il giornalista presenta tutte le cronache di Chicago, le testimonianze, ecc; il giudice decide e probabilmente il giornalista viene assolto. Danni civili: l'avvocato di Al Capone dichiara "Il mio cliente e' un politico galantuomo, difatti formalmente e' stato condannato solo per una banale evasione fiscale e tutto il resto non interessa al processo". E il giornalista viene condannato ad alcuni miliardi di risarcimento. Quand'e' che un politico puo' querelare e quand'e' che puo' fare causa civile? A capriccio suo: se e' abbastanza ricco da potersi permettere i tempi lunghi della causa civile, di solito fa causa civile e non querela. Cosi', fra l'altro, puo' annunciare di aver "denunciato il giornalista" senza correre il rischio di una smentita immediata. Negli ultimi anni giornali e tv si sono concentrati moltissimo (in Sicilia, addirittura, e' rimasto un editore solo) e quindi i giornalisti che fanno informazione sono sempre piu' isolati. I politici sono sempre piu' ricchi e forti e dunque un sacco di notizie non arrivano semplicemente perche' il giornalista, anche onesto, si spaventa a metterci il becco. Chi ci va di mezzo, alla fine, e' il lettore che di tutto cio' di quel che succede in Italia in sostanza e' autorizzato a sapere quanto segue: "La Roma ha battuto il Chievo 3 a 0. Fighetto Fighetti e' il nuovo Grande Fratello. Domani forse piovera'. Punto". Puo' andarti bene cosi'? Oppure bisogna cambiare la legge e mettere il giornalista in condizione di aspettarsi, quando scrive il pezzo, un'onesta querela e non una gabola da venti miliardi? Io giornalista ho il dovere di scrivere, il politico ha il diritto di difendersi, e soprattutto tu lettore hai il diritto (e anche l'obbligo: se no non sei una persona civile ma un talebano) di essere informato. Bene. Ora qui c'e' un appello per "rivendicare il diritto e il dovere di sottoporre l'operato di chi ricopra cariche pubbliche al vaglio dell'opinione pubblica, con la consapevolezza che ciascun politico ha una responsabilita' aggiuntiva rispetto agli altri cittadini nella misura in cui coinvolge la credibilita' delle istituzioni. In particolare, sul terreno della lotta contro la mafia, la piena liberta' d'informazione e di opinione e' indispensabile per individuare e stigmatizzare tutti quei comportamenti che configurino responsabilita' politiche e morali, indipendentemente dall'accertamento di eventuali responsabilita' penali che spetta esclusivamente alla magistratura". Lo firmano Arci, Centro Siciliano di Documentazione "Giuseppe Impastato", Centro Sociale "San Francesco Saverio", Il Manifesto, Libera, Mezzocielo, Micromega, Narcomafie, Palermo anno uno, Promemoria Palermo, Scuola "Giovanni Falcone", Segno, Uisp. Per saperne di piu': tel. 0916259789, 091333773 (Arci), e-mail: csdgi at tin.it (Centro Impastato), redazione at scirocco-news.org 6. RIFLESSIONE. ENZO MAZZI: NATALE DI GUERRA [Enzo Mazzi e' da decenni una delle voci piu' autorevoli dell'impegno cristiano per la pace e la dignita' umana. Questo intervento e' apparso sul quotidiano "Il manifesto" del 23 dicembre. Tre sole osservazioni ci pare necessario premettere. La prima: che alla domanda rammentata nel primo capoverso Gandhi rispondeva che l'orrore della bomba atomica non soltanto non aveva distrutto la sua fede nella verita' e nella nonviolenza "ma anzi mi ha chiaramente dimostrato che la verita' e la nonviolenza costituiscono la forza piu' potente del mondo" ed una scelta vieppiu' necessaria (Mohandas Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino 1973, 1984, p. 352). La seconda, che sul concetto di "disobbedienza" ci sono non meno equivoci che sul concetto di "obbedienza", e che certe pratiche odierne spacciate sotto il nome di disobbedienza civile da personaggi irresponsabili (talvolta benintezionati, piu' spesso neppure tali) sono il peggior tradimento e la piu' inammissibile sfigurazione dell'autentica disobbedienza civile. La terza, che l'iniziativa di cosiddetta obiezione alle spese militari proposta dal settimanale "Carta", che nell'articolo si apprezza citandola ad esempio, e' invece a nostro avviso un'iniziativa per piu' versi equivoca, che non giova alla chiarezza e scandalosamente non tiene adeguato conto di un'esperienza (appunto la pluridecennale campagna di obiezione alle spese militari promossa dai movimenti nonviolenti) e di un dibattito (fin lacerante, come e' noto a quanti di pace e nonviolenza si occupano con un po' d'attenzione da un po' prima di quest'autunno) che negli utimi due decenni in Italia sono stati importanti e non devono essere rimossi; il fatto stesso di usare l'aggettivo "fiscale" da parte della certo utile e interessante ma confusa, sovente assai discutibile e talora decisamente irresponsabile rivista, e' sintomatico di un'ignoranza e un disprezzo che noi troviamo assai gravi. Ma basta cosi' o l'introduzione diventa piu' lunga dell'articolo] Non credo di essere il solo a vivere con senso di grave disagio questo Natale di guerra. Di fronte alla esplosione della bomba di Hiroshima Gandhi si domando' e domando' come era possibile continuare ad avere fede: fede nell'uomo, nell'amore come anima del mondo, nella nonviolenza come forza spirituale che abita tutti gli esseri umani. Le stesse domande scuotono oggi le nostre coscienze o quantomeno rendono inquieti i nostri dormiveglia. Non c'e' bisogno di essere cristiani o credenti per giudicare anche laicamente l'inconciliabilito fra il "Natale-festa della vita" e questa attuale festa di morte che accompagna ormai la nostra vita quotidiana. Semmai per i cristiani tale inconciliabilita' e' piu' radicale. Un testimone della pace, il cardinale Giacomo Lercaro, dopo la sua abdicazione-rimozione dall'ufficio di vescovo di Bologna, avvenuta nel febbraio 1968, voluta fra gli altri dal presidente Usa Johnson e dalla Cia a causa dalla forte condanna dell'intervento militare americano contro il Vietnam, lasciava quasi come testamento spirituale ai cristiani l'impegno a opporsi "con rigore e intransigenza proprio in nome della fedelta' a Cristo" al "sistema di guerra in cui viviamo", perche' "oggi l'obbedienza allo Spirito passa attraverso il rifiuto del sistema di guerra e la riscoperta gioiosa della pace come condizione umana di sviluppo e di adempimento della intera creazione". Tre anni prima don Lorenzo Milani, nel 1965, scrivendo la sua autodifesa, nel processo per aver difeso l'obiezione di coscienza per cui fu condannato in Corte d'appello, condensava lo stesso messaggio di Lercaro nella frase "L'obbedienza non e' piu' una virtu'". La disobbedienza dei pacifisti di oggi ha salde radici storiche in ogni area culturale. Lo sapevamo, ma e' bene ricordarlo. Non basta dire "pace", bisogna dire e fare "disobbedienza" per vivere con un minimo di coerenza il Natale in tempo di guerra. "Disobbedienza" e' noncollaborazione alla guerra in tutte le forme possibili come ad esempio l'obiezione fiscale alle spese militari proposta da "Carta" in forma nuova e piu' facilmente praticabile da tutti. "Disobbedienza" e' opporsi alle cause della guerra, seminagione di nonviolenza attiva, apertura alla solidarieta' universale, tolleranza come accoglienza del "diverso", riscoperta del senso del limite del nostro progresso e della nostra corsa al privilegio, rinuncia esplicita e attiva agli assoluti religiosi, valorizzazione dell'incontro e della fecondazione reciproca fra le diversita' culturali e religiose. Questi semi di "disobbedienza creativa" diffusi ovunque, ma cosi' poco visibili perche' oscurati da un clima di omologazione montante verso i modelli di vita e il pensiero unico imposti dai poteri che dominano il mondo, questi semi di speranza sono oggi, io credo, l'essenza del Natale. 7. MATERIALI. UMBERTO SANTINO: MAFIA, MAFIE, CRIMINE TRANSNAZIONALE [Il seguente testo di Umberto Santino abbiamo estratto da un suo piu' ampio scritto dal titolo "I crimini della globalizzazione. Voci per un glossario", disponibile integralmente nel sito del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato". Umberto Santino, fondatore e presidente del Centro, e' il piu' grande studioso del fenomeno mafioso e fondamentale figura di riferimento del movimento antimafia. Per contatti: Centro Siciliano di Documentazione "Giuseppe Impastato", via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, e-mail: csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it] * Mafia: stereotipi e paradigmi Il termine "mafia" prima impiegato solo per designare un fenomeno siciliano da qualche tempo viene usato per indicare fenomeni criminali presenti sull'intero pianeta. La mafia siciliana e' l'organizzazione criminale piu' nota, spesso attraverso rappresentazioni fuorvianti (stereotipi) o parziali (paradigmi). Le idee correnti sulla mafia classificabili come stereotipi danno di essa un'immagine apologetica (i mafiosi come "uomini d'onore", come essi stessi si definiscono, eredi e custodi di una Tradizione ricca di valori positivi) o negano l'esistenza di una struttura organizzativa e raffigurano la mafia solo come una mentalita' e un codice comportamentale condivisi da un'intera popolazione o da una parte rilevante di essa (subcultura). I paradigmi piu' accreditati sono due: la mafia come associazione criminale tipica e come impresa. La Legge antimafia del 13 settembre 1982 ha definito per la prima volta l' associazione di tipo mafioso, caratterizzata dal fatto che gli associati si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omerta' (la cosiddetta legge del silenzio) che ne deriva per commettere delitti, per acquisire la gestione o il controllo di attivita' economiche, di concessioni, autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti ingiusti per se' o per altri. La legge e' stata approvata una settimana dopo il delitto Dalla Chiesa, e' in ritardo di piu' di un secolo rispetto all'esistenza documentata dell'organizzazione mafiosa ed e' arretrata rispetto all'evoluzione del fenomeno mafioso, cogliendone solo il ruolo nelle attivita' imprenditoriali, mentre gia' in quella fase erano abbastanza sviluppate le attivita' finanziarie. Successivamente, anche grazie alle dichiarazioni di mafiosi che hanno collaborato con la giustizia, la mafia siciliana e' stata identificata con Cosa nostra, organizzazione criminale piramidale e verticistica, cosi' strutturata: alla base le famiglie, a livello intermedio i mandamenti, al vertice una commissione provinciale o cupola e ancora piu' in alto una supercommissione interprovinciale, diretta da un capo dei capi. * Il paradigma della complessita' In realta' il fenomeno mafioso va oltre la dimensione associativa e l'attivita' imprenditoriale ed e' piu' adeguatamente rappresentato attraverso un "paradigma della complessita'", secondo un'ipotesi definitoria cosi' formulabile: mafia e' un insieme di organizzazioni criminali che agiscono all'interno di un contesto relazionale e si configura come un sistema di violenza e di illegalita' finalizzato all'accumulazione del capitale e all'acquisizione e gestione di posizione di potere, si avvale di un codice culturale e gode di un certo consenso sociale. I gruppi criminali non sono delle isole ma la punta emergente di un iceberg: essi fanno parte di un blocco sociale transclassista, egemonizzato da soggetti illegali e legali (capimafia, professionisti, imprenditori, amministratori, politici) che costituiscono una frazione di classe dominante (borghesia mafiosa). Pertanto la mafia non e' solo un gruppo criminale e una fabbrica di delitti, ma un soggetto economico e politico, la cui specificita' e' data dall'uso privato della violenza, cioe' dal non riconoscimento del monopolio statale della forza, e da una lunga tradizione di impunita', dovuta al ruolo della violenza mafiosa nei processi di accumulazione e nel controllo sociale. Per quanto riguarda l'evoluzione storica della mafia, al di la' dello stereotipo generazionale circolante, secondo cui a una mafia vecchia succederebbe una mafia nuova, la storia del fenomeno mafioso intreccia continuita' e trasformazione, persistenze ed innovazioni, rigidita' formali ed elasticita' di fatto, e sulla base della rilevazione degli aspetti prevalenti e dei mutamenti del contesto e' possibile delineare una periodizzazione: una fase di incubazione (fenomeni premafiosi), una fase agraria, una fase imprenditoriale, una fase finanziaria. Lo stereotipo che identifica la popolazione siciliana, o gran parte di essa, con la mafia e' privo di fondamento: in Sicilia, in tutta la fase del movimento contadino (dai Fasci siciliani dell'ultimo decennio del XIX secolo agli anni '50 del XX secolo) ci sono state lotte di massa tra le piu' grandi d'Europa, avendo coinvolto centinaia di migliaia di persone, che hanno avuto un alto costo di sangue, scontrandosi con la mafia e con le istituzioni, e si sono dissolte nell'emigrazione. Anche negli ultimi decenni, in risposta all'incremento della violenza mafiosa, dovuta al lievitare dell'accumulazione illegale e conseguentemente della richiesta di spazi di potere e di occasioni d'investimento, c'e' stato un movimento antimafia che ha avuto come protagonista la societa' civile e settori delle istituzioni, anche se con forti limiti, come la precarieta', l'emotivita', la mancanza di un progetto in grado di coinvolgere vasti strati della popolazione. * Altre mafie La legge antimafia ha esteso il modello mafioso siciliano ad altre organizzazioni criminali italiane, storiche come la 'ndrangheta calabrese e la camorra campana, e nuove come la Sacra corona unita pugliese o la mafia del Brenta operante nel Veneto. A livello internazionale si usa il termine mafie anche per organizzazioni criminali complesse, attive da tempo, come le Triadi cinesi e la Yakusa giapponese, o costituitesi recentemente, come i cartelli latino-americani, la mafia russa, albanese, nigeriana ecc. Questi gruppi presentano aspetti specifici, ma condividono con la mafia siciliana aspetti costitutivi come l'esistenza, in forme diverse, di una struttura organizzativa e la finalizzazione delle attivita' criminali all'arricchimento e all'acquisizione di posizioni di potere attraverso il controllo del territorio. Sono in atto processi di omologazione, in quanto i gruppi criminali svolgono le stesse attivita', come il traffico di droghe, si trovano ad affrontare gli stessi problemi, come il riciclaggio del capitale illegale, e si avvalgono di un sistema relazionale, intrattenendo rapporti con soggetti che rendono possibile l'utilizzazione di strumenti della tecnologia avanzata, danno indicazioni sulle scelte piu' convenienti per l'impiego dei capitali e assicurano i collegamenti con il contesto sociale e istituzionale. Fra i vari gruppi criminali ci sono forme di collaborazione e di divisione del lavoro ma non risponde alla realta', almeno fino ad oggi, la rappresentazione circolante sui media secondo cui esisterebbe una cupola mondiale, una sorta di Supermafia, per di piu' egemonizzata dalla mafia siciliana, raffigurata come una Piovra universale. * Il crimine transnazionale Da qualche tempo, in documenti ufficiali delle Nazioni Unite, si parla di crimine transnazionale. Secondo la definizione adottata dalla Convenzione contro la criminalita' organizzata transnazionale, firmata a Palermo nel dicembre del 2000, un reato e' transnazionale se e' commesso in piu' di uno Stato, e' commesso in uno Stato ma e' preparato, controllato e diretto in un altro Stato, se vi e' implicato un gruppo criminale organizzato impegnato in attivita' criminali in piu' di uno Stato. La convenzione dispone l'introduzione negli ordinamenti degli Stati firmatari del reato di associazione criminale di tipo mafioso, sul modello della legislazione italiana e di quella degli Stati Uniti, che prevede il reato associativo nella forma di conspiracy, norme contro il riciclaggio e contro la corruzione, per la confisca dei beni derivanti da attivita' illecita. Due protocolli aggiuntivi riguardano la tratta di persone, in particolare di donne e bambini, e il traffico di migranti. La Convenzione rappresenta il tentativo di creare un diritto penale internazionale a partire dal tema dell'internazionalizzazione del crimine organizzato, ma, a parte l'affidabilita' di vari Stati firmatari direttamente o indirettamente coinvolti in attivita' criminali, non puo' affrontare il problema della eziologia del crimine, prodotto dai processi di globalizzazione e in particolare dall'aggravamento degli squilibri territoriali e dei divari sociali, che rendono sempre piu' conveniente il ricorso all'accumulazione illegale, e dalla finanziarizzazione che rende sempre piu' difficile la distinzione tra capitali legali e illegali. * Bibliografia Santino Umberto, La mafia interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi, Rubbettino, Soveria Mannelli 1995; Storia del movimento antimafia. Dalla lotta di classe all'impegno civile, Editori Riuniti, Roma 2000; Dalla mafia al crimine transnazionale, in "Nuove Effemeridi", XIII, n. 50, 2000, sito Centro Impastato: www.centroimpastato.it. Camera dei deputati - Senato della Repubblica, La costruzione dello spazio giuridico europeo contro il crimine organizzato, Roma 2001: contiene il testo in italiano della Convenzione delle Nazioni Unite sul crimine transnazionale. 8. INIZIATIVE. ALCUNE AZIONI NONVIOLENTE PER LA PACE IN PALESTINA ED ISRAELE (PARTE PRIMA) [Dal sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) riportiamo una serie di comunicati concernenti varie iniziative nonviolente congiunte tra israeliani e palestinesi per la pace e la convivenza] La regione del Sussya diventa zona militare Nella settimana tra il 17 e il 23 settembre scorso, 118 abitanti della regione di Sussya (sulle montagne dell'Hebron meridionale) sono stati sfrattati dalle loro case dalle forze militari israeliane, e le case sono state distrutte dai soldati. Per protesta, il 24 settembre circa 80 attivisti di Ta'ayush, ICAHD, Bat Shalom, Gush Shalom, Peace Now, B'Tselem, The Women's Coalition e RHR hanno raggiunto l'area e hanno aiutato gli abitanti a riparare parte dei danni ricevuti. Un piccolo gruppo e' rimasto per tutta la notte, per garantire che gli abitanti non venissero nuovamente espulsi, in attesa che una loro petizione formale venisse giudicata dalla Corte Suprema di Israele. Difatti, il giorno seguente l'esercito israeliano ha cercato di espellere i palestinesi dalla zona. Gli attivisti di Ta'ayush erano presenti e i soldati hanno ritrattato. Il 26 settembre la Corte Suprema di Israele ha riconosciuto alla popolazione il diritto a rientrare nella propria terra. Lo stesso giorno, quando i palestinesi hanno cercato di raggiungere le loro case, sono stati fermati dai soldati israeliani. L'area e' stata dichiarata zona militare e chiusa fino al 26 dicembre - cioe' per i successivi tre mesi. Questa evidente violazione dei diritti umani del popolo palestinese, dell'esplicita decisione della Corte Suprema, e delle promesse pubbliche rese dalle autorita' civili e militari, rendono esplicito che l'espulsione e' un passo preliminare alla annessione di quest'area da parte di Israele. * Una campagna di protesta contro 4 nuovi insediamenti La stazione radio "Channel 7", che trasmette illegalmente ma senza alcun impedimento proprio a pochi passi dalla sede dell'esercito israeliano nella West Bank, aveva annunciato con qualche anticipo che la domenica 7 ottobre sarebbero stati creati quattro nuovi insediamenti israeliani in territorio palestinese. La radio aveva chiamato a raccolta i nuovi coloni e i loro sostenitori per prendere parte in massa alle cerimonie di istituzione, con la partecipazione di esponenti religiosi. Due dei quattro insediamenti - sotto il nome di "Har Ephraim" e "Har Hemed" - dovevano essere localizzati vicino a quello gia' esistente di Kdumim, ad ovest di Nablus, sulla West Bank. Un terzo insediamento doveva trovarsi vicino a Beit Hagai, nell'Hebron, e l'ultimo nella striscia di Gaza, sulla riva mediterranea, a poca distanza dalla citta' palestinese di Rafah, al centro dell'attenzione dei recenti fermenti tra la popolazione palestinese e le forze armate israeliane. L'emittente radiofonica trasmetteva perfino il numero verde dei coordinatori dell'azione, a cui unirsi e richiedere ulteriori informazioni. Secondo il comunicato, i quattro nuovi insediamenti erano gia' stati approvati dal governo Sharon, che aveva garantito protezione militare. Una richiesta ufficiale inviata in proposito da Gush Shalom al Ministro della Difesa non ha ottenuto risposta, pertanto si stava organizzando l'intervento di gruppi pacifisti per prendere le difese della popolazione residente. Gush Shalom riteneva che l'approvazione del governo ci fosse realmente, dato il record di insediamenti del governo attuale. Ad esempio, pochi mesi prima il ministro della Difesa Ben Eliezer aveva incoraggiato l'occupazione di El Khader Village, vicino a Betlemme, per la creazione dell'insediamento di Giv'at Ha'atamar, tra le proteste, violentemente disperse, dei palestinesi legittimi proprietari delle terre e dei pacifisti israeliani. Il primo ottobre i coloni di Ma'on, vicino a Uata, sul lato meridionale della West Bank, hanno occupato una parte di terra appartenente al villaggio palestinese di Umm al Shuhan per ergervi, con il supporto militare, una grande cisterna per l'acqua, una casa mobile e un generatore elettrico. La richiesta di charimenti di Gush Shalom ammoniva il Ministro Ben Eliezer e il governo intero che "la decisione di creare nuovi insediamenti sara' una ulteriore provocazione nel momento piu' delicato e pericoloso. Potrebbe portare ad un fallimento irrevocabile tutti gli sforzi per stabilizzare il cessate il fuoco ed aprire la strada ad una nuova, sanguinosa escalation. Renderebbe chiaro, inoltre, che il governo di Israele non ha reale intenzione di aderire al Rapporto Mitchell che ha verbalmente accettato; un elemento fondamentale di quel rapporto e' il totale congelamento delle costruzioni israeliane nei territori occupati, giudicato una condizione indispensabile per riprendere i negoziati di pace". * Dopo la morte del Ministro Rehavam Zeevi Le organizzazioni pacifiste israeliane che aderiscono alla Coalizione Gush Shalom di Donne per una Pace Giusta (Bat Shalom, MachsomWatch, NELED, New Profile, Noga, TANDI, WILPF, Women and Mothers for Peace, Women Engendering Peace, and Women in Black) chiedono di scrivere o telefonare a Colin Powell e ad altre autorita', per chiedere di porre fine all'incubo di violenza nei territori seguiti alla morte del Ministro israeliano Rehavam Zeevi. * In ricordo dell'ottobre 2000 Per ricordare le violenze perpetrate dalla polizia contro la popolazione araba in Israele nell'ottobre 2000, con l'uccisione di 13 civili palestinesi da parte della polizia, gruppi pacifisti israeliani e palestinesi hanno organizzato una marcia congiunta di protesta (il 29 settembre) e una giornata di sciopero generale (il primo ottobre). Oltre a fare memoria, lo scopo delle manifestazioni e' chiedere che si arrivi ad una convivenza pacifica, democratica e giusta per tutti gli abitanti dello stato di Israele, ed esprimere il proprio no alla guerra in Afghanistan. * Ricostruzione di una casa Durante il giorno intermedio di Sukkot, il 3 di ottobre scorso, un gruppo di ebrei e palestinesi si e' incontrato per ricostruie la casa della famiglia di Muhammed Ali di Shuafat, sulle colline meridionali dell'Hebron. * Per una cultura di pace Due organizzazioni attive nella regione di Misgav - "Another Voice in Galilee" e "Misgav Sikkuy" - hanno preso un'iniziativa mirante ad estendere la collaborazione tra ebrei ed arabi nella comune lotta nonviolenta per la giustizia. All'interno di questa campagna hanno eretto una Tenda per l'Uguaglianza a Sakhnin Yuvalim Junction dal 29 settembre al 6 di ottobre, con volontari che accoglievano i visitatori e con iniziative culturali quotidiane (letture, performance artistiche e dibattiti). * Le donne ebree e palestinesi di Bat Shalom (nel nord di Israele) hanno organizzato tre giorni di dialogo, dibattito e educazione politica, sui temi del processo di pace e delle alternative offerte dalle donne. * Fac simile di lettera per chiedere di porre fine alle violenze seguite alla morte del ministro Rehavam Zeevi. Testo in italiano: Egregio Signore, approfittando dell'assassinio del Ministro israeliano del Turismo Rehavam Zeevi, il governo del Primo Ministro Ariel Sharon sta conducendo un attacco militare alle citta' palestinesi che potrebbe continuare per giorni, se non per mesi. Il Primo Ministro Sharon ha storicamente condotto una politica di oppressione e supremazia del tutto avventata. Gli attacchi piu' recenti esprimono l'intento di sfogare l'ira degli israeliani ai danni della popolazione palestinese, e il perpetuamento di 34 anni di occupazione, una politica considerata positiva in Israele dagli uomini attualmente al governo, che distrugge le possibilita' di un negoziato, considerato negativamente. La nuova occupazione delle citta' di West Bank mette in pericolo il futuro di entrambe le nazioni, e la stabilita' della regione. Per questo chiediamo urgentemente il Suo intervento. Distinti saluti, Firma Testo in inglese, da spedire: Dear Sir, Using the assassination of the Israeli Minister of Tourism Rehavam Zeevi as an excuse, the government of Prime Minister Ariel Sharon has embarked on a wanton military attack of Palestinian towns, which may continue for days if not months. Prime Minister Sharon has historically been committed to reckless supremacist and oppressive policies. This most recent attack represents a policy of wreaking damage on the Palestinian population, and perpetuating their 34 year occupation, a policy which is considered good for Israel by the policy-makers in power; and disrupting chances for negotiations, which are considered bad. The reoccupation of West Bank cities endangers the future of both nations, and the stability of the region. We urgently request your intervention. Respectfully, Indirizzare a: - Secretary of State Colin Powell, e-mail: secretary at state.gov, fax: (202) 261-8577 - President George W. Bush, e-mail: president at whitehouse.gov, fax: (202) 456-2461 - European Union President Mr. Romano Prodi, romano.prodi at cec.eu.int - Mr. Terje Rod Larsen, Personal Representative of the Secretary General to the UN in Palestine, tel: + 972 8 282 2914, fax: + 972 8 282 0966, e-mail: unsco at palnet.com - United Nations High Commissioner for Human Rights, e-mail: webadmin.hchr at unog.ch, fax: +(41-22) 917-9016 - Israeli Foreign Minister, Shimon Peres, fax: +972-2-5303704, e-mail: sar at mofa.gov.il - Israeli Defense Minister, Benyamin Ben Eliezer, fax: +972-3-6916940, 6976990, e-mail: sar at mod.gov.il - Prime Minister Ariel Sharon, fax: (+972-2) 566-4838 or 651-3955 or 651-2631 * Donne palestinesi prigioniere politiche torturate nel carcere di Neve Tirza Giovedi 13 settembre i guardiani della prigione di Neve Tirza sono entrati nelle celle delle donne prigioniere politiche, hanno preso tutte le loro cose e hanno condotto in isolamento Maha Al-Ok (22), Abeer Amer (21), Suad Ghazal (18), Wijdan Buji (22) e Rab'a Hamael (14). Poi hanno portato Amne Muna (25) in una sezione completamente diversa, dove sono rinchiusi solo prigionieri criminali. La spiegazione dei guardiani: solo Amne Muna non si era alzata in piedi all'appello. Maha, Abeer, Suad, Wijdan, e Rab'a temevano per Amne, urlavano, gridavano il suo nome. Piu' tardi, quella stessa sera, guardiani e poliziotti uomini e donne sono entrati nelle celle di isolamento delle cinque donne ed hanno cominciato a picchiarle. I poliziotti e i guardiani le hanno legate, hanno spalancato loro braccia e gambe legandole ai letti con manette di plastica, strette al punto di causare gonfiori e forti sofferenze. Mentre erano incatenate al letto, i guardiani hanno coperto il volto di Wijdan e Suad con i veli, cosi' che avevano difficolta' a respirare. Solo dopo due ore di sofferenza e di agonia, i guardiani sono tornati nelle celle e hanno aperto le manette, ma le hanno lasciate incatenate ai letti in quella posizione umiliante per l'intera notte. Il trattamento di Amne e' stato ancora piu' severo. E' stata battuta spietatamente, le hanno rotto un dito della mano e le hanno spruzzato per due volte il gas a breve distanza. Durante l'incontro con l'avvocato Allegra Pacheko, Amne ha descritto cosi' gli abusi subiti: "Hanno cercato di attaccarmi con i loro scudi di plastica. Io tentavo di proteggermi. La cosa successiva che ricordo, e' che io ero sul pavimento, mi proteggevo la testa e tre uomini mi picchiavano sulla testa e su tutto il corpo. Mi hanno spruzzato il gas sul volto. Ho pensato che stavo per morire. Non potevo respirare e urlavo. Uno dei poliziotti mi ha schiacciato le mani con gli stivali e io ho cominciato a sanguinare. Mi hanno spinto la faccia contro il pavimento e hanno continuato a picchiarmi. Poi mi hanno afferrata per le gambe e i piedi e mi hanno trascinata nella stanza accanto, mentre con la testa battevo sul pavimento. Le mani sanguinavano. Poi Miri, una donna guardiano, mi ha spruzzato con il gas ancora una volta. Pensavo di morire. Poi mi hanno messo su un letto e mi hanno legato mani e piedi, tutto questo continuando a picchiarmi e costringendomi la testa e il collo in una posizione soffocante". Durante la visita del procuratore, i guardiani hanno rifiutato di liberare le gambe di Amne dalle catene. Nella cella non c'e' acqua e all'ora della visita, le 13,45, Amne non aveva ancora ricevuto acqua in tutto il giorno. Un dito della mano destra era gonfio, malamente contuso e sanguinante. Il 16 settembre, quando l'avvocato ha incontrato le donne, erano ancora tutte in isolamento e avevano escoriazioni, ferite e segni bluastri sulla faccia e sul corpo. La situazione e' estremamente seria. Gush Shalom chiede di scrivere alla direttrice della prigione per e-mail o (preferibilmente) via fax, per fare pressioni affinche' cessi ogni violenza. Nel contempo, sul posto si stanno organizzando manifestazioni di protesta nonviolenta, la prima delle quali e' avvenuta venerdi 5 ottobre di fronte a Neve Tirza. Esempio di lettera da inviare alla direzione della prigione. Testo in italiano: Luogo e data. Oggetto: violenze e trattamenti degradanti alle donne palestinesi prigioniere politiche Egr. Signora Sagy, Le scrivo per esprimere la mia profonda preoccupazione per le continue violenze, gli abusi e i trattamenti degradanti delle donne palestinesi prigioniere politiche che sono rinchiuse nella prigione da Lei diretta. Numerose organizzazioni israeliane e palestinesi per i diritti umani ne hanno riferito negli ultimi quattro mesi. I guardiani uomini e donne e i poliziotti hanno assalito e battuto brutalmente le prigioniere per svariate volte, provocando loro ferite, escoriazioni e lacerazioni su tutto il corpo. I guardiani e i poliziotti le hanno anche umiliate e degradate sessualmente. Hanno spalancato loro le gambe e le braccia e, per mezzo di manette strettissime, le hanno incatenate ai letti per 24 ore. Poi le hanno trascinate sul pavimento tirandole per le catene delle manette e per i capelli, e hanno coperto loro la faccia con il velo per impedire loro di respirare. Le relazioni piu' gravi riguardano la leader delle donne prigioniere, Amne Mona, che e' stata aggredita con il gas e battuta molte volte ed e' ora in totale isolamento con un dito rotto a causa delle percosse. Sono preoccupato/a per la sua vita e per le minacce di morte dei prigionieri criminali di Neve Tirza. La mia preoccupazione e' rafforzata dal fatto che, sebbene sia stata aperta una inchiesta, non un solo guardiano coinvolto negli abusi e' stato sospeso o trasferito. Piuttosto, questi guardiani e ufficiali uomini e donne - Miri Weitzman, Vered, Yehudit, Alex, Uri ed Erez - sono in contatto con le donne prigioniere 24 ore su 24 e le sorvegliano durante tutto il giorno. Le relazioni delle organizzazioni umanitarie hanno sottolineato inoltre che i medici e gli infermieri non hanno denunciato adeguatamente le ferite e gli abusi, ed hanno collaborato con il personale della prigione per coprire le violenze perpetrate. Poiche' come paese occupante il governo di Israele non ha l'autorita' legale per imprigionare persone palestinesi nelle sue carceri, finche' le donne prigioniere rimarranno sotto la sua custodia, lei e' pienamente responsabile della loro incolumita'. Sono consapevole che le donne hanno rifiutato i loro diritti basilari di prigioniere ed hanno attivato numerose azioni nonviolente di protesta durante questo periodo. Cio' nonostante, le violenze e gli abusi diretti alle donne prigioniere rimangono ingiustificati ed illegali secondo tutti gli accordi internazionali. "Principio 6: Nessuna persona soggetta a qualsiasi forma di detenzione o prigionia potra' essere soggetta a tortura o a trattamenti o punizioni disumani e degradanti. Nessuna circostanza potra' essere invocata a giustificazione di torture o di trattamenti e punizioni disumani o degradanti. Dai Principi per la Protezione di tutte le Persone Soggette a Detenzione o Prigionia, Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Risoluzione 43/173, dicembre 1988". "33. Strumenti di restrizione, come manette e catene, non potranno essere applicati come punizione. 53. Le donne prigioniere devono essere sorvegliate soltanto da ufficiali donne. Standard Minimi per il Trattamento dei Prigionieri, Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, Risoluzione 663, 1957 e 1977". Le chiedo di agire di conseguenza e assumersi le Sue responsabilita' mettendo fine immediata agli abusi, alle violenze e alle umiliazioni sessuali avvenute nella prigione di Neve Tirza. Distinti saluti, firma Testo in inglese, da spedire: Ms. Debbie Sagy, Director, Neve Tirza Prison, P.O. Box 229, Ramle 72101, fax: +972-8-9776652 e, p. c. all'Ambasciata o al Consolato di Israele. Re: Violence and Degrading Treatment of Palestinian Women Prisoners Dear Ms. Sagy, I am writing to express my deep concern about the ongoing violence, abuse and degrading treatment of the Palestinian political women prisoners held in your prison. Numerous Palestinian and Israeli human rights organizations report that in the last four months, male and female wardens and riot police brutally assaulted and beat the women prisoners several times resulting in injuries, bruises and lacerations on their bodies. These wardens and police also humiliated and sexually degraded the women. Using unbearably tight handcuffs, they spread their arms and legs and chained them to the bed for 24 hours, dragged the women on the floor by the chain of the handcuffs and by their hair, and they also tied the women's veils over their faces to cause them difficulty in breathing. The worst reports concern the leader of the Palestinian women prisoners, Amne Mona, who was gassed, beaten several times and is now in total isolation with a broken finger from the assault. I am fearful for her life as criminal prisoners in Neve Tirza continue to threaten to kill her. My concern is augmented by the fact, that though an investigation has been opened, not one warden allegedly involved in the beatings and assault has been suspended or transferred. Rather, these male and female wardens and officers - Miri Weitzman, Vered, Yehudit, Alex, Uri, and Erez- continue to have 24-hour contact with the women and oversee their day-to-day activity. Reports have also surfaced that the nurses and medics have not adequately reported the abuse and injuries and have participated with the prison personnel in covering-up the violence in the prison. Though as an occupying power the Israeli government has no legal authority to imprison Palestinians inside Israeli prisons, as long as the women prisoners remain under your custody, you are fully responsible for their welfare. I am aware that the women have been denied their most basic rights as prisoners and have undertaken several non-violent protest actions during this period. Nevertheless, the prison violence and abuse directed against the women prisoners remains unjustified and illegal under all international standards. "Principle 6: No person under any form of detention or imprisonment shall be subject to torture or to cruel, inhuman or degrading treatment or punishment. No circumstance whatever may be invoked as a justification for torture or cruel, inhuman or degrading treatment or punishment. Body of Principles for the Protection of All Persons Under Any Form of Detention or Imprisonment, UN General Assembly Res. 43/173, Dec. 1988". "33. Instruments of restraint, such as handcuffs, chains shall never be applied as a punishment. 53. Women prisoners shall be attended and supervised only by women officers. Standard Minimum Rules for the Treatment of Prisoners (UN ESC, Res. 663, 1957 & 1977)". I request that you fulfill your responsibilities accordingly, and put an immediate end to the abuse, violence, and sexual humiliation occurring in the Neve Tirza prison. Yours truly, firma 9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 10. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ; per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben at libero.it ; angelaebeppe at libero.it ; mir at peacelink.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 322 del 25 dicembre 2001
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