La nonviolenza e' in cammino. 299



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 299 del 25 novembre 2001

Sommario di questo numero:
1. Peppe Sini, tre condizioni per essere un movimento per la pace
2. Sintesi del convegno di Como sulla nonviolenza (a cura di Marco
Servettini). Con gli interventi di Albino Bizzotto, Carlos Rojas, Jean Marie
Benjamin, Nanni Salio, Tonino Drago, Lidia Menapace, Mao Valpiana, Rigoberta
Menchu', Luisa Morgantini, Arrigo (monaco di Camaldoli), Hebe de Bonafini
3. Sintesi di una relazione di Giulio Girardi su teoria e prassi nonviolenta
della liberazione
4. Maria Zambrano, la nascita del rancore
5. Ada Gobetti, sdegnamo quindi
6. Edith Bruck, anche voi che volete sapere
7. Laura Boella, amare la giustizia secondo Hannah Arendt
8. Alcune iniziative di pace di oggi
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'

1. RIFLESSIONE. PEPPE SINI: TRE CONDIZIONI PER ESSERE UN MOVIMENTO PER LA
PACE
[Il testo seguente e' la sintesi estrema della prima parte della relazione
tenuta il 24 novembre all'assemblea promossa dalla Rete no global di Viterbo
presso il centro sociale occupato autogestito "Valle Faul"; nella seconda
parte si indicava, con precisi esempi storici, come la nonviolenza sia non
solo una scelta moralmente, politicamente e giuridicamente fondata e
coerente, assiologicamente e concretamente sempre preferibile, ma anche come
possa essere sempre una efficace alternativa alla gestione violenta dei
conflitti, e come possa effettualmente contrastare e sconfiggere il
terrorismo e la guerra]
Per essere un movimento per la pace, e non semplicemente contro una
specifica guerra, occorrono tre condizioni:
- il ripudio dell'uccisione (di tutte le uccisioni, sempre);
- il ripudio della menzogna (che e' denegazione dell'umanita' altrui e
nostra in cio' che e' piu' proprio della persona umana: la capacita' di
comprendere);
- il ripudio del totalitarismo (a tutti i livelli, anche a quello cosi'
fortemente presente e inquinante negli stessi movimenti sociali di
opposizione e di trasformazione: la pretesa di essere tutto, di
rappresentare la totalita'; il riduzionismo delle complessita' e
l'omologazione delle diversita'; l'imposizione agli altri di identificarsi
con noi, la riduzione delle relazioni allo schema amico-nemico, la negazione
dell'alterita' e del diritto all'alterita').
La compresenza di queste tre condizioni definiamo anche come scelta della
nonviolenza: senza la scelta della nonviolenza non si e' movimento per la
pace.

2. MATERIALI. SINTESI DEL CONVEGNO DI COMO SULLA NONVIOLENZA (A CURA DI
MARCO SERVETTINI). CON GLI INTERVENTI DI ALBINO BIZZOTTO, CARLOS ROJAS, JEAN
MARIE BENJAMIN, NANNI SALIO, TONINO DRAGO, LIDIA MENAPACE, MAO VALPIANA,
RIGOBERTA MENCHU', LUISA MORGANTINI, ARRIGO (MONACO DI CAMALDOLI), HEBE DE
BONAFINI
[Il testo seguente e' una libera sintesi e rielaborazione a cura di Marco
Servettini (mservettini at tin.it) del Convegno 2001 del Coordinamento Comasco
per la Pace, "Addio alle armi: la nonviolenza come pratica e progetto di
liberta'", svoltosi il 16-17-18 novembre a Como]

Prima sessione: Testimoni e costruttori di liberta'

* Albino Bizzotto: Dobbiamo entrare disarmati dentro i conflitti
Dopo il 45 c'e' stata una  guerra continua, ma e' stata sempre lontana da
noi; dopo la caduta del muro pero' ha iniziato sempre di piu' ad
avvicinarsi, ed ha iniziato ad interessarci da vicino.
Ma chi conosce meglio la verita' sulla guerra, chi sgancia le bombe o chi le
subisce? Noi da che parte stiamo?
Se si vuole un mondo piu' giusto dobbiamo stare dalla parte delle vittime,
bisogna adottare il punto di vista delle vittime, che nel mondo sono la
grande maggioranza.
Ma la pace non ci capita addosso, dobbiamo volerla e costruirla. Non
possiamo attendere che le cose ci arrivino, dobbiamo entrarci. Pero' c'e'
chi dice che la nonviolenza funziona prima e dopo, ma non funziona durante
la guerra: cosa possiamo fare allora, nell'escalation della guerra?
Noi non crediamo nelle armi, le armi non fanno parte della nostra cultura,
ma possiamo essere presenti disarmati, per dire che siamo decisi contro la
guerra, e che vogliamo stare vicino alle vittime. La risposta allora puo'
essere entrare disarmati dentro la guerra, in solidarieta' alle persone che
sono vittime, e per rompere la contrapposizioni tra le parti.
E cosi facendo abbiamo scoperto che non e' vero che siamo inutili dentro la
guerra, abbiamo scoperto che la guerra sono 300 mila persone assediate
(Sarajevo) ridotte alla fame, al freddo, alla disperazione.
Della guerra che si combatte in Afghanistan oggi noi non sappiamo nulla,
hanno deciso la guerra ma sappiamo solo quello che la censura fa passare. Ci
dicono che vanno combattuti i terroristi, ma dove sono? Sarebbe come
bombardare la Sicilia per sconfiggere la mafia.
Siamo ormai orfani di regole, della Costituzione italiana - nella quale si
ripudia la guerra, dell'Onu - vera presenza inutile di questa situazione. Ed
invece di operare per la prevenzione, la dissuasione, l'interposizione,
invece di cercare di andare a perseguire i responsabili, si va ad aggredire
indiscriminatamente un intero popolo.
Oltre a non saper  niente di cosa si sta facendo a nome nostro, qual e' poi
il motivo reale per cui si fa questa guerra? E' per il petrolio? E' per
ridisegnare le egemonie e gli equilibri regionali e mondiali? E' per dare
fiato all'industria bellica e contrastare la recessione? E' per eliminare
Bin Laden? L'obiettivo non e' chiaro, ma dove vogliamo arrivare?
Avere in mano strumenti di violenza non aiuta mai un conflitto, ma lo
complica terribilmente, ed anche l'intolleranza porta solo allo scontro. Mai
dovremmo usare violenza per risolvere i problemi, eppure continuiamo a
farlo. Per far coesistere le parti, l'alternativa e' accettare il conflitto
e starci dentro con l'impegno di tutti, ma senza violenza, senza arrivare
allo scontro, disposti a rimanere nonviolenti, nelle regole, anche quando
qualcun altro esce dalle regole.
Mi direte che e' impossibile rimanere nonviolenti anche quando si e'
aggrediti. Lo so, e' difficile, ma ci dobbiamo provare. E comunque bisogna
tenere conto che stiamo parlando di guerra, che e' sempre preparata a
freddo. E' necessario uscire dalla logica della guerra, dei vinti e dei
vincitori. Il mio mondo non puo' escludere nessuno, altrimenti sarebbe il
mondo dei violenti.
Le cose da fare sono:
- tornare indietro sulla decisione della guerra, lavorare perche' abbia a
cessare. Per attenersi alla legalita', la nonviolenza e' legalita', e alle
regole internazionali di convivenza (Onu);
- stare con i poveri: non possiamo discriminare le vittime;
- accendere i fari e fare informazione sui fatti nascosti.
Un messaggio finale. Ognuno di noi e' importante nelle scelte che facciamo,
per fare si' che non sia l'economia a realizzare la persona, ma siano le
relazioni, la cura per le persone. Ma alla fine decidono i grandi, direte.
Ma se fossimo in metastasi, a noi interesserebbe di piu' chi ci vuole bene e
ci sta vicino ventiquattro ore al giorno, o l'autorita' che ci viene a
trovare e magari ci fa finire sul giornale? La risposta e' ovvia, ed allora
pensate a quanti popoli oggi sono in metastasi!
Non conta essere importanti, conta sentirsi uguali e vivere insieme le
esperienze. Allora potremo fare insieme grandi cose: costruire un mondo in
cui la globalizzazione non sia quella dei soldi e delle cose, ma dei
diritti.

* Carlos Rojas: Nessuno e' tanto povero da non poter dare nulla, ne' tanto
ricco o saggio da non poter ricevere nulla
Il silenzio non e' solidarieta', e piu' tempo ci sara' il silenzio piu'
tempo parlera' la guerra, ed intanto i poveri danno il loro contributo in
morti.
Pur senza avere guerre, o aids, o ricchezze da sfruttare, in Ecuador si vive
una terribile poverta', e dopo la dollarizzazione avvenuta nel 2000 la
situazione e' precipitata, portando costi da primo mondo in condizioni da
quarto mondo.
Avevamo due possibilita': mettere la testa sotto terra come gli struzzi, o
nuotare controcorrente come i salmoni. Abbiamo scelto la seconda, abbiamo
deciso di smettere di lamentarci, ed iniziare a lavorare nella costruzione
di alternative. Ma lo sforzo che stiamo facendo nel nostro paese non avra'
risultati se anche qui (nel mondo ricco) non cambiate la vostra societa'.
Oggi siamo davanti alla grande macchina neoliberale che produce silenzio, ma
noi e voi siamo parole, comunicazione, e dobbiamo rispettare e valorizzare
le differenze, e costruire un futuro migliore ricordando che nessuno e'
tanto povero da non poter dare nulla, ne' tanto ricco da non poter ricevere
nulla.

* Jean Marie Benjamin: Possiamo accettare che esistano vittime di serie A e
vittime di serie B?
Quanto accaduto l'11 settembre e' un'azione o una reazione? Occorre
ricercare le cause di cio' che accade: se ci sono fatti, ci devono essere
anche le cause. Ma oggi se si analizzano le cause si e' immediatamente
accusati di essere antiamericani.
Ora tutti scoprono l'islam, tutti parlano di uno stato per i palestinesi,
prima non interessava. Si e' partiti dicendo di voler difendere "la
civilta'", poi si e' parlato di difendere il "mondo civile", ma questo
creava problemi, perche' indicava gli altri come incivili, ed allora ora si
parla di mondo libero: libero di andare a bombardare.
Ma quella attuale non e' una guerra, perche' manca il nemico, gli Usa
avevano bisogno di un nemico, subito, per l'opinione pubblica, per il loro
ruolo internazionale.
Un giorno dicono "colpiremo senza misericordia", un  altro "non colpiremo i
civili", poi chiedono ai bambini americani di mandare un dollaro ai bambini
afgani: come facciamo a spiegare dove sta lo spirito cristiano in tutto
cio'.
Ogni mese in Iraq muoiono 6.000 bambini per l'embargo, crollano due torri
piene di bambini, ma questo e' il prezzo da pagare. Possiamo accettare che
esistano vittime di serie A e vittime di serie B? Il bilancio dell'Iraq
pero' non e' solo i morti, e' anche la distruzione della speranza, e' anche
l'uranio impoverito. E questo e' un problema grave anche a New York, perche'
nelle ali degli aerei c'era una grossa quantita' di uranio impoverito,
ionizzato nell'area dopo le esplosioni.
Tempo fa ho fatto un convegno sull'uranio impoverito, invitando anche
esperti dell'Iraq. Mi hanno promesso un servizio importante sul
telegiornale, e dopo molte sollecitazioni hanno concesso solo un minuto e
mezzo all'1,30 di notte, mentre da quattro mesi non si parlava d'altro che
della contessa Vacca Augusta.
Ora vogliono farci credere che abbattuti i talebani i problemi sono risolti.
Non riescono a trovare Bin Laden: ed il giornalista che lo ha intervistato!?
Una organizzazione importante ed attrezzata come quella di Bin Laden non
puo' essere in mezzo alle pietre dell'Afghanistan, ma e' nei paesi ricchi
dell'islam, quelli piu' vicini agli Usa, Arabia Saudita per prima. Questo e'
il problema vero di domani.
Attualmente gli Usa non hanno piu' la situazione sotto controllo, non in
Afghanistan, ne' in Iraq, che sta riacquistando fiducia ed aiuto tra i paesi
arabi (Siria per prima) dove si e' formato una sorta di mercato comune che
permette di aggirare l'embargo, anche se la poverta' imperante non permette
di giovarne. Anche l'Italia sta perdendo l'influenza e il forte inserimento
che aveva nei paesi arabi; anche in termini puramente economici promuovere
la fine dell'embargo avrebbe portato enormi investimenti nella ricostruzione
dell'Iraq, per cui le trattative erano state gia' avviate.

Seconda sessione: La nonviolenza come progetto politico

* Nanni Salio: Non e' piu' sufficiente un'azione di volontariato per
cambiare la societa': servono strutture ed organizzazione
La situazione attuale e' caratterizzata da problemi di carattere globale,
dall'impoverimento dovuto alla globalizzazione, al predominio e l'arroganza
degli Usa nel difendere i propri privilegi, imponendo il loro potere
economico, politico, militare, culturale.
Non esistono forze politiche a cui si puo' fare riferimento per una politica
nonviolenta, e la tesi dominante e' che non esistono alternative. Invece le
alternative esistono, ma mancano gli strumenti politici per realizzarle.
Cosa bisogna fare per cambiare rotta?
Negli ultimi anni e' nato un movimento transnazionale, una miriade di
associazioni e singoli che e' riuscita a far emergere i problemi legati al
fenomeno della globalizzazione. Questo movimento non puo' pero' essere
chiamato no-global, perche' aspira piuttosto ad una nuova globalizzazione, e
non ad una globalizzazione a senso unico.
Questo movimento, o movimento di movimenti, ha piu' anime: c'e' chi si
rispecchia in una posizione nonviolenta, esempio la Rete Lilliput, che pero'
ha ancora molti passi da fare per tradurre in pratica politica l'azione;
chi in altre posizioni, come i Social Forum. Trovare modi nuovi di pratica
e' uno degli obiettivi della nonviolenza, per non cadere nel tranello della
violenza  (vedi Genova).
La critica e i problemi sono stati evidenziati, che cosa bisogna fare ora?
Non e' piu' sufficiente un'azione di volontariato per cambiare la societa':
servono strutture ed organizzazione, possibilmente in rete, che diano
solidita' e siano rivolte a creare una propria agenda.
Occorre creare metodologie, esperienze e pratiche economiche quotidiane che
siano praticabili ed accolte da molti con semplicita' e con soddisfazione:
nuovi stili di vita, nuovi modi di stare insieme.
Il bisogno di creare comunita', dalla famiglia alle reti alla societa', e'
uno dei bisogni essenziali alienati dal nostro sistema, che invece riconosce
solo nell'individuo l'elemento fondante, fino ad arrivare a sostenere che la
societa' non esiste, esistono solo gli individui.
Il movimento ha affrontato le problematiche economiche e ambientali, ma ha
ingenuamente trascurato l'analisi delle alternative alla guerra, al
militare, per la pace: il complesso militare fa parte integrante del
sistema.
Soprattutto quindi occorre una alternativa della pace, ed in questa
direzione va la Campagna di obiezione di coscienza alle spese militari, che
pero' non ha ottenuto gli obiettivi sperati. Lo slogan politico adottato e'
"se vuoi la pace finanzia la pace", ed il principale scopo che auspica la
campagna e' la prevenzione del conflitto armato, lavoro fondamentale di ogni
politica nonviolenta, proprio finanziando i corpi civili di pace, i caschi
bianchi, e potenziando i gruppi che operano dal basso (come ad esempio le
donne in nero).
Il numero di interventi di questi gruppi  negli ultimi dieci anni e' stato
di gran lunga maggiore di quelli dell'Onu, ed e' importante far notare come
anche la Caritas, attraverso la formazione di caschi bianchi, stia lavorando
in questo settore.
Bisogna pero' cercare soluzioni istituzionali, bisogna smuovere le grandi
associazioni, che spesso fanno un pacifismo inadeguato (non ci si puo'
fermare alla marcia Perugia-Assisi), e ad esempio agire nei confronti di
istituzioni e banche, e tradurre gli ideali in pratica politica quotidiana.
La propaganda ci porta a pensare in termini di eventi e non di processi
storici. Uno slogan di questo sistema e' "divertirsi da morire": la ricerca
del divertimento ci spinge a non pensare, e se succede qualcosa - perfino la
morte e la guerra - e' un evento fuori dalla storia, e' solo un episodio.
Bisogna ricostruire la storia, rileggere e ricostruire i processi storici.
La stessa propaganda, semplificando, spinge a dividere tra bene e male, tra
amici e nemici. I veri amici degli Usa oggi sono quelli che hanno il
coraggio di dire la verita', e di dissuaderli dalla loro politica
internazionale. Calza bene l'esempio del bullo di quartiere: i veri amici
sono quelli che cercano di persuaderlo ad abbandonare la sua prepotenza, non
sono i complici.
Una delle questioni fondamentali della politica internazionale sta nel
petrolio: tra il 2005 e il 2010 avremo il picco di produzione mondiale, e
gli Usa, piu' di altri, vivono di petrolio. In questa ottica l'Asia centrale
e' fondamentale. Ma in tal senso e' necessario contrastare un'intera
"cupola" mafiosa, non solo Ben Laden: le famiglie Laden e Bush collaborano
da venti anni intorno al petrolio.
Il ricorso alla violenza da' l'illusione di ridurre i tempi, ma la pace ha
tempi lunghi, e richiede un forte impegno.
Alcuni punti chiave e proposte per costruire la pace:
- ricercare la giustizia senza vendetta;
- attivare il Tribunale Penale Internazionale;
- istituire una Commissione Internazionale Verita' e Riconciliazione,
rivolta in particolare al dialogo con i paesi islamici;
- tornare ad impegnarsi nei negoziati: risolvere la questione
Israele-Palestina, togliere l'embargo all'Iraq, eliminare le basi Usa in
Arabia;
- aiutare le componenti interne che stanno lottando per la pace (ad esempio
le donne in Afghanistan): non sostenere i signori della guerra, ma le
signore della pace;
- portare in Afghanistan pane, e non bombe, per aiutare questa popolazione
martoriata, che da venti anni ha bisogno di aiuti ma e' stata abbandonata e
riscoperta solo ora;
- costruire un movimento internazionale per la pace forte e consistente;
- lavorare su dialogo, cultura, educazione;
- uscire dall'economia del petrolio: questo richiede un impegno immediato
personale, per iniziare  a costruire una societa' decentralizzata a bassa
potenza (gli Usa con il 4% della popolazione usano il 25% delle risorse del
petrolio);
- smantellare il complesso militare, industriale, scientifico; gli Usa,
applicando la loro dottrina militare, che punta a sopprimere ed opprimere
gli altri, hanno creato un sistema estremamente insicuro, perche' gli altri
iniziano sempre piu' a ragionare e reagire con la stessa dottrina militare.
La figura dell'interlocutore - chi e' a favore dell'intervento armato, della
guerra - non deve essere messa in inferiorita': non bisogna rendere
l'interlocutore un avversario, un nemico. Gli interlocutori non sono
monolitici, e bisogna lavorare sul dialogo, sull'informazione, per sostenere
e promuovere una scelta piu' consapevole e responsabile. Aprire un luogo di
pace, che serva ad informare, collaborare, discutere con chiunque lo voglia,
senza stereotipi ne' pregiudizi, puo' essere una via; se il contesto e'
maturo andrebbe valutata la possibilita' di una tassazione che permettesse
di comprare, finanziare, una Casa per la Pace.

* Tonino Drago: La nonviolenza e' grande passione per la politica
Non si puo' piu' fare politica con il pensiero - volutamente - debole, che
affronta di giorno in giorno le problematiche, ma non ha una visione ampia,
un progetto.
La nonviolenza con Gandhi ha avviato uno dei processi piu' importanti della
storia: la decolonizzazione. E' questa la grande novita' del secolo scorso,
non c'e' altra novita'.
La nonviolenza ha avuto prima una ispirazione religiosa (Francesco d'Assisi,
Tolstoj. La Pira , Tonino Bello), poi con Gandhi acquista un'ispirazione
piu' ampiamente etica. L'etica si settorizza poi con don Milani, ed affronta
il sociale (scuola, militare). Lanza del Vasto arriva a riconoscere la
necessita' di vivere in questa societa' con distacco: dobbiamo essere uomini
nonviolenti al di sopra, indipendenti dalla civilta' in cui viviamo; Gandhi
non criticava gli inglesi, ma la loro societa' che viveva sul dominio delle
colonie. Con un passaggio ulteriore, da Capitini a Galtung, si arriva a fare
un discorso piu'  ampio sui modelli di sviluppo.
In Italia abbiamo una tradizione nonviolenta grandissima, non a caso e'
l'unica nazione che ha avuto una legge in cui si parla di difesa
nonviolenta.
Ma per essere nonviolenti bisogna scegliere, servono testimoni della
nonviolenza veri, non furbi ed opportunisti.
La sinistra poi non capisce i problemi della crisi globale, e la parola
chiave della politica deve essere modello di sviluppo, ma molto raramente si
parla di modello: nessuno vuole scegliere, ma solo gestire, cavalcare. Ma e'
questo il problema di fondo: definire un modello di sviluppo.
In particolare sul discorso del progresso (nucleare, biotecnologie) la
sinistra non riesce a sviluppare una critica, perche' considera il progresso
come un miglioramento delle condizioni dei lavoratori.
L'approccio alla politica deve passare per i partiti o attraverso i moviment
i? Forse questo secondo e' il percorso migliore, perche' il primo implica la
necessita' di riformare l'inadeguata forma partito.
La nonviolenza e' grande passione per la politica, cio' che si critica e' la
politica attuale, la forma partito. La politica attuale e' machiavellica: ma
la storia non puo' finire con questo stile, si dovra' iniziare a trovare
stili nuovi, dove il fine non giustifica i mezzi.

* Lidia Menapace: Ci sono processi di uniformazione che ci mettono
l'uniforme senza essere militari
La guerra e' permanente perche' e' un sostegno del sistema capitalistico,
che si ricarica follemente attraverso lo spreco folle di tutto, la
distruzione.
Per la risoluzione dei conflitti e' necessario un progetto: la pace e'
pratica politica che governa i conflitti, non e' assenza di conflitti.
La nostra societa' e' impregnata di militarismo, e ci sono processi di
uniformazione che ci mettono l'uniforme senza essere militari.
I movimenti complessi che si vanno formando non possono essere uniformati in
una forma specifica, come accade con i Social Forum, ed anche le forme di
azione vanno valutate: manifestare e' un diritto, non e' un dovere. La lotta
nonviolenta e' tipica di due movimenti: quello sindacale e quello
femminista.
Con la Convenzione permanente delle donne contro le guerre crediamo che la
rete o convenzione possa essere una forma piu' adatta di collegare le varie
forme di movimento: si conviene (converge) per una convenienza comune in un
luogo di incontro politico. La convenzione vista quindi come patto per
azioni, per attivita'; la permanenza per uscire dalla episodicita', perche'
e' necessaria una forma di partecipazione politica permanente, come
permanente e' la guerra.
Oggi non esiste un progetto politico che rigetti il ricorso alla guerra, ma
le guerre non risolvono i conflitti, fissano dei vincitori e dei vinti, e si
concludono con trattati di pace che in realta' sono trattati di vittoria.
Per finire, una proposta di progetto politico: lavorare per un'Europa
neutrale non allineata.

* Mao Valpiana: La nonviolenza non puo' essere improvvisata, ha bisogno di
preparazione e formazione
Non possiamo piu' giocare con le parole, le parole sono pietre. Non bisogna
piu' scherzare anzitutto sulla parola nonviolenza, che non e' assenza di
lotta, non e' astensione o neutralismo, ma e' forza della verita', pratica
estremamente attiva.
La nonviolenza si rivolge alle scelte personali e alle pratiche collettive,
politiche.
Ad un primo livello troviamo l'esempio, la testimonianza, correlati al
progetto, alla prospettiva.
Ma la nonviolenza non puo' essere improvvisata, ha bisogno di preparazione e
formazione.
E non si puo' nemmeno partire da zero, perche' abbiamo esempi ed esperienze
importanti da prendere come riferimento.
Rispetto alla guerra, bisogna essere soprattutto contro la sua preparazione:
la prevenzione e' l'attivita' fondamentale, e lottare, organizzarsi, agire
contro la preparazione e' la prima prevenzione.
In secondo luogo bisogna lavorare per una alternativa alla guerra: la difesa
nonviolenta.
Oggi viviamo un rovesciamento assurdo: chi e' contro la guerra, nella nostra
lunga tradizione cristiana, e' chiamato a giustificarsi, mentre sarebbe
logico che si giustifichi chi e' per la guerra, anche se ci fossero motivi
condivisibili e plausibili.
Rispetto ai movimenti che si vanno formando, non e' possibile che un
movimento maturo lasci scegliere i propri leader ai giornalisti. Il leader
puo' esserci  - vedi Gandhi - ma deve nascere dal basso, deve arrivare da
autorevolezza, non votata, ma guadagnata dalla base.
Inoltre troppe manifestazioni tolgono fiato, e non e' possibile prendere
scorciatoie: serve un percorso, un progetto adeguato, e servono poi confini,
che sono forza e non debolezza, per dire quando si e' dentro e quando si e'



fuori. I movimenti devono darsi delle strategie, non farsele imporre.

Terza sessione: La forza della verita'

* Rigoberta Menchu': La solidarieta' deve imparare dalla cultura dei popoli
che lottano per la liberta'
La solidarieta' oggi non viene insegnata, non viene insegnato che tutti i
popoli hanno un cuore, una cultura.
Da venti anni, uscendo dal Guatemala, cio' che mi da' maggior soddisfazione
e' avere attraversato molte barriere culturali e conosciuto molti popoli.
Ma oggi soprattutto ringrazio la vita per avermi insegnato a resistere
all'impunita'.
L'impunita' ha permesso gli abusi sui diritti umani, e' amica del silenzio,
ed il silenzio di tutti i cittadini del mondo permette torture, sequestri, e
soprattutto di non cercare e tollerare i responsabili dei crimini. La lotta
contro l'impunita' per noi e' una lotta di vita.
Cio' che mi da' allegria e' che molti giovani seguono la nostra strada, non
tollerano razzismo e violenza. Soprattutto non tollerano che le vite umane
valgano meno in un paese piuttosto che in un altro. Sono sicura che lottare
per i diritti umani esige coscienza e convinzione.
E' necessario soprattutto educare i nostri figli piu' giovani e piu'
piccoli, perche' devono sapere che il mondo e' pieno di disuguaglianze,  e
che hanno una grande missione: un mondo piu' giusto, piu' equo, dove tutti
abbiano la possibilita' di sognare.
Due settimane fa sono stata a Santiago del Cile, con le vittime del
genocidio cileno, e mi ha impressionato molto la presenza di giovani che
rivendicano il loro diritto alla storia, alla verita', alla memoria, alla
giustizia.
Io credo nel perseguire penalmente i responsabili dei crimini all'umanita',
la giustizia deve imporre loro una pena. Credo che anche il risarcimento a
tutte le popolazioni sia un contributo per dare la possibilita' di sognare a
tutti.
Un mese e mezzo fa ero in  Sudafrica, ed ho dedicato tempo a parlare con i
giovani, che sono condannati all'Aids; ne sono uscita con la convinzione che
esistano piu' verita' nelle cose, e quella conosciuta non e' sempre quella
corretta.
La solidarieta' deve imparare dalla cultura di questi popoli che lottano per
la liberta' e che hanno da dire a molti.
Dopo un conflitto armato di 39 anni in Guatemala, furono denunciate 200.000
vittime: su 8 milioni di abitanti e' una grossa cifra, e quasi tutte le
famiglie hanno avuto vittime. Di questi, 45.000 sono desaparecidos, dei
quali non abbiamo trovato nessuna traccia; sappiamo poi di 646 massacri
collettivi, di 400 villaggi distrutti.
Purtroppo per la gente i dati statistici sono abitudine.
Nel Guatemala ci sono 22 lingue differenti, e sicuramente molte vittime non
parlavano la stessa lingua di chi li ha uccisi. Ci sono state almeno 200
riesumazioni, tramite le quali possiamo conoscere le sostanze chimiche, le
torture, la crudelta' usate contro queste persone. Tra loro c'erano anche
molti neonati: quale e' il concetto di nemico in questa storia, quando il
nemico quasi non e' ancora nato.
Nel '96 fini' il conflitto interno. Non possiamo dimenticare questi delitti,
ne' permettere che il mondo li dimentichi. Chiedo all'umanita' il perche' di
quanto e' successo.
La spiegazione che io mi do e' perche' gran parte delle vittime erano
indios, per razzismo quindi, perche' quei morti non valevano come altri. Non
c'e' altra spiegazione per quanto successo in una terra con una cultura
millenaria come quella maya.
Noi siamo disposti a perdonare, ma prima e' necessario riconoscere la nostra
verita', occorre che i responsabili si pentano - il perdono deve essere
chiesto - e ci aiutino a risarcire i danni. Un modo per risarcire i danni e'
far funzionare la giustizia, accompagnare le vittime, creare borse di
studio, per avere in qualche anno persone formate che lavorino per costruire
la pace, perche' nessuno pensi alla logica della guerra.
La pace non e' un concetto mistico, ma e' un vincolo collegato alla nostra
cultura maya, che vogliamo far tornare a rifiorire: siamo orgogliosi dei
nostri valori spirituali, comunitari, religiosi.
I nostri figli hanno diritto ad una spiegazione della nostra storia. Mio
figlio di sette anni mi chiedeva perche' i nonni sono stati uccisi, che
delitto avevano commesso. Ma spero che abbia capito che non erano dei
delinquenti, che non avevano delle colpe. Ci chiedono pero' chi sono i
colpevoli.

* Luisa Morgantini: La solidarieta' e' la tenerezza dei popoli, e per molti
popoli e' anche la possibilita' di esistere e resistere
Bisogna tenere aperte delle strisce di speranza per il futuro, in questa
logica di guerra: in un manifesto c'era un aereo da guerra, con scritto "non
spezziamo le ali all'Italia".
In Palestina il sogno di uno stato indipendente non entra ancora
concretamente. Viene presentata una situazione di scontro tra grandezze
simili, ma e' necessario analizzare la situazione.
Dal '93 con l'accordo di Oslo si prevedeva a passi graduali il ritiro
dell'occupazione israeliana e l'instaurazione della gestione autonoma
palestinese nei territori. Il ritiro e' stato parziale, cosi' come
l'autonomia, ma nel 70% del territorio palestinese l'autorita' e' ancora
israeliana. Inoltre nei territori occupati c'e' stato l'insediamento dei
coloni, violando anche la convenzione di Ginevra che vieta l'occupazione con
la popolazione civile di territori occupati militarmente.
Gli insediamenti dei coloni significano acqua sottratta, strade dove c'erano
campi, accesso impedito ai palestinesi, pezzi di terra coltivata sottratti
ai palestinesi e distrutti.
Complessivamente i coloni nei territori occupati sono oggi 400.000. Esistono
zone A ad autonomia palestinese, zone B a semi-autonomia, con sicurezza
israeliana, e zone C occupate da insediamenti. Per muoversi i palestinesi
devono attraversare queste zone, con numerosi check point, e vengono
continuamente bloccati, a discrezione dei militari israeliani. La situazione
e' praticamente di carcerazione, ogni giorno vengono confiscate terre, i
movimenti sono impediti, e l'Onu non protegge i palestinesi. Militari
israeliani uccidono ragazzini, bambini palestinesi che tirano sassi, a
distanze assolutamente non pericolose.
Nonostante cio' esistono molte organizzazioni pacifiste palestinesi ed
israeliane che lavorano non solo per non subire piu' personalmente
l'oppressione, ma perche' nessuno nel mondo subisca piu' l'oppressione.
La solidarieta' e' la tenerezza dei popoli. E per molti popoli e' anche la
possibilita' di esistere e resistere. In Afghanistan non basta che le donne
tolgano il burqa, serve che le donne che hanno lottato e resistito entrino
nel governo del paese.
Dobbiamo fare in modo che la nostra sia una cultura in cui non vinca il
cow-boy, il piu' forte, ma una cultura in cui ciascuno possa dare una mano
all'altro.

* Arrigo, monaco di Camaldoli: Oggi siamo chiamati a costruire luoghi di
pace dentro di noi ed intorno a noi
La pace e la guerra sono inconciliabili: nessuna guerra, al di la'
dell'aggettivo che gli viene messo accanto, e' conciliabile con la pace.
Il terrorismo? Non ho una soluzione in tasca, ma penso vada combattuto fino
in fondo, con l'intelligenza, non coi muscoli. Chi lo sta combattendo mi
sembra non abbia l'intelligenza adeguata.

* Hebe de Bonafini: Abbiamo imparato dai nostri figli la solidarieta', a non
essere egoisti, a fare propria la lotta degli altri
Nella nostra lotta abbiamo socializzato la maternita'. Noi lottiamo per la
vita, non riconosceremo mai la morte dei nostri figli, il denaro non puo'
ripagare la vita, ma solo la morte. Non chiediamo musei, monumenti, ricordi
di morte, ma chiediamo un ricordo di vita.
Nella nostra lotta abbiamo dovuto risolvere molte difficolta', la prima di
tutte far conoscere alla gente l'esistenza dei desaparecidos. Abbiamo dovuto
ideare e sperimentare molte forme di comunicazione per comunicare con la
gente, per far sapere che c'erano gli scomparsi.
Quando facemmo la prima marcia per la resistenza nella dittatura argentina,
la stessa parola resistenza era una parola proibita. La prima volta in 70
madri abbiamo resistito davanti a 300 poliziotti, ed anche se ci dicevano
che non avremmo superato quella prima notte, ad ora abbiamo visto cambiare
tre presidenti.
Una volta abbiamo inondato la citta' di sagome vuote, marciando poi con
cartelli con le foto dei nostri figli. Un'altra volta abbiamo messo nei
libri dei salmi di 150 parrocchie la nostra denuncia.
I vescovi nel nostro paese erano piu' militari dei militari: dissero
addirittura che fino a sette ore di tortura non era peccato. Durante una
messa con 25 vescovi, con martello e chiodi appendemmo nella chiesa
fazzoletti con i nomi dei nostri figli.
I vescovi organizzarono una processione, per dire che i desaparecidos erano
un'invenzione delle madri, ma grazie alla solidarieta' dei giovani che
compresero la nostra lotta l'iniziativa dei vescovi non ando' in porto.
Ora vengono fatti finti processi per raccontare la verita', ma non per fare
giustizia.
Ci dicono che avere liberta' significa avere democrazia, difendere la
liberta' significa difendere la democrazia, ma se questa e' la democrazia,
la democrazia non e' liberta'. In Argentina ci dicono che c'e' democrazia,
quindi anche liberta',  ma non e' vero, perche' non c'e' liberta' di
lavorare, di studiare, di vivere, e quindi non c'e' democrazia. Senza
liberta' non ci sara' mai democrazia.
Il mio paese e' molto ricco, ma c'e' disoccupazione, non si spende piu' per
la salute, per l'istruzione, si soffre la fame.
Allora per vedere come concretizzare la nostra lotta abbiamo lavorato sulla
cultura, fino ad aprire una universita', che ha lo scopo di educare alla
politica.
Il 7 aprile 2000 abbiamo aperto l'universita', con 200 allievi e 5 corsi.
Dopo 7 mesi abbiamo dovuto ampliare tutto, con 1.300 allievi e 10 corsi.
Per aprire centri ed universita' non abbiamo mai chiesto permessi: con
venticinque anni di lotta e trentamila desaparecidos, non ci servono i
permessi di chi governa; che poi non hanno diritto di decidere cosa
insegnamo.
La nostra e' una universita' creativa, rivoluzionaria: nella prima ora di
lezione il docente espone, nella seconda gli allievi discutono in gruppi e
rielaborano quanto esposto, nella terza ne discutono con il docente. Non
chiediamo titoli di studio, chiediamo solo l'alfabetizzazione, cosi' che
anche con borse di studio possano entrare disoccupati e gente in
difficolta'.
I corsi di laurea durano 3-4 anni, e tutti richiedono tre corsi obbligatori:
formazione politica, educazione popolare, storia delle madri.
Lo scopo e' di non studiare solo per il lavoro, ma per l'amore per il sapere
e per essere uomini migliori, politicamente impegnati e solidali. I primi
laureati dovranno essere i primi professori per una scuola che lavori ai
margini, sui ragazzi piu' giovani, per prevenire droga, prostituzione,
violenza.
Per il prossimo aprile vi invitiamo a festeggiare con noi l'anniversario
della nostra lotta: quando uno festeggia e' felice, e puo' aiutare gli
altri.

3. MATERIALI. SINTESI DI UNA RELAZIONE DI GIULIO GIRARDI SU TEORIA E PRASSI
NONVIOLENTA DELLA LIBERAZIONE
[Riproponiamo la seguente scheda gia' diffusa lo scorso anno. In essa
sintetizziamo un intervento di Giulio Girardi a un convegno tenutosi a
Molfetta nel 1988, in cui formula ed analizza dieci ipotesi sulla
nonviolenza. Riproduciamo qui le dieci ipotesi, rinviando per lo svolgimento
di ciascuna di esse al testo originale (Giulio Girardi, La nonviolenza e' un
'alternativa?, in AA.VV., Un nome che cambia: la nonviolenza nella società
civile, La Meridiana, Molfetta 1989, alle pp. 9-20). Giulio Girardi e' uno
dei protagonisti del rinnovamento delle categorie culturali dei movimenti di
liberazione dagli anni sessanta, uno dei protagonisti dell'esperienza della
rivoluzione sandinista che ha avuto lungo gli anni ottanta una importanza
fondamentale nella coscienza e nella ricerca di nuove strade per la
liberazione e la solidarieta' a livello planetario, una rilevanza che le
vicende successive ed attuali non possono cancellare. Un pensatore che
condivide la vita dei popoli oppressi in America Latina e "costruisce ponti"
tra esperienze, sensibilita', culture, persone impegnate contro l'
ingiustizia, per la dignita' e la fraternita' e sororita' umana. Nato al
Cairo nel 1926, filosofo e teologo della liberazione, durante il Concilio
partecipo' alla stesura dello schema XIII; e' membro del Tribunale
permanente dei popoli, e particolarmente impegnato nella solidarietà con i
popoli dell'America Latina. La  sua riflessione e' da decenni un punto di
riferimento nell'ambito della teologia della liberazione, dei movimenti
cristiani di base, della riflessione dei popoli in lotta contro il razzismo,
il colonialismo, l'imperialismo. Opere di Giulio Girardi: presso la
Cittadella sono usciti: Marxismo e cristianesimo, Credenti e non credenti
per un mondo nuovo, Cristianesimo, liberazione umana, lotta di classe,
Educare: per quale società?, Il capitalismo contro la speranza, Cristiani
per il socialismo: perché?; presso Borla sono usciti: Sandinismo, marxismo,
cristianesimo: la confluenza, (a cura di) Le rose non sono borghesi, La
tunica lacerata, Fede cristiana e materialismo storico, Dalla dipendenza
alla pratica della libertà, Il popolo prende la parola (con J. M. Vigil), La
Conquista dell'America, Gli esclusi costruiranno la nuova storia?, Cuba dopo
il crollo del comunismo, Cuba dopo la visita del papa; presso le Edizioni
Associate: Rivoluzione popolare e occupazione del tempio; presso le ECP: Il
tempio condanna il vangelo. Recentemente, presso Anterem, l'opuscolo
Riscoprire Gandhi]
Prima ipotesi. L'antitesi violenza-nonviolenza non oppone soltanto due
impostazioni metodologiche e strategiche, ma due prospettive globali, due
progetti fondamentali di società.
Seconda ipotesi. Il conflitto violenza-nonviolenza, diritto della
forza-forza del diritto, è il conflitto fondamentale della storia, quello
nel quale essa definisce il suo senso.
Terza ipotesi. La violenza più micidiale del mondo contemporaneo è quella
cristallizzata nelle strutture economiche e politiche della società e del
mondo: sia quelle del capitalismo sia quelle del socialismo realizzato.
Quarta ipotesi. L'antagonismo tra i popoli oppressi del Terzo Mondo e gli
imperi che li dominano è oggi la forma fondamentale del conflitto
violenza-nonviolenza nel mondo occidentale.
Quinta ipotesi. L'alternativa nonviolenta, così intesa, è radicalmente
rivoluzionaria.
Sesta ipotesi. La cultura della nonviolenza e della pace non dev'essere
sviluppata in antitesi alla cultura della liberazione, ma deve stabilire con
questa un intreccio dialettico e critico.
Settima ipotesi. L'aspetto più radicale del dominio della violenza nel mondo
è la sua penetrazione occulta nella coscienza e nell'inconscio collettivo.
La violenza rimarrà invincibile fino a quando non sarà sconfitta nelle
coscienze, e prima di tutto nelle coscienze del mondo ricco.
Ottava ipotesi. Uno dei fronti decisivi sui quali la violenza ha conseguito
la sua vittoria nel mondo è quello religioso.
Nona ipotesi. Il perno di una strategia rivoluzionaria nonviolenta è la
formazione dei nuovi soggetti del cambiamento: che passa attraverso la
trasformazione della coscienza degli oppressi di tutto il mondo ed esige un
vasto movimento di educazione popolare liberatrice.
Decima ipotesi. L'educazione popolare liberatrice è oggi, per i credenti, un
itinerario privilegiato per riscoprire l'ispirazione originaria sovversiva e
nonviolenta del messaggio di Gesù, per reinvestire la forza del Vangelo e
della tradizione popolare cristiana dalla parte degli oppressi, cioè dalla
parte dell'alternativa nonviolenta, della giustizia, della solidarietà, e
dell'amore universale.
Conclusione. Vorrei concludere questa riflessione con una domanda: perché la
prospettiva nonviolenta si rivela così attuale in questa fase di "crisi
delle ideologie"? di "caduta dei miti"? A questa domanda si possono dare due
risposte, ciascuna delle quali ha probabilmente una sua parte di verità.
Per alcuni l'atteggiamento nonviolento rappresenta una fuga dalla lotta, una
manifestazione di stanchezza, il riconoscimento dei fallimenti passati, e la
rassegnazione a quelli futuri. Gandhi qualificherebbe questa risposta come
la nonviolenza dei deboli.
Ma l'atteggiamento nonviolento può anche rappresentare, ed è questo il senso
che vogliamo dargli qui, un rilancio ed una radicalizzazione della lotta.
Partendo, certo, dalla crisi di tutti i progetti di liberazione imperniati
sulla violenza, dal riconoscimento del loro parziale o totale fallimento. Ma
trovando l'audacia di andare oltre, di tentare una strada nuova, di puntare
su un'inversione di tendenza storica. L'audacia di credere che il messaggio
di liberazione di tutti gli emarginati può ancora essere ascoltato, può
ancora diventare storicamente efficace, può ancora diventare per grandi
masse una ragione di speranza.
Per i credenti quest'audacia si nutre anche di una rilettura dell'Esodo, che
diventa una sua riattualizzazione: l'esperienza vissuta oggi da tanti
cristiani impegnati nelle lotte di liberazione, che Dio sta di nuovo
irrompendo nella storia, in un mondo segnato dalla schiavitù, prendendo
partito ancora una volta per gli schiavi, e riaccendendo in essi la passione
della libertà.
Il messaggio nonviolento però non si propone solo come un'alternativa nella
storia dell'umanità, ma anche nella vicenda di ognuno. Il momento che
viviamo non esige solo scelte decisive per l'umanità, ma anche per ogni
persona che voglia viverlo consapevolmente. Anche per noi quindi, per
ciascuno di noi, è l'ora di grandi scelte esistenziali: o la difesa timida
delle nostre sicurezze, del nostro orticello, dei nostri privilegi, della
nostra rispettabilità; o l'audacia e l'onestà di rimetterci radicalmente in
questione, di smascherare le nostre complicità con la violenza dominante;
per condividere con gli oppressi di tutto il mondo, l'avventura esaltante
della loro liberazione, che sarà anche la nostra.

4. MAESTRE. MARIA ZAMBRANO: LA NASCITA DEL RANCORE
[Da Maria Zambrano, Verso un sapere dell'anima, Cortina, Milano 1996, p. 52]
Il rancore nasce infatti da cio' che, pur lavorando sempre, non giunge a
essere ascoltato.

5. MAESTRE. ADA GOBETTI: SDEGNAMO QUINDI
[Da Ada Marchesini Gobetti, Educare per emancipare (scritti pedagogici
1953-1968), Lacaita, Manduria 1982, p. 72]
Sdegnamo quindi i consigli delle tre benpensanti scimmiette, che ben
incarnano l'impotenza d'una parte della nostra societa' incapace di
rinnovarsi e preoccupata soltanto di sopravvivere "lasciando in pace" il
prossimo, per poter essere a sua volta "lasciata in pace". Insegnamo
piuttosto ai nostri giovani che per essere veramente se stessi bisogna
affrontare rischi e pericoli; che il sacrificio deve essere coscienza attiva
e non passiva rinuncia; che quando si ama il prossimo, non si deve aver
paura di "disturbarlo" ponendolo di fronte a responsabilita' e prospettive;
che infine il mondo non e' di chi lo accetta supinamente, ma di chi cerca di
trasformarlo col suo lavoro e con la sua passione.

6. MAESTRE. EDITH BRUCK: ANCHE VOI CHE VOLETE SAPERE
[Da Edith Bruck, Signora Auschwitz, Marsilio, Venezia 1999, p. 93 (un libro
che e' necessario leggere)]
... anche voi che volete sapere siete luci immanenti che non mancano e non
possono mancare neanche nel buio piu' profondo.

7. MAESTRE. LAURA BOELLA: AMARE LA GIUSTIZIA SECONDO HANNAH ARENDT
[Da Laura Boella, Cuori pensanti, Tre Lune, Mantova 1998, p. 110]
Amare la giustizia e' volere che essa sia, esista nel mondo, dicendo si' o
no a quanto la favorisce o la mette in pericolo nelle situazioni concrete.
L'amore e' una passione orientata chiaramente non verso l'io, ma verso la
realta'.

8. ALCUNE INIZIATIVE DI PACE DI OGGI
[Ovviamente le iniziative di pace di seguito segnalate sono quelle di cui
siamo venuti a conoscenza e che ci sembrano caratterizzate da due scelte
precise: I. la nonviolenza; e II. la difesa dei diritti umani, del diritto
internazionale, della legalita' costituzionale]
Domenica 25 novembre
- In Italia: iniziativa di pace dell'Azione cattolica, settore giovani, con
raccolta di fondi per la riduzione del debito dei paesi impoveriti.
- a Buti (PI): alle ore 21 al teatro Di Bartolo di Buti, incontro pubblico
sulla nonviolenza con il monaco zen statunitense Claude Anshin Thomas. Per
informazioni: tel. 0587724677.
- a Ferrara: iniziativa di solidarieta' con i bambini di strada. Info:
0532205472.
- a Gemona: dalle ore 9 alle 12, Loggia del Municipio, come in molte piazze
italiane ed europee verra' proposta una colazione "alternativa", equa e
solidale. L'iniziativa e' realizzata in collaborazione con "CTM
Altromercato".
- a Nemi: seminario della Caritas sulla pace. Tel. 0669886383.
- a Oristano: presso la Pinacoteca Comunale di Via S. Antonio, mostra sulle
cause e situazioni delle diverse aree mondiali afflitte da conflitti armati.
Ogni giorno dalle ore 16 alle ore 20.
- a Prato: piazza S. Maria delle Carceri a Prato ospita la tenda di Abramo,
presso la quale sosteranno i diciassette digiunatori che aderiscono alla
proposta lanciata da Pax Christi e Beati i Costruttori di Pace.
- a Rimini: training di formazione nonviolenta con le Peace Brigades
International. Colonia Stella Maris, via Regina Margherita, 18, Marebello di
Rimini. Il corso e' a numero chiuso (massimo 30 partecipanti). Info: tel.
0541751498, cell. 3494419638, e-mail: operazione.colomba at libero.it
- a Torino: all'Arsenale di pace, in piazza Borgo Dora 61, si conclude
l'iniziativa "donne di pace".
- a Verona: con inizio alle ore 10,30 presso la casa della nonviolenza in
via Spagna 8, riunione del comitato di coordinamento del Movimento
Nonviolento. Per informazioni: e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito:
www.nonviolenti.org

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

10. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ;
per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben at libero.it ;
angelaebeppe at libero.it ; mir at peacelink.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 299 del 25 novembre 2001