I media e la nuova guerra: la paura del terrorismo



vorrei segnalarvi un articolo che ho trovato interessante dato i tempi che
corrono, offre sicuramente un momento di riflessione.
nell'evetualità voleste pubblcarlo, la cosa e' possibile perche' ho
l'autorizzaione di divulgarlo.


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I media e la nuova guerra: la paura del terrorismo

Perché i genitori devono parlare con i bambini

di Francesco Pira giornalista, docente di teoria e tecniche della
comunicazione
di massa e pubblica Facoltà di Scienze della Formazione Università di
Trieste

Lo avevo scritto qualche giorno fa. Un mia convinzione che trova conferme.
Lo Sceicco terrorista Osama Bin Laden sta utilizzando la tv satellitare
ribattezzata la "Cnn araba", l'emitette dell'emiro del  Quasar, Al Jazeera,
per trasmettere messaggi ai suoi proseliti in tutto il mondo. Messaggi di
terrore e di morte. Klaus Davi ha analizzato l'ultima intervista televisiva.
Tutti abbiamo avuto modo di vedere e di studiare alcuni particolari che
ricordano la grande comunicazione di stampo nazista o fascista, o per
rimanere ai nostri giorni la comunicazione della dittatura dell'irakeno
Saddam.
La scenografia, le parole comprensibili ma incisive. Alcuni particolari che
sono un simbolo per i suoi seguaci che abitano anche nella nostra Europa e
nella nostra Italia.
Lo sguardo "mistico" , il Kalashinikov sempre accanto, la barba bianca ed
incolta, la giacca militare, un cronografo come orologio. Nelle ultime ore
Bin Laden lancia addirittura il suo portavoce. Segue le orme del capo e
semina terrore usando parole dure e di grande violenza. I telegiornali
trasmettono nelle ore di pasto immagini di bambini e vecchi feriti dagli
americani che invece ci fanno sapere che tutti gli obiettivi militari sono
stati colpiti.
Piero Ottone, vecchio maestro del giornalismo ci ha spiegato: " conosco per
esperienza le difficoltà del giornalista: quando tenta di spiegare un
fenomeno sembra che lo giustifichi, anche se non intende affatto
giustificarlo".
Immagini che si susseguono nella nostra mente e che ci fanno pensare le cose
più strane, più lontane. Ad esempio gli anni dell'adolescenza. I libri di
quel periodo della vita.
Ed ecco che corro a sfogliare il testo di narrativa di terza media.
S'intitola "Shalom" , la formula ebraica di saluto che significa
letteralmente pace ma che poi trova una interpretazione più  ampia:
l'augurio di uno stato d'animo completamente tranquillo, di un perfetto
equilibrio fisico e morale. Il corrispettivo arabo è Salam. Stampato per la
prima volta nel 93, scritto da Clara Costa Kopciowski, narra "sullo sfondo
del conflitto arabo-israeliano l'amicizio tra due ragazzi, uno arabo e
l'altro israeliano, che riescono a infrangere la barriera dell'odio che
separa i due popoli".
Avevo 13 anni, l'età che oggi ha mio figlio. Leggevo tanti libri.
Sicuramente al primo posto c'erano i racconti di Salgari. Ma questo libro
che parlava di guerra era per me inquietante.
Mio padre e mia madre, titolari di un negozio di abbigliamento, non avevano
tempo di parlare con me di guerra, ed a rispondere alle mie curiosità sulla
guerra era il militare di famiglia, mio nonno (un maresciallo di Polizia in
pensione) durante lunghe passaggiate.
Riusciva a raccontarmi nei dettagli le sofferenze di una guerra, i disagi,
il dovere uccidere persone che non conosci. Proprio come i protagonisti di
quel romanzo: nemici-amici.
Confesso che in questi giorni ho ripreso quel libro in mano. Ho scoperto che
avevo sottolineato alcune frasi che sono andato a rileggerle. E' stato quasi
istintivo dopo aver letto in questi giorni due notizie particolari. La prima
dell'impegno, persino delle first lady americana, Laura Bush ,di parlare in
tv  della guerra ai bambini. Non in una tv locale ma dagli studi della Nbc
nel programma di punta del mattino Today. Gli esperti hanno consigliato ai
genitori americani di parlare di guerra e terrorismo "per non lasciarli soli
con le loro paure". Hanno scritto e detto che "guardare leggere o esaminare
le notizie insieme è la migliore strategia di comportamento". La seconda
notizia riguarda il lancio di un nuovo videogioco in arrivo in questi giorni
in Europa: si chiama Thuderhawk operazione Phoenix e lo distribuisce la
potente industria Halifax (quella di Laura Croft). La trama è presto detta:
un gruppo terroristico crea tensioni provocando migliaia di vittime in tutto
il mondo. Per vincere occorre stanare i terroristi nei nascondigli e basi
segrete sottoterra. E su internet gli americani danno la cassia a Bin Laden
sul sito della 173° Airborne Brigade (www.173rdairbone.com). Tutto questo
per chiedersi: i genitori italiani parlano di guerra con i loro figli? Se a
scuola i bambini discutono con insegnanti e compagni del nuovo conflitto
mondiale poi a casa qualcuno cerca di capire se hanno paure? La risposta più
semplice è: no! Abbiamo negli anni scorsi ed anche di recente acquisito il
dato che oltre il 60% dei bambini, da noi intervistati, dichiara di vedere
la tv senza alcuna compagnia.
Una buona parte di essi la guarda dalle due alle tre ore, e per almeno
un'ora gioca con un videogame. Dati che parlano chiaro e che in questi
giorni rilanciano il problema del dialogo tra genitori e figli. Lasciarli
soli a riflettere su quanto vedono o leggono dicono gli esperti americani
"può essere pericoloso". E forse è bene rilanciare anche il ruolo dei nonni.
Per carità, nessuno vuole togliere ore di meritato riposo dopo la pensione,
ma soltanto loro possono raccontare la guerra, essere la memoria storica per
i più piccoli. Che altrimenti pensano che la guerra è come quella che
combattono nei videogiochi, dove vince il più forte ed il numero dei morti
non conta. Anzi si guadagnano più punti uccidendo più cattivi/nemici. Forse
è il caso di riflettere e di affermare, scomodando ancora Piero Ottone che
"il pericolo d'ora in poi non è il terrorismo: è la paura del terrorismo che
è una cosa diversa".
Francesco Pira

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Christine