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I media e la nuova guerra: la paura del terrorismo
- Subject: I media e la nuova guerra: la paura del terrorismo
- From: "christine" <chgaio at interfree.it> (by way of Carlo Gubitosa <c.gubitosa at peacelink.it>)
- Date: Mon, 29 Oct 2001 01:54:48 +0100
vorrei segnalarvi un articolo che ho trovato interessante dato i tempi che corrono, offre sicuramente un momento di riflessione. nell'evetualità voleste pubblcarlo, la cosa e' possibile perche' ho l'autorizzaione di divulgarlo. == I media e la nuova guerra: la paura del terrorismo Perché i genitori devono parlare con i bambini di Francesco Pira giornalista, docente di teoria e tecniche della comunicazione di massa e pubblica Facoltà di Scienze della Formazione Università di Trieste Lo avevo scritto qualche giorno fa. Un mia convinzione che trova conferme. Lo Sceicco terrorista Osama Bin Laden sta utilizzando la tv satellitare ribattezzata la "Cnn araba", l'emitette dell'emiro del Quasar, Al Jazeera, per trasmettere messaggi ai suoi proseliti in tutto il mondo. Messaggi di terrore e di morte. Klaus Davi ha analizzato l'ultima intervista televisiva. Tutti abbiamo avuto modo di vedere e di studiare alcuni particolari che ricordano la grande comunicazione di stampo nazista o fascista, o per rimanere ai nostri giorni la comunicazione della dittatura dell'irakeno Saddam. La scenografia, le parole comprensibili ma incisive. Alcuni particolari che sono un simbolo per i suoi seguaci che abitano anche nella nostra Europa e nella nostra Italia. Lo sguardo "mistico" , il Kalashinikov sempre accanto, la barba bianca ed incolta, la giacca militare, un cronografo come orologio. Nelle ultime ore Bin Laden lancia addirittura il suo portavoce. Segue le orme del capo e semina terrore usando parole dure e di grande violenza. I telegiornali trasmettono nelle ore di pasto immagini di bambini e vecchi feriti dagli americani che invece ci fanno sapere che tutti gli obiettivi militari sono stati colpiti. Piero Ottone, vecchio maestro del giornalismo ci ha spiegato: " conosco per esperienza le difficoltà del giornalista: quando tenta di spiegare un fenomeno sembra che lo giustifichi, anche se non intende affatto giustificarlo". Immagini che si susseguono nella nostra mente e che ci fanno pensare le cose più strane, più lontane. Ad esempio gli anni dell'adolescenza. I libri di quel periodo della vita. Ed ecco che corro a sfogliare il testo di narrativa di terza media. S'intitola "Shalom" , la formula ebraica di saluto che significa letteralmente pace ma che poi trova una interpretazione più ampia: l'augurio di uno stato d'animo completamente tranquillo, di un perfetto equilibrio fisico e morale. Il corrispettivo arabo è Salam. Stampato per la prima volta nel 93, scritto da Clara Costa Kopciowski, narra "sullo sfondo del conflitto arabo-israeliano l'amicizio tra due ragazzi, uno arabo e l'altro israeliano, che riescono a infrangere la barriera dell'odio che separa i due popoli". Avevo 13 anni, l'età che oggi ha mio figlio. Leggevo tanti libri. Sicuramente al primo posto c'erano i racconti di Salgari. Ma questo libro che parlava di guerra era per me inquietante. Mio padre e mia madre, titolari di un negozio di abbigliamento, non avevano tempo di parlare con me di guerra, ed a rispondere alle mie curiosità sulla guerra era il militare di famiglia, mio nonno (un maresciallo di Polizia in pensione) durante lunghe passaggiate. Riusciva a raccontarmi nei dettagli le sofferenze di una guerra, i disagi, il dovere uccidere persone che non conosci. Proprio come i protagonisti di quel romanzo: nemici-amici. Confesso che in questi giorni ho ripreso quel libro in mano. Ho scoperto che avevo sottolineato alcune frasi che sono andato a rileggerle. E' stato quasi istintivo dopo aver letto in questi giorni due notizie particolari. La prima dell'impegno, persino delle first lady americana, Laura Bush ,di parlare in tv della guerra ai bambini. Non in una tv locale ma dagli studi della Nbc nel programma di punta del mattino Today. Gli esperti hanno consigliato ai genitori americani di parlare di guerra e terrorismo "per non lasciarli soli con le loro paure". Hanno scritto e detto che "guardare leggere o esaminare le notizie insieme è la migliore strategia di comportamento". La seconda notizia riguarda il lancio di un nuovo videogioco in arrivo in questi giorni in Europa: si chiama Thuderhawk operazione Phoenix e lo distribuisce la potente industria Halifax (quella di Laura Croft). La trama è presto detta: un gruppo terroristico crea tensioni provocando migliaia di vittime in tutto il mondo. Per vincere occorre stanare i terroristi nei nascondigli e basi segrete sottoterra. E su internet gli americani danno la cassia a Bin Laden sul sito della 173° Airborne Brigade (www.173rdairbone.com). Tutto questo per chiedersi: i genitori italiani parlano di guerra con i loro figli? Se a scuola i bambini discutono con insegnanti e compagni del nuovo conflitto mondiale poi a casa qualcuno cerca di capire se hanno paure? La risposta più semplice è: no! Abbiamo negli anni scorsi ed anche di recente acquisito il dato che oltre il 60% dei bambini, da noi intervistati, dichiara di vedere la tv senza alcuna compagnia. Una buona parte di essi la guarda dalle due alle tre ore, e per almeno un'ora gioca con un videogame. Dati che parlano chiaro e che in questi giorni rilanciano il problema del dialogo tra genitori e figli. Lasciarli soli a riflettere su quanto vedono o leggono dicono gli esperti americani "può essere pericoloso". E forse è bene rilanciare anche il ruolo dei nonni. Per carità, nessuno vuole togliere ore di meritato riposo dopo la pensione, ma soltanto loro possono raccontare la guerra, essere la memoria storica per i più piccoli. Che altrimenti pensano che la guerra è come quella che combattono nei videogiochi, dove vince il più forte ed il numero dei morti non conta. Anzi si guadagnano più punti uccidendo più cattivi/nemici. Forse è il caso di riflettere e di affermare, scomodando ancora Piero Ottone che "il pericolo d'ora in poi non è il terrorismo: è la paura del terrorismo che è una cosa diversa". Francesco Pira ==== Christine
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