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Di Pietro scrive dal Pakistan
- Subject: Di Pietro scrive dal Pakistan
- From: Emilio.Rossetti at cec.eu.int (by way of Carlo Gubitosa <c.gubitosa at peacelink.it>)
- Date: Fri, 19 Oct 2001 15:32:48 +0200
NEWSLETTER DIPIETRO2001 da Peshawar (Pakistan), 19 ottobre 2001 ******************************************** LA LOTTA AL TERRORISMO E LA PACE CON L'ISLAM ******************************************** Cari amici, Innanzitutto una premessa ed una spiegazione. Mi trovo in questo periodo al confine fra il Pakistan e l'Afganistan e sto apprestandomi ad entrare nella cosiddetta "zona tribale", una specie di "terra di nessuno" in mano ai capi tribu' del posto dove l'economia si basa solo sulla vendita di armi e droga. Intendo dire pani di oppio e "eroina base" a tonnellate ed armi di tutti i tipi (anche armi pesanti e bombe da 1200 chili). Non sono qui per caso ne' per turismo ma perche' mi sto interessando da tempo - come parlamentare europeo e presidente della delegazione per i rapporti con il Sud America - di ricostruire le "rotte della droga" (dalla Colombia per la cocaina e al sud est asiatico per l'eroina). Per questo, nei mesi scorsi sono stato fra i guerriglieri colombiani ed ora nelle montagne a ridosso fra il Pakistan e l'Afganistan. Si, proprio ora che c'e' la guerra perche' questi sono i momenti in cui si "abbassa la guardia" dell'omerta' ed e' possibile acquisire maggiori e migliori informazioni. Ovviamente non e' del mio lavoro (che peraltro faccio a titolo personale) che intendo parlare, anche se forse non tutti sanno che oltre il 90% dell'eroina consumata in Europa proviene dalla raffinazione dell'oppio prodotto dal papavero coltivato in Afganistan (basti pensare che nel 2000 sono stati coltivati in Afganistan oltre 90.000 ettari a papavero con una produzione di oppio stimata dall'ONU in circa 4.500 tonnellate). Stando qui, pero', ho potuto constatare di persona che la distinzione occidentale fra "lotta al terrorismo" e pace con l'Islam per giustificare la rappresaglia americana e' poco conosciuta ed ha percio' poca presa (non solo in Afganistan ma anche in tutti gli altri Stati musulmani). Proprio in Pakistan, peraltro, la popolazione vive come un affronto all'islamismo la rappresaglia americana contro i fanatici talebani di Kabul e contro il loro protetto e protettore Bin Laden. Anche qui la stragrande maggioranza delle persone - di tutti i ceti e livelli - respingono il terrorismo e condannano l'attacco alle Twin Towers: non comprendono, pero', le ragioni per cui gli americani stanno bombardando i "fratelli afgani". Essi vorrebbero tanto avere delle spiegazioni ma nessuno dice loro nulla. Allora l'odio ed il rancore sale e si espande come l'alta marea fra tutti gli strati della popolazione ed all'interno delle forze armate. E' stato un grave errore non aver cercato di spiegare al popolo musulmano - prima dei bombardamenti - perche' questi venivano effettuati e quali fossero le prove in possesso degli investigatori contro Bin Laden ed il Governo talebano. In Occidente le diamo per scontate ma qui non ne sanno niente e si sentono violentati dall'invasione americana. La "sentono" come un affronto alla loro religione e a tutto l'Islam. Certo, Bush e i suoi alleati si sono subito affrettati a dire che trattasi di una azione di "polizia internazionale" contro il terrorismo e non di un'aggressione contro un paese musulmano ma, proprio per mancanza di informazione, francamente qui non ci crede nessuno, vero o non vero che sia. E di questo bisogna prendere atto e trovare una soluzione, se non si vuole rischiare di infilarsi in un vicolo cieco. Conviene allora all'Occidente mantenere acceso il fuoco sulla "questione islamica", senza prima aver chiarito l'equivoco? Non e' forse proprio su tale equivoco che contavano e contano coloro che hanno armato la mano dei terroristi? Si chiede e mi chiede l'ing. Andrea De Rosa (un italiano che dirige con successo un'azienda di ceramiche a Guijranwala, molto armato e rispettato da queste parti per la sua capacita' manageriale e per la sua umanita'). Di cio' finalmente stanno rendendosi conto anche gli Stati Uniti che, proprio oggi con l'arrivo di Colin Powell, cominciano a prendere in maggiore considerazione l'appello del Capo di Stato pakistano, Generale Musharraf, secondo cui bisogna chiudere al piu' presto la partita. Musharraf ha accettato di collaborare con l'Occidente non certo per intima convinzione, ne' perche' pensa di interpretare in tal modo un sentimento comune dei suoi concittadini ma solo per convenienza commerciale e per cercare una nuova visibilita' internazionale (i vantaggi economici che gli derivano dalla scelta filoamericana noti: eliminazione delle sanzioni economiche internazionali per aver fatto costruire in Pakistan le bombe atomiche, riscadenzamento degli enormi debiti verso l'estero, pacchetti di assistenza privilegiata, copertura politica internazionale, ecc.) Con il passare dei giorni, però, non sono pochi quelli che - capi religiosi, ufficiali dell'esercito e la "piazza" nel suo complesso - considerano la politica di Musharraf contraria alla dignita' nazionale ed alla fede islamica. Vi e' quindi in atto un braccio di ferro delle posizioni che potrebbe sfociare da un momento all'altro in una guerra civile se la crisi dovesse protrarsi e le posizioni radicalizzarsi sempre piu'. I richiami alla "guerra santa" dei fondamentalisti islamici stanno facendo breccia in larghi strati della popolazione - specie quella piu' povera e religiosa (e qui il sentimento religioso governa ogni cosa). Cio' e' tanto piu' probabile se la chiamata alla mobilitazione avverra' - cio' che sta avvenendo - anche da parte del Pakistan Muslim League, il grande partito nazionale a cui apparteneva il deposto Primo Ministro Nawaz Sharif. La delicatezza del momento e' aumentata dal fatto che Musharraf teme e non vuole che al potere in Afganistan - dopo il defenestramento dei talebani ci vadano gli odiati muijaiddin dell'Alleanza del Nord (che, bisogna dire, quanto a fondamentalismo e repressione delle liberta' fondamentali, non sono secondi a nessuno, nemmeno ai talebani). La soluzione non puo' essere allora che un intervento armato americano il piu' possibile breve ed efficace, "short and sharp" come ha ammonito lo stesso Musharraf, e come sta attuando il moderato Colin Powell, da stratega militare capace quale e'. A seguire, vi deve essere un'opera di ricostruzione delle istituzioni pubbliche sotto egida ONU (e non solo sotto il protettorato americano) basata su tutti i gruppi etnici dell'Afganistan, "pashtun" talebani compresi. Subito dopo un programma immediato di ricostruzione economica una specie di piano Marshall per tutta la regione (Pakistan compreso). Non sembra, pero', essere questa l'intenzione degli americani che - al di la' delle dichiarazioni ufficiali - continuano a muoversi immaginando uno scenario di guerra planetaria contro tutti gli Stati che appoggiano il terrorismo. La mancata distinzione fra terrorismo e islamismo sta facendo esasperare gli animi anche di persone che qui non hanno nulla a che fare con il terrorismo. Ho provato oggi a giustificare l'intervento armato americano all'ing. Jan Mohamed (titolare di una fabbrica di sanitari tra Peshawar e Kiber pass, al confine afgano). Egli mi ha risposto con serena convinzione: "Dovete convincervi che il "terrore" non ha un "territorio" su cui si possa vincere una "guerra sul campo". I terroristi sono ovunque, in Oriente come in Occidente. Sono in mezzo a noi ma anche in mezzo a voi. Che senso ha allora buttare giu' dagli aerei "bombe a grappolo" su tutto cio' che si muove in Afganistan? Trovate un'altra soluzione che sia piu' efficiente per battere il terrorismo e crei meno dolore per chi gia' soffre tanto". Non e' facile rispondere. Soprattutto quando i giovani ti guardano e ti gridano: "e smettetela di considerarci una razza inferiore da colonizzare ad ogni costo". Antonio Di Pietro _________________________________________________________
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