La nonviolenza e' in cammino. 263



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 263 del 20 ottobre 2001

Sommario di questo numero:
1. Nanni Salio: terrorismo o guerra? Ci sono alternative
2. Dino Frisullo, una lettera dal fronte interno
3. Domenico Jervolino, quell'undici settembre...
4. Francesco Comina, le citta' tra la guerra e la pace
5. Amelia Alberti, guerra e petrolio
6. Peppe Sini, una lettera aperta
7. Letture: AA. VV., Tullo Goffi
8. Letture: Elisa Giunchi, Radicalismo islamico e condizione femminile in
Pakistan
9. Letture: Françoise Sironi, Persecutori e vittime
10. Per studiare la globalizzazione: da Rabindranath Tagore a Mahmoud
Mouhammad Taha
11. La "Carta" del Movimento Nonviolento
12. Per saperne di piu'

1. RIFLESSIONE. NANNI SALIO: TERRORISMO O GUERRA? CI SONO ALTERNATIVE
[Nanni Salio e' tra i piu' importanti peace-researcher italiani, ed una
delle figure piu' vivide della nonviolenza. Per contatti: Centro Studi
Sereno Regis, via Garibaldi 13; 10122 Torino, tel. 011532824, fax:
0115158000, e-mail: regis at arpnet.it, web: www.arpnet.it/regis]
E dopo il 9 novembre 1989 (caduta del muro di Berlino) venne l'11 settembre
2001: inaspettato per i piu', ma previsto saggiamente da alcuni. Date
epocali? Forse, ma non necessariamente. Nei poco piu' di dieci anni che
separano questi due eventi, l'umanita' ha perso una formidabile occasione,
una "finestra di opportunita'", per porre definitivamente la guerra fuori
dalla storia e vi e' ripiombata a capofitto.
Perche' ci vogliono cosi' male, si chiedono gli americani. Perche' tanto
odio? Cosa possiamo fare?
Esaminiamo innanzi tutto tre principali interpretazioni.
La prima e' la teoria del "blowback", o del "contraccolpo", che e' esposta
con grande preveggenza e dovizia di dati da Chalmers Johnson in un testo
quasi profetico, Gli ultimi giorni dell'impero americano (Garzanti, Milano
2001). La politica estera ed economica americana ha prodotto talmente tanti
guasti e seminato tanto odio da ritorcersi contro, anche se i cittadini
americani non ne sono consapevoli (ma questo non vale per i loro leader). E'
ormai noto a tutti che personaggi come Saddam Hussein, Noriega, Bin Laden e
tanti altri sono creature degli USA, che come tanti "Frankenstein" si
ribellano e si rivoltano contro il loro creatore. In altri termini, la
dottrina militare,  le teorie strategiche e il modello di difesa elaborati
dal complesso militare-industriale-scientifico statunitense si sono rivelati
profondamente errati e pericolosi e invece di creare sicurezza hanno
generato uno stato generale, su scala mondiale, di insicurezza, paura,
terrore, rischio mortale. Siamo di fronte a uno dei piu' incredibili errori
concettuali e di progettazione, finanziato con centinaia di miliardi di
dollari all'anno, e le popolazioni civili di tutto il mondo stanno pagando
un prezzo altissimo. Se il Pentagono e il Dipartimento di Stato degli Stati
Uniti utilizzassero gli stessi criteri di efficienza di un'azienda privata,
i dirigenti di queste due istituzioni dovrebbero essere licenziati in
tronco. Invece, ci ripropongono la stessa ricetta: altri bombardamenti.
La seconda interpretazione e' la vecchia, ma sempre attuale, "teoria del
petrolio".  Tutte le principali guerre di questi anni sono state combattute
dagli USA per assicurarsi il controllo delle riserve strategiche di petrolio
e gas naturale. Intorno al 2005 verra' raggiunto il picco di produzione
geofisica del pianeta, e verso il 2030 comincera' la vera e propria crisi
generale. La transizione puo' essere indolore solo se progettata per tempo,
ma non sembra essere questa la direzione verso la quale ci stiamo muovendo
(si veda: www.dieoff.com).
La terza interpretazione e' quella che Giulietto Chiesa propone affermando:
"Cercate la cupola, non solo Bin Laden". In altre parole, e' assai
improbabile che gli attentati dell'11 settembre siano stati attuati da una
singola organizzazione senza una vasta rete di complicita', anche
all'interno degli stessi Stati Uniti. E' noto che da sempre il terrorismo
convive in simbiosi con i servizi segreti, come insegnano tante vicende del
passato, compresa quella dello stragismo in Italia.
Queste tre interpretazioni non si escludono a vicenda, anzi si corroborano
tra loro e ci mettono in guardia da facili spiegazioni e da ancor piu'
semplicistiche soluzioni che, nell'immediato, non esistono. Siamo di fronte
al trionfo dell'"impermanenza", della societa' del rischio, dell'angoscia e
del terrore che giorno per giorno abbiamo ottusamente contribuito a
costruire.
*
Dopo la parte di analisi in negativo, proviamo a formulare alcune proposte
in positivo.
1. Giustizia senza vendetta: la ricerca dei colpevoli, dei perpetratori, non
solo materiali, ma anche dei mandanti, e' compito di un organismo
sovranazionale e non di una singola parte. Gli USA si sono finora opposti
alla costituzione di un Tribunale Penale Internazionale sui crimini contro
l'umanita': cambieranno idea dopo l'11 settembre? Giuridicamente, questi
attentati sono un crimine contro l'umanita' e non un atto di guerra, e come
tali devono essere affrontati.
2. Negoziazione: uno dei principi cardine della trasformazione nonviolenta
dei conflitti e' la non demonizzazione dell'avversario e l'analisi corretta
delle sue richieste. Che cosa ha chiesto Bin Laden nel corso della sua
dichiarazione trasmessa dalle TV di tutto il mondo? Tre sono i punti
essenziali, tutti quanti non solo negoziabili, ma che da tempo avrebbero
dovuto essere affrontati: definitiva risoluzione del conflitto
Israele-Palestina; cessazione dell'embargo e dei bombardamenti sull'Iraq,
con lo stillicidio di morti che mensilmente sono almeno pari a tutte le
vittime dell'11 settembre; abbandono delle basi USA in Arabia Saudita.
3. Costituzione di una commissione internazionale per la verita', la
giustizia e la riconciliazione: questa commissione potrebbe cominciare a
funzionare a partire da ong e gruppi di base, sulla falsariga di quella
promossa in Sudafrica da Nelson Mandela e Desmond Tutu coinvolgendo in un
secondo tempo le istituzioni statali e sovranazionali.
4. Sostegno ai movimenti locali che lottano per i diritti umani e la
democrazia con metodi nonviolenti: ovunque sono presenti gruppi che operano
per una trasformazione nonviolenta dei conflitti, in particolare movimenti
di donne come  quello afghano  Rawa.
5. Dialogo, educazione, cultura: e' il lavoro lento, ma indispensabile, per
costruire un'autentica cultura della nonviolenza, compito primario di ogni
educatore. Segnaliamo l'articolo di Umberto Eco, "Le guerre sante: passione
e ragione" ("La Repubblica", 8 ottobre 2001,
www.repubblica.it/online/mondo/idee/eco/eco.html).
6. Movimento internazionale per la pace: cosi' come negli anni '80 una
grandiosa mobilitazione riusci' a sconfiggere la minaccia nucleare, occorre
a maggior ragione costruire un movimento delle societa' civili di ogni
paese, del Nord e del Sud del mondo, che sappia imporre un cambiamento
nell'agenda delle priorita' politiche sui temi globali: pace, ambiente e
sviluppo, senza cadere nella trappola della protesta violenta.
7. Uscire dall'economia del petrolio: fonte di ricchezza per pochi, di
gigantesca corruzione e di minaccia ambientale planetaria, e' diventata
anche una delle cause prevalenti delle guerre. E' indispensabile avviare
prontamente la riconversione del sistema energetico su basi rinnovabili,
decentrate, a piccola potenza.
8. Controllo della finanza internazionale: il mondo e' pieno di "Bin Ladren"
come si usa dire nel dialetto piemontese e forse di qualche altra regione,
che disinvoltamente utilizzano i proventi della droga, del commercio di
armi, della speculazione finanziaria e delle attivita' mafiose per costruire
paradisi fiscali e potentati economici al riparo da ogni intrusione della
giustizia. Cominciamo a liberarci dei "Bin Ladren" nostrani, che stanno
varando leggi scandalose e offensive del piu' comune buon senso morale.
9. Zone libere dall'odio: e' la proposta lanciata dalla ong americana
"Global exchange" che richiama quella delle zone denuclearizzate degli anni
'80. Dichiariamo le nostre scuole e i nostri quartieri "zone libere
dall'odio", con un lavoro di base, di dialogo, di incontro, di scambio
culturale che valorizzi differenze e capacita' costruttive e creative di
trasformazione nonviolenta dei conflitti.
10. Liberiamoci dal complesso militare-industriale: tutti i punti precedenti
rischierebbero di risultare vani se la piu' potente causa di produzione
delle guerre non venisse rimossa, in ogni paese, ma soprattutto in quelli
piu' potenti, a cominciare dagli USA, sostituendo gli attuali modelli di
difesa altamente offensivi e distruttivi con forme di difesa popolare
nonviolenta.

2. TESTIMONIANZA. DINO FRISULLO: UNA LETTERA DAL FRONTE INTERNO
[Dino Frisullo e' impegnato da sempre nella solidarieta' con i popoli
oppressi e le sorelle e i fratelli immigrati. Per contatti:
dinofrisullo at libero.it]
Siamo in guerra. Ve ne siete accorti?
Non dico la grandine di bombe sull'Afghanistan, la tempesta che s'addensa
sull'Iraq e sui kurdi, i lampi di guerra in Kashmir, lo stillicidio di morte
in Palestina. Dico la guerra qui, in occidente, nelle nostre citta'.
Il consiglio dei ministri ha approvato ieri una legislazione antiterrorismo
che sanzionera' pesantemente chi ospita o aiuta i terroristi. I ministri
dell'Interno e della Giustizia dell'UE hanno proposto, e fra poco sara'
direttiva europea, un'estensione continentale dei mandati di cattura e
dunque delle relative motivazioni. Se tanto mi da' tanto, fra poco potrei
essere arrestato su mandato, poniamo, d'un giudice tedesco, perche' ho
accompagnato in una serie d'incontri un esponente del PKK kurdo, che in
mezza Europa e' fuorilegge ed e' stato incluso dal Dipartimento di Stato Usa
nella lista delle organizzazioni terroriste.
Sempre ieri, secondo un giornalista bene informato, il Comitato provinciale
per l'ordine e la sicurezza di Roma ha deciso che in tempo di guerra tutti i
campi di stranieri illegali vanno sgomberati. Come nel '91 fu sgomberata la
Pantanella di Roma durante la guerra del Golfo. Non si capisce se
l'illegalita' si riferisca allo status giuridico degli interessati o alla
loro occupazione abusiva di spazi. Ad ambedue probabilmente, a discrezione
degli agenti. Voleranno gli stracci, comunque. A migliaia. Quale Gino Strada
alzera' la voce in difesa dei profughi di casa nostra?
Non era una forzatura dunque l'apertura del documento sui migranti approvato
a Perugia dall'Onu dei Popoli, che chiamava ad una "ingerenza umanitaria" in
difesa delle vittime, nei luoghi in cui rischia di consumarsi la guerra
della discriminazione e del razzismo, dalle frontiere ai ghetti urbani, dai
centri di detenzione alle questure.
Gia', le questure. Fra un'ora, alle 3 di notte, un folto gruppo di
richiedenti asilo si disporra' a una lunga attesa, nella notte che si va
facendo fredda, davanti al portone sbarrato dell'Ufficio stranieri della
questura di Roma. Sperando di avere fortuna stavolta, di essere fra i pochi
fortunati che domattina varcheranno quel portone e potranno presentarsi ad
uno sportello per sapere del loro destino, cioe' del responso del cieco
oracolo che sta al Viminale, la commissione che dopo un anno ed oltre di
attesa decide dell'asilo o dell'espulsione - della vita o della morte.
Nell'ultima settimana sono gia' cinque, solo fra i kurdi di Turchia e solo a
Roma, i responsi negativi dell'oracolo. Questa sera erano in fila tutti e
cinque, lo sguardo perso nel vuoto, allo sportello legale dell'associazione
Azad. "Considerato che l'atteggiamento di simpatia verso i partiti che
appoggiano la causa curda, atteggiamento comune peraltro a tutto il popolo
curdo, non da' luogo a una persecuzione diretta o personale". Non sanno,
quei funzionari, che la semplice simpatia per organizzazioni illegali costa
lunghi anni di carcere duro in Turchia? Non gli ha forse raccontato, il
diciannovenne Ayhan Tekin, del padre torturato dalla polizia davanti ai suoi
occhi?
Ma la guerra copre, rimuove, ottunde. La guerra riduce i colori e le
sfumature del mondo a un allucinante biancoenero: amico/nemico, e il nemico
del mio amico (alleato Nato) e' mio nemico.
Dunque era nemica anche Milli Gullu, morta per asfissia a ventisette anni
nella stiva d'una nave negriera sotto gli occhi sbarrati del marito e delle
due figlie piccole, e quella stiva fetida non fu aperta che due giorni dopo.
Milli fuggiva da un processo davanti al tribunale speciale per aver
partecipato a uno sciopero della fame in difesa del suo presidente Ocalan,
che prima di lei s'era presentato alla frontiera italiana per chiedere
asilo. Uccisa lei prima di vedere l'Italia, consegnato lui alla cella della
morte dopo averla appena intravista, l'Italia. Mi ha telefonato stasera M.
da Crotone: al vedovo i gestori del centro d'accoglienza di Sant'Anna (su
quella pista che vent'anni fa occupammo per non vederne decollare gli F-16,
ed ora ospita le vittime degli F-16 in fuga) impediscono di uscire per
vedere un'ultima volta, composto nell'obitorio e non nell'allucinante fetore
di quella stiva, il corpo di sua moglie.
M. ha coraggio. Dieci giorni fa, sorpreso a Lecce con un fascio di riviste
della lotta del suo popolo (legali in Italia), e' stato fermato, tenuto in
isolamento per tre giorni nel centro di Otranto indegnamente intitolato al
povero vescovo scalzo Tonino Bello, interrogato, spogliato nudo, picchiato,
infine rilasciato. Chi potra' denunciarli? La sua parola contro la loro.
Centri d'accoglienza come centri di detenzione. D'altronde Bossi e Fini non
propongono di recludere tutti i richiedenti asilo, tanto per non sbagliare e
prevenire le istanze "strumentali"? E Livia Turco non trova di meglio,
davanti a quel povero cadavere, che addebitare al nuovo governo di non
averne aperti di piu', di centri di detenzione, e di non aver messo in
pratica gli accordi d'interdizione dell'esodo (e dunque, presumibilmente, di
rimpatrio degli asilanti) con la Turchia. Mi raccontava ieri al telefono il
marito di Milli, e lo pubblichera' domani "Il Manifesto", che la polizia
turca li ha scortati fino al porto di Smirne, quei fuggitivi, facendosi
lautamente pagare il disturbo. Tanto, che crepino in mare o nelle galere,
che differenza fa? E oggi, nelle galere a cui Milli e' sfuggita solo con la
morte, un altro detenuto e' morto per fame.
Centri di detenzione. Come quello cattolicissimo di Regina Pacis, a San Foca
di Lecce, per il quale s'e' chiesto addirittura il Nobel per la pace, e dal
quale in agosto undici kurdi, in ottobre piu' di cento tamil dello Sri
Lanka, sono stati consegnati alla polizia che a sua volta li ha consegnati
ai loro torturatori. A Colombo e' volato da Brindisi il primo charter "à la
française" italiano. A bordo aveva centodieci disgraziati, che non avevano
neppure potuto incontrare un avvocato, e cinquanta poliziotti di scorta.
Nel centro di Melendugno, a Lecce, piu' di trecento profughi hanno dovuto
avviare uno sciopero della fame per ottenere almeno di potersi lavare e
rivestire: avevano ancora indosso i panni della nave. Nel centro di
Rotondella quaranta profughi, abbandonati dagli uomini e da dio, hanno
inscenato una manifestazione.
Centri di detenzione. In quello di Ponte Galeria hanno portato cinque
pakistani sorpresi nell'atto flagrante di vendere qualche cd senza pagare la
quota alla Siae, reato atroce a sanzionare il quale Bossi e Fini hanno
destinato un terribilissimo articolo della loro proposta di legge. Non so
ancora se l'intervento dell'avvocata di "Senzaconfine" sia riuscito a
evitargli il rimpatrio, so che al solo pensiero piangevano di paura: vengono
dalla regione che confina con la guerra.
E dalla guerra fuggivano i compagni di sventura di Milli e suo marito, di
guerra non finivano di parlare nel buio di quella stiva, mentre Milli
agonizzava. Afghani, pakistani, irakeni, kurdi. La guerra moltiplica
l'esodo, che accresce la sindrome d'invasione, che amplifica il razzismo,
che sostanzia la guerra.
Per rompere questo cerchio infernale avremo bisogno di tutta la nostra
intelligenza, forza e passione. Di una rete capillare che sappia spiegare,
tutelare, rivendicare diritti umani e convivenza.
E scusate lo sfogo. A notte fonda, volevo solo dividere con voi il peso di
una lunga giornata di guerra. Non a Kabul, a Roma.

3. RIFLESSIONE. DOMENICO JERVOLINO: QUELL'UNDICI SETTEMBRE...
[Domenico Jervolino e' un illustre filosofo di grande impegno civile (per
contatti: djervol at tin.it). Il testo seguente e' l'editoriale del n. 3 della
rivista "Alternative" prossimamente in libreria; gli siamo assai grati per
avercelo messo a disposizione]
Quell'undici settembre abbiamo tutti avvertito la sensazione di assistere in
diretta a uno di quegli avvenimenti che fanno cambiare la storia... Eppure,
come si e' accelerato il corso del tempo in quest'epoca della comunicazione
globale! Anche nell'ottantanove o nel novantuno si era potuto dire che
un'epoca finiva e ne incominciava una nuova e diversa. La gia' celebre
(anche se da qualche parte contestata) definizione del Novecento come
"secolo breve" individua appunto l'avvenimento finale del secolo nella
caduta del muro di Berlino e nella successiva dissoluzione dell'Urss, e
quello iniziale nell'immane macello rappresentato dalla prima guerra
mondiale. Il 1991 era stato anche l'anno della guerra del Golfo, con la
quale si era vanificata ogni illusione che la fine dell'equilibrio bipolare
aprisse un'era di pace e di sereno progresso. Cosi' la storia continua fra
massacri e crolli, manifestazioni tremende di poteri inauditi di distruzione
e vanificazione d'imperi pur armati fino ai denti e sempre capaci di
seminare morte e dolori.
Eppure, qualcosa non quadra in questa sommaria ricostruzione, e non solo per
l'ovvia domanda: tra il secolo breve e l'avvento vero e feroce del nuovo
secolo (o addirittura del nuovo millennio) con la guerra nuova e singolare
che stiamo vivendo, cosa sono, allora, e cosa valgono, quella dozzina d'anni
d'interregno? Domanda a cui si puo' pur rispondere: si e' trattato di una
fase di preparazione e di transizione. Il fatto vero e' che e' buona norma
resistere alle fascinazioni delle profezie, per tutti quelli che non
presumono di essere dotati di spirito profetico. La storia futura con la sua
imprevedibilita' dovrebbe indurre ad una certa prudenza, prima di proclamare
nuove epoche secolari o millenarie e di delinearne in anticipo i caratteri.
Ma c'e' anche un'altra ragione di perplessita': e' proprio vero che la
storia debba essere sempre letta seguendo il filo conduttore delle guerre,
delle stragi, del terrore? Che di fronte al terrore selvaggio e criminale
della barbarie ricorrente, l'unico rimedio capace di imprimere poi un senso
al disordine e alla violenza fino al punto di periodizzare il fluire del
tempo e di costituirlo come epoca, come tempo umano significante, debba
essere il terrore razionale del moderno Leviatano? Se pure le cose fossero
andate sempre cosi', e' questo un destino inesorabile per l'umanita' futura?
Francamente, io non penso ne' che il passato (sia pure intriso di violenza)
possa essere letto solo o prevalentemente in quell'ottica, ne' soprattutto
che oggi dobbiamo rassegnarci alla inesorabile perennita e alla spaventosa
capacita' di autoriproduzione della logica del terrore.
Ma su questi interrogativi piu' fondamentali, che qualcuno forse potrebbe
ritenere troppo "filosofici", ritorneremo. La filosofia appunto non ci
consente di fare profezie, ma forse ci aiuta a comprendere il tempo che
viviamo.
Intanto, chi si rivede! Una vecchia conoscenza non solo per i filosofi, ma
anche per la cosiddetta gente comune: il Leviatano, appunto, ovvero lo Stato
moderno, traducendo nel linguaggio quotidiano questa figura mitica, dal
linguaggio di Hobbes, teorico razionale della politica, anche se capace di
usare il linguaggio arcaico del mito, in un secolo come il Seicento, per
tanti versi secolo di fondazione  della modernita', di quella  modernita'
che e' ancora la nostra, nonostante le crisi, le aporie, i superamenti reali
o immaginari. Lo Stato che era stato dato troppo frettolosamente per defunto
o prossimo alla consunzione: lo Stato o la coalizione degli Stati, la
coalizione degli Stati piu' potenti e dei loro alleati, la coalizione
vincente, almeno in votis (nei loro voti).
Dove c'e' guerra, soprattutto, dove c'e' guerra moderna, sofisticata, che si
avvale di mezzi potenti e si propone di rivendicare diritti offesi e di
distribuire pene esemplari, ritorna lo Stato con tutto il suo potere di
incutere terrore e d'imporre il suo imperio. Ritorna persino lo Stato in
economia, dopo tanta retorica neoliberista. Occorre lo Stato per ricostruire
le macerie, per rianimare l'economia in difficolta' e per sostenere le spese
della guerra, laddove il libero mercato e' stato permissivo e tollerante nei
confronti dei terroristi e dei loro ispiratori, che hanno potuto spostare
conti in banca, comprarsi corsi di aviazione, al limite comprarsi, avendone
gli ingenti mezzi necessari, gli attentati e l'addestramento degli
attentatori (la loro volonta' fanatica e i loro corpi spappolati insieme con
quelli delle vittime sono stati invece forniti gratuitamente dall'ideologia
del martirio).
Ma - qui e' certamente una novita' - alla coalizione degli Stati che conduce
o fiancheggia questa guerra dalla fisionomia e dalla durata ancora
imprecisata (indefinita piu' che infinita) non si contrappone oggi un'altra
coalizione di Stati (magari destinati ad essere annientati dopo la
sconfitta, per poi risorgere o convertirsi in alleati, mentre gli alleati di
un tempo diventano nemici, secondo un gioco politico che si e' svolto nel
corso del Novecento), apparentemente non si contrappone nessuno Stato, se
non i cosiddetti "Stati canaglia", ai margini della comunita' internazionale
e che cercano, a quel che sembra, quando lo possono fare, di uscire da
questa spiacevole condizione di emarginazione.
Ma non si contrappongono - diciamolo chiaro e forte subito - nemmeno i
"dannati della terra", i popoli oppressi, destinati in questo teatro
politico-mediatico mondiale che non ci piace affatto, a fare solo da
scenario, da massa di manovra, da vittime predestinate. Ne' si contrappone,
in un'anacronistica riedizione delle guerre di religione, l'Islam in quanto
tale, che anzi tutti affermano di rispettare e di onorare. Casomai, gli
strateghi del terrore cercano spazio nella disperazione degli oppressi e in
questa singolare ideologia che viene detta fondamentalismo, ma che si e'
potuta costituire e che cerca di diventare egemone fra le masse diseredate
dei paesi islamici, solo a condizione di deformare lo spirito e la lettera e
la stessa interpretazione tradizionale del Corano, che proibisce il suicidio
e il massacro degli innocenti.
*
Chi e' dunque, dov'e' il nemico, senza del quale - come insegna l'amara
scienza della politica novecentesca - non c'e' guerra? Indicare un singolo
personaggio, l'ambiguo Bin Laden, la sua organizzazione che coniuga l'uso
spregiudicato di armi e tecnologie ultramoderne con arcaiche forme di
fanatismo, o il regime che li ospita entrambi, puo' servire come
semplificazione mediatica e propagandistica, ma pare davvero troppo poco:
dietro l'esercito di Bin Laden e il regime dei Talebani, riconosciuto come
governo legittimo da appena tre Stati (prima degli avvenimenti di settembre)
ci deve essere evidentemente dell'altro per giustificare la gravita' di una
guerra di dimensioni mondiali. C'e' qualcosa che persino gli uomini del
potere hanno sottovalutato e che, a maggior ragione, ha sottovalutato
un'opinione pubblica che non possiede tutti gli strumenti d'informazione che
hanno gli uomini del potere. Ci sono grandi interessi e poteri forti, che
sono cresciuti rapidamente, alimentati per calcoli rivelatisi miopi e
imprudenti dai detentori del potere supremo del mondo, forti e ricchi fino
al punto non solo di rivoltarsi contro quel potere, ma addirittura di
concepire il progetto di un nuovo potere mondiale. Possesso per eredita'
dinastiche di risorse ingenti, moltiplicate per gli ignoti (a noi comuni
mortali) sentieri della grande speculazione finanziaria, guadagni enormi
realizzati attraverso traffici illeciti e criminali, controllo attuale e
lotta per il controllo futuro di parti cospicue delle risorse energetiche
del pianeta, e' quanto basta per costruire uno scenario allucinante, se esso
si coniuga con la capacita' di manovra rispetto alle masse diseredate e
fanatizzate e con l'organizzazione militare costruita grazie al possesso di
quelle ricchezze e all'impiego spregiudicato di adepti reclutati fra quelle
masse, fanatici fino alla trasformazione del proprio corpo in arma di
distruzione.
Si tratta, certamente, di un quadro apocalittico che ha turbato per sempre
la sicurezza di chi contava di poter vivere nella cittadella fortificata
dell'opulenza senza essere toccato dalle contraddizioni del mondo
globalizzato, dove gran parte dell'umanita' e' esclusa dall'opulenza,
limitandosi a riservare ai poveri soltanto un pensiero caritatevole una
volta all'anno. Ma il Terzo Mondo non e' fatto solo di poveri, cosi' come i
confini del capitale non sono quelli dell'Occidente bianco o degli asiatici
assimilati ai bianchi. Si e' parlato molto d'impero in questi ultimi tempi.
C'e' sicuramente un impero che ha i suoi vertici a Washington e a New York,
ci sono i suoi alleati piu' o meno potenti e piu' o meno ricchi, ma ci sono
anche altri potentati e altre ricchezze che mirano a costruire altri imperi.
Anche se con la sapienza della memoria storica e senza pretendere di fare
profezie, bisogna osservare che gli imperi si costruiscono non solo con la
forza e con la ricchezza, ma con dei progetti di civilta' di cui in questo
momento si avverte dolorosamente la mancanza.
Manca un progetto di civilta' (ed e' perfino ovvio da parte nostra
sottolinearlo) sul versante dei terroristi e dei fanatici la cui ideologia,
come si e' accennato, e' solo una corruzione e una perversione dell'Islam
storico e potrebbe quindi divenire la base di regimi oppressivi, ma non di
una qualche durevole costruzione politica. Ma questa saggia considerazione
potrebbe oggi, nell'immediato, diventare una ben magra consolazione.
Infatti, come non vedere che e' proprio la scelta di fare una guerra che
legittima, nobilita e favorisce i terrorismi di vario genere e offre una
parvenza di verosimiglianza al disegno di un impero asiatico e islamico
contrapposto a quello occidentale? E che questa guerra trasforma i
terroristi in combattenti e virtualmente in eroi? Aprendo loro qualche
spiraglio verso un successo che resta storicamente improbabile, ma che
rischia di apparire agli occhi di grandi masse del pianeta plausibile e
desiderabile?
Certo, ove mai questo progetto si realizzasse, esso procurerebbe nuove
sofferenze e perpetuerebbe antiche servitu' per gli uomini e, ancor piu',
per le donne di quei popoli che esso pretende di rappresentare e di
mobilitare. Eppure, il combatterlo scatenando una guerra di cosi' vaste e
indeterminate proporzioni, non solo rischia di rafforzare il fenomeno che si
vuole combattere, ma getta un'ombra pesante sullo stesso schieramento che si
costituisce per condurre questa lotta.
Questo schieramento - volente o nolente - finisce per assumere alcuni dei
tratti del suo nemico, per compromettere alcuni dei valori che si proclama,
invece, di voler tutelare. Alle morti e alle sofferenze di persone innocenti
si aggiungono altre morti e sofferenze d'innocenti, il comportamento dei
pretesi tutori dell'ordine e della legge mondiale finisce per somigliare a
quello dei loro avversari, certamente agli occhi delle vittime e dei loro
familiari e compatrioti, col risultato che si perpetua la spirale, questa
si' senza fine, dell'odio e del desiderio di vendetta. All'interno degli
stessi Stati di democrazia liberale, le limitazioni dello stato di diritto e
il clima di emergenza che le guerre trascinano con se' intaccano proprio i
valori della democrazia liberale.
Il pericolo di una diffusione a livello di massa di forme d'intolleranza
verso il diverso e lo straniero e' tanto reale da preoccupare le stesse
autorita' dei paesi occidentali, almeno quelle piu' accorte ed attente a non
abbandonarsi ad improvvisate esternazioni. Se il rischio che la lotta al
terrorismo si trasformi in una crociata antislamica viene esorcizzato da
tutti i governi, se non altro per non compromettere tradizionali alleanze
con gli ambienti "moderati" dei paesi arabi ed islamici, queste cautele non
hanno impedito invece al presidente americano l'uso ripetuto di un
linguaggio ambiguamente religioso (la lotta del bene contro il male, gli
Stati Uniti come popolo eletto di tale lotta, l'invocazione a un Dio che
dovrebbe benedire, in modo particolare, non si sa perche', l'America e non
invece ogni essere umano).
Questo linguaggio - si dira' - fa parte di quella che i sociologi hanno da
tempo definito la "civil religion" americana, di cui il presidente in carica
diventa il Pontefice Massimo. Basta guardare, del resto, una qualsiasi
banconota di quel paese, dove si legge la professione di fede in Dio: "In
God we trust", che esprime senza l'ombra di un dubbio la sicurezza arrogante
di stare comunque dalla parte giusta. Appunto. Quale arretramento, in
termini di civilta', anche rispetto ai valori della "civilta' occidentale",
spesso evocata a sproposito! Quale arretramento rispetto alla cultura
democratica che ispirava presidenti del calibro di un  Wilson e di un
Roosevelt, che guidarono gli Stati Uniti nella prima e nella seconda guerra
mondiale!
Personalmente, mi sia consentito per le mie radici cristiane di soffermarmi
un po' su questo  punto: io sono tentato di gridare "sui tetti", come esorta
a fare un noto passo evangelico: lasciate in pace il vecchio Dio! Quel Dio
che e' morto nell'epoca della scienza e della tecnica, stando
all'inquietante profezia dello Zarathustra di  Nietzsche; quel Dio che
resta, invece, in agonia sino alla fine dei tempi, nella persona del Cristo
nell'orto degli Ulivi, per il cristiano Pascal; un Dio che e' stato cremato
o impiccato ad Auschwitz, al dire di quei pensatori ebrei e cristiani che si
sono posti l'interrogativo terribile: "Dov'era Dio ad Auschwitz?"; o che
forse, in definitiva, seguendo l'esperienza di fede di quelli per i quali
l'annunzio evangelico conserva un senso nel mondo d'oggi, ha fatto perdere
le sue tracce in qualche bidonville dell'Africa nera o nelle periferie di
Calcutta o di Rio. Certo e' che per tutti coloro che credono "in spirito e
verita'", "Dio" e' sempre un Dio nascosto - Deus absconditus, non certamente
un Dio da sbandierare, da usare come tappabuchi per ricevere avalli e
giustificazioni per responsabilita' che sono umane, solamente umane.
Cosi', i primi teorici moderni del diritto naturale, che peraltro erano dei
cristiani, avevano  proclamato - proprio nell'epoca in cui l'Europa si
divideva per le sciagurate guerre di religione fra cattolici e protestanti -
la necessita' di affermare dei principi giuridici il cui fondamento va posto
nella costituzione razionale dell'uomo in quanto tale e che quindi sono
validi "etsi Deus non daretur", anche se Dio non ci fosse.
Nulla puo' esonerare, dunque, da una laica assunzione di responsabilita' per
il mondo in cui viviamo, un mondo in cui la barbarie e la violenza, pur
presenti in mille forme, non possono avere pero' ne' la prima ne' l'ultima
parola. Perche' laddove un uomo parla e un altro gli risponde gia' in questa
prima relazione c'e' in nuce un antidoto alla violenza e alla barbarie.
Torno quindi all'interrogativo "filosofico" iniziale, se la storia debba
essere vista come un coacervo di violenza alla quale diventa inevitabile,
per istituire una qualche forma di ordine, indispensabile alla
sopravvivenza, contrapporre una violenza piu' forte (quella dello Stato,
quella dei vincitori, la stessa violenza rivoluzionaria intesa come matrice
necessaria di progresso). Non propongo certamente di contrapporre, senza
mediazioni, alla violenza selvaggia la forza inerme del discorso
ragionevole. L'umanita' nella sua lunga storia ha scoperto che tra la
ragione priva di forza e la violenza selvaggia c'e' anche l'uso legittimo,
ragionevole, della forza secondo le forme del diritto che le singole
comunita' hanno faticosamente elaborato e conquistato. E c'e' la mediazione
dell'agire politico, che per sua natura e' agire ragionevole che si
sostituisce nella citta', anche quando assume la forma della lotta politica,
alla pura esibizione della violenza. Politica e diritto nell'idea moderna di
democrazia (o di repubblica, che puo' prevedere anche una figura simbolica
di monarca come primo funzionario dello Stato o come garante, come accade
nelle monarchie scandinave) si sostengono a vicenda.
Oggi, l'idea di una comunita' delle comunita', di una comunita' mondiale, di
un'unica citta' degli uomini, progettata da Kant circa due secoli or sono
nel suo scritto sulla Pace perpetua, anche grazie al progredire vorticoso
nel nostro presente di quei processi di globalizzazione, che non nascono
oggi, ma partono almeno con gli inizi della modernita', con la conquista del
Nuevo Mundo, acquista finalmente caratteri meno utopistici e piu'
praticabili nella realta' effettuale.
Utopia certo, perche' non ancora compiutamente realizzata, ma utopia, di cui
s'incominciano a vedere delle prefigurazioni concrete, e che diventa sempre
piu' attuale come soluzione alternativa ad un'esplosione incontrollata e
incontrollabile di violenza, e alla guerra come strumento per risolvere i
conflitti (che a un certo punto della storia e' diventata ormai un prezzo
troppo alto e uno strumento troppo rischioso per l'immane potenziale
distruttivo che riesce a scatenare). Un'alternativa ad un modo di trattare i
rapporti interumani, i cui risultati finali, se esso non viene rapidamente
corretto, potrebbero essere la distruzione della vita sul pianeta o comunque
una regressione intollerabile verso una eta' di barbarie.
Alternativa quindi basata sull'affermazione di un ordine giuridico mondiale
da avviare a progressiva realizzazione (e sulla lotta democratica che tale
processo esige) e su una riabilitazione e una riappropriazione della
politica come ricerca ragionevole, tendenzialmente pacifica e nonviolenta (o
in ogni caso anti-violenta), dei mezzi piu' adeguati per affrontare le
situazioni, anche quelle piu' drammatiche e terribili.
*
Se ci s'ispira a questi principi, anche la lotta al terrorismo andrebbe
ricondotta entro processi di costruzione di un nuovo ordine internazionale;
tale lotta avrebbe al suo interno anche una componente repressiva, che
evidentemente nessuno potrebbe - in un quadro di legalita' internazionale -
ragionevolmente contestare, cosi' come nessuno contesta l'intervento delle
forze dell'ordine contro efferati e pericolosi criminali, o il fatto che
questi ultimi siano tradotti dinanzi a delle corti di giustizia, per
rispondere dei loro delitti, nelle forme e con le garanzie previste dal
diritto. Ma quest'aspetto non potrebbe comunque essere isolato da altri
terreni d'impegno: sul piano piu' immediatamente del diritto penale, la
lotta contro i traffici di droga, la criminalita' internazionale e i
movimenti dei capitali sporchi (il che comporterebbe drastiche misure di
controllo dei mercati finanziari e dell'universo bancario). Su un piano piu'
generale, quest'azione repressiva e di lotta alla criminalita' deve
accompagnare e non sostituire la capacita' della comunita' internazionale di
affrontare, prima con misure urgenti, poi con provvedimenti strutturali, le
tragiche emergenze della fame, della miseria, delle malattie, che rendono
insostenibile la situazione attuale del globo, persino dal punto di vista di
chi si pone solo i problemi della sicurezza, senza considerare le ragioni
della solidarieta' e quelle di un diverso progetto di societa', che invece
noi mettiamo al primo posto.
Nell'avanzare queste proposte, sappiamo che esse sono difficili, che
comportano una riforma degli stessi organismi internazionali che dovrebbero
realizzarli, mentre puo' sembrare piu' facile lasciare che altri sgancino
bombe e sperare che la guerra duri poco o che le vittime siano poco
numerose. Ma cio' che e' difficile non e' impossibile.  Ed e' certamente
utile e fecondo che ci sia almeno una parte della societa' che si muova in
questa direzione, che gli ideali di pace e di democrazia, il rifiuto della
barbarie in tutte le sue forme e l'aspirazione a un diverso ordine delle
cose diventino patrimonio di una nuova generazione.
Aggiungo che nessuno piu' di coloro per i quali parole come socialismo e
comunismo conservano tutto il loro significato dovrebbe sentire la
necessita' di opporsi in modo radicale alla barbarie. Socialismo e comunismo
implicano, infatti, il progetto di una umanita' liberata e restituita a cio'
che rende umano l'essere umano. Solo una visione riduttiva del marxismo
(contro cui i marxisti italiani dovrebbero essere vaccinati dai tempi di
Labriola e di Gramsci) puo' ridurlo ad una concezione economicistica della
storia, laddove la subordinazione della materialita' dei soggetti concreti
in carne e ossa al dominio dell'economico (che raggiunge il suo culmine
nella potenza astratta del capitale) e' proprio cio' che Marx critica e di
cui teorizza il superamento in un diverso ordine sociale.
Cio' che e' nuovo e che e' oggi fortemente avvertito e' piuttosto l'esigenza
di non relegare in un futuro lontano (magari concepito come esito
immancabile della storia al quale sacrificare ogni momento del presente)
questo superamento, ma di anticiparlo in un agire politico dove i mezzi
siano coerenti col fine e quest'ultimo sia presente e operante come
l'orizzonte gia' ora intravisto della nostra prassi, nel contesto, da cui
non si puo' in nessun modo prescindere, della finitezza e della contingenza
delle nostre vite. Un altro mondo e' possibile, come afferma uno slogan
diventato oggi famoso, ma si tratta pur sempre dello stesso mondo in cui
viviamo e agiamo, dove l'agire e il vivere secondo una prassi di liberazione
introducono un elemento di alterita', che oggi piu' che mai rappresenta il
"sale della terra" o, con un altro linguaggio, quel movimento reale che
trasforma l'ordine di cose presenti.

4. RIFLESSIONE. FRANCESCO COMINA: LE CITTA' TRA LA GUERRA E LA PACE
[Francesco Comina, giornalista e saggista, e' impegnato nel movimento
nonviolento di Pax Christi. Per contatti: f.comina at ilmattinobz.it. Questo
suo intervento e' apparso su "Il mattino di Bolzano" del 19 ottobre; lo
ringraziamo per avercelo messo a disposizione]
* Manhattan. La citta' verticale non c'e' piu', o almeno, non e' piu' come
prima. Il volto suggestivo e potente di Manhattan si e' incupito e ritirato
e ora guarda terrorizzato a terra cercando di fuggire dalle spore mortali
dell'antrace.
New York si e' trasformata da metropoli in necropoli.
La citta' simbolo della conquista umana, la citta' della scienza e della
tecnica, la citta' dell'ingegneria piu' sofisticata e della piu' esasperata
fiducia nel liberalismo economico e finanziario, si trova esposta al rischio
del terrorismo, si trova percorsa in lungo e in largo da un sentimento di
vulnerabilita' totale. Prima l'evento spettacolare, la minaccia terrificante
e imprevista che ha spiazzato ogni sistema di sicurezza, perfino quello
militare organizzato intorno al cuore armato del pianeta: il Pentagono; poi
la diffusione del morbo, dell'epidemia che sembrava scomparsa per sempre: il
carbonchio.
La metropoli trema, i palazzi sembrano di cartone, i cittadini non si
sentono piu' garantiti, la vita torna ad essere precaria e un nemico ignoto
si aggira come un fantasma lanciando continui allarmi di possibili attacchi
invisibili e devastanti.
Alcuni urbanisti, negli anni '60, avevano sollevato il rischio che le
metropoli moderne, col tempo, si sarebbero trasformate in citta' mortali,
sostenendo la tesi che i grossi centri urbani non sarebbero piu' stati in
grado di soddisfare le esigenze di vita delle comunita' umane, le quali si
sarebbero nuovamente organizzate in tribu'. Ma la situazione odierna e'
ancora peggiore: New York soffre non per l'invivibilita' del suo spazio
metropolitano, ma per la paura del pericolo in agguato, per l'incidente
provocato dall'esterno, per l'esposizione non garantita alla guerra,
all'attacco distruttivo che in un sol colpo puo' ridurre l'isola verticale
di Manhattan in un piatto orizzontale di polvere e detriti.
La citta'-fortezza non ha piu' mura che la riparano dalla catastrofe e i
cittadini guardano sbigottiti alla statua della Liberta' che, ammutolita,
segna con la fiaccola il ricordo di un ordine che non c'e' piu'.
* Kabul e Kandahar. A differenza di Baghdad, dove l'effetto televisione ci
dava almeno l'idea, seppure vaga e virtuale, di cosa stava accadendo nei
cieli e nelle strade della citta' irachena, questa volta noi non sappiamo
nulla dei morti, delle distruzioni, delle rovine di Kabul e delle altre
citta' afghane. Ci arrivano solo freddi dati da Islamabad: 65 civili uccisi,
duemila bombe cadute, sette errori di bersaglio, fra cui un deposito della
Croce rossa.
Non sentiamo le urla dei bambini, le palpitazioni dei vecchi, il pianto dei
sopravvissuti e l'odore della morte. Qualche filmato rompe l'embargo
informativo e ci fa capire che la guerra tecnologica degli Usa e' un inferno
di fuoco, ma - ancor piu' - e' un terremoto psicologico che segnera' per
sempre una popolazione innocente e la segnera' per generazioni e generazioni
come un incubo mortale.
L'altroieri un operatore in Afghanistan ha diffuso un reportage dai bunker
dei bambini. Piccoli ragazzini di setto, otto, dieci anni si incuneavano
sotto terra, nelle caverne dei monti, "nei sotterranei della vita e della
storia" tanto per utilizzare una frase famosa pronunciata da un frate
domenicano per ricordare le torture subite dalla prigionia nei bassifondi
delle caserme della polizia.
I bambini se ne stavano zitti, con gli occhi spalancati, terrorizzati ad
ascoltare da fuori il fracasso dei missili, mentre l'operatore commenta:
"Gli americani utilizzano missili che penetrano nel terreno, ma io non diro'
mai a questi bimbi che queste armi minacciano anche loro, in questo
momento".
La citta' in guerra e' una citta' torturata e sarebbe opportuno che anche
noi, prima di parlare della pace e della guerra, considerassimo cosa
significa in questo momento essere cittadini di Kabul, di Kandahar o di
Jalalabad.
Essere cittadini del mondo oggi significa essere cittadini di New York e di
Kabul: esserlo non idealmente, ma anima e corpo, individualita' e
soggettivita'.
* Gerusalemme. Non c'e' pace per la citta' divina. L'uccisione del ministro
Rehavam Zeevi, il "falco" dell'ultradestra "Moledet" (Patria) getta il
conflitto israeliano-palestinese in una morsa maledetta. Gerusalemme e'
diventata una citta' invivibile. In ogni angolo c'e' un presidio di polizia
per controllare chi va e chi viene, ogni cittadino che gira serenamente per
le strada puo' essere colpito da un cecchino o da un uomo-bomba.
L'odio si e' come concentrato sotto un mantello politico-religioso che rende
oscuro il cielo sopra la citta'.
* Genova. Fino a qualche settimana fa il sangue di Genova sembrava destinato
a ripercuotersi per mesi e mesi in un confronto politico acerrimo fra la
societa' civile organizzata e le istituzioni preposte alla gestione
dell'ordine pubblico. L'attacco al centro dell'"impero" mondiale su cui si
sono rivolte le invettive dei giovani ha paradossalmente messo in secondo
piano quelle proteste. Eppure cio' che e' accaduto all'America e cio' che
sta accadendo ora a Kabul rivela ampiamente che le critiche al sistema
globalizzato hanno un fondamento concreto.
Il rischio di un mondo polarizzato su una grande potenza mondiale comporta
una ribellione, un furore oppositivo, una contrapposizione umana e civile.
Da anni e anni si parla dell'insostenibilita' di un ordine mondiale diviso e
lacerato in due blocchi distanti fra loro, quell'84% dell'umanita' che
brancola nella poverta' piu' cupa e quel 16% che divora le risorse che non
gli appartengono. La richiesta di "un mondo migliore" portata in piazza dai
giovani di Genova ha dietro di se' la vita e la testimonianza di chi da
sempre ha trovato senso e significato nella condivisione con i dannati della
terra. L'accentramento delle risorse e la considerazione che il mondo si
legge con un solo occhio culturale, tecnocratico e economicista non puo'
essere il progetto di nessuna civilta' umana, pena lo sfilacciamento dei
rapporti, l'interruzione del dialogo e il rischio che tale furore possa
diventare azione violenta, terroristica, minaccia portata al cuore
dell'imperialismo.
* Le citta' e la pace. Genova-Manhattan-Kabul: le citta' si espongono alla
guerra e alla violenza. La' dove si muovono, lavorano e  dormono gli uomini,
nei centri urbani del mondo, la vita diventa sempre piu' vulnerabile.
Per evitare il passaggio definitivo dalla metropoli alla necropoli, forse e'
utile riconsiderare il ruolo delle citta' del mondo. Il leggendario sindaco
di Firenze, Giorgio La Pira, credeva fosse possibile organizzare una rete di
citta' per la pace, come unico riparo dell'uomo al rischio del precipizio
atomico. Ora questo progetto torna prepotentemente attuale e gia' un gruppo
di giuristi sta lavorando attorno ad una "Carta delle citta' per la pace"...
per non assistere piu' alle immagini di Manhattan, per non vivere piu' una
guerra su Kabul, per evitare una Genova umiliata e assediata.

5. RIFLESSIONE. AMELIA ALBERTI: GUERRA E PETROLIO
[Amelia Alberti, ambientalista, presidente del Circolo Verbano di
Legambiente, e' da sempre impegnata ad "agire localmente" senza dimenticare
di "pensare globalmente". Per contatti: lambient at tiscalinet.it]
Io sono contro ogni guerra per tutti gli ottimi motivi che in questi giorni
leggo in questo foglio e che condivido totalmente. Pero' voglio anche capire
perche' questa guerra si e' scatenata proprio contro l'Afghanistan, che e'
stato additato immediatamente dagli Stati Uniti d'America come colpevole
certo dell'orrendo gesto di terrorismo dell'11 settembre.
In un mio precedente intervento sottoponevo alla riflessione dei nonviolenti
come spunto di indagine la questione dell'eroina, via maestra mantenuta
spalancata dall'occidente ai talebani per l'autofinanziamento, con tutta la
rete sottesa di connessioni con la criminalita' internazionale, mafia
compresa.
Vorrei ora aggiungere, senza alcuna pretesa di originalita', un altro spunto
di riflessione: il petrolio, i cui giacimenti a nord dell'Afghanistan fanno
gola alle grandi compagnie petrolifere, che proprio attraverso l'Afghanistan
intendono costruire un lunghissimo oleodotto verso i porti indiani e
pakistani. Riporto, dal sito www.report.rai.it, un brano del dialogo andato
in onda nella trasmissione televisiva "Report" del 18 ottobre, dal titolo "A
qualcuno piace calda". Anche qui, cose risapute, ma risentirle puo' offrire
piu' di una chiave di lettura.
*
- Andrew Wheat (Texans for Public Justice): Il Texas e' il selvaggio West
per quanto riguarda i finanziamenti per le campagne elettorali.
Contrariamente agli altri stati, qui non ci sono limiti, sia per i donatori
privati che per le aziende: e nessuno ha mai raccolto tanto quanto George W.
Bush. Nelle sue corse da governatore, nel '94 e nel '98, ha raccolto 41
milioni di dollari. In questa lista abbiamo inserito i primi donatori, e
puo' vedere che compaiono le principali compagnie del petrolio e della
chimica. Per esempio la Enron Corporation, una delle compagnie petrolifere
piu' grandi al mondo, e' stata la principale sostenitrice di Bush candidato
governatore, donando ben 312 mila dollari.
- Voce fuori campo dell'autrice del servizio: Sostenitori che hanno aiutato
Bush junior anche quando doveva correre per la presidenza.
- Andrew Wheat (Texans for Public Justice): E da presidente e' stato molto
buono con i suoi sponsor. G. W. Bush ha messo a capo dell'agenzia per la
protezione per l'ambiente Christine Whitman, ex governatore del New Jersey.
Nella dichiarazione dei redditi della Whitman compare mezzo milione di
dollari in azioni della Exxonmobil, una delle compagnie del petrolio texane
piu' inquinanti.
- Voce fuori campo dell'autrice del servizio: E' la stessa Christine
Whitman, l'equivalente del nostro ministro dell'Ambiente, alla quale a piu'
riprese avevo chiesto un'intervista per parlare dell'alternativa
statunitense al Protocollo di Kyoto e del piano energetico di Bush. Non
avrei certo perso l'occasione per chiederle se davvero possiede (ancora) le
azioni della compagnie petrolifere della Exxon, della Union Carbide, della
BP Amoco, della Hunt Oil e quelle del colosso della chimica Dupont.
- Andrew Wheat (Texans for Public Justice): Anziche' dire che l'industria
petrolifera e del gas influenzano l'amministrazione Bush, sarebbe piu'
corretto dire che sono la stessa cosa. Non solo abbiamo un presidente
ex-petroliere, un vicepresidente che e' petroliere. Ma il segretario del
tesoro era il presidente della principale societa' che produce alluminio.
- Voce fuori campo dell'autrice del servizio: A capo dell'amministrazione
ufficiale del commercio c'e' l'ex economista della Exxonmobil, il segretario
delle forze armate lavorava per la Enron, il consigliere per la sicurezza
nazionale era un membro del consiglio direttivo della Chevron. E cosi' via.
Nei dieci posti chiave della sua amministrazione, G. W. Bush ha collocato
persone collegate alle industrie piu' inquinanti degli Stati Uniti.

6. APPELLI. PEPPE SINI: ANCORA UNA LETTERA APERTA
Al Presidente della Repubblica Italiana e per opportuna conoscenza a tutti i
Questori d'Italia (in considerazione delle specifiche competenze alle
Questure attribuite in materia di immigrazione).
Signor Presidente, egregi signori,
voremmo richiamare la vostra attenzione sull'art. 10, comma terzo e comma
quarto, della Costituzione della Repubblica Italiana.
"Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio
delle liberta' democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha
diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni
stabilite dalla legge.
Non e' ammessa l'estradizione per reati politici".
E' il dettato della legge fondamentale su cui si basa il nostro ordinamento
giuridico.
Se ne evincono delle conseguenze ineludibili:
a) il diritto di ogni essere umano cui nel suo paese sono negate le liberta'
fondamentali, a trovare rifugio ed accoglienza nel territorio italiano;
b) il dovere di tutti noi cittadini italiani, e massime delle istituzioni, a
difendere - con le unghie e coi denti se necessario - la vita e i diritti di
chi nel nostro paese chiede ospitalita' per sfuggire alla morte, alle
violenze, alle persecuzioni di cui e' vittima nel paese da cui proviene.
La Costituzione della Repubblica Italiana: cosi' chiara, cosi' limpida. E'
un bene grande che voi abbiate giurato fedelta' ad essa.
E dunque ne consegue altresi':
I. che tutte le norme che prevedono l'allontanamento di persone straniere
dal nostro paese senza aver prima verificato se esse abbiano diritto
d'asilo, sono incostituzionali e vanno cassate;
II. che tutte le procedure, sovente meramente amministrative, intese a
negare ospitalita' a chi la richiede, senza aver prima accertato se i
richiedenti abbiano diritto all'accoglienza e alla protezione per norma
costituzionale, tali procedure sono illegali e vanno abolite;
III. che tutti gli atti di violenza, di minaccia e di sospensione delle
fondamentali guarentigie giuridiche nei confronti di persone straniere, in
considerazione di questo e di numerosi altri articoli della Costituzione
della Repubblica italiana configurano abuso e reato, e quindi tali atti
debbono cessare e vanno perseguiti a norma di legge.
Infine a noi pare essenziale ed inevitabile inferire dall'articolo della
Costituzione citato una serie di conseguenze ulteriori:
1. che occorre sottrarre ai poteri criminali il monopolio di fatto del
trasporto in Italia di persone in fuga dalle persecuzioni e dalla morte,
persone che con tutta evidenza hanno diritto di asilo nel nostro paese;
occorre che l'Italia, per inverare quanto stabilito dal testo
costituzionale, promuova ed organizzi un servizio di trasporto pubblico e
gratuito affinche' chi fugge dalle guerre, dalle dittature, dalle
persecuzioni e dalla morte, possa entrare sempre legalmente e gratuitamente
nel nostro paese;
2. che a tutti gli stranieri presenti in Italia, comunque essi siano entrati
nel nostro paese, va prospettata ed offerta la possibilita' di richiedere
asilo, e prima di procedere ad alcuna azione amministrativa nei loro
confronti va dato ad essi modo di espletare tutte le procedure
dall'ordinamento previste a tal fine, in condizioni di liberta' e di
sicurezza.
Tanto sottoponiamo alla vostra attenzione, assai preoccupati di quanto in
Italia da anni sta accadendo; assai proccupati per gli aspetti palesemente
incostituzionali del vigente Testo Unico sull'immigrazione; assai
preoccupati per le decisioni incostituzionali ed effettualmente violatrici
dei diritti umani assunte dal governo attualmente in carica.
Esortandovi ad agire in conformita' con quanto la Costituzione dispone;
esortandovi altresi' ad agire affinche' la legalita' - che sempre deve
essere presidio della liberta' e della dignita' di tutti gli esseri umani -
sia rispettata; esortandovi ad agire per salvare vite umane - dovere primo
di ogni essere umano -; vogliate gradire i migliori saluti.

7. LETTURE. AA. VV.: TULLO GOFFI
AA. VV., Tullo Goffi, Morcelliana, Brescia 2001, pp. 140, lire 20.000. Una
raccolta di saggi dedicati all'illustre teologo morale scomparso nel 1996,
con un'ampia bibliografia degli scritti, utile punto di partenza per
ulteriori ricerche e riflessioni.

8. LETTURE. ELISA GIUNCHI: RADICALISMO ISLAMICO E CONDIZIONE FEMMINILE IN
PAKISTAN
Elisa Giunchi, Radicalismo islamico e condizione femminile in Pakistan,
L'Harmattan Italia, Torino 1999, pp. 154, lire 29.000. Una ricerca recente
la cui lettura puo' essere assai utile per quanti sono impegnati contro la
guerra e contro il terrorismo.

9. LETTURE. FRANCOISE SIRONI: PERSECUTORI E VITTIME
Françoise Sironi, Persecutori e vittime, Feltrinelli, Milano 2001, pp. 212,
lire 45.000. Un libro utilissimo della cofondatrice del "Centro Primo Levi"
di Parigi specializzato nell'assistenza alle vittime di tortura e violenza
collettiva. Lo raccomandiamo caldamente a tutti i nostri interlocutori.

10. MATERIALI. PER STUDIARE LA GLOBALIZZAZIONE: DA RABINDRANATH TAGORE A
MAHMOUD MOUHAMMAD TAHA

* RABINDRANATH TAGORE
Profilo: nato a Calcutta nel 1861, studi in Europa, Premio Nobel per la
letteratura nel 1913; pensatore, poeta, educatore, filantropo, voce del suo
popolo; morì nel 1941. Opere di Rabindranath Tagore: una sintetica antologia
sui temi che qui ci interessano è nel libro di Perugini citato sotto. Ai
primi del secolo molti suoi lavori furono tradotti in italiano dalla casa
editrice Carabba, Lanciano. Edizioni di sue poesie tradotte in italiano
hanno pubblicato negli ultimi decenni Guanda e la Newton Compton.
Recentemente l'editrice Tea ha riproposto varie sue opere. Opere su
Rabindranath Tagore: nella prospettiva che qui più ci interessa un buon
punto di partenza è la monografia di Palmiero Perugini, Tagore, ECP, S.
Domenico di Fiesole 1994.

* PIERRE-ANDRE' TAGUIEFF
Profilo: filosofo, politologo e storico delle idee, impegnato contro il
razzismo, è presidente dell'"Observatoire de l'antisemitisme". Opere di
Pierre-André Taguieff: in traduzione italiana cfr. La forza del pregiudizio,
Il Mulino, Bologna 1994; Il razzismo, Cortina, Milano 1999.

* MAHMOUD MOUHAMMAD TAHA
Profilo: nato nel 1908, detto "il Gandhi del Sudan", fu in carcere sotto la
dominazione inglese, nel 1985 è stato condannato a morte ed ucciso per
motivi religiosi. Opere di Mahmoud Mouhammad Taha: The second message of
Islam, tr. ingl., Syracuse University Press, New York 1987: in questa opera
"distingue e oppone il periodo meccano di Maometto (610-622) al periodo
medinese (622-632), nel quale il profeta divenne capo politico e guerriero.
L'Islam nella forma arrivata a noi è solo la «prima missione». La «seconda
missione» ritrova l'autenticità originaria ed è caratterizzata dalla
nonviolenza (lâ unf, in arabo): «Nella nuova Legge non esiste più guerra
santa, né schiavitù, né capitalismo, né ineguaglianza tra uomo e donna, né
poligamia, né ripudio, né l'uso del velo, né la separazione dei sessi»
(Henri Coudray). Taha si pone fuori dell'Islam? La sua lettura storicizzata
del Corano è innovativa. Troppo? Secondo Coudray ha compiuto una certa
forzatura nel separare i due tempi, eppure quest'uomo coraggioso merita di
essere conosciuto, perché ha fatto un tentativo sincero, dall'interno dell'
Islam, contro l'intolleranza e la violenza" (Peyretti). Altre informazioni e
riferimenti in Enrico Peyretti, La politica è pace, Cittadella, Assisi 1998,
pp. 131-132, da cui abbiamo attinto per compilare questa voce.

11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

12. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ;
per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben at libero.it ;
angelaebeppe at libero.it ; mir at peacelink.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 263 del 20 ottobre 2001