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La nonviolenza e' in cammino. 169
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 169
- From: "Centro Ricerca Pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 17 Jul 2001 10:39:13 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 169 del 17 luglio 2001 Sommario di questo numero: 1. Peppe Sini, la scelta della nonviolenza 2. Susan George, contro la violenza 3. Enrico Euli, alcune nozioni sull'azione diretta nonviolenta dalla A alla Z 4. Appello della Tavola della Pace ai governi del G8 5. Un'intervista ad Alessandro Zanotelli 6. Vandana Shiva, riconciliarsi con la diversita' 7. I pensierini di Pedalino: come l'Orco ti soggioga 8. La "Carta" del Movimento Nonviolento 9. Per saperne di piu' 1. RIFLESSIONE. PEPPE SINI: LA SCELTA DELLA NONVIOLENZA Noi abbiamo conosciuto il secolo di Auschwitz e di Hiroshima. Qualcuno ancora crede che la violenza possa liberare l'umanita'? Di certo uccide gli esseri umani. Qualcuno ancora pensa che le armi e gli eserciti possano essere usati a fini di liberazione? Di certo le armi servono a uccidere, di certo gli eserciti servono a fare la guerra, di certo la guerra e' sempre omicidio di massa. Qualcuno ancora ritiene che si possano contrastare i poteri assassini imitandoli? Qualcuno ancora sostiene di poter lottare contro l'ingiustizia commettendo ingiustizie a sua volta? Qualcuno ancora sostiene di lottare per la dignita' umana mentre la calpesta e violenta ed annichilisce nelle concrete persone che ha vicino e di fronte? Noi abbiamo conosciuto il secolo di Auschwitz e di Hiroshima e sappiamo cosa l'uomo possa fare all'uomo e come l'umanita' intera possa essere distrutta. E' perche' lo sappiamo che sentiamo il dovere di resistere all'inumano; e' perche' lo sappiamo che dobbiamo costruire, cominciando con il nostro agire quotidiano e con un impegno morale ed intellettuale e politico energico e nitido, una societa' diversa, di liberi ed eguali e solidali. Questa scelta radicale di resistenza, questa esigenza inestinguibile di dignita', questo bisogno di limpidezza e di coerenza, di riconoscimento e di comunicazione, rendono necessario abbracciare la nonviolenza. La nonviolenza nella sua complessita' e pluridimensionalita', nella sua costitutiva incompiutezza, nella sua provocazione gnoseologica ed esistenziale, nella sua percezione ed ascolto dell'altro, nella sua essenza e mobilita' comunicativa e conflittuale, dialettica e materiale: la nonviolenza come teoria e pratica sperimentale e aperta, come memoria e disamina critica di esperienze storiche e culturali e psicologiche, come campo di valori, di ragionamenti e giudizi morali, come insieme di tecniche di azione e deliberazione, come prospettiva e strategia politica, come progetto economico e sociale, come opzione concreta per il diritto e la democrazia, come ricerca e speranza condivisa, come decisione e cammino, come riconoscimento e suscitamento del conflitto, come radicale interrogazione, come principio responsabilita'. La nonviolenza non e' ne' un'ideologia ne' un esercizio di bricolage, ma un campo di esperienze e riflessioni di straordinaria vastita' ed apertura: e' la possibilita' e la decisione di lottare per affermare la dignita' umana, quella tua e quella di tutti, senza vilta', senza illusioni, senza menzogne. 2. RIFLESSIONE. SUSAN GEORGE: CONTRO LA VIOLENZA [Dal sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) riprendiamo questa dichiarazione di Susan George (tradotta da Daniele Lugli). Presentandola, Pasquale Pugliese del Movimento Nonviolento e della Rete Lilliput, giustamente mette in evidenza che "i nodi che Susan George pone sono fondamentali per la vita stessa del movimento (oltre che per la vita delle persone); sono fondamentali per l'esito della lotta in atto; sono fondamentali per definire il ruolo che la Rete di Lilliput a Genova, e oltre Genova, deve assumere all'interno del movimento. Il problema di fondo e' che il conflitto sociale ed ecologico - che non e' tra noi e i G8 ma tra tutti i ricchi del pianeta ed il resto degli esseri viventi - deve essere trasformato in senso nonviolento o la repressione annullera', come gia' successo in passato, ogni conflitto. Chi alimenta lo scontro violento, consapevolmente o meno, alimenta la repressione e fa polarizzare il conflitto tra due soggetti artificialmente contrapposti - popolo di Seattle vs popolo della polizia - quando esso deve invece essere il piu' possibile socializzato tra tutti, per far esplodere le contraddizioni - interne a ciascuno di noi - di un sistema di vita e di sviluppo, ambientalmente e socialmente, insostenibile. E costruendone fin da subito le alternative possibili. La Rete di Lilliput puo' e deve rappresentare questo elemento di novita' nel panorama del movimento italiano volto a trasformare - attraverso una seria e approfondita strategia e metodologia nonviolenta - il consenso che circonda il potere e la ricchezza (non dimentichiamoci che in Italia ha appena vinto le elezioni Berlusconi) progressivamente in dissenso ed il dissenso il lotta. E su tutto cio', a mio parere, la riflessione e' ancora agli inizi". Susan George, economista, e' tra i maggiori esperti internazionali dei rapporti Nord/Sud, direttrice del Transnational Institute di Amsterdam, impegnata nei movimenti ambientalisti, pacifisti, nonviolenti, di solidarietà. Tra le opere di Susan George: Come muore l'altra metà del mondo, Feltrinelli, Milano 1978; Il debito del Terzo Mondo, Edizioni Lavoro, Roma 1989; Il boomerang del debito, Edizioni Lavoro, Roma 1992; Il boomerang del debito estero, in Susan George, Massimo Micarelli, Antonio Papisca, Un' economia che uccide, L'altrapagina, Città di Castello 1993] ATTAC svedese ha ora tra i 4000 ed i 5000 membri; in proporzione alla popolazione sono tanti quanti, o piu' che, in Francia dopo meno di un anno di esistenza ed e' riconosciuto come un fenomeno politico significativo. ATTAC svedese lavorava da molti mesi alla preparazione del summit di Goteborg trattando con il governo e la polizia affinche' le manifestazioni si svolgessero pacificamente. Il Presidente del Consiglio di ATTAC, Hans Abramsson che occupa una cattedra universitaria di studi sulla pace e il conflitto era al centro di questa preparazione e America Vera-Zavala ha incontrato il primo ministro Goran Persson (la foto di America con il suo chemisier bianco adorno del simbolo rosso di ATTAC a fianco di Persson era sulla prima pagina di "Metro", il quotidiano del summit). Tutto questo e' nella tradizione svedese della concertazione e del consenso e, secondo i membri di ATTAC, si era stabilita una reciproca fiducia. Ahime', tutti questi sforzi sono stati vanificati. I problemi sono cominciati giovedi pomeriggio. Il governo aveva aperto numerose scuole perche' i militanti vi potessero dormire; correva voce che ci fossero armi nascoste in una scuola, gli occupanti si sono rifiutati di uscire, la polizia ha fatto venire degli immensi container per bloccare tutti gli accessi alla scuola e tafferugli tra polizia e manifestanti si sono verificati in un parco attiguo dove la polizia era a cavallo, contrariamente alle promesse fatte durante le trattative. Malgrado tutto niente di molto grave giovedi, anche se la tensione cominciava a crescere.Venerdi gli occupanti di tendenza "Globalisation from Below" "Ya Basta" e "Tute Bianche" sono stati evacuati. Venerdi ero personalmente nel villaggio alternativo dove si trovavano tende ospitanti diverse organizzazioni e tutti i forum, ma a meno di 500 metri da li' gli scontri e le distruzioni erano cominciati. Sul grande viale, che i goteborghesi paragonano ai Champs-Elysees, non restava una sola vetrina intatta alla fine della sera. Duecento persone circa erano riuscite a farne precipitare nella zuffa un migliaio o piu'. I poliziotti, completamente sopraffatti e con le vetture distrutte, hanno sparato pallottole vere e una persona almeno e' stata gravemente ferita all'addome e altre piu' lievemente. Gli svedesi non hanno mai visto violenze simili sul loro territorio e ne sono profondamente colpiti. Io condanno in modo chiaro e netto queste violenze e cio' per piu' ragioni. - Indipendentemente dalle posizioni filosofiche sull'argomento ed a prescindere dal fatto che i nostri colleghi svedesi sono stati piuttosto traumatizzati, le violenze fanno invariabilmente il gioco dell'avversario. Anche in caso di provocazioni e quando la polizia e' responsabile nell'aprire le ostilita', come spesso avviene, ci si mette tutti nello stesso sacco. I media evidentemente non parlano che di questo. Le idee, le ragioni della nostra opposizione, le proposte vengono completamente nascoste. - Lo Stato si definisce per il suo "monopolio della violenza legittima". Chiunque pensi di poterlo affrontare e vincere su questo terreno non ha fatto molta strada nell'analisi politica. Chiunque pensi che rompere vetrine e picchiare poliziotti "minacci il capitalismo" non ha per niente un pensiero politico. - Noi non possiamo costruire un movimento largo e popolare sulla base di una cultura di giovani e persone che sono pronti a farsi spaccare la faccia. Tutte le persone che hanno paura dei lacrimogeni, della violenza - le persone della mia eta', le famiglie con bambini, le persone meno in forma fisicamente - si asterranno e non verranno a nessuna nostra manifestazione. - Questo non e' democratico. Francamente ne ho abbastanza di questi gruppi che non ci sono mai per il lavoro preparatorio, che non fanno mai nulla nella politica quotidiana ma che arrivano nelle manifestazioni come fiori ("velenosi") per distruggere, quali che siano gli accordi negoziati dagli altri. Per di piu' cio' tende a spezzare l'alleanza tra quelli che condannano queste violenze e quelli che le tollerano. - Si insultano quelli che rifiutano e condannano la violenza trattandoli da "riformisti", ma l'opposizione "riforma-rivoluzione" non ha alcun senso nel contesto attuale e non e' cosi', secondo me, che si pone il problema. Non e' "rivoluzionario" dividere il movimento sociale e perdere alleati potenziali; non e' "rivoluzionario" suscitare la simpatia per i nostri avversari nella grande maggioranza della popolazione; non e' "rivoluzionario" opporsi a tutte le misure parziali (come la Tassa Tobin) nell'attesa della "Grade Sera", idiota e controproducente. In una parola, ne ho abbastanza di questi tirannelli e temo che se si continua a lasciarli fare finiranno per distruggere il movimento. La piu' bella speranza politica da trent'anni a questa parte. 3. MATERIALI. ENRICO EULI: ALCUNE NOZIONI SULL'AZIONE DIRETTA NONVIOLENTA, DALLA A ALLA Z [Il seguente testo, che intende fornire alcune cognizioni di base a chi vorra' partecipare alle iniziative nonviolente a Genova durante il G8, abbiamo ripreso dalla rete telematica pacifista Peacelink. Su alcuni punti abbiamo un dissenso e riscontriamo qualche ambiguita' che ci preoccupa (e ad esempio: come e' noto noi riteniamo che occorre esprimere la piu' assoluta contrarieta' alla follia suicida e omicida dei militaristi che si ripromettono di irrompere nella "zona rossa", occorreva che su questo il Genoa Social Forum fosse limpido e deciso dall'inizio; come e' noto noi non accettiamo il linguaggio e la logica che irride ed insulta e aggredisce e mostrifica le persone delle forze dell'ordine), Enrico, che riteniamo la pensi come noi, ci perdonera' quest'annotazione che non riguarda lui ma punti specifici di un testo che del resto ci pare assai valido. Enrico Euli e' impegnato nei movimenti per la pace, formatore alla nonviolenza (ha collaborato anche con Alberto L'Abate), fa parte della cooperativa "Passaparola" di Cagliari impegnata in attività di educazione alla pace. Tra le opere di Enrico Euli cfr. AA. VV., Percorsi di formazione alla nonviolenza, Pangea 1996] * Azione diretta nonviolenta: un'azione agita attraverso il corpo e/o le parole, in forma immediata e creativa, non delegata ad altri, ma assunta responsabilmente in prima persona. E' importante che esprima insieme, simbolicamente, sia la protesta che la proposta di cui si fa portatrice. * Botte: e' importante metterle in conto ed essere disponibili a prenderne senza reagire mimeticamente; e' possibile assumere precauzioni per limitare i danni (posizioni fisiche a guscio, minime protezioni alle reni e alla testa), ma la tradizione nonviolenta esclude l'uso di caschi, scudi, tute e corazze di qualunque natura, in quanto esse corrono il rischio di essere interpretate aggressivamente (tutti hanno sempre giustificato le armi a partire da esigenze di autodifesa). * Consiglio dei portavoce: ogni gruppo d'affinita' (GdA) esprime un portavoce che prende parte periodicamente agli incontri di scambio e coordinazione tra i gruppi, al fine di arrivare, se possibile, ad azioni e decisioni comuni e condivise. Il portavoce non e' un delegato e quindi, di regola, il Consiglio non e' decisionale, se non in situazioni di urgenza. * Disobbedienza civile: rappresenta un livello di alto rischio e compromissione personale dell'azione nonviolenta, in quanto presuppone l'illegalita' dell'agire stesso: si disobbedisce ad una legge per manifestare il proprio rifiuto radicale di un'ingiustizia, fosse pure legalmente perpetrata. Termine base della tradizione nonviolenta, oggi riutilizzato dalle "tute bianche" in modo corretto rispetto ai contenuti dell'agire, ma ambiguo rispetto alle forme da loro scelte per farlo. * Evacuazioni: per quelle di interesse primario auspichiamo una sufficiente predisposizione di servizi igienici da parte del Comune e della Protezione civile; per quelle che derivassero da sgomberi, ricordiamo soltanto due cose: 1. che la polizia, per legge, non puo' fare cariche a freddo e senza una gradualita' nell'uso degli strumenti a sua disposizione (persuasione, trascinamenti, idranti, manganelli...); 2. di portare scarpe aperte ma che non si sfilano, di correre ed urlare meno possibile, di muoversi con calma in direzioni non scelte da troppi. * Facilitazione: nella tradizione dei gruppi d'affinita' si e' affinata nel tempo la figura del facilitatore, una persona del gruppo che, a rotazione, aiuta le persone a discutere e a decidere in modo efficace; nelle fasi in cui svolge questa funzione non prende parte alla discussione, ma si limita ad individuare e a far verificare i punti di consenso raggiunti dal gruppo, moderando i tempi e i modi degli interventi. * Gruppo d'affinita': rappresenta il fulcro dell'azione diretta nonviolenta, in quanto in esso le persone (che dovrebbero aver verificato da tempo metodi, fiducia ed affiatamento reciproci) si incontrano, discutono, decidono e valutano insieme il da farsi. Ogni GdA e' autonomo, ma si collega agli altri inviando un suo portavoce al Consiglio, in modo tale da tener conto delle discussioni e delle istanze presenti tra tutti. * Help!: chi si predisponesse al rischio di azioni dirette nonviolente 1. si segni il numero di telefono di un avvocato di fiducia o meglio ancora di un centro di appoggio giuridico, dopo aver preso gia' tutte le informazioni utili per la tutela dei propri diritti; 2. si informi sulle forme di assistenza sanitaria disponibili nelle vicinanze; 3. porti con se' il minimo necessario per sopravvivere ad un'azione prolungata (acqua non in bottiglia di vetro, occhiali da sole, fazzolettini, cappello, un piccolo cuscino da stadio...). * Infiltrati: lo stesso gruppo d'affinita' e' la miglior autotutela dal rischio di infiltrazioni; vista la quasi totale trasparenza attuale delle nostre procedure e' sempre possibile, pero', che chiunque possa intrufolarsi; senza nutrire eccessi di diffidenza preventiva da caccia alle streghe, il consiglio e' di vigilare, in particolare durante l'eventuale corteo del 21: attenzione: gli infiltrati di solito sono vestiti come noi. * Legalita': il nonviolento rispetta il sistema di leggi entro cui si trova a vivere, ma non accetta di sottostare a leggi che considera ingiuste e sceglie pubblicamente ed apertamente di trasgredirle se le ritiene illegittime per la sua coscienza o per motivazioni sociali e morali. L'azione nonviolenta puo' essere quindi legittima ed illegale, cosi' come un'azione perfettamente legale puo' configurarsi agli occhi del nonviolento come assolutamente illegittima e quindi da combattere. * Metodo del consenso: i gruppi di affinita' (GdA), attraverso la facilitazione, utilizzano nelle loro discussioni il Metodo del Consenso per giungere a decisioni davvero comuni e condivise; molto schematicamente esso si basa su quattro principi-base: 1. l'ascolto ed il valore delle differenze; 2. la verifica esplicita del consenso e del dissenso (il silenzio-assenso e' ritenuto insufficiente); 3. la ricerca dell'unanimita'; 4. la possibilita' di astenersi sempre ed esplicitamente da una decisione eventualmente assunta a maggioranza. * Nonviolenza: scritto tutt'attaccato e' un termine che assume, nella ricerca gandhiana, un significato ben diverso dalla semplice "non violenza" (ahimsa) intesa come astensione passiva dalla violenza o non aggressione; il "satyagraha" e' una teoria-prassi integrata che include idee, azioni, programmi in positivo, in aggiunta, in costruzione. La pace, non puo' essere soltanto, infatti, "assenza di guerra". * Obiezione: Il Metodo del Consenso (MdC) invita le persone ad esprimere dissensi ed obiezioni, soprattutto se radicali, prima che il gruppo deliberi un'azione comune; se l'obiezione fosse ritenuta significativa, indipendentemente dal numero delle persone che la presentano, il MdC prevede la possibilita' di sospendere la decisione su quel dato punto, in attesa di nuove discussioni ed eventuali soluzioni piu' adeguate a tutte le persone del gruppo. L'obiezione non puo' pero' valere di per se' come bloccante o come veto rispetto a decisioni di altri, da cui e' sempre possibile dissociarsi. * Polizia: per un nonviolento anche un poliziotto e', in primo luogo, un essere vivente ed un essere umano; un avversario, o meglio un difensore armato dei nostri avversari, ma mai un nemico. E' importante, nei limiti del possibile, stare in una posizione di apertura e di dialogo, di correttezza e di non provocazione, limitandosi a quel che l'obiettivo dell'azione comporta, senza eccedere in contatti personali e senza mai dare informazioni non necessitate su se' e su altri. Di solito e' utile delegare qualcuno a tenere specificamente i contatti con la polizia. * Qualita': un'azione nonviolenta non si caratterizza per la quantita' delle persone coinvolte, non si pone necessariamente l'obiettivo di muovere le masse (che sono comunque benvenute!); puo' essere agita anche da poche persone, da piccoli gruppi ben preparati e persuasi, creativi e dinamici. Questo permette a tutti di praticarla, con una relativa facilita', anche nella vita quotidiana, davanti a piccoli e grandi soprusi. E' sufficiente avere un corpo, anche piccolo, e -se necessario- una lingua! * Resistenza passiva: il nonviolento prende una posizione, sia ideale che fisica, e cerca con tutte le sue forze di mantenerla, resistendo ad ogni tentativo di spostamento subito, senza aggredire ma asserendola con chiarezza e tenacia. Se cosi' ha deliberato sceglie di non lasciare in campo di fronte ad intimazioni di sgombero e lo fa solo se costretto dalla forza violenta dell'avversario alla quale reagisce soltanto attraverso una resistenza passiva (o, se preferite, una non collaborazione attiva). * Stampa e tv: le azioni nonviolente non si fanno per i giornali e per le tv, non si pongono l'obiettivo di dar spettacolo di se stesse; e' importante che siano conosciute in modo tale che si parli di quel che vogliono far sapere a tutti e, nel nostro caso, che sappiano aiutare i giornalisti a non parlare soltanto di vetrine spaccate o di scontri tra ecoteppisti e forze dell'ordine. Anche in questo caso forse e' utile delegare qualcuno che abbia la fiducia di tutti a tenere i contatti con i mezzi di informazione e che curi una efficace campagna di stampa e di controinformazione: e' un compito delicato, da agire con la massima cautela. * Training: da almeno mezzo secolo nel mondo e da vent'anni in Italia si e' iniziato a lavorare con il training alla nonviolenza per avvicinare le persone alle metodologie della facilitazione, del consenso e dei gruppi d'affinita'. E' un insieme di metodologie di riflessione e di gioco, di educazione attiva ed esperienziale, mirate ad una maggiore consapevolezza delle dinamiche di un gruppo che si prepara ad un'azione diretta nonviolenta. * Urgenza: le situazioni di stress conducono spesso a dover prendere decisioni accelerate ed urgenti; i GdA possono deliberare se una situazione reclama decisioni urgenti e, solo in quel caso, si puo' delegare i portavoce a prendere decisioni per tutti, fatta salva la liberta' per ciascuno di esimersi dall'attuarla. * Viaggi di avvicinamento: si consiglia a tutti di non concentrare gli arrivi tra il 19 e il 21 ed, in particolare, ai GdA di arrivare alla spicciolata e darsi appuntamento in citta' nei giorni precedenti agli eventuali blocchi, anche per proseguire a fare training e a prendere le ultime decisioni insieme. In particolare per chi non avesse fatto alcuna preparazione in questi mesi, consigliamo di essere a Genova almeno per il 17 luglio, in modo tale da creare linee minime di formazione e coordinazione comuni. * Zona rossa-zona gialla: chissa' quale sara' la decisione finale, ma in ogni caso: ogni Gda scegliera' quale livello d'azione e di rischio assumersi, in relazione alle scelte dei singoli e alle competenze presunte raggiunte attraverso la formazione. Sarebbe bene che 1. nessuno facesse azioni per le quali non si e' e/o non si sente preparato o delle quali non conosca le eventuali conseguenze legali e fisiche; 2. nessuno coinvolgesse altri non consenzienti in azioni proprie o in effetti collaterali da queste derivanti; 3. ogni azione permetta agli altri di compiere le proprie, senza interferenze o impedimenti; 4. si salvaguardasse l'integrale non violenza della nostra azione, anche in caso di legittima autodifesa. 4. DOCUMENTAZIONE. APPELLO DELLA TAVOLA DELLA PACE AI GOVERNI DEL G8 [Riceviamo e volentieri diffondiamo il seguente "Appello della Tavola della Pace ai Governi del G8"] La convocazione a Genova del prossimo vertice dei G8 rappresenta un'importante occasione per riflettere sulle scelte piu' urgenti che la comunita' internazionale, e in primo luogo i ricchi governi occidentali sono chiamati a compiere per risolvere i gravi problemi aperti oggi nel mondo. In vista di questo appuntamento, la Tavola della Pace, impegnata da anni nella promozione della pace, di un'economia di giustizia e della democrazia internazionale e nella costruzione dell'Onu dei Popoli, intende avanzare alcune riflessioni e proposte. Rafforzate l'Onu e la democrazia internazionale. Promuovete il bene comune globale. Il summit dei G8 riunisce i governi che, piu' di ogni altro governo al mondo, detengono il potere, le risorse e i mezzi per determinare, nel bene e nel male, le condizioni di vita e il futuro di gran parte dell'umanita'. Essi rappresentano una piccolissima parte dell'umanita', ma le loro decisioni hanno uno straordinario impatto su tutto il resto del mondo. Su di essi ricade la responsabilita' di non aver impedito o di aver causato molte delle grandi tragedie del nostro tempo: guerre, genocidi, poverta', morte per fame, distruzione dell'ambiente e delle risorse naturali. A loro, prima di ogni altro governo, spetta la responsabilita' politica e morale di affrontare con efficacia queste grandi emergenze e costruire un nuovo ordine internazionale, pacifico e democratico. Ai governi che s'incontrano a Genova noi chiediamo di abbandonare ogni atteggiamento "verticistico" promuovendo, da subito, la democratizzazione del sistema internazionale, processi decisionali aperti e trasparenti, la cooperazione a tutti i livelli, il riconoscimento del ruolo fondamentale svolto dalle istituzioni locali e dalle organizzazioni della societa' civile. A loro chiediamo, ancora una volta, di cambiare rotta e di promuovere decisamente il rafforzamento e la democratizzazione delle Nazioni Unite, quale centro della governabilita' globale. Il processo di globalizzazione in atto ha aumentato il gia' profondo deficit di democrazia internazionale esistente, preparando un futuro denso di tensioni, incognite e di pericoli inaccettabili. Senza il rilancio del sistema dell'Onu e la sua democratizzazione, senza un forte investimento per ridargli forza, efficacia e credibilita', nessuno dei tanti problemi aperti trovera' mai una soluzione definitiva. Ai capi di governo che si riuniscono a Genova si rivolgono da tempo, inascoltati, i popoli dimenticati e defraudati del sud del mondo. La Tavola della pace intende dare voce a quell'umanita' che, dalle periferie del mondo, chiede innanzitutto cibo, acqua e lavoro per tutti. A queste domande pressanti di liberta' e giustizia dobbiamo rispondere combattendo ogni forma di esclusione e promuovendo la partecipazione democratica di tutti i paesi e i popoli alla definizione delle regole e delle politiche globali. Ai G8 chiediamo di cambiare le priorita' dell'agenda politica e dell'uso delle risorse rimettendo al centro delle proprie scelte le persone, i popoli e il rispetto dei loro fondamentali diritti, il bene comune globale. A loro chiediamo di abbandonare una visione del mondo dominata dallo scontro degli interessi nazionali e dalla legge del piu' forte: proseguire su questa strada ci portera' al disastro. Il mondo ha urgente bisogno di governi democratici decisi a promuovere e tutelare il bene pubblico globale, mettendo freno al crescente disordine internazionale. Il mondo ha bisogno di governi decisi a contrastare le guerre e le massicce violazioni dei diritti umani; mettere al bando la guerra e le armi che la alimentano; garantire a tutti l'accesso ai diritti sociali di base (il diritto al cibo, all'acqua, alla salute, all'educazione, alla casa, al lavoro,...); proteggere l'ambiente globale offrendo a tutti pari opportunita' di sviluppo. Ai G8 chiediamo di assumere queste priorita', mettendo, per una volta, in secondo piano i propri interessi egoistici. Non ci servono i soliti documenti pieni di parole altisonanti, promesse e buone intenzioni. Urgono decisioni precise e vincolanti come queste: * applicare e ampliare il Protocollo di Kyoto per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica che minacciano il clima e la vita di miliardi di persone; * cancellare il debito estero dei paesi impoveriti e rivedere il sistema di concessione dei crediti che genera insostenibili processi di indebitamento; * modificare quelle regole del commercio internazionale che impediscono il libero accesso ai mercati dei prodotti dei paesi in via di sviluppo e costringere il Fondo Monetario, la Banca Mondiale e l'Organizzazione Mondiale per il Commercio ad agire nel rispetto dei principi e degli impegni per lo sviluppo sostenibile fissati dall'Onu; * aumentare le risorse dedicate alla cooperazione internazionale per sradicare la poverta' estrema, la morte per fame e malattie, tassando le transazioni finanziarie speculative e riducendo i bilanci e gli arsenali militari; * respingere il progetto americano delle guerre stellari, rilanciando il ruolo dell'Onu per la costruzione di un sistema di sicurezza comune fondato sul disarmo e la prevenzione dei conflitti; * intervenire subito in Medio Oriente, a difesa dei diritti umani e della legalita' internazionale, promuovendo un piano di pace basato sulle risoluzioni delle Nazioni Unite e sul principio "Israele e Palestina: due Stati per due Popoli". Con altrettanta determinazione e' urgente intervenire in Macedonia e nelle troppe zone di guerra che continuano ad insanguinare il mondo. Questi obiettivi sono da lungo tempo al centro del nostro impegno quotidiano. Oggi, li riproponiamo alla vigilia del summit di Genova per ricordare ai "grandi" della terra le responsabilita' che si devono assumere. E domani continueremo il nostro lavoro organizzando dall'11 al 14 ottobre, a Perugia, una grande Assemblea della societa' civile mondiale e una nuova edizione della Marcia per la Pace Perugia-Assisi per la globalizzazione dei diritti umani, della democrazia e della solidarieta'. Democrazia globale ora. Tutti i diritti umani per tutti. Tavola della Pace, Francescani del Sacro Convento di Assisi, Associazione per la Pace, Coordinamento Nazionale degli Enti Locali per la pace, AGESCI, CGIL, CISL, UIL, ARCI, ACLI, Pax Christi, Emmaus Italia, CIPSI, Lega per i Diritti e la Liberazione dei Popoli, Centro per la pace Forli'/Cesena, Planet-Associazione per la cultura dell'interdipendenza, FIVOL-Fondazione Italiana Volontariato, ICS-Consorzio Italiano di Solidarieta', Banca Etica, Sondagenova (prime adesioni). Per adesioni e informazioni: Tavola della Pace, via della Viola 1, 06122 Perugia, tel. 0755736890, fax: 0755721234, e-mail: mpace at krenet.it, sito: www.tavoladellapace.it 5. RIFLESSIONE. UN'INTERVISTA AD ALESSANDRO ZANOTELLI [La seguente intervista di Fabrizio Floris ad Alessandro Zanotelli e' apparsa su "Il manifesto" del 15 luglio con titolo: "Tra gli esclusi dal G8. Zanotelli, missionario che assedia Genova restando in Africa". Alessandro Zanotelli, missionario comboniano, ha diretto per anni la rivista "Nigrizia" conducendo inchieste sugli aiuti e sulla vendita delle armi del governo italiano ai paesi del Sud del mondo, scontrandosi con il potere politico, economico e militare italiano: rimosso dall'incarico è tornato in Africa a condividere vita e speranze dei poveri. E' direttore responsabile della rivista "Mosaico di pace", promossa da Pax Christi. Opere di Alessandro Zanotelli: La morte promessa. Armi, droga e fame nel terzo mondo, Publiprint, Trento 1987; Il coraggio dell'utopia, Publiprint, Trento 1988; I poveri non ci lasceranno dormire, Monti, Saronno 1996; Leggere l'impero. Il potere tra l'Apocalisse e l'Esodo, La meridiana, Molfetta 1996; Sulle strade di Pasqua, Emi, Bologna 1998; Inno alla vita, Emi, Bologna 1998; Ti no ses mia nat par noi, Cum, Verona 1998; La solidarietà di Dio, Emi, Bologna 2000] Siamo sempre piu' incapaci di comunicare forse perche' tutto e' gia' stato detto alla Tv e quindi sempre piu' incapaci di ascoltare. Eppure oltre il lavoro, le vacanze e le ideologie c'e' una meta da raggiungere che il tempo non erode. Cosi' Alex Zanotelli, missionario comboniano, gia' direttore di "Nigrizia", ha scelto di vivere a Nairobi nella baraccopoli di Korogocho dove la poverta' e' solo uno degli aspetti di una realta' tanto difficile quanto complessa, "dove non c'e' nulla che tiene". La polizia e' corrotta, il governo e' assente e la gente vive come puo, inventandosi il lavoro e ogni strada per vivere, nella consapevolezza di essere nelle "mani di Dio", come afferma Njonjo. A Korogocho non basta lavorare contro la poverta', ma anche confrontarsi con le cause profonde al di la' della retorica della "grande narrazione" proclamata dagli otto grandi. La poverta' per Alex Zanotelli "non e' una situazione dovuta a problematiche personali, ci sono anche queste si', ma e' una situazione voluta. Si sta costruendo sul peccato, sull'ingiustizia, sull'apartheid economica, sulla separazione tra gli straricchi, che sono pochi, e i molti che non hanno nulla". Fabrizio Floris: Alex, ritieni che l'azione della chiesa riesca ad incidere efficacemente sui grandi problemi del mondo? Alessandro Zanotelli: Le chiese in generale sono molto lontane dall'incidere sul reale, questo non soltanto perche' uno e' convertito solo a meta', ma perche' ognuno di noi e' prigioniero. Oggi gli psichiatri sostengono che il 90% di noi e' suddito di ideologie, di economie, di politiche. Sei prigioniero delle idee che apprendi nel luogo in cui nasci e vivi e pensi che quelle siano la verita'. Questo non e' facile da capire. Penso che la parola di Dio dovrebbe aiutare a capire e a leggere la realta' mentre non riusciamo ad analizzarla, ci passiamo dentro senza cambiare nulla. Questo per me e' un problema enorme. Le chiese sono lontane da questo anche per un'altra ragione, perche' non riescono a far passare la conversione dal personale allo strutturale. C'e' stata pochissima ricerca finora a questo livello. Ognuno di noi ha sempre pensato che se tu riesci a convertirti cambi anche la realta', ma non e' vero, la societa' puo' farti ritornare quel pagano che eri. Questi sono, a mio avviso, aspetti che dovranno essere presi seriamente in considerazione per vedere come riuscire a fare questo passaggio, per poter incidere sull'economico, sul politico, sul sociale. Martin Luther King sosteneva che la chiesa e' stata convocata da Gesu' per essere il termostato della societa' e invece ne e' semplicemente il termometro: direi che questo e' il problema di fondo che ci attanaglia tutti. F. F.: Tuttavia negli ultimi mesi anche la chiesa cattolica italiana ha espresso la sua opinione a proposito delle distorsioni del sistema con alcuni documenti per molti aspetti alternativi. Cosa pensi della nuova posizione della chiesa nei confronti del G8? A. Z.: Sono contento, e' bello vedere una chiesa italiana che finalmente scende in un terreno che poteva sembrare un campo minato, troppo politico, economico o quel che si vuole, invece, il fatto che abbia prodotto dei documenti e che stia mobilitando la base per me e' un segnale molto grosso che prendo seriamente in considerazione. La cosa che bisognera' vedere e' un'altra: fino a che punto la chiesa italiana, al di la della mobilitazione per il G8, e' capace di fare davvero delle scelte. Non si puo' fare la manifestazione contro il G8 e poi vivere in tutt'altra maniera. C'e' una schizofrenia incredibile tra documenti e vita pratica. Ho affermato che la chiesa italiana e' berlusconizzata e non parlo di vescovi o di chi sa chi, parlo del popolo di Dio, semplicemente perche' la chiesa e' parte integrante della societa' italiana. Noi cristiani abbiamo sposato i valori del benessere, del successo, dell'apparire ed e' esattamente quello che Berlusconi esprime. In questo senso penso che la verita' dovra' venire a galla. Non si tratta soltanto di fare la manifestazione: se la chiesa italiana davvero e' critica nei confronti di questo processo di globalizzazione e lo esprime pubblicamente dovra' trarne le conseguenze nella vita quotidiana, pratica, sociale, politica ed economica. E' qui che vedremo davvero quanta serieta' c'e'. F. F.: Cosa ne pensi dell'idea di Beppe Grillo di non organizzare manifestazioni, ma di lasciare soli gli 8 grandi perche' tanto hanno gia' deciso tutto? A. Z.: Apprezzo molto l'idea di Beppe Grillo, pero' non so se sia la maniera migliore per esprimere il dissenso in questo tipo di societa' cosi' dominata dai mass-media. Oggi c'e' bisogno di visibilita' per avere un peso politico. F. F.: La chiesa che esprime questa posizione compie una scelta politica. A tuo avviso che rapporto c'e' tra fede e politica? A. Z.: La chiesa deve rendersi conto che e' passato il tempo della politica cosi' come finora l'ha concepita. Oggi le decisioni sono essenzialmente economiche. Si tratta di recuperare per la politica lo spazio che le appartiene. E' ora che la chiesa insista e lotti perche' il potere politico ritorni a prendere quelle decisioni, anche in campo economico, che oggi gli sono scappate quasi tutte di mano. Quella di cui parlo e' la politica che il Dio biblico sogna per il suo popolo. Qualcosa di diverso dall'Egitto, impero fondato su un'economia di opulenza che esigeva una politica di oppressione e una religione dove Dio era parte integrante del sistema. Diverso anche dal mondo di oggi dove pochi hanno tutto a spese di molti morti di fame. Questa e' una violazione radicale del progetto di Dio per il mondo. Dio sogna una societa' dove i beni siano a beneficio di tutti e non di pochi. Per fare questo serve una politica di giustizia che permetta di andare davvero verso un'economia di uguaglianza, che necessita di una religione del Dio libero. La chiesa deve ritornare ad esprimere quello di cui e' portatrice: quel sogno di Dio che Gesu' ha ripreso e rilanciato in quella "Galilea delle genti". Questo lo deve far suo e farlo sentire non come un'imposizione, ma come unica via per creare un mondo dove tutti possono vivere con dignita'. 6. RIFLESSIONE. VANDANA SHIVA: RICONCILIARSI CON LA DIVERSITA' [Dalla rete telematica riprendiamo questo estratto da un recente libro di Vandana Shiva, Biopirateria, CUEN 1999. Vandana Shiva, scienziata e filosofa indiana, direttrice di importanti istituti di ricerca e docente nelle istituzioni universitarie delle Nazioni Unite, e' impegnata non solo come studiosa ma anche come militante nella difesa dell'ambiente e delle culture native, è oggi tra i principali punti di riferimento dei movimenti ecologisti, femministi, di liberazione dei popoli, di opposizione a modelli di sviluppo oppressivi e distruttivi, e di denuncia di operazioni e programmi scientifico-industriali dagli esiti pericolosissimi. Altre opere di Vandana Shiva: Sopravvivere allo sviluppo, Isedi, Torino 1990; Monocolture della mente, Bollati Boringhieri, Torino 1995] In questi tempi di "pulizia etnica", mentre le monocolture si diffondono nella societa' e nella natura, riconciliarsi con la diversita' diventa un imperativo per la sopravvivenza. Le monocolture sono una componente essenziale della globalizzazione, che si basa sulla omogeneizzazione e la distruzione della biodiversita'. Il controllo globale delle materie prime e dei mercati rende le monocolture necessarie. Questa guerra alla diversita' non e' del tutto nuova. La diversita' e' stata messa in pericolo dovunque sia stata vista come un ostacolo. Le radici della guerra e della violenza stanno nel trattare la diversita' come una minaccia, una fonte di perturbazione e di disordine. La globalizzazione trasforma la diversita' in malattia e carenza, perche' non riesce a tenerla sotto controllo. L'omogeneizzazione e le monocolture introducono la violenza a molti livelli. Le monocolture sono sempre associate con la violenza politica, l'uso della coercizione, del controllo e della centralizzazione. Senza controllo centralizzato e forza coercitiva, questo mondo che e' dotato della ricchezza della biodiversita' non potrebbe essere ridotto a strutture omogenee, e le monocolture non potrebbero essere mantenute. Le comunita' e gli ecosistemi decentrati e autorganizzati producono biodiversita', mentre la globalizzazione produce monocolture controllate con la coercizione. Le monocolture sono associate anche alla violenza ecologica, sono una dichiarazione di guerra alle differenti specie della natura. E la violenza non solo porta le specie all'estinzione, ma controlla e mantiene le monocolture stesse. Le monocolture non sono sostenibili perche' sono inevitabilmente esposte al collasso ecologico. L'uniformita' infatti implica che un fattore di disturbo in una parte del sistema si traduca in fattore di disturbo per tutte le altre parti. La destabilizzazione ecologica quindi tende ad essere amplificata, non ridotta. Dal punto di vista ecologico la sostenibilita' e' legata alla diversita', che permette l'autorganizzazione e una molteplicita' di interrelazioni capaci di sanare i fattori di disturbo in ogni parte del sistema. La vulnerabilita' delle monocolture del resto risulta evidente nel caso dell'agricoltura. La Rivoluzione Verde, ad esempio, ha eliminato migliaia di varieta' locali di riso, introducendo al loro posto le varieta' standard dell'International Rice Research Institute (IRRI). Ma il riso IR-8, lanciato nel 1966, e' stato colpito dalla ruggine batterica nel 1968-69 e poi attaccato dal virus timgro nel 1970-71. Nel 1977, l'IR-36 e' stato reso resistente a otto tra le piu' importanti malattie, inclusi la ruggine batterica e il timgro. Ma come accade spesso con le monocolture si e' dimostrato vulnerabile agli attacchi di due nuovi virus (ragged stunt e wilted stunt virus). Le varieta' miracolo hanno distrutto la diversita' dei raccolti realizzati con i metodi tradizionali, e a causa dell'impoverimento della diversita' i nuovi semi hanno finito per favorire la proliferazione degli insetti nocivi. Le varieta' indigene sono resistenti agli insetti nocivi e alle malattie locali. Se si verifica una malattia, alcune famiglie possono esserne colpite, ma ce ne sono sempre altre in grado di sopravvivere. Quello che succede in natura si ripresenta anche nella societa'. Quando l'omogeneizzazione viene imposta a differenti sistemi sociali, le parti iniziano a disintegrarsi l'una dopo l'altra. Perche' la violenza intrinseca all'integrazione globale centralizzata, a sua volta, crea violenza anche tra le vittime. Quando le condizioni della vita quotidiana sono sempre piu' controllate da forze esterne e i sistemi di governo locale si deteriorano, i popoli finiscono per stringersi attorno alle loro differenti identita', che rappresentano l'unica ancora di stabilita' nei periodi di incertezza. Se la causa della propria insicurezza e' tanto lontana da non poter piu' essere rintracciata, allora succede che i popoli che fino a poco tempo prima avevano convissuto pacificamente, cominciano a nutrire diffidenza l'uno nei confronti dell'altro. I confini della diversita' diventano crepe di frammentazione e la diversita' stessa all'improvviso appare una ragione sufficiente a giustificare violenze e guerre, come si e' visto in Libano, India, Shri Lanka, Yugoslavia, Sudan, e danno luogo a forme di attrito sociale anche a Los Angeles, Germania, Italia e Francia. Quando i sistemi nazionali e locali di governo si disgregano sotto i colpi della globalizzazione, le elite locali cercano di conservare il potere facendo leva sui sentimenti etnici o religiosi, che quindi esplodono con rabbia. In un mondo caratterizzato dalla diversita', la globalizzazione si puo' realizzare solo strappando il tessuto variegato della societa' e della sua capacita' di autorganizzarsi. A livello culturale e politico, e' questa liberta' di autorganizzarsi che Gandhi ha individuato come il fondamento dell'interazione tra culture e societa' differenti: "Io voglio che le culture di tutti i paesi possano fiorire con il massimo grado di liberta', ma rifiuto l'idea di non poter camminare con le mie gambe", ha affermato Gandhi. La globalizzazione non e' solo l'interazione culturale tra le diverse societa', ma l'imposizione di una specifica cultura su tutte le altre. La globalizzazione non ricerca affatto l'equilibrio ecologico su scala planetaria. E' la rapina messa in opera da una classe, da una razza, e spesso da un solo genere, nonche' da una singola specie su tutte le altre. Nella filosofia dominante il "globale" e' lo spazio politico entro il quale il potere locale cerca il controllo globale, liberandosi dalle responsabilita' di operare a favore della sostenibilita' ecologica e della giustizia sociale. In questo senso quindi, il termine "globale" non sta affatto ad indicare gli interessi umani universali, ma semmai quelli di una cultura locale, di campanile, che e' stata globalizzata attraverso dominio e controllo, irresponsabilita' e mancanza di reciprocita'. La globalizzazione si e' realizzata in tre fasi. La prima e' stata la colonizzazione di America, Africa, Asia e Australia da parte delle potenze europee in un periodo durato 1.500 anni. La seconda fase ha imposto al mondo il concetto occidentale di "sviluppo" nell'era post-coloniale che copre gli ultimi cinque decenni. La terza fase che e' stata lanciata circa 5 anni fa, e' nota come l'era del "libero scambio". Secondo alcuni commentatori questa epoca che si e' appena aperta segna la fine della storia, ma per il Terzo Mondo invece e' semplicemente la storia che si ripete, con una nuova colonizzazione. Anche se ognuna di queste fasi della globalizzazione coinvolge nuovi attori e presenta nuove metafore, il loro impatto e' cumulativo. Ogni volta che l'ordine globale ha cercato di sradicare la diversita' e imporre l'omogeneita', il disordine e la disintegrazione anziche' ridursi sono aumentati. Dovunque la globalizzazione porta alla distruzione delle economie locali e delle organizzazioni sociali, spingendo le popolazioni in una situazione di incertezza, paura e scontro sociale. E la violenza contro la sopravvivenza dei popoli porta alla violenza della guerra. Vi e' una solo strada per contenere queste epidemie di violenza. Con sensibilita' e responsabilita' spetta a noi - chiunque siamo e dovunque ci troviamo - riconciliarci con la diversita'. Dobbiamo imparare che la diversita' non e' una ricetta per il conflitto e il caos, ma la nostra sola possibilita' per un futuro piu' giusto e piu' sostenibile in termini ambientali, economici, politici e sociali. E' la nostra unica strada per sopravvivere. 7. I PENSIERINI DI PEDALINO: COME L'ORCO TI SOGGIOGA [Il nostro buon dottore Eustachio Eucardio Carlostadio Pedalino ci invia questo suo pensierino che volentieri ospitiamo, e che il cielo ci assista] * Come l'Orco ti soggioga: ti rende uguale a lui, e solo allora si fa vincere, e divorare. E tu diventi l'Orco. 8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 9. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ; per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben at libero.it ; angelaebeppe at libero.it ; mir at peacelink.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 169 del 17 luglio 2001
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