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dieci riflessioni a un anno dalla guerra
- Subject: dieci riflessioni a un anno dalla guerra
- From: Alessandro Marescotti <kfqma at tin.it>
- Date: Mon, 13 Mar 2000 20:47:48 +0100
--- Bombe per Milosevic, carte bollate per Pinochet --- Dieci riflessioni a un anno dalla guerra 1. Per assicurare alla giustizia Augusto Pinochet si e' svolta una raffinata battaglia legale. La battaglia l'ha vinta Pinochet senza sparare, come invece fece nel 1973. All'ex torturatore cileno sono state riconosciute tutte le garanzie giuridiche che ad un qualsiasi "cittadino del mondo" spettano. E ad esse si sono aggiunte persino considerazioni umanitarie a tutela della salute e dell'eta' di Pinochet. In questa battaglia legale si e' anche arrivati a mettere fuori gioco, in Gran Bretagna, Lord Hoffmann, un giudice "colpevole" di essere troppo vicino ad Amnesty International. Tutta la vicenda si e' giocata (e si e' persa) sulle regole del diritto internazionale. Per quanto frustranti esse sono state sostenute e nessun politico ha detto: "Dobbiamo dare un colpo a Pinochet". Veltroni un anno fa disse in TV, con voce grave: "Dobbiamo dare un colpo a Milosevic". Con Pinochet nessun capo di stato, di fronte alle difficolta' e agli ostruzionismi frapposti dal collegio legale dell'ex-dittatore, ha pensato di ammazzare Pinochet. Non lo ha detto Clinton, non lo detto Blair, non lo ha detto D'Alema, non lo dice nessuno. 2. Gli stessi Clinton, Blair e D'Alema invece non hanno nascosto invece l'obiettivo di "togliere di mezzo" il dittatore Milosevic con missili e bombardamenti aerei. Per lui - con la guerra - era stata in altri termini emessa un anno fa una sentenza di morte. Il giorno che fosse stato fatto saltare in aria avremmo visto Clinton, Blair e D'Alema dire: "Abbiamo eliminato Milosevic, finalmente". A chi avesse chiesto se questo violava il diritto internazionale, la risposta sarebbe stata: il fine giustifica i mezzi. Morale: un obiettivo desiderabile non tollera oggi i "limiti" e il "garantismo" imposti dal diritto internazionale. 3. Che dire di queste vicende parallele di Pinochet e Milosevic? Semplice: per Augusto Pinochet sono valse le "frustranti" regole del diritto internazionale, per Milosevic no. Bombe per Milosevic, carte bollate per Pinochet. Non sono riusciti neppure a tenerlo in gabbia il dittatore, hanno fatto finta di credere a referti medici fasulli, lo hanno trattato coi guanti quei leader europei progressisti che nel 1973 applaudivano gli Inti Illimani cantando "El Pueblo Unido". 4. Si potrebbe affermare che eliminare Milosevic aveva una sua "attualita'" e "utilita'" mentre eliminare Pinochet sarebbe stato un gesto puramente nostalgico: occorreva sbarrare la strada a Pinochet ieri... (ma gli Usa lo sostennero tramite la Cia). Brutte storie, Clinton ha chiesto perdono per i tanti dittatori e i troppi torturatori di tal fatta sostenuti a suon di dollari, addestrati direttamente nelle scuole di tortura della Cia, di cui si attende ancora la chiusura ufficiale. Ma il passato e' chiuso. E tuttavia fu con quella esibizione golpista nell'America Latina, ben lordata di sangue e propagata in mondovisione, che il governo statunitense fece efficacemente comprendere ai comunisti italiani che avrebbero fatto la fine di Allende se non avessero capito, come poi ha fatto D'Alema, la strada da prendere per salvarsi la pelle e andare al governo, salvando capra e cavoli. E' dallo spauracchio del golpe e dal sacrificio di Allende che nasce la rinuncia all'intransigenza, la liquidazione di forme troppo popolari e partecipate di democrazia, la china del trasformismo e dell'accomodamento alla logica del piu' forte e infine l'abbraccio fra Bill e Massimo. Insomma, tutto in linea con la tradizione moderata risorgimentale in cui Cavour raccomandava di creare troppe aspettative nel popolo, isolando il "Bertinotti" di allora, cioe' Mazzini. 5. Troppo ampia e' la visuale che si apre, chiudiamola subito e limitiamoci all'attualita'. Lasciamo a chiunque il compito di valutare l'utilita' di una guerra che, un anno dopo, ha aumentato la violenza in Kossovo rendendo impossibile la convivenza che prima era difficilissima, operando il degrado del male in una situazionme ancora peggiore: di male in peggio, a schemi rovesciati, con i perseguitati trasformati in persecutori ancora piu' incattiviti. Ecco che la violenza - gia' di per se' repellente come mezzo - ha conseguito un obiettivo nefasto, smentendo la teoria (che vede le BR e la Nato abbeverarsi allo stesso pozzo) secondo cui con mezzi cattivi si possano conseguire fini buoni. Non stupisce che un ex sessantottini che ieri lanciavano le molotov e oggi sono ministri, come il ministro "verde" degli esteri tedesco, possano essere stati i maggiori sostenitori dei bombardamenti Nato sulle citta' della Jugoslavia. 6. Se qualcuno decidesse di fare una colletta per finanziare un killer ed ammazzare Pinochet, verrebbe arrestato come terrorista anche se il lavoro fosse "chirurgico" e non andasse di mezzo alcun bambino, alcuna donna, alcun passante. Se Clinton, Blair o D'Alema fanno una colletta di stato con i nostro soldi per uccidere Milosevic verrebbero arrestati? Neppure per sogno! E a definirli pubblicamente "terroristi" ci sarebbe da incorrere in una querela o, nella migliore delle ipotesi, in una solenne deplorazione. Al "terrorista" che mettesse una bomba sotto il sedere di Pinochet non resterebbe che affermare amaramente: "Io vado in galera per aver eliminato il tiranno senza uccidere un innocente, voi avete ucciso degli innocennti senza eliminare il tiranno e siete capi di governo". 7. Ma cosa e' del resto il terrorismo? Il terrorismo e' nato a volte per fini nobilissimi, si pensi alla eliminazione del tiranno con gli attentati anarchici. Con il terrorismo si sono accarezzati esiti auspicabili con mezzi brutali e violenti che avevano in se' il pregio della "scorciatoia", scavalcando le regole e le frustrazioni di stati e societa' in cui i potenti e i criminali avevano (e hanno) vissuto nell'impunita', erigendo uno stato di diritto di facciata e inefficiente e nascondendosi dietro di esso. Ma la scorciatoia del terrorismo e della violenza - in cui piu' di vent'anni fa hanno creduto le Brigate Rosse e in cui un anno fa (con la guerra contro la Jugoslavia) hanno creduto anche Clinton, Blair e D'Alema - demolisce le regole e crea un danno gravissimo a tutto cio' che abbiamo eleborato per conseguire e assicurare stabilmente il superamento dell'etica della clava e della brutalita'. 8. Di fronte alla tentazione e all'inganno del terrorismo c'e' chi vi ha creduto in buona fede, perche' il tempo della pazienza a volte finisce e si fa allora strada la voglia di scorciatorie. Non credo che l'etica delle Brigate Rosse sia nata solo nella mente dei brigatisti: la voglia di "dare un colpo", come disse Veltroni un anno fa (e non solo lui), alberga in milioni di persone. Ed ecco l'esigenza di un grosso lavoro di educazione, a partire dalla scuola. E' un lavoro pedagogico che andrebbe a delegittimare nel cuore dei giovani e degli uomini in generale la logica della violenza. Ne trarrebbe giovamento anche l'America, dove si va a scuola con la pistola, anticipando il servizio militare e sostituendo nelle aule i poligoni di tiro. 9. Con l'educazione alla pace e alla nonviolenza ne trarrebbe giovamento la societa', dunque. Ma non tutto cio' che giova alle societa' giova ai loro governi. Infatti l'educazione alla pace delegittimerebbe non solo la violenza sociale ma porrebbe sotto critica anche quella istituzionale e le lobby che pilotano la guerra. L'educazione di tal tipo coltiverebbe coscienze troppo sveglie e sensibili per sostenere certi giochetti e tante ipocrisie (vendiamo armi a chi fa stragi in Cecenia e in Kurdistan). E dunque non aspettiamoci da Berlinguer che promuova una cultura che apra gli occhi ai giovani (e agli stessi insegnanti). Certo lo vorremmo e lo avrebbe sognato lui stesso qualche anno fa un po' di sano movimento di idee per la pace nelle scuole: qualche marcetta pacifista l'ha fatta pure lui. 10. Ma oggi - per non creare problemi a nessuno e non pestare i calli ai potenti - l'educazione e la pedagogia sono "neutre". Un tempo non riuscivi a distinguere un chimico di destra da uno di sinistra: la chimica e' neutra (?). Oggi la neutralita' e' entrata nel campo dell'educazione, ossia in cio' che di meno neutro esista. Perche'? Per bloccare il nuovo ed espellere dalla pedagogia il progetto del cambiamento sociale, quel compito che don Lorenzo Milani, Danilo Dolci e Freire affidavano alla scuola e ad una nuova educazione popolare. Solo noi percio', dalla base, potremo quindi promuovere vera educazione, l'educazione alla pace. Cominciamo da subito con i bambini e i ragazzi, su Internet, nelle associazioni, dentro di noi. L'anno 2000 e' l'anno internazionale per la cultura della pace e il decennio a venire e' dedicato a questo compito che eleva gli uomini e produce in essi un dirompente effetto: li fa pensare. Alessandro Marescotti
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