LATINOAMERICA - centri di permanenza temporanea



In questi giorni si è scatenata una dura polemica sui Centri di permanenza
temporanea nel nostro paese.
A tal proposito ci è arrivata questa interessante testimonianza che Vi
inviamo per un maggior approfondimento.
La Redazione di Latinoamerica

RAGUSA - Fethia Bouhajeb, 39 anni, tunisina, dal '93 a Ragusa, mediatrice
culturale, ha presentato un esposto in Procura in cui denuncia una serie di
violenze, aggressioni, minacce di morte per se e il figlio di 7 anni da
parte di un gruppo di connazionali, di cui ha fatto nomi e cognomi, che
terrebbero sotto ricatto i tunisini in attesa di un permesso di soggiorno o
in cerca di assistenza, di una casa, di un lavoro.
La donna, diplomata in lingue straniere in Tunisia, insegnante e
animatrice, impegnata fin dal suo arrivo in Italia nella causa
dell'integrazione e dell'emancipazione delle donne arabe, come testimoniano
innumerevoli riconoscimenti pubblici del suo impegno e gli incarichi
ufficiali ricevuti da varie istituzioni, racconta di essere da circa cinque
anni nel mirino di questo gruppo.
<<Inizialmente pensavo che ciò dipendesse da un fatto per così dire
culturale, in quanto io ho sempre cercato di informare e aiutare le donne
arabe e forse questo dava fastidio. Poi alcuni episodi recenti mi hanno
illuminata. Nel novembre 2004, quando fu riaperto il Cpt di Ragusa, sono
stata chiamata a fare da interprete. Dopo appena un mese in cui avevo
ricevuto, anche con note ufficiali, pieno apprezzamento per la mia
professionalità, sono stata licenziata. Il commissario provinciale della
Croce Rossa che gestisce il centro, Giovanni Berretta, mi disse che era
molto dispiaciuto, ma io non ero gradita alla Questura.
Quando ero in servizio presso il cpt, tra gli altri episodi da me ritenuti
gravi, ne ricordo particolarmente uno. Ancora il Centro non era destinato
solo alle donne , ed un giorno alcuni immigrati fuggirono.Alcuni furono
ripresi e quando io arrivai uno di loro mi fece vedere dei segni di
violenza sul corpo. Gli altri suoi compagni  mi dissero che il ragazzo era
stato picchiato dalle forze dell'ordine quando era stato ripreso ed anche
dentro il CPT e di riferire questo al Berretta. Cosa che io correttamente
feci.
E mi risulta che Berretta protestò.
<<Vari episodi successivi - prosegue Fethia - mi hanno fatto capire ancora
meglio. Ho appreso che coloro che mi hanno più volte picchiata e malmenata
con violenza sono gli stessi che ricattano i connazionali, in particolare
gli interpreti imponendo loro anche di falsare il contenuto delle
dichiarazioni in determinati momenti della loro attività dall'arrivo di
clandestini nel porto, forse per coprire determinati scafisti o depistare
le indagini, agli atti di polizia giudiziaria e alle udienze in tribunale.
Ciò che dico è stato accertato quando un giudice del tribunale mi chiamò
per rivedere la traduzione di tutti gli atti di un processo ed emerse che
le dichiarazioni di alcuni tunisini erano state completamente distorte al
fine di fare incriminare un'avvocatessa ragusana che infatti subì un
processo e solo dopo la scoperta del falso è stata assolta>>.
Fethia ricorda di essersi più volte opposta a tali richieste e di avere
respinto anche la pretesa di alcuni dei suoi aggressori di conoscere
tempestivamente il nome degli imputati da assistere in atti giudiziari,
cosa che invece, secondo la denuncia presentata, altri farebbero
tranquillamente.
L'esposto parla anche di prestazioni sessuali imposte alle donne e di varie
forme di estorsione ai danni di numerosi connazionali, costretti ad
ubbidire alla banda per ottenere un permesso di soggiorno, o servizi e
vantaggi a cui avrebbero diritto.
Fethia, autrice di articoli e di un libro sulle donne tunisine in Sicilia,
ha subito la più grave delle aggressioni l'8 marzo scorso ( lo stesso
giorno in cui i quotidiani locali le dedicavano articoli per il suo impegno
sociale e culturale), quando fu ricoverata in ospedale per le ferite e le
lesioni riportate. Successivamente è sfuggita ad una "visita" notturna
nella sua abitazione in cui, secondo notizie apprese successivamente,  e
riferite nell'esposto, avrebbe dovuto "essere sottoposta a violenze
sessuali di gruppo e acidificata>".
"Per cinque anni ho denunciato tutte le aggressioni e le violenze
psicologiche subite alla questura ed ai carabinieri, e queste denunce sono
anche allegate all'esposto che ho depositato insieme al mio avv. Michele
Sbezzi  al Procuratore Fera
Finora ero stata frenata dalla paura che potessero fare del male a mio
figlio che va a scuola a Ragusa. Dopo essermi confidata con persone amiche
che mi conoscono da molti anni - confessa Fethia - ho vinto la paura ed ho
deciso di denunciare tutto, alla luce del sole. Ho fiducia nella giustizia.
Spero che tutti quelli che come me sono a conoscenza dei fatti da me
denunciati o di fatti simili, e sono tanti, parlino, per il bene delle
persone oneste. So già che a luglio quando sono iniziate le polemiche sul
CPT alcuni medici che lavoravano lì dentro hanno denunciato alla
televisione che avevano pressioni dalla polizia nello svolgimento del loro
lavoro.
Ora è il momento di essere tutti uniti e di avere il coraggio di lavorare
tutti insieme per un mondo migliore"
Questi fatti riaccendono i riflettori sopra il Centro di Permanenza
Temporanea di Ragusa situato in via Colajanni confermando ulteriormente che
queste galere etniche rappresentano in realtà dei luoghi di sospensione dei
diritti.
Il lungo elenco di fatti inquietanti accaduti nel cpt-lager di Ragusa; dal
caso della donna cinese detenuta a Ragusa pur essendo in possesso di
regolare permesso di soggiorno, la donna cinese scomparsa dall'ospedale di
Ragusa, le numerose fughe che avvengono sistematicamente da una struttura
di cui dovrebbe essere almeno difficoltoso superare la doppia recinzione,
la carente informazione alle migranti dei loro diritti come abbiamo
scoperto il 1 agosto, tutto questo e altro ancora; proiettano ombre
inquietanti su questa struttura.
Fethia ha rotto la coltre di silenzio. Il coraggio di Fethia deve essere
d'esempio per tutti coloro che sanno e che ancora non si decidono  a
parlare. Questa giovane donna tunisina ci sta dando una grande lezione di
civiltà e dignità contro la barbarie di chi vuole imporre la paura.

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