Il caffé solidale ha un testimonial: Rigoberta Menchù



di Wanda Marra    L'Unità

Un caffè per aiutare il difficile sviluppo di un paese che ha subito il genocidio e la dittatura militare: il futuro del Guatemala passa anche per il commercio equo-solidale. A presentare il Caffè della Pace ieri a Roma (nella sede dell'XI Municipio) è stato il Premio Nobel per la pace Rigoberta Menchù, simbolo della lotta dei nativi contro la violenza e la sopraffazione militare e culturale. La stessa Rigoberta ha istituito a Città del Guatemala una Fondazione che è impegnata nel sostegno delle popolazioni Maya, anche con l'aiuto di governi, associazioni e istituti stranieri. Tra i suoi compiti, la memoria e la costruzione di una classe dirigente, che porti con sé l'identità Maya. E adesso anche quello di costruire una rete di importazione diretta e solidale - ora in Italia, ma poi anche nel resto d'Europa - che garantisca una collocazione sicura del raccolto dei piccoli produttori di caffè sul mercato internazionale, evitando i numerosi passaggi degli intermediari che solitamente si impossessano della maggiore fetta di guadagno. Attori del progetto, oltre alla Fondazione, la Cooperativa Unione e Forza, che raccoglie 74 piccoli produttori, la Cooperativa La Terra e il Cielo che si occupa della tostatura, del confezionamento e della vendita del caffè, il Collettivo Guatemala-Moie che fa da tramite tra Italia e Guatemala.

Rigoberta, ci può spiegare quali sono gli obiettivi del commercio equo-solidale?

Credo che "il commercio giusto" abbia il grande pregio di far sì che la commercializzazione dei prodotti avvenga direttamente ad opera dei contadini, dei piccoli produttori, senza spazio per gli intermediari. È una grande opportunità per coloro che lavorano la terra di rimanere uniti, senza disperdersi. E poi c'è il tema della qualità. "Il Caffè della Pace", per esempio, è un caffè biologico. E così, i contadini sono portati ad usare prodotti biologici, e non solo chimici.

Che cosa pensa che potrà realizzare questo commercio nei prossimi anni?

Il commercio equo-solidale è ancora troppo poco rispetto a quello che gestiscono le grandi multinazionali. Ma spero che riusciremo almeno a conservarlo. E aiutare i piccoli produttori è già qualcosa. Certamente l'unica prospettiva positiva per il mondo è il ritorno al naturale. L'inquinamento danneggia la vita. E infatti, ci sono molte persone che vogliono sapere cosa mangiano. Per potenziare lo sviluppo del commercio "giusto" è importante il ruolo degli enti locali, che possono aiutare la vendita e fare pubblicità. E sarebbe utile affiancargli il turismo responsabile. La vendita, inoltre, ci può aiutare a investire in tecnologie, per produrre di più.

Oltre al caffè, quali prodotti potrebbe commercializzare in questo modo il Guatemala?

Noi abbiamo molta frutta, che potremmo esportare sia fresca che secca. E il nostro chinino potrebbe guarire la malaria quasi di tutto il mondo.

Qual è la situazione dell'agricoltura in Guatemala?

Come nel resto dell'America Latina, c'è stato lo sfollamento delle campagne verso le favelas urbane e c'è un'estrema povertà. E poi non esiste una vera concorrenza con i paesi del primo mondo. Basta pensare che il Canada spende 500 milioni di dollari per sostenere i propri prodotti e vendere il mais in Guatemala, che è in realtà la terra del mais. I nostri prodotti non riusciranno mai ad affermarsi finché i paesi del primo mondo aiuteranno con sussidi i loro agricoltori. E poi, per molti anni siamo stati impegnati nella sopravvivenza, non nella produzione.