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pc: C'era una volta l'Argentina
- Subject: pc: C'era una volta l'Argentina
- From: "AriannaEditrice" <arianed at tin.it>
- Date: Fri, 21 Dec 2001 17:15:41 +0100
Data: giovedì 20 dicembre 2001 0.27 Oggetto: C'era una volta l'Argentina 19 Dicembre 2001 HOME PRIMA PAGINA C'era una volta l'Argentina Un paese che era il granaio del mondo e dava lavoro a tutti. Oggi devastato e distrutto dal neoliberalismo e dai diktat del Fmi. Con il ministro Domingo Cavallo a passare il conto a una popolazione miserabile, frustrata e senza lavoro CLAUDIO TOGNONATO C'era una volta un paese ricco e promettente che attirava migliaia di emigranti di tutto il mondo, un paese capace di sfamare, prima la Spagna e più tardi l'Europa del dopoguerra. Oggi, questo paese offre al mondo globalizzato della finanza la possibilità d'investire con un tasso di profitto tra i più vantaggiosi al mondo. L'occasione si spiega con un primato incontestabile, sancito dalla Banca Morgan e dagli specialisti internazionali, ma - attenzione - il primato è quello di essere il paese a più alto rischio d'investimento del mondo. Non è stato semplice fare sprofondare l'Argentina. C'è voluto il susseguirsi di governi che, anche se diversi nel nome, hanno perseverato nell'applicazione delle ricette liberiste, prima durante la dittatura militare (1976-83), con Alfredo Martínez de Hoz, poi nella democrazia con il peronista Carlos Menem o il radicale Fernando de la Rúa e sempre con Domingo Cavallo. Il progetto economico resta quello "consigliato" dal Fondo monetario internazionale. Anche per questo motivo, non fa molta differenza che lo stesso Cavallo sia stato presidente della Banca centrale durante gli ultimi anni della dittatura. Perché questo almeno bisogna riconoscerlo, in questo ambito c'è stata una grande continuità. Dieci anni fa Cavallo, ministro delle finanze del peronista Menem, sanciva la parità tra peso e dollaro bloccando le fluttuazioni monetarie ma paralizzando l'attività economica. Ora, superministro dell'economia con il radicale De la Rúa, le alternative che presenta sono due: svalutazione o dollarizzazione, anche se si teme un colpo doppio. Venerdì scorso, lo stesso Cavallo, dopo essere riuscito a pagare 770 milioni di dollari in scadenza ed evitare ad ultimo momento l'annunciato default del paese ha dichiarato con sarcasmo che "sono i cittadini argentini a volere la dollarizzazione dell'economia", come se i singoli cittadini potessero ancora fidarsi di lui, quando solo dieci giorni fa gli sono stati congelati i depositi bancari (si può prelevare fino ad un massimo di 250 dollari alla settimana), sono stati sospesi i pagamenti delle pensioni e della tredicesima e sono stati tagliati di un 13% le pensioni e di un altro 13% gli stipendi degli statali. L'attuale crisi ha origine nella rottura di una coalizione tra le banche creditrici, le aziende transnazionali e i gruppi locali che insieme hanno lucrato nel governo di Menem con la privatizzazione delle aziende dei servizi, che prima erano statali. La svendita dello Stato ha dato grande liquidità al primo governo Menem, ma ormai il periodo del benessere è passato, non resta quasi nulla da offrire della Res-pubblica. Lo Stato si è ritirato da quasi tutti i settori dell'economia, ha venduto molte aziende e proprietà ma, chiuse le operazioni, lo si ritrova più indebitato di prima. Può sembrare strano ma, "la vendita dei gioielli della nonna" non ha generato riserve cospicue o nuove attività economiche ma nuovi debiti. Le transnazionali che hanno acquistato aziende di servizio pubblico premono per la dollarizzazione che garantirebbe loro mantenere i livelli di guadagno sul prezzo dei servizi (fra l'altro fra i più alti del mondo). Mentre, i gruppi economici che hanno venduto la loro partecipazione in quelle aziende vogliono una svalutazione che valorizzerebbe i loro capitali collocati all'estero in banche sicure. Davanti a questa crisi, e alle misure economiche del governo, le centrali sindacali hanno realizzato giovedì scorso uno sciopero generale che ha bloccato ogni attività del paese. Non ci sono stati mezzi di trasporto pubblico, le fabbriche, gli uffici, le scuole, le università tutto era deserto, garantiti solo alcuni servizi esenziali. A dimostrare la distanza tra il paese reale e la sua classe dirigente è stata la scelta del capo del partito d'opposizione l'ex presidente Menem (appena uscito dagli arresti domiciliari per corruzione), che quello stesso giorno ha voluto visitare il suo successore de la Rúa come segno di solidarietà. Ieri, lunedì hanno scioperato i ferrovieri di tutto il paese contro la decisione dell'italiana Techint che ha acquistato la gestione del "Ferroexpresso pampeano" e vuole riorganizzare l'azienda licenziando il 30% del personale. In coincidenza con lo sciopero generale di giovedì veniva diffuso l'indice ufficiale di disoccupazione che arriva ormai ad un 18.3%. Una percentuale appena inferiore al record stabilito nel 1985 con la crisi del Messico e il cosiddetto effetto tequila quando la disoccupazione toccò il tetto di 18.4%, anche se il numero dei disoccupati è ora maggiore in numeri assoluti. Le cifre sono allarmanti: il 34.6% della forza lavoro urbana (l'indice non misura quella rurale) non ha lavoro. Non solo, a questa percentuale si deve aggiungere un 16.3% di sottoccupati, persone che lavorano meno di 35 ore alla settimana. In totale si può dire che 4.8 milioni di argentini hanno problemi di lavoro. In questo quadro arriva anche la notizia della ristrutturazione del gruppo Fiat che, vista la situazione, ha deciso di trasferire lo stabilimento dell'Iveco in Brasile. Il governo di "centro-sinistra" di de la Rúa è sempre più isolato. Oltre allo sciopero generale di giovedì scorso, ora deve vedersela anche con la "consultazione popolare" promossa da diverse associazioni di diritti umani che insieme alla Central de los trabajadores argentinos (Cta) di Victor De Gennaro, un sindacato che sta erodendo la base di massa della tradizionale Cgt, hanno dato vita al Frente contra la pobreza. Venerdì sono stati aperti tavoli in 579 città e centi di tutto il paese con oltre 20.000 seggi dove si può esprimere l'adesione alla proposta del Fronte: sussidio mensile di 380 dollari ad ogni capofamiglia disoccupato e un contributo minimo di 180 per anziani senza pensione. Le urne si sono chiuse ieri sera raddoppiando le previsioni più ottimistiche con oltre 2 milioni di adesioni. Oltre al sussidio l'idea è anche quella di rilanciare i consumi che continuano a diminuire anche nei beni di prima necessità e alimenti. L'allarme è alto e in questi giorni è ricomparso un fenomeno che dalla crisi economica del '89 non si vedeva: nella città di Mendoza, Rosario ed Entre Ríos la popolazione ha saccheggiato alcuni supermercati e solo la repressione della polizia ha impedito l'allargamento della protesta. La preoccupazione è stata tale che in tutti i casi si è tentato di sedare la sommossa distribuendo scatole con alimenti. Ma non era l'Argentina il granaio del mondo? Ma non sono queste le domande che si pongono gli organismi finanziari internazionali. Il Fmi ha fatto sapere che se nei prossimi giorni non vengono approvati dal parlamento i tagli al bilancio per il 2002, ovviamente già ridotto all'osso, l'organismo annullerà ogni credito per tutto il 2002. La situazione non è facile neanche per il governo in quanto i dirigenti della maggioranza e dell'opposizione si sono detti entrambi contrari ad un ennesima riduzione della spesa pubblica. Il governo è solo e in minoranza sia alla Camera che al senato. In questo clima è arrivata anche la condanna di Human Rights Watch. I rappresentanti di questo organismo internazionale per i diritti umani si sono riuniti la settimana scorsa con il presidente de la Rúa contestando la mancanza di una politica del governo per fare luce sulla vicenda dei desaparecidos e il rifiuto a concedere l'estradizione degli ex militari richiesta più volte da vari paesi europei (fra cui l'Italia). Sono ormai anni che si susseguono lunghe file davanti al consolato italiano. Molti argentini vogliono emigrare, aggrapparsi alla scialuppa della cittadinanza italiana e abbandonare la nave che ormai fa acqua dappertutto. E' quanto meno indicativo che ad avere un passaporto italiano in tasca sia pure lo stesso ministro Cavallo. Il timore dell'esplosione Atmosfera tesissima in Argentina. Anche ieri sporadiche proteste nelle province e nei sobborghi di Buenos Aires. Si temono altri assalti come quelli di giovedì e lunedì (nella foto Ap). Il paese è bloccato in attesa dell'approvazione della finanziaria per il 2002 presentata dal ministro Cavallo al Congresso: nuovi tagli da 9 a 40 miliardi di dollari. Da dove salteranno fuori? Al Fmi non interessa, se l'Argentina vuole nuovi crediti per evitare il defualt deve tagliare. Ma tagliando rischia di esplodere. De la Rua e Cavallo hanno fretta ma l'opposizione peronista, ora maggiorritaria in Congresso, nicchia. Caos argentino Assaltati i supermercati in varie città Ondata di saccheggi e scioperi in Argentina. Dopo il supermercato di Rosario saccheggiato giovedì, si sono ripetuti episodi simili nella provincia di Mendoza (1.000 Km dalla capitale), a Concordia e nell'estrema periferia di Buenos Aires. In un quartiere della capitale centinaia di donne e bambini si sono presentati davanti ad un megastore della Carrefour e, per evitare il peggio, i dipendenti hanno distribuito carrelli pieni di alimenti. Da ieri la polizia bonaerense ha deciso di aumentare la vigilanza davanti ai principali supermercati. Tutta l'Argentina vive ore di caos dopo le ultime misure governative che impediscono di ritirare dai depositi bancari più di 1000 dollari al mese. Soprattutto è l'aumento della povertà (40% degli argentini) e della disoccupazione a spingere molte famiglie alla disperazione. Il governo definisce i saccheggi "provocazioni di alcuni agitatori che vogliono mettere zizzania". Però è un fatto inconfutabile che sono in aumento anche le astensioni dal lavoro. Ieri è toccato al settore dei trasporti con il blocco totale dei treni a lunga, media e corta distanza. Per mercoledì è annunciato lo sciopero dei medici di 50 ospedali di Buenos Aires contro il piano di riaggiustamento provinciale. Il governo De la Rua sta per presentare il piano di bilancio per il 2002: una delle condizioni per avere il nuovo prestito del Fmi. Ma nel paese si dibatte solo di svalutazione o di dollarizzazione. L'amministrazione nega di volere adottare il dollaro ma gli osservatori sono ormai convinti che per salvare l'Argentina e gli investimenti stranieri questa rimane l'unica soluzione. Il biglietto verde del resto è già l'unica moneta utilizzata nelle vendite al dettaglio.
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