el salvador: dopo la vittoria dell'fmln



MONDO DOPO La VITTORIA ELETTORALE DEGLI EX-GUERRIGLIERI
salvador la rivincita
Il successo elettorale degli ex guerriglieri del Frente Farabundo Martì è un
evento storico per tutto il Centroamerica, agitato negli ultimi vent'anni del
secolo da sanguinose guerre civili. Ma la giovane democrazia salvadoregna fa
fatica a liberarsi del passato e rivela tutta la sua fragilità. Disoccupazione,
violenza, diseguaglianze sociali gettano un'ombra al futuro del Paese
Ruggero Tedesco
      era da aspettarselo, perché i sondaggi lo preannunciavano, ma il successo
elettorale degli ex guerriglieri del Frente Farabundo Martì para la Liberaciòn
Nacionàl è andato oltre le previsioni. Probabilmente non governeranno, ma le
elezioni del 12 marzo hanno decretato che l'Fmln è diventato il primo partito
del Paese, con 31 deputati su 84 (contro i 29 di Arena e i 14 del Pcn). Il
successo dell'Assemblea legislativa è stato, poi, doppiato da quello ottenuto lo
stesso giorno alle elezioni amministrative con 78 sindaci eletti. _ anche un
successo personale per Hector Silva, il sindaco della capitale, rieletto con
ampio consenso nonostante una virulenta campagna di discredito lanciata dal
candidato delle destre. _ lui l'uomo nuovo di El Salvador e sarà lui il
candidato della sinistra alle elezioni presidenziali del 2004.
Quello che si è verificato il 12 marzo è dunque un evento storico per tutto il
Centroamerica, agitata negli ultimi 20 anni del secolo da sanguinose guerre
civili, e El Salvador conferma di essere un interessante laboratorio per tutti i
Paesi in via di sviluppo. Non senza incertezze e gravi problemi da risolvere".
San Salvador con le scintillanti torri che spuntano un po' dovunque a contenere uffici e rappresentanze di multinazionali si sta rapidamente modernizzando. Ormai nei moderni centri commerciali di stile americano si può trovare qualsiasi genere di prodotti, dalle automobili alle scarpe italiane, ai gioielli di Cartier, ma non sono certo gli abitanti degli interminabili barrios poveri e fatiscenti, che sfilano ai lati delle autostrade a corsie multiple, coloro che possono permetterseli. 
Lì vive l'immenso popolo del sub-empleo, quello delle mille iniziative per sopravvivere e ingrossato ogni giorno dall'esodo massiccio dalle campagne: sono gli idraulici improvvisati, i riparatori di gomme di automobile, le donne che impastano tortillas ai semafori o che vanno a servizio delle famiglie abbienti, i vigilantes armati fino ai denti posti a difesa non solo delle banche, ma dei più esigui parcheggi e dei più anonimi negozi di abbigliamento, di cartolibrerie, di parrucchiere per signora. 
E la criminalità è, dopo quella della miseria, la principale emergenza del Paese: tutta la campagna elettorale dell'ultimo mese aveva registrato questa preoccupazione, Fmln in testa. Non c'è giorno, infatti, che in questo piccolo Paese di poco più di sei milioni di abitanti (il più densamente popolato del Centroamerica), non si registrino in maniera impressionante omicidi, furti, sequestri di persona e stupri da parte di bande delinquenziali, le marasche terrorizzano la capitale e le più piccole comunità di


 campagna. _ questo un fenomeno di grandi proporzioni, che funesta anche il vicino Honduras. Le bande sono formate generalmente da giovani, con un loro linguaggio e gestualità, e sono certo il prodotto della miseria e della disoccupazione cronica, ma anche eredità della guerra che ha spinto molti ad emigrare clandestinamente negli Usa (si calcola che la comunità statunitense sia di due milioni di persone) e a crescere nella marginalità violenta di Miami o di Los Angeles. E ora tornano al loro Paese d'origin


e, rimpatriati a forza dal Dipartimento di Giustizia statunitense. Non c'è mese che i giornali non riportino la notizia di delinquenti deportati, prima ancora di aver scontato tutta la pena, per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri. Si calcola che, annualmente, siano più di un migliaio i condannati per omicidio, spaccio di droga e reati sessuali liberati. Queste bande che assaltano fattorie, o semplici passanti nelle città, trovano molto spesso protezione all'interno dei reparti di poliz


ia, dove la corruzione sembra endemica e resistente alle periodiche epurazioni
Chi è passato da queste parti e ha vissuto, se pur per periodi limitati, la guerra civile che si è protratta dal 1979 al 1991, non ha potuto non notare con sorpresa sui giornali e i manifesti elettorali i nomi di Schafik Handal, Salvador Sanchez Cerén, Nidia Diaz e di altri dirigenti del Fmln che hanno deposto i fucili e si sono gettati nella competizione politica. I tempi in cui i giornali del mondo riportavano la notizia dell'assassinio dell'arcivescovo Oscar Romero (1980), dei sei professori gesuiti dell


'Università Centroamericana (1989) e delle centinaia di vittime, donne e bambini compresi, della repressione dell'Esercito in piccoli villaggi come El Mozote o a Rio Simpùl sembrano lontani. 
Ma la democrazia, da queste parti, è un frutto cui non sono bastati otto anni per maturare e i rapporti dialettici tra i partiti o le correnti all'interno dello stesso blocco di interessi si regolano ancora troppo spesso con le armi. Così non è raro rinvenire nelle campagne cadaveri di sindacalisti e di militanti scomodi. L'ultimo episodio di sangue è del 3 febbraio e riguarda due militanti del Pan, partito di estrema destra ed erede delle famigerate milizie civili, alleato elettorale di Arena accusata di e


ssere il mandante dell'omicidio. 
La giovane democrazia salvadoregna fa ancora fatica a liberarsi del passato e, alle sue prime prove, rivela tutta la sua fragilità. Ma tutto sembra in movimento. 
Ma cosa è successo a El Salvador dalla fine della guerra civile e cosa succede oggi? _ successo che le ingenti somme stanziate dal Fondo Monetario Internazionale, dagli Usa e dalla Ue, per rimettere in marcia l'economia, sanare le ferite della guerra e dare sollievo alla povertà cronica della maggior parte della popolazione, sono state convogliate in programmi di politica economica che ha beneficiato in maniera visibile solo la classe dirigente e aumentato gli squilibri strutturali della società. Seguendo i


 rigidi dettami del Fmi, imposti per altro a tutto il Centroamerica, dal Nicaragua al Guatemala, la politica dei vari governi succedutasi dal 1992 a oggi, ultimo il governo di Francisco Flores (Arena), si è costantemente ispirata a principi rigidamente liberisti con privatizzazioni a tamburo battente (dall'energia elettrica, alle telecomunicazioni, al Fondo Pensioni) e una politica del credito che ha privilegiato soprattutto i settori delle costruzioni (27 per cento di tutto il credito concesso) e del comme


rcio (24 per cento), relegando industria (14 per cento) e soprattutto agricoltura (8 per cento) al ruolo di cenerentole, pur rappresentando di gran lunga i settori di maggiore occupazione. 
A leggere i programmi elettorali delle principali forze politiche in campo, si capiva subito quale fosse il vero nodo della questione. Tutti hanno professato l'impegno ad allargare la partecipazione dei cittadini alla vita politica (e questo era un preciso impegno sottoscritto da tutti davanti all'allora segretario dell'Onu, J. Perez de Cuellar), ma lo scontro c'è stato sul modello di sviluppo economico: gli uni (Arena e i suoi alleati) impegnati allo spasimo ad attrarre capitale straniero sotto qualsiasi f


orma, a dibattere l'utilità di adottare il dollaro Usa come moneta nazionale (la dolarizaciòn è un tema di grande attualità in tutta l'area, vedi l'Ecuador); l'Fmln a osteggiare la privatizzazione degli ultimi scampoli di servizi a gestione pubblica come la Sanità (in gennaio e febbraio agitata da una interminabile serie di scioperi), a reclamare un ruolo di reale controllo dell'economia da parte del Banco Central de Reserva e il sostegno all'agricoltura (arretrata e, in più, danneggiata recentemente dall'u


ragano Mitch). 
Insomma, da una parte c'è chi esaltava le maquilas (insediamenti industriali dove le multinazionali utilizzano il basso costo della mano d'opera, le scarse garanzie sindacali e le facilitazioni fiscali: vere e proprie "zone franche" dove le materie prime importate sono trasformate in prodotti che prendono subito la via dell'esportazione), dall'altra c'è chi perseguiva ancora il mito della collettivizzazione nelle campagne, che ha pur generato deludenti risultati economici e scarso consenso fra gli stessi ca


mpesinos. Al di là di tutto El Salvador può ben dirsi un laboratorio di ogni soluzione e, nel panorama politico internazionale il suo processo di pacificazione è considerato dall'Onu un modello da applicare in tutti i Paesi dilaniati dalle guerre civili. 
Ci sono cose positive che non sfuggono all'attenzione e, se Š evidente un processo di concentrazione della ricchezza (solo un poco pi— estesa alle nuove leve di commercianti e "palazzinari"), Š altrettanto innegabile un miglioramento della rete stradale, o una riforma della scuola che ha tolto dalla strada gran parte dei bambini (ora un bambino su due entra in prima elementare ma, confrontato con Paesi vicini come il Nicaragua o il Guatemala il dato non Š del tutto sconfortante). 
Un Paese cambiato rispetto a quello che fu, per vent'anni, teatro di una spaventosa violenza che aveva distrutto villaggi, era penetrata nelle famiglie, nei luoghi sacri, nelle scuole. Ô un Paese che rincorre disordinatamente la modernizzazione e lo stile di vita dei Paesi industrializzati, con una bilancia commerciale fortemente in passivo, un'economia totalmente dipendente dai Paesi ricchi, ma che ha saputo integrare nella logica parlamentare un partito combattente come i guerriglieri del Fmln. 	
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FONTE: AVVENIMENTI - ANNO XIII - N. 71


 


PIER LUIGI GIACOMONI
rhenus at libero.it

Net-Tamer V 1.11.2 - In Prova

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