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tra gli indios della colombia
- Subject: tra gli indios della colombia
- From: PIER LUIGI GIACOMONI <rhenus at libero.it>
- Date: Fri, 31 Mar 2000 07:24:47 +200
Quanti hanno potuto nella loro storia personale entrare in contatto con popoli poveri hanno sempre dovuto constatare che, malgrado tutte le sciagure che li colpiscono, sciagure che non hanno mai fine, essi dimostran sempre un'allegria, un'ospitalita', un'affabilita', una cordialita' che noi abbiamo perduto. E' lo stesso sentimentoche ho provato leggendoil lungo reportage apparso oggi 30 marzo sul corriere della sera su certi indios della colombia. BUONA LETTURA, PLG ------------------------------------------------------------------------------- In Colombia il governo ha permesso a un primo gruppo di deportati la costruzione di nuove case nella giungla. E il viaggio, tra zanzare e macerie, è stato euforico Gli indios alla riconquista della selva Tre anni fa vennero cacciati a migliaia dai loro villaggi. Ora comincia il rientro di ETTORE MO Ma gli interessi delle società minerarie e la lotta alla droga rischiano di far aumentare il numero degli indigeni espulsi TURBO (Colombia) Tre anni fa li avevano cacciati dai loro villaggi, dopo avergli bruciato le case, rubato il bestiame e massacrato 70 contadini inermi; poi i soldati dell'esercito colombiano li avevano caricati su una flottiglia di zattere, chiatte e barche e sbarcati a Turbo, dopo giorni di perigliosa navigazione.è una delle tante storie di desplazados (intraducibile con un solo aggettivo, la definizione riguarda le persone che, sradicate dai loro paesi e deportate, sono costrette a vivere in esilio coatto in luoghi estranei) che l'anno scorso in Colombia, secondo un'organizzazione per i diritti umani, avrebbe raggiunto la bella cifra di 288.127, un primato assoluto tra i Paesi del Sud America.Il mese scorso, grazie alla magnanimità del governo di Bogotà, che aveva acconsentito ad un loro graduale rientro, una sessantina dei 3800 desplazados di Cuenca Cacarica sono tornati nella selva dove un tempo sorgevano i loro pueblos: e io sono andato insieme a loro per fiumi e per canali in un viaggio che pareva non terminasse mai. è stata una gran fatica, ma anche una gran festa.Turbo è una cittadina affacciata sul Golfo de Uraba, dove confluiscono le acque gelide dell'Atlantico. I deportati di Cuenca Cacarica vivono qui dal febbraio del '97: sono sistemati in specie di case-accampamenti che chiamano alberghi, le famiglie (molto spesso numerose) pigiate in piccole sudicie stanze e baracche. La cucina è in comune, nel cortile, sotto la tettoia. Benchè l'organizzazione umanitaria Justicia y Paz si dia molto da fare, il cibo è scarso, i bambini hanno fame.Quasi ogni famiglia lamenta un desaparecido e per quest'aggettivo non c'è bisogno di traduzione. "Le principali organizzazioni non governative dei diritti umani scrive nel prologo di un suo libro il giornalista Hernando Salazar Palacio ù ritengono che il numero dei desaparecidos in questo Paese s'avvicini ai diecimila. Se ciò fosse vero, saremmo al livello di Paesi come l'Argentina durante la dittatura militare Sono tre, a Turbo, gli "alberghi" dei desplazados: il più grande, il "Coliseum", era un complesso sportivo, qui dormono tutti (famiglie intere, ragazzi e ragazze, vecchi e bambini in chiassosa promiscuità) in uno stanzone vasto come una piazza d'armi. Per gente di campagna come loro, abituati al duro lavoro quotidiano della terra, non potrebbe esserci disagio peggiore che restare indolenti tutto il santo giorno: "Ci hanno condannato alla disoccupazione permanente dice Pedro Torres, 74 anniNessuno ci offre lavoro, così abbiamo perso la nostra dignità. Io son vecchio, mi resta poco da vivere, ma mi sono già messo in lista per tornare al mio pueblo. è là che voglio morireE' stato costituito un comitato-familiari delle vittime, 32 donne che sono madri, vedove, sorelle dei desaparecidos. Ognuna di loro ha una tristissima storia da raccontare: la signora Aurora, che ha perso il figlio di 26 anni, scomparso da casa; Alicia Mosquera, che non sa più nulla del marito e del fratello; Mirna Luz, 28 anni e 7 figli, cui hanno assassinato il marito; Anna Faria e Nubia Valencia, ambedue giovanissime e ambedue già "vedove Sono tutte rassegnate al loro destino: perchè non è mai successo che un desaparecido torni a casa. Questo può accadere coi sequestrati, se i familiari pagano il riscatto. Ma chi scompare non lascia traccia: scompare per sempre.Al "Coliseum" c'è anche il comitato dei patriarchi e il comitato delle matriarche, che hanno la saggezza degli anni e possono quindi esercitare una certa autorità. Mi mostrano un piccolo monumento e, accanto, un grafico naif che illustra la loro tragedia. "Noi eravamo degli onesti lavoratori, dei campesinos qualunque comincia a raccontare uno dei più anziani, il volto di cuoio stagionato ma, si sa, ci hanno sempre accusati di sostenere i guerriglieri della Farc, le Forze armate rivoluzionarie. Ed ecco che il 22 febbraio 1997 arrivano i militari nei nostri villaggi, con gli elicotteri: circa duecento uomini. Prima, però, ci avevano bombardato con l'aviazione. Scendono e sparano. Ci fanno uscire di casa e sparano, siamo nelle loro mani per tre giorni. Alla fine lasciano sul terreno una settantina di cadaveri. Si prendono le nostre bestie ed appiccano il fuoco. Tutto è in fiamme: le case, il bosco, i raccolti. Ci spingono fuori, verso il fiume... Neanche il tempo di guardarti indietro. Ce ne andiamo con gli occhi pieni di lacrime e di fumoL'obbiettivo non dichiarato dell'assalto a quella manciata di villaggi sul fiume Cacarica era di militarizzare l'intera area per ripulirla dei guerriglieri Farc che ne infestavano le foreste sino ai confini con il Panama. Ma questo era solo un primo passo, dietro cui si celava sono in molti a sostenerlo un piano molto più ambizioso: la realizzazione d'un progetto (contemplato nel Colombian Plan Pacific) che prevede la costruzione di un mega-canale, capace di unire l'Oceano Atlantico al Pacifico, sulla sponda colombiana. Un'impresa che potrebbe essere portata a termine soltanto con grandi finanziamenti internazionali (leggi americani) e che relegherebbe il Canale di Panama ad un ruolo di comprimario.Gli ecologisti sono in allarme: perchè si tratterebbe di fare esplodere la terra e di aprire una ferita lunga e profonda nel cuore dello Stato di Choco, sfruttando la sua immensa riserva idrica e con un danno incalcolabile per la natura e per l'ambiente. Se questo avverrà, la gente del luogo sarà costretta a migrazioni di massa ed il Paese dovrà far fronte ad una nuova valanga di desplazados. Si tratta di un dramma in continua espansione, alimentato sia dalla guerriglia sia da megaprogetti industriali per lo sfruttamento del sottosuolo (spaventosamente ricco) che, se attuati, comporterebbero come inevitabile conseguenza lo sradicamento di piccole e grandi comunità dai luoghi d'origine. Paradossalmente, il fenomeno dei desplazados subirà un ulteriore incremento grazie anche agli aiuti economici (i 1600 milioni di dollari del Plan Colombia) che gli Stati Uniti hanno promesso al Paese per distruggere le coltivazioni della coca e combattere il narcotraffico.Lo afferma senza esitazione proprio il dipartimento dei Diritti umani che si occupa direttamente dei desplazamientos (Codhes), avvertendo che l'aiuto Usa provocherà un inasprimento del conflitto armato e, quindi, la fuga di tanta gente: "Le stesse autorità statunitensi si legge nel rapporto ù calcolano che almeno 150 mila persone saranno desplazados nel Sud del Paese, moltiplicando la crisi umanitaria che si vive in Colombia Una crisi che si sta internazionalizzando, come dimostra il fatto che non meno di 12mila campesinos colombiani hanno trovato rifugio in Venezuela, Panama, Ecuador. Ma verranno quasi certamente rimpatriati, perchè nessuno di quei governi sembra disposto a considerarli rifugiati politici. "Insomma sbotta il vecchio Pedro Torres è una situazione senza via d'uscita. Per noi non c'è scampoEd è proprio nel mezzo di questo clima esasperato che i desplazados di Turbo hanno deciso di profittare del timido consenso del governo (in conflitto coi militari) a un parziale, limitato rientro dei deportati in alcune zone e mandare avanti, nella selva di Cacarica, il drappello dei pionieri. Raramente m'è capitato di vedere tanta allegria come la mattina dell'imbarco. Manca un'ora a mezzogiorno quando la Negrita Linda un panciuto barcone verde preso all'arrembaggio da una sessantina di persone, uomini e donne, giovani e meno giovani, ma anche qualche anziano salpa verso il golfo. Sulla banchina c'è tutta la folla dei tre "alberghi" venuta a salutare. Centinaia di mani accompagnano uno stonatissimo coro di voci che canta "vamos a cruzar el mar... Ma siamo già lontani. Le donne hanno cominciato a cucinare il pranzo ù riso, spaghetti, pesce in marmitte enormi. Accanto alla Negrita Linda sfrecciano tre velocissime lance che ci accompagneranno per tutto il viaggio: ci precedono, ci inseguono, giocano nell'acqua come delfini. Il golfo è molto ampio e ci vuole qualche ora prima di raggiungere la "bocca" del grande fiume Atrato che serpeggia fino al Cacarica dentro un paesaggio incontaminato e sonoro con grappoli di scimmie che ti salutano dalle cime degli alberi. C'è solo un momento di panico, a bordo: ed è quando una motovedetta accosta il barcone e ci blocca. Sulla Negrita Linda nessuno osa fiatare. è comprensibile. Dall'altra imbarcazione, una dozzina di paramilitari, il mitra puntato in alto, scrutano con un sorriso di sfida la ciurma dei desplazados. Sono stati loro, insieme all'esercito, a cacciarli dalla terra dei padri: e adesso digrignano i denti al pensiero che vi possano tornare legalmente. Ma la presenza, sul barcone, di rappresentanti del governo li dissuade da ogni possibile bravata e se ne vanno via, ingrugniti e scazzati. La Negrita Linda arriva fino a un certo punto, poi si deve arrendere: la sua chiglia non è compatibile col canale Parancho, che imbocchiamo per arrivare a destinazione. è un tortuoso budello colmo di fango dove finisce per incagliarsi anche la sottile lancia La Resistenza che dovrà accompagnarci per l'ultimo tratto. Armati di pertiche, i ragazzi spingono avanti la barca con gran fatica, metro per metro, stimolandosi a vicenda con imprecazioni e grida, come dovessero strapparla a una colata di cemento: ma tutto ciò non gli impedisce di divertirsi come una scolaresca in gita-premio e decine di pesci che guizzano nell'acqua torbida sono tramortiti da tremende perticate e scaraventati a bordo. Finalmente la lancia attracca, al buio. La ciurma scende a terra, stremata e felice: e col pescado fresco per la cena. Nell'oscurità s'intravede la sagoma di una casa, ma per raggiungerla bisogna aprirsi la strada col machete tra erbacce alte due metri, barricate di tronchi d'albero crollati a terra, intrecci di liane resistenti come reti metalliche. è la sola costruzione risparmiata dai "banditi in uniforme" nel febbraio del '97, dice Edwin, 27 anni, che fu cacciato di casa insieme al padre (desaparecido), la madre e 8 fratelli: "Le bestie uscivano urlando dalle stalle e dai fienili in fiamme", racconta. La mano degli scatenati piromani si è fermata davanti a quest'unico edificio (un residuo di rispetto? Paura del castigo divino per un gesto sacrilego?) perchè si trattava della chiesa. Sopra la porta che non c'è più ù sta scritto: "Jesus sis la luz y la verdad Le pareti sono di legno, il tetto di lamiera. Sul fondo, un blocco di cemento che doveva essere l'altare. Portano fuori le panche per avere tutto lo spazio possibile sul pavimento. è la nostra camerata. Ognuno si sistema come può, un rettangolo dove adagiarsi, per dritto o per traverso, sotto il baldacchino della zanzariera, indispensabile alla sopravvivenza: perchè i mosquitos, digiuni per tanto tempo di sangue umano, ci si avventano addosso famelici e altro non resta, per difendersi, che spiaccicarli sulla pelle con una manata. Chi può dormire? Per tutta la notte la santa dimora risuona di schiaffi. E di risate. Niente più mi sorprende. I reduci dall'esilio di Turbo affrontano l'alba del nuovo giorno con lo stesso buonumore. La cucina da campo è già stata approntata sullo spiazzo di fronte alla chiesa, dove una dozzina di donne, acceso il fuoco, sta armeggiando attorno a fumiganti pentoloni per preparare il desayuno, la colazione. Ma al clima euforico del rientro sta ora subentrando dice uno dei capi la fase dei "piedi per terra": è infatti venuto il momento di stabilire il programma, già tracciato sulla carta, con scadenze precise, giorno dopo giorno, e di formare le squadre, cui verranno affidate mansioni diverse. Le decisioni saranno prese in assemblea e nessuno vi si potrà sottrarre o agire per conto proprio. Ciò che dovrebbe emergere, sulla base di queste poche indicazioni, è una comunità autonoma e autosufficiente, nella quale vengano equamente spartiti le fatiche e gli utili, un po' come avviene nei kibbutz israeliani. Ma prima che si cominci a discutere il programma nei dettagli, uno degli uomini che potrebbe essere un sacerdote legge un brano della Bibbia e intona il "Padre nostro", coinvolgendo un po' tutti nelle preghiere: e il versetto con cui conclude il suo breve intervento ("verrà il giorno che la terra darà i suoi frutti") sembra riguardare direttamente questo sperduto angolo del mondo, ora che la sua gente è appena tornata e ricomincerà a zappare, seminare, mietere. L'obiettivo immediato, frattanto, è la costruzione di 430 abitazioni per altrettante famiglie, che non saranno però assembrate in un solo villaggio, ma sparse tutt'intorno, vicino ai coltivi, sia pure entro un raggio limitato (per questioni di sicurezza). L'ingegnere Don Ramon è venuto fin quassù col suo modellino in plastica, che tiene in braccio come un neonato, saranno case tutte uguali, di legno, che lui già vede far capolino tra il fitto dei boschi. Il nuovo pueblo di Cuenca Cacarica, rinato per volontà dei reduci di Turbo, si chiamerà "Nueva Vida La terra qui è ricca, fertile e darà i suoi frutti, come dice la Bibbia: ma occorreranno tempo, pazienza e fatica per liberarla dall'eccesso di vegetazione selvaggia che l'opprime, dissodarla e addolcirne le viscere; poi s'apriranno i pascoli e arriverà il ganado, il bestiame; in quanto al pesce, nessun problema: il canale ne è strapieno: i ragazzi che si sono appena tuffati in acqua, tendendo la rete dall'una all'altra sponda, ne riemergono subito dopo con un bottino impressionante. Ma bisogna calarsi a fondo nella realtà colombiana per capire cos'abbia spinto questa gente a tornare sui propri passi, in una terra che non promette rose, e ad affrontare lo stesso calvario. Dice il ragazzo che mi offre la noce di cocco dopo averla "aperta" col machete: "Da Turbo si poteva andare a Bogotà come ha fatto qualche mio amico. Non ho notizie di loro. Ma la cosa più facile, per quanto ne so, è finire al Cartucho, tra i drogati, o entrare nel giro della piccola criminalità. Meglio qui, anche se dura L'entusiasmo ha avuto il sopravvento su tutto, in questa fase iniziale del ritorno. Ma c'è un timore che continua a serpeggiare nell'animo di molti; c'è una domanda che certamente alcuni si pongono: e se tornassero i paramilitari? Ho sentito uno dei capi (Fernando) raccomandare agli uomini di non allontanarsi dal campo oltre il limite di sicurezza consentito: e, soprattutto, di non avventurarsi mai da soli nella selva. "Siamo in piena zona di guerra ha detto ù: spero ve ne rendiate conto Per i militari come per la guerriglia, questa è "terra di frontiera", quindi strategicamente molto importante; è anche ricca di alberi e legno pregiato, un "genere" che garantisce vasti profitti. è il momento del commiato. Stanno tutti allineati sulla sponda del canale e fanno un gran casino: "Raccontate la nostra storia", raccomandano. Poi, sempre agitando festosamente le mani mentre la lancia scivola via dolcemente sull'acqua, "ricordatevi gridano noi desplazados siamo gente che nŠ si vende nŠ si compra. ------------------------------------------------------------------------------- FONTE: CORRIERE DELLA SERA - 30/3/2000 PIER LUIGI GIACOMONI rhenus at libero.it Net-Tamer V 1.11.2 - In Prova ------030300200021052049NTI--
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