Re: elogio della prevenzione - kofi annan



Quale contributo alla discussione, allego il testo di una lettera / risposta di Alberto L'Abate ed Etta Ragusa all'articolo in questione.
Il testo è disponibile anche sul sito (di recente aggiornato) di Campagna Kossovo (http://www.peacelink.it/kossovo/).

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Mister Kofi Annan
Segretario Generale ONU
 
Abbiamo letto la traduzione italiana del suo articolo "Elogio della
prevenzione", pubblicato in "The World in 2000" (The Economist
Publications / Internazionale n. 7 / 13.1.2000) e Le scriviamo per
esprimere il nostro pieno consenso in merito alla Sua affermazione che
"nei prossimi 20 anni dobbiamo imparare a prevenire i conflitti, oltre che a
intervenire per fermarli". Importante compito al quale, secondo noi, se si
vuole assicurare una stabile convivenza civile mondiale, si deve
aggiungere anche quello della mediazione e della riconciliazione nelle
aree in cui si è già intervenuti militarmente nel passato ventennio per
difendere i diritti umani e la sicurezza internazionale.

Condividiamo anche la Sua analisi sulle principali cause che determinano
"il fallimento delle misure preventive quando queste sarebbero
chiaramente possibili". E in base al nostro pluriennale impegno in
Kossovo possiamo senz'altro affermare con Lei che "la mancanza di
volontà politica della comunità internazionale ai livelli più alti" è la causa
più determinante nella degenerazione dei conflitti sia interni agli Stati che
tra gli Stati.

Come movimento di base, fin dal '93 abbiamo sollecitato con numerosi
documenti il Governo italiano - membro delle Nazioni Unite e voce
autorevole nell'area balcanica oltre che partner privilegiato della Serbia
dopo gli accordi di Dayton - ad adottare strategie adeguate sia politiche
che economiche perché fossero rispettati i diritti umani e si evitasse il
conflitto armato in Kossovo, ma, purtroppo, senza alcun risultato.

Invece abbiamo potuto constatare che la società civile, sia in Kossovo
che in Italia (nel momento in cui veniva correttamente informata), non solo
si dichiarava favorevole a che i diritti umani fossero difesi a livello
internazionale, ma si augurava anche che tale difesa non fosse attuata
mediante l'uso delle armi.

Questo ci porta a credere che l'istituzione di Corpi civili di pace, più volte
raccomandata dal Parlamento Europeo, qualora fosse attuata, non solo
incontrerebbe il consenso unanime dei cittadini, ma potrebbe svolgere un
ruolo determinante sia nella prevenzione e risoluzione non armata dei
conflitti, sia nel difficile processo di mediazione e riconciliazione qualora
dovessero ancora verificarsi casi di intervento armato da parte della
comunità internazionale. Inoltre tali Corpi civili di pace potrebbero anche
contribuire a ridurre o addirittura ad abbattere quelle "barriere istituzionali
reali" di cui Lei parla, con grande beneficio per la democrazia, per il buon
governo e per la stessa convivenza pacifica.

Perciò, convinti che "la risoluzione non violenta dei contrasti è l'essenza
stessa della democrazia" - come Lei giustamente afferma - e anche
consapevoli sia della mancanza di volontà politica nazionale e
internazionale ai livelli più alti sia della organica lentezza delle istituzioni,
dopo il recente conflitto armato abbiamo deciso di continuare il nostro
impegno per il Kossovo con un progetto di appoggio alle locali ONG per
capacitarle al dialogo, alla riconciliazione interetnica ed alla promozione e
protezione dei diritti umani.

Infatti i nostri tre gruppi pilota che si sono recati in Kossovo dopo la guerra
hanno constatato che esiste una concreta volontà di riconciliazione a
livello di base, sicuramente meno appariscente e meno citata degli
episodi di vendetta, e che è ancora valida la rete di rapporti umani
costituitasi in  questi anni tra noi e vari gruppi locali democratici, culturali e
umanitari, oltre che con altre associazioni del volontariato internazionale
che operavano in Kossovo prima della guerra.

Abbiamo sentito il bisogno di comunicarLe tutto ciò per farLa partecipe
che, a differenza della comunità politica internazionale, la società civile è
ben disposta verso la prevenzione dei conflitti e che alcuni settori del
volontariato di base impegnati per la pace e per la non violenza già
stanno sperimentando forme di prevenzione e di riconciliazione.

Ci auguriamo vivamente che le Sue esortazioni e la Sua analisi siano
accolte dalla comunità internazionale e, con viva speranza in un futuro
migliore di democrazia e di pace per tutti i popoli, La salutiamo con
profonda stima
 
                                                      Etta Ragusa
                             coordinatrice della Campagna Kossovo
                                                   Alberto L'Abate
                          responsabile del progetto di riconciliazione
 

Grottaglie/Firenze, 14.1.2000
 

P.S.
Ci permettiamo di allegare copia del nostro progetto insieme ad alcune
notizie sulla Campagna Kossovo e La ringraziamo per l'attenzione che
vorrà accordarci.

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PIER LUIGI GIACOMONI wrote:

Anche se non rientra esplicitamente negli obiettivi delle liste di discussioni
su cui viene pubblicato, ritengo interessante l'analisi formulata
sull'economist dal Segretario Generale dell'ONU  Kofi Annan sulla necessita' di
prevenire i conflitti.
A PRESTO, PLG
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Elogio della prevenzione

di Kofi Annan

I conflitti sono come le malattie: un intervento preventivo puo evitare le
conseguenze piu gravi. Parla il segretario generale delle Nazioni Unite

Negli ultimi vent'anni abbiamo capito che e necessario intervenire militarmente
nei paesi in cui i governi violano gravemente i diritti umani e la sicurezza
internazionale. Nei prossimi vent'anni dobbiamo imparare a prevenire i
conflitti, oltre che a intervenire per fermarli. La piu dispendiosa delle
politiche di prevenzione e comunque piu economica, in termini di vite e
risorse, del meno costoso degli interventi.

Ecco perche abbiamo esortato la comunita internazionale a considerare piu
seriamente la prevenzione. Dal punto di vista dei costi e dei benefici e una
scelta assolutamente necessaria.

In un recente studio la Commissione Carnegie per la prevenzione dei conflitti
armati ha stimato che il prezzo pagato dalla comunita internazionale per le
sette grandi guerre degli anni Novanta, esclusi il Kosovo e Timor Est, e stato
di 199 miliardi di dollari. Aggiungete questi ultimi due conflitti e la cifra
salira probabilmente a 230 miliardi. Una prevenzione efficace avrebbe potuto
farci risparmiare gran parte di questa somma. E, cosa ancor piu importante,
avrebbe potuto salvare migliaia di vite umane.

Spesso le divergenze rischiano di trasformarsi in contrasti e i contrasti
rischiano di diventare conflitti mortali. Spesso i segni premonitori vengono
ignorati e le richieste di aiuto trascurate. Solo dopo la morte e la
distruzione ci decidiamo a intervenire, con costi umani e materiali molto piu
elevati e con meno vite rimaste da salvare. Solo quando e troppo tardi
sembriamo essere in grado di comprendere l'importanza della prevenzione.

Le cause dei fallimenti

A mio parere sono tre le cause principali per il fallimento delle misure
preventive quando queste sarebbero chiaramente possibili.

Primo, la riluttanza di una o piu parti coinvolte nel conflitto ad accertare un
intervento esterno di qualsiasi tipo. Secondo, la mancanza di volonta politica
ai livelli piu alti della comunita internazionale. Terzo, la mancanza di
strategie integrate per la prevenzione di un conflitto nelle Nazioni Unite e
nella comunita internazionale. Fra tutte queste cause, la mancanza di volonta e
quella piu determinante. Senza la volonta politica di agire quando e necessario
nessun tentativo di azione coordinata o di minaccia preventiva potra tradurre
la consapevolezza in azione.

I fondatori delle Nazioni Unite, che formularono il suo statuto, conoscevano
bene la natura umana.

Erano stati testimoni della capacita dell'uomo di condurre una guerra con una
brutalita senza pari e una crudelta senza precedenti. Erano stati testimoni,
soprattutto, del fallimento della prevenzione quando sarebbe stata possibile:
come durante gli anni Trenta, mentre si moltiplicavano i segnali che
preannunciavano la guerra.

Dobbiamo realisticamente ammettere - e ovvio - che in alcuni casi la completa
insolubilita dei conflitti e l'ostinazione delle parti in guerra rendono
improbabile un successo dell'intervento. Ma anche guerre che una volta
cominciate si rivelano inarrestabili avrebbero potuto essere evitate con
un'efficace azione preventiva.

Non ci culliamo nell'illusione che le strategie di prevenzione siano semplici
da applicare. Innanzi tutto i costi della prevenzione devono essere pagati nel
presente perche possano dare dei benefici nel lontano futuro. E questi benefici
non sono tangibili: quando l'azione preventiva riesce, non succede nulla.
Assumersi un rischio politico del genere quando i vantaggi evidenti sono pochi
richiede molta convinzione e una grande lungimiranza.

In secondo luogo ci sono delle barriere istituzionali reali alla cooperazione.
Nei governi nazionali e nelle agenzie internazionali, i responsabili della
sicurezza di solito non s'interessano molto allo sviluppo e al governo; e i
responsabili di questi due aspetti raramente li osservano dal punto di vista
della sicurezza. Mettere a fuoco questi limiti non e un'impresa disperata. Ed e
una condizione necessaria, se non sufficiente, per un primo passo avanti.

Le Nazioni Unite hanno a lungo sostenuto che il buon governo, la
democratizzazione, il rispetto dei diritti umani e le politiche per uno
sviluppo equo e sostenibile sono la forma migliore di prevenzione a lungo
termine dei conflitti. La trasformazione degli schemi di conflitto e di governo
negli anni recenti - soprattutto di fronte al problema della nascita della
democrazia - conferma ampiamente le nostre convinzioni.

I vantaggi della democrazia

Nel corso degli anni Novanta c'e stata una netta riduzione della conflittualita
mondiale, anche se poco notata. Sono finite piu guerre di quante ne siano
cominciate. Fra il 1989 e il 1992 si sono aperti in media otto conflitti etnici
ogni anno; oggi la media e di due all'anno. Fra il 1992 e il 1998 la portata e
l'intensita dei conflitti armati in tutto il mondo si sono ridotte di circa un
terzo. Il numero di governi eletti democraticamente e aumentato piu o meno
nella stessa proporzione.

Non possiamo saltare alla conclusione che l'aumento del numero di democrazie
abbia determinato la riduzione della belligeranza. Altri fattori, come la fine
della Guerra fredda, hanno certamente giocato un ruolo importante - anche se le
due cose sono ovviamente legate.

Ma questi dati contribuiscono a confermare una teoria finora poco
pubblicizzata: le democrazie hanno tassi di violenza interna molto piu bassi
delle non democrazie. Non c'e molto da stupirsi: la risoluzione non violenta
dei contrasti e l'essenza della democrazia. In un'era in cui il 90 per cento
delle guerre ha luogo all'interno degli Stati anziche tra di loro, l'importanza
di questo dato per la prevenzione dei conflitti e evidente.

La prevenzione non e una panacea. I governi devono agire in buona fede e
mettere il benessere dei cittadini al di sopra degli interessi di parte. Ma
sappiamo che alcuni governi - quelli piu inclini allo scontro - vedono le
politiche di prevenzione, in particolare quelle che spingono verso la
democrazia e il buon governo, come una minaccia ai loro poteri e privilegi.
Quindi di solito finiscono per rifiutarle.

Il fatto che la prevenzione non puo funzionare ovunque e un buon argomento
contro l'ottimismo piu ingenuo, ma non contro un attivo impegno a favore della
democrazia, del buon governo e delle altre politiche di prevenzione. Questi non
sono solo valori importanti in quanto tali. Sono anche fra i piu potenti ed
efficaci antidoti al flagello della guerra.
FONTE: THE ECONOMIST - GRAN BRETAGNA
       TRAD. IT. A CURA DI INTERNAZIONALE - N. 316 - 7-13/1/2000
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PIER LUIGI GIACOMONI
rhenus at libero.it

Net-Tamer V 1.11.2 - In Prova

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