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Capitini: cose che scrissi su PeaceLink nel 1994



Col pacifismo non si fanno soldi (a differenza di cio' che puo' fare
un'associazione culturale o ambientalista con gli sponsor), si fatica come
cani e si mira all'aspetto della formazione della coscienza morale. Oggi
tutto cio' significa fare i fessi, fare
le tartarughe rincoglionite per chi invece mira a fare incetta di voti
presto e
bene per un cambio di maggioranza.

Don Milani riproverava ai comunisti di lavorare poco sul piano culturale,
nelle
case del popolo, ebbe da tirare le orecchie ad Ingrao, forse l'unico della 
direzione del PCI che allora si fece la scarpinata fino al suo esilio sul 
cocuzzolo del monte, a Barbiana.

Ho parenti in una zona rossa al 70% che gestiscono l'edicola. Che si legge? 
Schifezze, immondezza. Ma si vota a sinistra.

Quando si perde il carisma ideologico - com'e' successo - e non si e'
seminato 
sul piano culturale... il futuro e' nero.

Mi ricollego a Capitini, a quanta attenzione poneva sul lavoro di ampio 
respiro, quello che opera nelle coscienze. Dovrebbe essere un'impegno di noi 
insegnanti nelle scuole. Dovremmo andare il pomeriggio gratis se non altro
per 
responsabilita' morale, per la preoccupazione che nasce dal vedere ragazzi 
sorridere di fronte al sorgere del razzismo, per costruire relazioni nuove,
per
far nascere  l'esigenza di leggere un buon libro, per ridare fiducia... E' la 
base per la cultura del dialogo e della pace... invece... fuggi fuggi 
generale... scuole abbandonate e poi si scopre che il quadro militante della 
sinistra proviene dalle scuole...

Quanti insegnanti fuggono da scuola perche' hanno l'impegno politico?
Quanti insegnanti deludono?

Oggi ho paura delle scorciatoie, ho paura di chi vuol vincere in sei mesi. 
Finiremo per perdere tutto.


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Oggi i pacifisti sono soli. Esattamente come lo e' stato Capitini
durante la sua vita. Non che non si riescano a fare cose valide,
importanti e - a volte - con un discreto seguito. Ma cio' che
salta agli occhi e' la difficolta' di essere pacifisti, la
solitudine di progettare - nei momenti importanti - in pochi, di
vivere la continua incertezza delle proprie scelte, di
scommettere contro il proprio fallimento, di sfidare le facili
ironie.

Stiamo parlando del pacifismo vero, non di chi faceva le marce
oceaniche e mobilita le piazze per far cadere il governo. Di
molti di quei marciatori di dieci anni fa oggi non si vede piu'
l'ombra. Erano pacifisti?

Vedo uno parallelismo storico fra la vicenda di Capitini e quella
dei pacifisti oggi, al di la' della "solitudine". Il punto e' che
Capitini non schiero' la nonviolenza e la sua cultura nel
panorama dei partiti. E i partiti decretarono un'espulsione, una
rimozione del persiero e della vita di Capitini. Anche oggi la
non organicita' del pacifismo alla vita dei partiti attuali  ha
provocato una sorta di embargo nei confronti della cultura della
pace e della nonviolenza: troppo tempo richiede, poco a noi ci
frutta, cosi' si ragiona a sinistra.

La scorciatoia. Come il marxismo scelse la scorciatoia invocando
l'efficacia della violenza rivoluzionaria, cosi' oggi ci si
orienta sulle nuove scorciatoie, sui mezzi efficaci, e chi
prospetta di lavorare - come Capitini - nell'animo delle persone,
nelle relazioni, nella cultura popolare, viene (mal) sopportato
come "palla al piede".

Fare presto, essere efficaci, non dilatare i tempi della presa
del potere. Come per il leninismo cosi' oggi per il
parlamentarismo viene invocata la rapidita'. La selezione dei
mezzi non in relazione al fine ma alla pressante esigenza di
potere: potere subito.

L'"onnicrazia" di Capitini, il "potere di tutti", ha in questo
contesto politico la sua negazione e in cinquant'anni a sinistra
e' cambiato tutto tranne che nel filo conduttore: far presto, non
lavorare nella vita quotidiana, nella cultura della gente. La
grande stagione della "partecipazione popolare" - gli anni '70 -
vide la nascita o il crescere di quelle forme di potere diffuso
che Capitini auspicava: i consigli di quartiere, le assemblee
studentesche e gli organi collegiali, la partecipazione nei
consultori e nelle USL, negli ospedali psichiatrici, i consigli
di fabbrica, ecc. Ma la parola magica "partecipazione" si
sgonfio' per assenza di una cultura della partecipazione, per
un'assenza di progetto e di idee, per uno sfiancamento delle
migliaia di cittadini che furono lasciati soli negli organi della
partecipazione dimezzata. La partecipazione e' fallita e oggi
tiriamo avanti imbarazzati - ad esempio nella scuola - i
brandelli di una creatura diventata un mostro: genitori che non
si presentato piu', gli insegnanti che vollero i decreti delegati
ormai fantasmi sopravvissuti ad un'ideale fallito perche' mal
gestito e abbandonato alle ortiche.

Da questa disfatta nel sociale Capitini esce oggi da maestro del
pensiero politico, da saggio che prevedeva.

Non ne escono bene coloro i quali hanno scelto le scorciatoie,
hanno trasformato la partecipazione in lottizzazione, hanno
gestito come appropriazione personale (vedi USL) cio' che doveva
essere riappropriazione popolare.

Non ne escono bene coloro che, nonostante tutto, non hanno fatto
alcuna autocritica su questo e continuano a privilegiare il
proprio potere sul potere dei cittadini.

E veniamo al cuore della questione: Capitini fu un eretico della
politica e un fedelissimo della coscienza.

E chi da pacifista oggi fa altrettanto si aspetti solo la
solitudine politica di Capitini, l'embargo ostile di chi non
vuole un pacifismo autonomo ma un associazionismo allineato.

Perche' oggi i pacifisti sono pochi?

                               Alessandro Marescotti  30/9/94 - PeaceLink



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Alessandro Marescotti
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