sul ''problema'' della lingua



giro un'intervista a Graziella Favaro del centro COME di Milano
e un articolo di repubblica che ne conferma, riportando gli stessi dati ministeriali, alcune affermazioni

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Tetto del 30% agli studenti "stranieri"
in ballo 500 scuole, quasi tutte al Nord
I numeri del ministero indicano che il problema esiste soprattutto nel Settentrione. Una ricerca della Moratti dimostrava che gli italiani vanno meglio in classi multietniche

di SALVO INTRAVAIA

http://www.repubblica.it/scuola/2010/01/09/news/quote_scuole_immigrati-1890790/

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La sociologa Graziella Favaro:
"Solo chi è appena arrivato ha problemi
Nove su dieci parlano benissimo"
La Stampa: "L'unico vero problema è la lingua"
09-01-2010
«Se il tetto del 30% si riferisce agli alunni che non parlano italiano, allora mi pare un'indicazione positiva, che comunque già era contenuta in circolari precedenti. Se invece parliamo di alunni stranieri in generale, allora trovo che ci siano molti dubbi sull'applicazione e non vedo la ragione per cui specificare un tetto». Graziella Favaro, pedagogista, autrice di numerosi libri sull'integrazione scolastica, ha fatto parte della Commissione scientifica del ministero sull'educazione interculturale.
Il ministro sostiene che l'iniziativa serve a evitare le classi-ghetto.
«Le situazioni di forte concentrazione di alunni stranieri in una sola classe o in una sola scuola, in Italia, sono molto ridotte. Consideri che il dato nazionale medio è di 7 allievi stranieri ogni 100. Certo, è una media, e ci sono realtà con percentuali più alte. Milano è la grande città a maggiore presenza, col 20%. L'Emilia Romagna è la prima regione. Ma è importante dire che, dei 700 mila studenti stranieri presenti, sempre di più sono quelli nati in Italia. Il ministero dell'Istruzione ha calcolato che i neoarrivati, quelli che non parlano italiano, sono il 10% del totale ogni anno». Ma se solo il 10 % non parla italiano sono, il problema del tetto non esiste... «E' la domanda che ci facciamo. Anche considerando che il 10% arrivato l'anno scorso abbia ancora dei bisogni linguistici, arriviamo comunque al 20%. Quindi il dubbio è cosa si intenda per stranieri: se sono i non italofoni, già in passato si invitava a non metterli tutti nella stessa classe. Se invece parliamo di bambini nati qui, senza cittadinanza italiana ma che hanno già fatto l'asilo nido e la scuola dell'infanzia qui, perché dovrebbero rientrare in questa quota?» Come si può rispettare questa percentuale, poi, in quartieri in cui la presenza degli immigrati è molto alta? «Le scuole dove c'è una grande percentuale di stranieri a volte si originano non tanto perché in quei quartieri vive realmente il 90% di immigrati, ma perché sono disertate dagli italiani. E' chiaro che queste scelte non vanno bene a monte: occorre responsabilizzare tutti i dirigenti scolastici, indagare le situazioni caso per caso, per trovare le risposte più adatte. Poi c'è il discorso dei piccoli centri».
Cioè?
«In alcuni piccoli comuni c'è un'unica scuola, che resta aperta perché sono arrivati i bambini stranieri. Come si applica in questo caso il tetto? Non possiamo chiedere di spostare gli alunni per chilometri e chilometri per trovare un'altra scuola. Infine, resta la domanda su come applicarlo alle superiori».
Perché?
«I ragazzi stranieri spesso scelgono gli istituti professionali, l'alberghiero e il turistico: ce ne sono a Milano un paio dove la presenza di immigrati è del 70-80%. Hanno scelto quella scuola: cosa facciamo, li togliamo da lì?»