R: il mondo a una svolta e i beni comuni



Carissimi amici,


Le politiche di una Nazione giustamente vanno elaborate in comune con l'apporto costruttivo di tutti.

Sono in tanti e molto bravi a parlare senza dare un senso pratico alle parole.

Nel nostro paese va di moda il consigliare, criticare, senza arrivare al nocciolo del problema, privi di soluzioni pratiche le quali dal punto di vista economico, diano un apporto sostenibile all'innovazione.

 

Nell'era attuale di inquinamento e di clima martoriato, parlano tutti di Fonti alternative.

Passata la buriana di Sigmund Freud, di Charles Darwin o di Einstein sorpassato dai Neurini, adesso è il momento di reclamizzare il Fotovoltaico o l'Eolico, per convincere gli sprovveduti a spendere per ciò che ci viene già fornito dal Monopolio Elettrico Nazionale a costi di gran lunga superiori alla media mondiale.

 

Se le fonti alternative fossero veramente la soluzione più economica al problema, considerando l’insieme delle tematiche correlate, sarebbe interesse del Gestore Nazionale a risolvere la crescente richiesta di Energia Elettrica e non  prendendo per il collo i privati, obbligandoli a capitalizzare con sistemi di limitata efficienza che vanno ad accrescere i costi.

 

Nel 1990 presentai all’Enel un progetto di sfruttamento di una nuova energia naturale continuamente disponibile in Natura, (giorno e notte) purissima e per giunta gratuita. Qualche giorno più tardi mi chiamò il Garante dicendomi che non erano in cerca di innovazioni, avevano sufficienti progetti per far fronte al futuro dell’Energia Elettrica del nostro Paese.

 

I progetti ai quali alludeva il Garante erano il Nucleare. Un progetto fallito in partenza, che è costato agli Italiani fior di miliardi sprecati.


Questa in sintesi è l’Italia delle parole incrociate, degli indovinelli, il paese delle capre e di quel tizio che costruì con i soldi dei lavoratori tanti palazzi in Svizzera e poi fu accoppato.

Poi arrivò un altro che dovette dimettersi perché era troppo onesto. Poi ancora un altro che scappò in Africa Settentrionale dove morì di crepacuore.

Poi arrivarono tanti altri, tutti esperti in quello che non si deve fare, sino all’arrivo del grande uomo, il Bolognese, il simpaticone che fu rovesciato insieme al suo Economo, oggi promosso Governatore della Banca d’Italia.                          


Sarebbe veramente da chiedere, ma a che cosa mirano gli Italiani?

Avevamo sperato tanto nell'On. Berlusconi, come la soluzione di tutti i nostri mali, aveva le capacità, ma purtroppo la crisi, il Debito Pubblico regresso, la Globalizzazione, Mercato Comune, l’Euro, Fabbriche che chiudono, gli avvoltoi, la Disoccupazione in aumento, le Pensioni a 90 anni, meglio di 65 o 67, i muri e le montagne che crollano, la Kasta con i privilegi addizionali, i giovani senza lavoro e senza futuro. 

 

Sembra che l’Italia sia arrivata al capolinea di un pensiero comune distruttivo, non importa, facciamo lavorare i vecchi, gli ultra ottuagenari, dalla cima ai piedi della Piramide. Importiamo frutta e verdura dall’opposta estremità del mondo e qui al posto dell’agricoltura, viene fortemente incoraggiato di ricoprire le campagne di piante fotovoltaiche, che non danno frutti e neppure erba per alimentare le nostre capre.

 

Parlano tutti e per farsi sentire un po’ di più si appoggiano a vicenda, in modo se casca uno, casca anche l’altro, ma a pagare le spese sono tutti quelli che hanno riposto la fiducia in persone che hanno terribilmente deluso.

Anthony Ceresa.


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----Messaggio originale----
Da: lonanoda at tin.it
Data: 03/11/2011 6.44
A: "economia"<economia at peacelink.it>
Ogg: il mondo a una svolta e i beni comuni

Vittorio Prodi a greenreport.it: «Il mondo a una svolta, troverà fondamento nei beni comuni»
 [ 31 ottobre 2011 ]
 
Luca Aterini

«Se finora la società ci ha spinti a mettere al centro i consumi materiali, noi dobbiamo ribaltare questa tendenza, riscoprendo e valorizzando altri aspetti dell'esistenza e un nuovo modo di essere nel mondo, capace di meraviglia per le cose di ogni giorno, nell'aspettativa che dai rapporti con altre persone arrivi anche un arricchimento personale: occorre andare oltre la tolleranza. La situazione climatica ci costringe a ripensare il nostro stile di vita, ma questo non è necessariamente un elemento negativo anzi può essere un enorme passo avanti».
Vittorio Prodi, una laurea in fisica in tasca ed una qualifica di parlamentare europeo storicamente impegnato per la sostenibilità - nonché quella di membro della Sottocommissione sui diritti umani e dell'Envi (Commissione parlamentare per l'ambiente, la sanità e la sicurezza alimentare) - col suo libro "Il mondo a una svolta", gratuitamente fruibile anche sul suo sito internet, in un tempo dove la parola più pronunciata è "crisi", rimarca la presenza di uno spiraglio che parla di nuove possibilità, anziché insormontabili difficoltà, e non aspetta altro di essere conquistato. Prodi, contattato da greenreport.it, nell'ottica della sua esperienza europeista, offre una propria visione di tale spiraglio.
Parla di un mondo pronto a svoltare: cosa ci aspetti dietro l'angolo, però, ancora non è dato vedere.
«La svolta che dobbiamo attuare è quella da un mondo basato esclusivamente sulla produzione ed il consumo di beni materiali ad un mondo che dovrà dedicare una sostanziale attenzione a suoi elementi immateriali, legati al concetto di beni comuni. Si tratta di una svolta complessa, che comprende in sé molteplici aspetti, a partire da un aspetto che ho particolarmente a cuore, quello della transizione energetica, dalle fonti fossili a quelle rinnovabili, con l'obiettivo di una comunità europea decarbonizzata al 2050. Un obiettivo possibile, che comprende l'esigenza di una nuova infrastruttura energetica europea che renda possibile tale passaggio.
L'ammodernamento della rete elettrica, ad esempio, deve affiancarsi all'obiettivo comune di costruire una dorsale in corrente continua che attraversi l'Europa, riducendo ad un terzo le perdite delle attuali linee in alternata e riducendo l'esigenza di immagazzinare energia. Una simile rete ad alta efficienza, ad esempio, permetterebbe di gestire fonti idroelettriche (concentrate su Alpi e Scandinavia) e campi eolici sparsi nei Paesi membri come un tutt'uno, rendendo molto più prevedibile e gestibile un approvvigionamento energetico basato su fonti rinnovabili.
Tutto questo, senza dimenticare come la pressione del cambiamento climatico ci imponga un'accorta e costante manutenzione del territorio: una battaglia che porto avanti da 10 anni, ma che ancora certo non può dirsi vinta - basti vedere i recentissimi disastri in Toscana e Liguria. Un'adeguata manutenzione del territorio è si costosissima ma, oltre che indispensabile per diminuire il rischio di incendi e gestire le fitte precipitazioni, permetterebbe di raccogliere grandi risorse dai residui agricoli e forestali raccolti, tanto da sfruttare tale biomassa per ottenere qualcosa come una tonnellata equivalente di petrolio per ettaro, ogni anno. Data anche la nostra dipendenza dalle importazioni di gas, è dunque necessario pensare a costruire una filiera di raccolta e trattamento del gas ottenuto tramite pirolisi o trattamento anaerobico della biomassa, provvedendo anche al suo inserimento in rete, per poi e farne un uso ad altamente efficiente, in cogenerazione o rigenerazione».
Di fronte a tali esigenze, però, la politica degli stati nazionali è sempre più debole di fronte alla globalizzazione economica e finanziaria. Come vede possibile, in questo contesto, riaffermare il primato della democrazia?
«Ho cercato di dare una risposta a questo quesito considerando l'attuale, forte interdipendenza tra i vari stati e i suoi effetti sulla sovranità degli stessi. Sfide come il cambiamento climatico sono globali, e per superarle serve una risposta globale. Allo stato delle cose, tutti i paesi sono interdipendenti, e la loro sovranità non è più quella assoluta che gli stati nazionali si illudono di avere, e che hanno già in parte perso. L'unico modo per riacquisire sovranità è gestirla assieme: per quanto riguarda gli stati europei, esiste l'Unione.
Abbiamo di fronte un problema politico, che contrappone speranza e paura. I conservatori fomentano quest'ultima, affermando che verremo macinati dalla globalizzazione, quando invece abbiamo la possibilità di gestirla in modo consensuale, insieme. Dobbiamo diffondere speranza affrontando gli spartiacque della sovranità, della sostenibilità e del conflitto tra capitale e lavoro: tramite una gestione globale e condivisa potremo approdare ad una più ampia diffusione di pace e sicurezza».
L'attualità parla comunque di un tempo di crisi, e l'attenzione verso l'ecosistema non fa che calare, mentre sarebbe proprio il momento più opportuno per impostare una nuova idea di sviluppo.
«La ringrazio per questa domanda: sono infatti assolutamente convinto dell'esigenza di perseguire quegli obiettivi che sopra ho esposto, e li considero investimenti indispensabili per il nostro futuro e le infrastrutture che lo sosterranno. Proprio in tempo di crisi è necessario rilanciare una politica di stampo keynesiano, che possa ricostruire una base finanziaria e la capacità di passare gradualmente da una società basata sul Pil ad una società che ponga al centro la persona, rivalutando beni immateriali come solidarietà e conoscenza, creando una consapevolezza che permetta una maggiore inclusione e partecipazione nel sistema decisionale.
Oltre una certa soglia di reddito, non è infatti il possedere che ci dà la felicità, ma l'appartenere ad una società inclusiva che sappia valorizzare ogni persona, passando dal concetto di tolleranza (che, pur importante, sottintende comunque una sorta di "concessione") ad un'aspettativa matura, consapevole delle capacità di arricchimento che ogni persona è in grado di apportare».
Un passato esempio di collaborazione internazionale è l'accordo di Kyoto. Ormai è agli sgoccioli, e le emissioni di CO2 stanno ancora crescendo: cosa si aspetta dalla prossima riunione a Durban, sulla convenzione sul cambiamento climatico?
«Da Durban mi aspetto molto poco. Ho sempre sostenuto praticamente da solo la necessità di dare un supporto politico alla dichiarazione di Bali, che parla di responsabilità comune ma differenziata tra paesi sviluppati e in via di sviluppo. Anche l'Europa non l'ha mai veramente applicata, a causa dei veti posti dai grandi consumatori d'energia e della paura delle delocalizzazioni.
L'Unione europea ha proposto di offrire il 50% dei permessi di emissione gratuitamente, ma io sono convinto che un meccanismo di mercato così non può funzionare. Sarebbe invece necessario definire, a partire dall'entità della popolazione mondiale, una quota sostenibile di emissioni procapite da rendere gratuita: l'eccedenza, dev'essere onerosa in toto, sancendo così un principio di equità e giustizia nell'accesso alle risorse disponibili».
La principale argomentazione proposta a favore di un nuovo modello di sviluppo rimane comunque il cambiamento climatico, nel quale l'uomo è coinvolto, ma non sappiamo con certezza in quale misura. Perché non incentrare invece l'esigenza del cambiamento sull'idee di reciprocità e di una vera giustizia intra ed intergenerazionale?
«Il problema del cambiamento climatico, infatti, è solo il primo che ci si presenta. Ma, paradossalmente, uno dei più facili da affrontare, data l'abbondanza di energia solare che arriva sul nostro pianeta, e che possiamo sfruttare. Le attenzioni dedicate al cambiamento climatico è necessario traslarle alla carenza delle risorse naturali non energetiche, per le quali non possiamo contare su approvvigionamenti esterni al pianeta.
Tali risorse non solo si stanno esaurendo, ma la Terra si trova anche a dover far fronte agli scarti dei nostri processi economici, che debbono essere ridotti. Dobbiamo assolutamente imparare a gestire le risorse in modo totalmente diverso, esercitando un diritto equo e sostenibile nell'accesso ad esse. La loro gestione deve puntare a prevenire le situazioni di scarsità, che inevitabilmente generano conflitti, e per far questo è necessario revisionare completamente il nostro modo di intendere il commercio internazionale, nonché la definizione stessa che si da del "rifiuto", che deve invece esser considerato come una risorsa».
L'esigenza di andare oltre al Pil e di trovare nuovi indicatori del benessere ci pone davanti all'esigenza di creare nuove narrative con le quale interpretare un nuovo stile di vita. Chi o quale crede sarà il medium di questo cambiamento?
«Parlando di narrativa, intendo uno sviluppo culturale: penso che sia un qualcosa di estremamente importante, e che in parte sta già vendendo fuori dalla nostra politica agricola comune, e che dev'essere fondato sul concetto di bene comune. La sensibilità culturale verso i beni comuni vale la pena di essere creata e conseguita.
È infatti da una consapevolezza culturale che si può maturare una proposta politica che definisca istituzioni e momenti dove dare una risposta politica a questo desiderio di bene comune. È dunque chiaro che l'informazione e la comunicazione saranno centrali nella costruzione di questa nuova società, anche se corriamo sempre il rischio di avvitarci sulla tecnologia, anziché sui contenuti da diffondere tramite tale tecnologia, ma anche qui si tratta di una cultura da costruire».