Una analisi che spiazza un semplice militonto come me, ma mi pare
spieghi bene il processo di privatizzazione italiano che è
sostanziale deindustrializzazione dei prodotti di qualità per
trasformarci in produttori di merci di bassa tecnologia a buon
mercato.
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http://adhoc-crazia.blogspot.com/2011/01/anche-fassino-e-dalema-faranno-carriera.html
di Comidad
L'enfasi che la propaganda ufficiale ha attribuito al caso della
richiesta di estradizione dal Brasile di Cesare Battisti, si
colloca certamente nei meccanismi consueti di un potere politico
che ricerca la sua unica legittimazione nell'agitare
pretestuosamente l'emergenza-terrorismo. Stavolta, però, ciò che
avrebbe dovuto costituire l'ennesimo diversivo, ha finito invece
per riportare l'attenzione al centro del problema.
Si possono fare molte speculazioni sui motivi per i quali il
presidente brasiliano Lula ha negato l'estradizione. Si è persino
favoleggiato per anni sulle arti malefiche della maliarda Carla
Bruni e sul suo presunto ruolo nella vicenda-Battisti.
L'intervento del pubblicista sionista Bernard-Henry Levy a favore
di Battisti ha fatto inoltre ipotizzare che il latitante fosse in
possesso di chissà quali segreti con cui condizionare le scelte
dei governi.
Tutto è possibile, ma la dietrologia si giustifica quando vi sia
palese sproporzione tra cause ed effetti, o tra obiettivi
dichiarati e strumenti adottati, quindi non in questo caso, dato
che c'era di mezzo Berlusconi con la sua penosa immagine nel
mondo. Cosa avrebbe guadagnato infatti Lula ad accontentare il
governo italiano? Nulla, dato che attualmente il governo
italiano non conta nulla nei rapporti internazionali. Cosa
avrebbe invece perso Lula in termini di immagine, sia interna
che internazionale, se avesse riconsegnato un rifugiato politico
alle brame vendicative dell'universalmente disprezzato satrapo
di Arcore? Moltissimo.
Quand'anche le prove giudiziarie contro Battisti fossero state
convincenti - e certo non lo erano -, la sostanza politica del
problema non sarebbe cambiata, perché è chiaro che un capo di
Stato assume le sue decisioni in base a criteri politici e non
giudiziari. Il problema quindi, dalla solita e fittizia
emergenza-terrorismo, è stato ricondotto alla realtà della
delegittimazione internazionale dell'attuale governo italiano.
La legittimazione sulla base dell'emergenza-terrorismo funziona
ancora per il governo in chiave interna, ma non riesce ad
annullare l'handicap dell'effetto-Berlusconi all'estero.
Risulta evidente anche l'ironia involontaria di un governo
italiano che, mentre fa la voce grossa con Lula, si cala le
brache davanti a Marchionne; lo stesso Marchionne che l'ultimo
28 dicembre è andato con il cappello in mano a Pernambuco per
inaugurare, insieme con Lula, un nuovo stabilimento della FIAT
in Brasile. Tale stabilimento dovrebbe produrre auto soprattutto
per il mercato brasiliano, ciò in linea con la scelta economica
di Lula di rilanciare i consumi interni, liberando il Brasile
dalla direttiva del Fondo Monetario Internazionale, che lo
costringeva a basare la sua economia sulle esportazioni, con la
conseguenza di mantenere forzosamente bassi i salari.
http://www.morningstar.it/it/news/article.aspx?articleid=93497&categoryid=56
Quando Piero Fassino ha intimato ai lavoratori della FIAT di
chinare il capo di fronte al ricatto di Marchionne, con la scusa
che ora bisognerebbe fare i conti con la Cina ed il Brasile, ha
perciò detto la sua ennesima fesseria. La realtà è che l'Italia
si deve misurare con un Brasile che attua la piena libertà
sindacale e con una Cina che fonda la sua economia sulle
partecipazioni statali e sulle banche di proprietà pubblica. Una
delle principali banche cinesi è infatti gestita direttamente da
un ministro del governo.
http://webcache.googleusercontent.com/search?q=cache:Bx3lcSjCV9cJ:www.newsmercati.com/Article%3Fida%3D4479%26idl%3D2579%26idi%3D1%26idu%3D45248+sistema+bancario+cinese&cd=3&hl=it&ct=clnk&gl=it
http://www.worldlingo.com/ma/enwiki/it/China_Development_Bank
Il problema è che la Cina ed il Brasile non hanno rinunciato
affatto alla direzione politica dell'economia, mentre l'Italia è
diventata una colonia delle multinazionali. Il recente
salvataggio di un Berlusconi ormai allo stremo delle sue già non
esaltanti capacità mentali, ha ottenuto l'effetto politico di
lasciare per intero il palcoscenico al protagonismo di
Marchionne. Ciò sta a dimostrare che chi ha voluto mantenere
Berlusconi alla Presidenza del Consiglio, ritiene che potrebbe
bastare davvero molto poco per rischiare di fare ombra alla
stella di Marchionne; segno che la sua leggenda di combattente
si è costruita in match truccati.
Dopo che l'ambiguo presidente della Repubblica, Giorgio
Napolitano, ha eseguito per conto delle multinazionali il
salvataggio di Berlusconi, costringendo le opposizioni a
dilazionare di un mese il voto di sfiducia, ora la ulteriore
mazzata, forse definitiva, per il segretario del Partito
Democratico, Pierluigi Bersani, è arrivata ancora una volta
dall'interno. In questo caso il traditore è stato il principale
sponsor di Bersani nel partito, cioè Massimo D'Alema, proprio
l'uomo che aveva collocato Bersani nella posizione di massimo
dirigente. D'Alema ha infatti sposato in toto la linea di Piero
Fassino sul cosiddetto "accordo" di Mirafiori, spingendosi sino
a sollecitare i lavoratori FIAT a votare per il sì al
referendum/ricatto.
La posizione di Bersani sul cosiddetto accordo risultava di una
moderazione irrealistica data la situazione, e appariva
soprattutto come un compromesso tra le varie linee del partito
sulla questione. Ma il discorso di Bersani partiva quantomeno da
un dato di fatto, cioè dagli effetti destabilizzanti sul sistema
delle relazioni industriali che il diktat di Marchionne
comporta.
Quanto deciso per Mirafiori riguarda in minima parte le sorti
della FIAT, poiché costituisce un precedente che, se non
contrastato dal potere politico, porrà le basi per uno
sconvolgimento del quadro delle relazioni industriali. D'Alema
si è posto esclusivamente in base alla dottrina ufficiale di
Marchionne, cioè investimenti in cambio di meno diritti del
lavoro, riducendo l'eliminazione della rappresentatività
sindacale ad un mero problema di tutela del dissenso. Anche
volendosi dimenticare che Marchionne si è già rivelato bugiardo
e sleale, dato che appena sei mesi fa aveva presentato l'accordo
di Pomigliano come dettato dall'emergenza/assenteismo in
fabbrica, vale comunque ciò che aveva almeno accennato Bersani,
e cioè che in questa occasione Marchionne ha scavalcato il
governo e si è posto lui come nuovo gestore extra-istituzionale
delle relazioni industriali.
In Parlamento giacevano due proposte di legge sulle relazioni
industriali, una di Pietro Ichino, senatore del PD, e l'altra
del ministro Sacconi; sia l'una che l'altra facevano a gara per
compiacere le tesi di Marchionne, il quale però le ha snobbate
entrambe per assumere lui il potere sulle relazioni industriali
con una sorta di golpe. D'Alema non soltanto ha fatto finta di
non vedere questa delegittimazione del ruolo del potere
politico, ma è andato anche ad affossare uno dei principali
serbatoi elettorali del PD, cioè gli iscritti alla CGIL, e ciò
proprio mentre si profila la possibilità di elezioni anticipate.
Il segretario generale della CGIL, Camusso, ha proposto
l'espediente del sì "tecnico" all'accordo di Mirafiori, nel
disperato tentativo di smussare la contrapposizione col PD, ma è
chiaro che la stessa CGIL ne esce comunque con le ossa rotte e
con una ulteriormente ridotta capacità di convogliare voto
organizzato.
La stupidità e l'insipienza dei dirigenti della sinistra non
sono in grado di spiegare tutto, e neppure le semplici
compromissioni col sistema affaristico possono motivare questa
suicida linea anti-partito. La pubblicistica dei giornali
borghesi e gli opinionisti come Panebianco o Galli Della Loggia
sono particolarmente caustici nel rilevare questo presunto
deficit intellettuale del ceto politico. A parte
l'inattendibilità del fatto che personaggi come Panebianco o
Galli Della Loggia possano valutare l'intelligenza altrui, è
anche molto dubbio che la direzione di un partito richieda
particolari doti intellettuali, come se si trattasse di
dipingere la Cappella Sistina. In generale tutti gli espedienti
retorico-polemici dell'opportunismo si riducono al rimproverarti
di non essere Dio: non sei in grado di capire la "complessità",
non sei capace di guardare la storia dal piedestallo
dell'onniscienza, non sei mai abbastanza creativo ed innovativo.
Nel suo discorso al Meeting di Rimini invece Marchionne non solo
ha rivendicato a sé queste mirabolanti qualità divine, ma ha
anche precisato di riuscire a possederle senza pretendere di
"avere la verità in tasca". Miracolo nel miracolo!
L'elettoralismo costituisce in realtà un'operazione elementare
alla portata anche di menti molto limitate. Berlusconi,
depenalizzando il falso in bilancio, ha fatto un favore a se
stesso e contemporaneamente ha riscosso i voti gestiti dalla
Confindustria e dalla Confcommercio; e con il condono edilizio
ha salvato le sue palazzine abusive, e contemporaneamente ha
rimediato i voti per vincere le elezioni regionali. La destra
compra i voti distribuendo licenze di delinquere e di evadere il
fisco, mentre la sinistra si dovrebbe conquistare l'elettorato
difendendo le garanzie sociali.
Il Pd, che dovrebbe curare i propri orticelli elettorali, dalla
GGIL alla Lega delle Cooperative, invece plaude a Marchionne che
glieli scompagina entrambi distruggendo le garanzie sociali. La
Lega delle Cooperative rischia infatti di essere la prossima
vittima della disarticolazione del sistema delle relazioni
industriali. Ciò che ha consentito sinora in Italia lo sviluppo
di un solido e diffuso sistema autonomo di piccola e media
impresa era proprio la garanzia costituita dalla
rappresentatività sindacale, che impediva la proliferazione del
sindacalismo giallo gestito dalla malavita organizzata, un
fenomeno che altrove costituisce uno degli strumenti di
intimidazione con cui le multinazionali riescono a vincolare la
piccola e media imprenditoria al proprio carro. Distrutto il
sistema delle relazioni industriali, sarà più facile per le
multinazionali costringere i padroncini a delocalizzare le loro
produzioni nei Paesi dell'Est Europa, come la Serbia, feudo di
quella Philip Morris di cui Marchionne è "director". Si tratta
di una vera e propria rapina coloniale di impianti e tecnologie.
http://www.theofficialboard.com/org-chart/philip-morris-international
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Serbia/Gli-USA-al-primo-posto-negli-investimenti-in-Serbia
La connessione tra Marchionne, la Philip Morris e il business
delle delocalizzazioni in Serbia è di una evidenza così
sfacciata e macroscopica che, a quanto pare, stavolta la solita
retorica degli slogan epocali non è stata sufficiente a
coprirla, perciò Eugenio Scalfari, per sollevare altro fumo, è
stato costretto ad escogitare nuove panzane come quella del
Marchionne esecutore delle volontà dei sindacati della Chrysler.
Che a Marchionne ed alle multinazionali non gliene freghi nulla
del comparto produttivo italiano, è dimostrato proprio dal fatto
che questi "accordi" stanno distruggendo il maggiore fattore di
controllo del lavoro, cioè il sindacato.
Quando un dirigente di partito agisce contro il suo partito e la
sua base elettorale, se ne può dedurre che egli in effetti stia
affidando le sue sorti personali a ben altri lidi ed a ben altre
prospettive di carriera. Ed anche qui la dietrologia non
c'entra, dato che c'è il noto precedente di Giuliano Amato, che
ha lasciato l'attività politica per essere accolto come alto
dirigente della multinazionale Deutsche Bank.
http://www.deutsche-bank.de/medien/en/content/press_releases_2010_4871.htm
Certo, si potrà sempre dire che è una pura coincidenza il fatto
che uno che quando stava al governo faceva gli interessi delle
multinazionali, poi abbia trovato la sua occasione di carriera
proprio nella dirigenza di una multinazionale.
La Chiesa Cattolica ha sempre condannato come eretica la tesi
secondo cui la Chiesa dovrebbe essere povera, ed in effetti i
preti hanno ragione, perché una Chiesa che rinunciasse alle sue
ricchezze non conterebbe più nulla. Di conseguenza, anche la
dottrina liberista dello Stato "leggero", cioè alleggerito dei
suoi monopoli, delle sue imprese e dei suoi patrimoni
immobiliari, porta inevitabilmente all'effetto-Congo, cioè ad
uno Stato talmente povero che anche la più scalcagnata delle
multinazionali è in grado di mettere in campo risorse maggiori e
di comprarsi in blocco la classe dirigente locale. Venti anni di
privatizzazioni stanno determinando in Italia la stessa
situazione, per cui oggi la politica non è neppure lontanamente
in grado di prospettare possibilità di carriera e arricchimento
comparabili con quelle offerte dalle multinazionali. Non a caso
il mito ed il falso bersaglio della politica strutturata in
"casta", sono stati creati dai media come il "Corriere della
Sera" proprio nel momento in cui la "casta" in quanto tale aveva
cessato di esistere, diventando un'appendice delle
multinazionali.
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