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cambiamento climatico e principio di precauzione
- Subject: cambiamento climatico e principio di precauzione
- From: "ANDREA AGOSTINI" <lonanoda at tin.it>
- Date: Mon, 20 Mar 2006 06:23:31 +0100
da Inquinamento marzo 2006
Cambiamento climatico e
principio di precauzione
■ Walter Ganapini Temperature in aumento,
precipitazioni
insufficienti in Europa meridionale e eccessive in quella settentrionale, terreni resi sterili dalla siccità e altri devastati dalle alluvioni. In Europa, come nel resto del mondo, è in atto il maggior cambiamento climatico che la storia dell’uomo ricordi. Studi dell’Agenzia Europea per l’Ambiente e di altre organizzazioni internazionali ne individuano le cause e ne ipotizzano le conseguenze ma spetta a governi e ai singoli individui mettere in atto politiche capaci di arrestare il fenomeno. Secondo un documento recentemente pubblicato dall’Agenzia Europea per l’Ambiente (Eea), che analizza la situazione ambientale dei Paesi dell’Unione Europea e valuta l’efficienza delle politiche per la sostenibilità messe in campo in questi ultimi cinque anni, il clima in Europa sta sperimentando il maggiore cambiamento mai avvenuto negli ultimi cinquemila anni. Per riuscire a descrivere e valutare la situazione europea, lo studio diffuso attraverso il documento si è basato su indicatori ambientali quali: - le emissioni di gas serra; - il consumo di energia; - l’elettricità prodotta da fonti rinnovabili; - l’emissione di sostanze acidificanti e di precursori dell’ozono; - la domanda di trasporti; - la superficie dedicata all’agricoltura ecologica; - la produzione di rifiuti; - stato e gestione delle risorse idriche. La principale conclusione a cui giunge lo studio dell’Eea è che il “il cambiamento climatico è in moto”, come dimostra la maggior frequenza di fenomeni meteorologici estremi, dall’intensità delle precipitazioni, sempre più concentrate in pochi eventi, alla siccità fino alla riduzione dei e principio di precauzione ghiacci ai Poli (-50% negli ultimi 20 anni, secondo il Rapporto al riguardo pubblicato da quattro Università statunitensi che hanno operato in quelle due aree per l’appunto lungo i due ultimi decenni). Il 1998, 2002, 2003 e 2004 sono risultati gli anni più caldi mai registrati. Il riscaldamento della superficie terrestre, a seguito dell’“effetto serra” (espressione che indica la capacità di certi gas, quali la CO2, l’ossido d’azoto, il metano e altri gas d’origine industriale, di intrappolare il calore solare ed evitare che questo si allontani dall’atmosfera), si è tradotto in un aumento di 0,95 °C della temperatura media europea, con una tendenza a crescere “tra i 2 e i 6 gradi centigradi nell’arco di questo secolo”. C’è una crescente evidenza, dunque, che il mondo stia affrontando il più grande disgelo dalla fine dell’ultima glaciazione, avvenuta circa 10.000 anni fa: nel solo 2003 i ghiacciai del nostro Continente hanno perso il 10% del loro volume, secondo gli esperti Ue. “È probabile che l’incremento sia dovuto a cause umane”, sostiene Thomas R. Karl, ricercatore presso l’Istituto Nazionale per gli Oceani e l’Atmosfera (Noaa) degli Stati Uniti, Paese che ha registrato, al pari e forse più dell’Europa, un significativo incremento negli eventi meteorici estremi: d’altro canto apparirebbe esercizio complesso attribuire l’incremento in pochi decenni della concentrazione di anidride carbonica (il tracciante delle emissioni climalteranti) da 270 a circa 400 ppm ai grandi cicli geodinamici o a qualche eruzione vulcanica, per quanto imponente. Vi è, infine, evidenza di più frequenti depressioni lungo la costa orientale dell’Australia ed un incremento dei cicloni nel Sud Est Pacifico fino alla porzione settentrionale della Nuova Zelanda. Secondo Asher Minns, del centro britannico di ricerche sul clima “Tyndal”, uno degli istituti di climatologia più importanti d’Europa, l’ondata di calore “è come un allarme che suona. È ciò che gli scienziati prevedono debba accadere. Non possiamo essere sicuri che ogni evento sia legato al riscaldamento globale, che tuttavia rappresenta lo scenario futuro”. Le conseguenze
Il documento dell’Agenzia Europea
sottolinea, sulla scorta dei non lusinghieri risultati conseguiti anche dopo l’approvazione del Protocollo di Kyoto, la necessità di interventi più radicali per affrontare il problema dell’inquinamento atmosferico, responsabile in Europa della perdita di circa 200 milioni di giornate lavorative e del 6,4% delle malattie e dei decessi tra i bambini. Quand’anche l’Ue riuscisse a limitare l’aumento della temperatura massima a due gradi centigradi, ci si vedrebbe comunque costretti a “vivere in condizioni atmosferiche mai sperimentate prima dall’uomo”. Le perdite economiche associate al cambiamento climatico sono già imponenti: uragani ed ondate di caldo hanno comportato a scala planetaria la spesa di circa 60 miliardi di euro solo nel 1996, che diventano 100 nel 1999, ciò che motiva la crescente preoccupazione del mondo delle Assicurazioni, come testimoniano i Rapporti con cadenza biennale di Munich-Re. Scienziati della Commissione Europea prevedono una riduzione sostanziale della qualità e quantità dei raccolti, particolarmente nell’Europa centrale e meridionale: il raccolto di gira- soli calerebbe del 25%, il mais verde del 10%, la barbabietola da zucchero del 7% e il grano del 6,6%. La produzione di granoturco e barbabietola da zucchero si è già ridotta di un quarto in Italia, mentre i campi di grano si sono ridotti di un terzo in Portogallo: l’estate 2005 è stata caratterizzata, in Europa, da un calo di produzione cerealicola complessivamente valutata non inferiore al 10%. Si tratta di dati capaci di modificare strutturalmente l’andamento dei mercati relativi. Geoff Love, l’australiano che ha appena lasciato l’Organizzazione Meteorologica Mondiale delle Nazioni Unite, dopo anni come segretario della Conferenza Intergovernativa sui Cambiamenti Climatici (Ipcc), ha di recente affermato: “Abbiamo raggiunto un punto in cui stiamo modificando il clima e dovremo gestirne gli impatti, poiché abbiamo estirpato tutti i sistemi di difesa”. Negli ultimi anni si è potuto anche stimare il numero dei morti dovuto alle ondate di caldo: nel 2003, oltre 35 mila morti nella sola Europa, di cui 4.900 in Italia (dal 16 luglio al 15 agosto morirono 4.175 persone oltre i 65 anni, con un aumento del 14% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente; il tasso di mortalità legato all’ondata di caldo più alto venne registrato nelle città settentrionali come Milano, Torino e Genova. Qualcuno ricorderà che addirittura il Papa, Giovanni Paolo II, si affacciò alla finestra invitando la popolazione a pregare per la
pioggia. Per avere un termine di paragone, si pensi che il dato complessivo prima riportato è più di 19 volte superiore al numero di morti per epidemie di Sars nel mondo. Secondo l’Agenzia, “l’Europa ha l’obbligo di guardare oltre il 2012 e superare le sue frontiere perché il fenomeno è un problema globale” e manca una politica concreta per ottenere una maggior riduzione delle emissioni di gas serra. Per avviare l’Europa sul cammino della sostenibilità, l’Agenzia raccomanda di incrementare la destinazione delle risorse fiscali a combattere l’inquinamento ed a garantire un migliore sfruttamento delle risorse naturali, con particolare attenzione alla necessità di ridurre i consumi energetici, incrementando l’efficienza negli usi finali, e di aumentare la quota di energia ottenuta dal ricorso a fonti rinnovabili. La situazione in
Italia
Per quanto concerne l’Italia,
l’Enea ha svolto un’analisi, per conto delle Nazioni Unite, che evidenzia come variazioni di temperatura, precipitazioni, innalzamento del livello dei mari, reperibilità delle risorse idriche, variazioni nella qualità del terreno e rischio di desertificazione siano ormai ben riscontrabili anche nel nostro Paese. La media delle temperature massime e minime mensili aumenta, con differenze particolarmente marcate nel Nord e nel Centro-Sud; la minima, ad esempio è aumentata di circa 0,4 °C nel Nord e di 0,7 °C nel Centro-Sud. Il quadro generale che emerge, simile a quello osservato a livello globale, mostra aumenti maggiori delle temperature e del livello di siccità nelle regioni del Centro-Sud: sempre più familiare, nelle regioni meridionali e nelle isole, è l’aridità del terreno, andata aumentando negli ultimi decenni, sia in termini di aree interessate sia di intensità. Aree aride, semi-aride e subumide, che tendono a diventare aree degradate, coprono attualmente il 47% della Sicilia, il 31% della Sardegna, il 60% della Puglia ed il 54% della Basilicata: si può perciò parlare di rischio di desertificazione nel Sud Italia, per cui erosione, salinizzazione del suolo, perdita di Sostanza Organica (e quindi di fertilità) non sono ormai temi da agronomi e naturalisti, ma difficoltà con cui si confrontano agricoltori ed operatori turistici. Il Principio di
Precauzione
È questa esigenza di una radicale
innovazione di stili di vita, produzione e consumo che ha indotto Greenpeace ad adottare lo slogan “Decidi. O il pianeta lo difendi tu, o si difende da solo”, accompagnato da immagini delle conseguenze dei cambiamenti climatici, dalle trombe d’aria alle alluvioni. Senza intenti catastrofistici, ciò che l’ambientalismo intende riproporre è un orientamento alla sostenibilità dei modelli di sviluppo, consapevoli come dobbiamo essere che quello attualmente dominante, se generalizzato all’Umanità nel suo complesso (d’altro canto non è illegittimo che i 6 miliardi di donne ed uomini che ad oggi ne sono esclusi ad esso aspirino), necessiterebbe di 3,5 Terre, come ci insegnano i cultori dell’Impronta Ecologica. Sostenibilità significa solidarietà diacronica e ricerca di equità intra- ed inter-generazionale. Sostenibilità significa, infine, assumere il Principio di Precauzione come strumento di orientamento tra le diverse opzioni possibili, mentre la percezione sociale dei guasti indotti dal Cambiamento Climatico dovrà sempre più alimentare una tensione individuale e di comunità verso nuovi stili di vita, opportunità straordinaria di innovazione sistemica della società umana. ■ I RIFUGIATI AMBIENTALI IN
CRESCITA
Entro il 2010, 50 milioni di persone
si trasformeranno in “rifugiati ambientali”, persone costrette a muoversi per sfuggire al degrado ambientale. È quanto afferma l’Istituto per l’ambiente e la sicurezza umana dell’Università delle Nazioni Unite (Unu-Ehs) che ha sede a Bonn. A differenza delle vittime dei conflitti politici e sociali che attraverso le organizzazioni governative e internazionali hanno accesso ad assistenza, aiuti finanziari, cibo, attrezzature, ripari e ospedali, i rifugiati ambientali non sono ancora riconosciuti dalle convenzioni mondiali. Le vittime di catastrofi improvvise come lo tsunami in Asia nel 2004 o l’uragano Katrina nel 2005 sono rese largamente visibili dai media e beneficiano di aiuti umanitari pubblici e privati. Ci sono però milioni di altre persone nel mondo costrette a sfollare a causa di cambiamenti ambientali più graduali come il riscaldamento globale o catastrofi “lente” come la desertificazione, la diminuzione delle riserve idriche o l’innalzamento del livello del mare portato dal mutamento del clima. La capitale dello Yemen, Sana’a, ad esempio, ha raddoppiato la sua popolazione ogni sei anni a partire dal 1972 ed è attualmente abitata da 900 mila persone. La falda acquifera dalla quale la città attinge l’acqua si riduce ogni anno e secondo la Banca Mondiale si esaurirà entro il 2010. In Cina, il deserto dei Gobi si espande di 10 mila chilometri quadrati ogni anno, minacciando molti villaggi. Marocco, Libia e Tunisia perdono ogni anno 1.000 km2 di terreno coltivabile per la desertificazione. In Egitto, metà dei campi irrigati soffre per la salinizzazione mentre in Turchia 160 mila km2 di terra agricola sono influenzati dall’erosione del suolo. Ogni anno in Louisiana (Usa), 65 km2 di costa vengono sommersi dal mare mentre in Alaska 213 comunità sono minacciate dalla marea che avanza di circa tre metri all’anno. È stato stimato che circa 100 milioni di persone nel mondo vivono in zone che si trovano sotto il livello del mare e sono soggette a tempeste improvvise. L’Onu sostiene che il numero di persone costrette a muoversi per problemi ricollegabili all’ambiente si sta avvicinando al numero delle “persone bisognose” recentemente calcolate in 19,2 milioni di unità e potrebbe presto superarlo. Infatti, secondo il “Rapporto sui disastri nel mondo” compilato dalla Croce Rossa attualmente ci sono più rifugiati dovuti ai disastri ambientali che alle guerre. Per questo Janos Bogardi, direttore dell’Unu-Ehs, si batte perché questa nuova categoria di rifugiati trovi posto nei trattati internazionali. TEMPERATURA
Negli ultimi 100 anni, ma in modo particolare nel
corso degli ultimi
vent’anni, l’Europa ha conosciuto notevoli aumenti di temperatura Il 2000 è stato l’anno più caldo in Europa e i sette anni più caldi che seguono nella graduatoria sono stati registrati negli ultimi 14 anni. L’agosto del 2003 è considerato il mese più caldo mai registrato nell’emisfero settentrionale. Russia nord-occidentale e penisola iberica sono le regioni in cui sono stati registrati i picchi di riscaldamento. Le temperature aumentano nel periodo invernale più che in estate, con degli inverni più miti e una variazione stagionale ridotta. Si prevede la continuazione di tutte queste tendenze, tranne che per la variazione stagionale ridotta, che non è prevista nell’Europa meridionale. PRECIPITAZIONI
Per quanto riguarda le precipitazioni
annue,
nell’Europa settentrionale c’è stato un aumento del 10-40% nel periodo 1900-2000, mentre in alcune parti dell’Europa meridionale si è registrata una diminuzione del 20%. I modelli stagionali rivelano una tendenza ancor più pronunciata. Specialmente nella stagione invernale, l’Europa meridionale e orientale è diventata più arida mentre l’Europa Nord-Occidentale è diventata più umida. Le proiezioni indicano un aumento delle precipitazioni annue nell’Europa settentrionale ed estati più umide nella maggior parte dell’Europa. PORTATA DEI FIUMI Nel secolo precedente l’Europa meridionale ha visto
una diminuzione notevole della portata dei fiumi di numerosi bacini, mentre ampi aumenti sono stati registrati nell’Europa orientale. I cambiamenti siano probabilmente dovuti in gran parte ai cambiamenti delle precipitazioni, anche se la portata è influenzata anche da altri fattori come il cambiamento della destinazione dei suoli o la rettificazione dei corsi d’acqua. Gli effetti combinati dei cambiamenti previsti delle temperature e delle precipitazioni amplificheranno nella maggior parte dei casi la portata annua dei fiumi. Entro il 2070, si prevede che tale portata sia destinata a diminuire fino al 50% nell’Europa meridionale e sud-orientale e ad aumentare sino al 50 % o oltre in numerose aree dell’Europa settentrionale o Nord-Orientale COS’È IL PRINCIPIO DI
PRECAUZIONE
Il concetto di principio di precauzione deriva da una comunicazione della Commissione, adottata nel febbraio del 2000, sul “ricorso al principio di precauzione” nella quale definisce tale concetto e spiega come intende applicarlo. Può essere applicato in quei casi in cui i dati scientifici sono insufficienti, poco conclusivi o non certi o quando da una valutazione scientifica precedente emerge che si possono ragionevolmente temere effetti potenzialmente pericolosi per l’ambiente e la salute umana, animale o vegetale. Questa comunicazione enuncia anche le tre regole cui attenersi per far sì che il principio di precauzione sia rispettato: - una valutazione scientifica completa condotta da un’autorità indipendente per determinare il grado d’incertezza scientifica; - una valutazione dei rischi e delle conseguenze in mancanza di un’azione europea; - la partecipazione, nella massima trasparenza, di tutte le parti interessate allo studio delle azioni eventuali. Il principio di precauzione può essere invocato quando è necessario un intervento urgente di fronte a un possibile pericolo per la salute umana, animale o vegetale. Esso non può essere utilizzato come pretesto per azioni aventi fini protezionistici. Tale principio viene soprattutto applicato nei casi di pericolo per la salute delle persone. Esso consente, ad esempio, di impedire la distribuzione dei prodotti che possano essere pericolosi per la salute ovvero di ritirare tali prodotti dal mercato. |
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