la doppia morale atomica



Da l'Unità del 06.03.2006

La doppia morale atomica
di Pietro Greco

L'Iran non può entrare in possesso dell’arma atomica. Non solo per ragioni
politiche: la “bomba” iraniana sarebbe un fattore di gravissima
destabilizzazione in un’area già fortemente destabilizzata. Ma anche per
ragioni giuridiche. L’Iran, infatti, ha firmato il Trattato di non
proliferazione nucleare (Tnp) in sede di Nazioni Unite e si è, quindi,
formalmente impegnata sia a rinunciare all’arma atomica sia a consentire i
controlli internazionali per verificare che l’impegno sia mantenuto.
Bene ha fatto, dunque, l’Aiea, l’Agenzia Internazionale per l’Energia
Atomica a porsi il problema se deferire l’Iran al Consiglio di Sicurezza
delle Nazioni Unite dopo che il governo di Teheran ha frapposto concreti
ostacoli ai controlli della comunità internazionale sulle sue centrali
civili.
Tuttavia - e senza che questo significhi giustificazione alcuna per il
comportamento delle autorità iraniane - occorre dire che Teheran, con i
suoi atteggiamenti, non è l’unico governo a violare, nella lettera e
soprattutto nello spirito, il Trattato di non proliferazione nucleare.
Mentre l’Iran è uno dei pochi paesi contro cui la comunità internazionale
esercita il (giusto) rigore.
L’insostenibile asimmetria strutturale fotografata dal Trattato viene così
accompagnata da un’asimmetria politica - da una doppia morale - che risulta
ancora più insopportabile e contribuisce a destabilizzare quell’area del
mondo e non solo quella.
Chi, dunque, si sottrae al (giusto) rigore del Trattato e beneficia della
doppia morale? Può sembrare paradossale. Ma a trasgredire la lettera e lo
spirito del Tnp non sono Israele o l’India o il Pakistan - che hanno un
arsenale atomico, sono geograficamente vicini all’Iran e rappresentano una
potenziale minaccia per l’antica Persia. Per il semplice motivo che né
Israele, né l’India, né il Pakistan hanno mai firmato il Trattato di non
proliferazione e, quindi, non possono violarlo.
A trasgredire lo spirito e la lettera del Tnp sono proprio i cinque membri
permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite: Gran Bretagna,
Francia, Cina, Russia e Stati Uniti. Per un altro motivo altrettanto
semplice. Che rimanda all’origine del Trattato di non proliferazione,
elaborato e sottoscritto da 59 paesi nel 1970. In piena guerra fredda e,
dunque, nel pieno della corsa agli armamenti nucleari. Tuttavia quel
periodo specifico fu caratterizzato da un relativo disgelo dei rapporti tra
mondo occidentale e mondo comunista. Per questo è passato alla storia come
periodo della distensione. Approfittando di quel (momentaneo) clima
politico la comunità internazionale e, soprattutto, le due superpotenze
(Usa e Urss) tentarono per la prima volta di sottoporre a una qualche forma
di controllo la corsa, fino ad allora appunto incontrollata, agli arsenali
atomici e che, nel corso della crisi di Cuba, all’inizio degli anni 60
aveva portato il mondo sull’orlo di una guerra nucleare totale.
Così nel 1963 vengono messi al bando gli esperimenti nucleari nell’atmosfera,
nello spazio e nei mari. Nel 1967 viene firmato il Trattato Outer per la
completa demilitarizzazione dello spazio. Nel 1969 iniziano i trattati Salt
per la limitazione delle armi atomiche strategiche di Usa e Urss
(proliferazione verticale). E nel 1970, viene firmato il Tnp, il trattato
per porre sotto controllo la proliferazione orizzontale, ovvero per
impedire la nascita di nuove potenze atomiche.
Il Tnp nasce con un’intrinseca asimmetria. Riconosce due diverse tipologie
di Paesi: coloro che hanno l’arma atomica e coloro che non hanno l’arma
atomica. E impone a questi ultimi la rinuncia unilaterale alla “bomba”.
Tuttavia la riconosciuta condizione di “diversità” tra i paesi firmatari
del Trattato viene parzialmente stemperata da un impegno che vincola anche
le potenze nucleari: in un lasso di tempo indeterminato - ma non infinito -
le potenze atomiche devono diminuire i loro arsenali nucleari fino a
svuotarli del tutto. Il Trattato di non proliferazione si fonda sulla
prospettiva di un mondo senza armi atomiche. Senza questa prospettiva, più
o meno diluita nel tempo, il Trattato non regge. Si destabilizza. E
destabilizza.
Cosa è successo, invece, in questi 35 anni? Che le cinque potenze nucleari
che hanno, in tempi diversi, sottoscritto il Trattato non hanno mantenuto
il loro impegno. Certo Usa e Russia, erede dell’Urss, hanno realizzato un
disarmo parziale e controllato. Ma hanno saldamente conservato lo status di
superpotenze nucleari. Mentre le “potenze minori” (Gran Bretagna, Francia e
Cina) non hanno intrapreso alcun reale percorso di disarmo. Anzi, non hanno
mostrato alcuna intenzione di sedersi a un tavolo negoziale per immaginare
un qualche percorso verso la progressiva eliminazione dei loro arsenali
atomici.
In definitiva, i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza della
Nazioni Unite hanno disatteso ai loro impegni e hanno imposto una
condizione oggettiva di doppia morale: agli altri è proibito ciò che a loro
è permesso.
Certo, finora le cinque potenze atomiche “ufficiali” hanno esercitato con
molta responsabilità il loro monopolio nucleare. Mentre non ci sono
sufficienti garanzie che altri paesi, ove mai venissero in possesso dell’atomica,
mostrerebbero un’analoga capacità di autocontrollo. Tuttavia la condizione
di asimmetria e di doppia morale non è a lungo sostenibile sul piano
politico, oltre che su quello dell’etica. Sia perché è uno dei fattori, e
non certo il minore, che concorrono ad alimentare la frustrazione delle
popolazioni che abitano i paesi relegati nella "serie B" nucleare - in
particolare, i paesi islamici. Sia perché rende meno credibile e, quindi
meno forte, ogni azione tesa a impedire che paesi come l'Iran si dotino di
armi atomiche, o a proporre a Israele, India e Pakistan di iniziare a
smantellare i loro arsenali.
L’arma atomica è di per sé destabilizzante. Ma lo è anche la doppia morale
nucleare.