grandi opee inutili, bisogni veri e futuro dell'economia



da liberazione.it di venerdi 2 dicembre 2005
 
IO DICO CHE DOBBIAMO SCEGLIERE IL "CICLO CORTO"
 
Grandi opere inutili, bisogni veri e futuro dell'economia
 
di fabrizio giovenale
 
Discutiamo. Lui fa: «E’ vero
che con tutti i problemi
che abbiamo l’idea del far
concorrenza agli aerei coi
treni ad Alta Velocità fu abbastanza
balorda. D’accordo
che della Tav a Val di Susa coi
suoi cinquanta chilometri di
galleria se ne può fare benissimo
a meno. Lo so anch’io
che le cose davvero importanti
da fare per il nostro paese
sono altre: rimboschimenti,
regolazione delle acque,
e combattere gli inaridimenti,
e la "messa in sicurezza"
del territorio contro frane-
e-erosioni, e cose così.
Resta il fatto, però, che se non
risolviamo prima i problemi
del traffico-merci - dei tir che
congestionano le autostrade,
appestano l’aria e paralizzano
tutto - non risolveremo
nessun altro problema».
Non fa una grinza. E dunque
ragioniamoci sopra un po’
ancora.
Fino adesso, si sa, la ricetta
ambientalista diceva: primo,
meno merci su strada e più
su rotaia; secondo, più merci
via-mare col cabotaggio costiero.
A monte però mi sembra
ci sia ancora una cosa da
dire. E’ che se il problema è
l’andirivieni di merci, chiaro
che non si potrà mai risolvere
finché quello seguita a crescere.
Se non riusciremo a ridurlo.
Il che significa innanzitutto
recuperare il controllo
pubblico sui flussi economici,
e poi darci come obiettivo
di usarlo, quel controllo, in
senso contrario al mercato:
per porre freni all’import-export
e per promuovere all’interno
del paese i "cicli corti"
di produzioni-e-consumi
luogo per luogo. Col minimo
di trasporti di merci.
Chiaro che non è una scelta
da poco. Significa né più
né meno mettersi - di fatto, e
non solo a parole - sulla strada
bertinottiana della "sinistra
cui non piace il mercato":
in totale contrasto con gli
orientamenti mondiali, con
quelli dell’economia nazio-
nale (che punta da sempre
sulle esportazioni, anche se
da quel lato oggi le cose non
vanno più tanto bene) e della
gran maggioranza delle forze
politiche. E tuttavia il rischio
di restar soffocati come paese
dal traffico-merci è talmente
grosso, e le pretese di
schivarlo scavando gallerie
ferroviarie (che saranno finite
fra 10-15 anni, se pure) come
per la Tav di Val di Susa
appaiono talmente balorde
che uno sforzo per uscirne
fuori in qualche altro modo
bisogna pur farlo.
... Anche perché ci può essere,
in questa faccenda, un
risvolto assai positivo. E cioè
che se ce la mettiamo tutta
per agevolare in ogni modo
possibile le iniziative di produzione-
e-consumo "a ciclo
corto" - legate alle attività di
ricerca, all’agricoltura biologica,
alle culture e tradizioni
locali, al commercio equo-esolidale
e quant’altro - ne potrà
derivare la proliferazione
di tutto un tessuto di alternative
economiche locali al Sistema.
Un tessuto diversificatissimo,
fatto di innumerevoli
tasselli, disteso a tappeto
su tutto il paese.
La cosa da capire, in sostanza,
è che la scelta del "ciclo
corto" non è necessariamente
una scelta di contrazione
dell’economia. Tutt’altro.
Lo è casomai di quell’economia
dell’inutile, del superfluo,
del "farci comprare
per forza anche quel che non
ci serve" dominata dalle
Multinazionali e dagli ipermercati.
Mentre ha tutte le
possibilità di dar vita a una
fioritura continua di occasioni
di lavoro e di reddito.
Con questo di speciale: che i
suoi proventi sarebbero per
loro stessa natura minutamente
ripartiti fra i cittadini.
Come dire che muoverci
controcorrente rispetto al Sistema
avrebbe anche l’effetto
di sfilare i profitti dalle solite
tasche e ripartirli fra tutti.
E va ricordato che esempi di
iniziative economiche locali
di "ciclo corto" che già funzionano
- e funzionano bene,
magari senza eccessive
pretese - a Roma e nel Lazio
ad esempio già se ne vedono.
Non c’è che da scegliere. Se
mai ci arrivassimo, dunque,
raggiungeremmo due risultati
importanti: l’alleggerimento
del traffico-merci -
coi benefici che ne verrebbero
all’ambiente e alla qualità
delle nostre vite - e una riconversione
dell’economia
che la riporti più vicina alle
vocazioni territoriali e ne ripartisca
più equamente i
vantaggi.
Questo naturalmente in
aggiunta alle altre due grandi
scelte: riconversione dei trasporti
e risanamento territoriale-
ambientale.
E dunque proviamo a figurarcela,
un’Italia così. Con la
rete stradale decongestionata
e rimessa in sesto, a Sud
specialmente. Con le linee
ferroviarie potenziate e integrate
soprattutto per i trasporti
di merci. Con tutto il
sistema dei porti mercantili
messo in condizione di sostenere
la scelta del trasporto
merci via-mare. Con le due
coste e le isole maggiori avvolte
da flussi continui di navi-
traghetto e porta-container
(che renderebbero ancora
più inutile il Ponte sullo
Stretto, tra l’altro). E all’ interno
di questo grande disegno
- nel vivo del territorio -
le operazioni di risanamento.
Ne parlo da ultimo, ma è
chiaro che di tutte le cose da
fare restano queste le più importanti.
Non c’è dubbio infatti che
niente è più potenzialmente
dannoso del dissesto del territorio.
E nemmeno che dei
rimboschimenti ne abbiamo
bisogno come del pane: non
solo per concorrere allo sforzo
mondiale di arginamento
dell’effetto-serra ma per
combattere gli inaridimenti
e ricostituire i cicli di riproduzione
delle acque all’interno
del nostro paese. Così
come non ci possono esser
dubbi sul fatto che di consolidare
i tanti terreni franosi
c’è estremo bisogno, che di
acquedotti e fognature da rimettere
in sesto ce n’è a non
finire, e che ripulire il territorio
dalle troppe schifezze che
seguitiamo a scaricarci sopra
è questione di vita o di morte.
Già me lo sento però, a
questo punto, chi dice: «E
non vuoi nient’altro? ma ti
rendi conto di quel che pretenderesti
da un nuovo governo?
non ce la farebbe
nemmeno una dozzina di
padreterni assortiti»... D’accordo,
d’accordo. Mi contenterei,
però, che si cominciasse
a prendere confidenza
mentale con la possibilità di
darci questo diverso pacchetto
di obiettivi. Un pacchetto
fatto di cose normali
- le scelte ambientali di necessità
evidentissima, quelle
dei "cicli corti" che nascono
spontaneamente dalle
necessità elementari e dalle
capacità d’iniziativa locali,
quelle per i trasporti a stretto
lume di logica - ma che
nel loro insieme, rispetto ai
modi di ragionare correnti,
configurano un quadro di
totale diversità. Come se si
parlasse di cose lunari.
Vedete che siamo di fronte
a qualcosa di paradossale.
La logica economica del
Sistema Globale ci ha tanto
assuefatti a rincorrere quel
che non serve che le cose
più necessarie non le sappiamo
nemmeno più riconoscere...
C’è un gran lavoro
di disintossicazione
mentale da fare.