analisi del ciclo di vita: materiali,prodotti,processi produttivi



da reteambiente.it
giugno 2005

L’analisi del ciclo di vita LCA
 
estratti dal volume:

Materiali, prodotti, processi produttivi
Gian Luca Baldo, Massimo Marino, Stefano Rossi

Life Cycle Thinking significa considerare i prodotti - e i processi con cui vengono realizzati - lungo il loro intero ciclo di vita. Oggi questo approccio è alla base delle nuove politiche ambientali dell’Unione Europea, e quindi di iniziative che vanno dagli “acquisti verdi” (Green Procurement) allo sviluppo delle tecnologie più opportune (le cosiddette BAT, Best Available Techniques).
Lo strumento operativo del Life Cycle Thinking è la LCA (Life Cycle Assessment), che propone una visione sistemica dei processi produttivi e dei prodotti. Questa si ottiene seguendo passo a passo il cammino che va dall’estrazione delle materie prime, attraversa tutte le attività di trasformazione e di trasporto e - dopo la vita utile trascorsa sotto forma di beni economici - arriva fino al ritorno alla terra sotto forma di rifiuti. Si tratta quindi di considerare la storia di un prodotto o di un processo “dalla culla alla tomba”.
Oltre a descrivere le origini, lo sviluppo e l’evoluzione della LCA, questo volume offre una visione semplice ma completa delle diverse fasi di cui si compone la metodologia sia a livello teorico che pratico, offrendo così una guida utile e di facile consultazione.
La LCA è oggi uno strumento affermato a livello internazionale e i suoi campi di applicazione si stanno rapidamente ampliando verso settori nuovi rispetto a quelli produttivi tradizionali.
Oltre dieci anni di attività in questo campo portano l’autore a sottolineare come la LCA - partendo da un’impostazione tipica degli strumenti di ricerca e sviluppo - si sia adattata a un utilizzo più ampio, che va dal supporto alla comunicazione ambientale al green marketing, sino all’integrazione con tecniche di scelta dei materiali per la progettazione eco-compatibile.
Gian Luca Baldo è docente di Valutazione di Impatto Ambientale e Analisi del Ciclo di Vita e di Economia delle Fonti di Energia presso la Facoltà di Ingegneria del Politecnico di Torino. Si occupa dall’inizio degli anni Novanta di LCA e di strumenti per la sostenibilità ambientale.
Membro dell’Editorial Board dell’International Journal of Life Cycle Assessment, è responsabile dello Studio Associato Life Cycle Engineering (LCE) di Torino. 

Le origini della LCA

Molti pensano che l’approccio di tipo ciclo-vita ai problemi ambientali, che possiamo definire come (Environmental) Life Cycle Thinking, sia un’idea recente e del tutto innovativa; in realtà, le sue origini possono essere collocate verso la fine degli anni 60 (e forse anche prima).
Alcuni ricercatori, che incominciavano ad occuparsi con criteri scientifici del problema del consumo di risorse e della generazione di reflui nei processi industriali, si resero conto che l’unica strada efficace per studiare in maniera completa i sistemi produttivi da un punto di vista ambientale fosse quella di esaminarne le prestazioni seguendo passo per passo il cammino percorso dalle materie prime, a partire dalla loro estrazione, attraverso tutti i processi di trasformazione e di trasporto, fino al loro ritorno alla terra sotto forma di rifiuti. Ed è lo slogan from cradle to grave e cioè “dalla culla alla tomba”, a prendere piede per illustrare sinteticamente i contenuti della metodologia che a poco a poco prende forma: quella dell’analisi del ciclo di vita. Prima di assumere la denominazione di Life Cycle Assessment (LCA), la metodologia era conosciuta con altra terminologia, come ad esempio, cradle to grave analysis, resource and environmental profile analysis, life cycle analysis, eco balance, energy and environmental analysis, ecc.
Questo approccio costituiva per quel tempo un’assoluta novità, dal momento che nello studio inteso a migliorare le prestazioni energetiche e ambientali di un sistema industriale veniva presa in considerazione l’intera filiera produttiva, mentre fino ad allora, specialmente da parte dei tecnici, i miglioramenti dell’efficienza erano stati costantemente ricercati concentrando l’attenzione sui singoli componenti dei processi produttivi. Non ci si era preoccupati, quindi, del fatto che spesso i miglioramenti ottenuti analizzando separatamente i singoli processi produttivi sono solo apparenti.
Una singola operazione industriale si può rendere più efficiente , o “più pulita”, a spese di altre, semplicemente trasferendo l’inquinamento nello spazio o nel tempo, trascurando il fatto che i benefici ottenuti localmente possono essere controbilanciati dai problemi che di conseguenza si generano altrove (o più avanti nel tempo), con il risultato finale di non ottenere nessun reale miglioramento o addirittura di peggiorare il bilancio generale.
Da un punto di vista generale, l’approccio LCA era inoltre completamente diverso da quello adottato dagli economisti per descrivere i processi industriali, che tradizionalmente suddivide l’industria in settori (estrattivo, tessile, delle costruzioni, ecc.). L’approccio LCA è invece concentrato sull’analisi del soddisfacimento delle funzioni proprie di ogni settore produttivo o dei servizi. Se pensiamo, ad esempio, alla distribuzione del latte, questa comprende l’industria alimentare, l’industria del packaging (vetro, poliaccoppiato o PET), l’industria della carta e chimica (per l’etichetta e l’inchiostro) e così via (...).
È a partire dai primi anni 70 che è possibile trovare i primi esempi di applicazione della teoria Life Cycle Thinking, utilizzata come supporto alle decisioni soprattutto da alcune grandi aziende statunitensi, dall’agenzia per la protezione dell’ambiente americana (EPA, Environmental Protection Agency), nonché da alcuni produttori inglesi di bottiglie.
Nel caso delle ricerche nordamericane, si trattava di studi svolti sotto il nome di REPA, Resource and Environmental Profile Analysis (o, anche più semplicemente, resource analysis), che avevano come obiettivo la caratterizzazione del ciclo di vita di alcuni materiali impiegati in importanti produzioni industriali. Lo scopo era quello di confrontare diversi materiali per medesime applicazioni ed è certamente questa l’opportunità che ha fatto crescere il numero di applicazioni della LCA ai sistemi produttivi: confrontare da un punto di vista ambientale funzioni equivalenti con l’utilizzo di soluzioni e materiali diversi. A quel tempo era già chiaro uno dei principi basilari della metodologia LCA: non aveva alcun senso paragonare in assoluto materiali diversi tra loro ma solamente funzioni che potevano essere realizzate, a parità di prestazioni, utilizzando materiali alternativi.
Tra le molte ricerche REPA prodotte nel periodo tra la fine degli anni 60 e l’inizio degli anni 70, merita ricordare quelle commissionate dalla The Coca Cola Company e dalla Mobil Chemical Company al Midwest Research Institute (USA): la prima intendeva determinare le conseguenze ambientali della produzione di diversi tipi di contenitori per bevande allo scopo di identificare quale materiale (plastica, vetro o alluminio) e quale strategia di impiego a fine vita del contenitore (a perdere o a rendere) fosse energeticamente ed ecologicamente migliore: la seconda puntava a stabilire se i fogli in polistirene utilizzati per incartare prodotti alimentari fossero più o meno eco-compatibili dei concorrenti fogli di carta.
Oltre ad aver introdotto l’idea di valutare le implicazioni ambientali lungo tutto il ciclo di vita dei processi considerati, la metodologia REPA integrava nella valutazione l’energia (intesa come appartenente alla categoria delle risorse naturali) e di conseguenza stimolava l’attenzione verso il concetto di limitatezza delle risorse naturali nel loro complesso.
È estremamente curioso notare come questo genere di confronto sia oggi del tutto attuale e applicato in altre parti del mondo in molteplici settori del packaging alimentare.
All’epoca degli studi citati, le crisi petrolifere erano ancora di là da venire, ma la consapevolezza che si stavano sfruttando a ritmi sempre più elevati risorse energetiche limitate era già sufficientemente sviluppata, tanto da indurre studiosi e ricercatori del mondo accademico e industriale ad affrontare temi riguardanti lo sfruttamento delle risorse e i conseguenti effetti sull’ambiente.
In seguito, gli allarmi lanciati da molti scienziati su questi temi (massicci consumi di risorse non rinnovabili e preoccupanti livelli di inquinamento), la pressione dell’emergente movimento ambientalista e ciò che concretamente succedeva in quel periodo (crisi energetiche e problema crescente della destinazione dei rifiuti), hanno dato una spinta determinante all’impegno comune per la messa a punto sia di metodologie sia di strumenti che potessero in qualche modo correggere l’approccio della teoria economica classica a questo tipo di fenomeni, portando, verso la fine degli anni Ottanta, all’affermazione del concetto di sviluppo sostenibile.
Considerato che non esistono processi produttivi (e quindi prodotti) a costo energetico ed ambientale nullo, la via è quella di comprendere come tali processi funzionano per poi proporre azioni di miglioramento.
Nello stesso periodo, in Europa, veniva pubblicato il manuale di Analisi Energetica di Boustead e Hancock che, a partire dall’esperienza prima citata coi produttori inglesi di bottiglie, è stato in grado di offrire per la prima volta una descrizione di carattere operativo del procedimento analitico che è da considerare parte fondamentale della LCA attuale.
Questo manuale è tuttora da più parti segnalato come una delle pietre miliari nella storia della metodologia LCA e non è raro trovare tra le righe i primi richiami alla necessità di un approccio integrato di ciclo vita per tenere effettivamente sotto controllo i rendimenti dei sistemi industriali, sia in termini energetici sia in termini più squisitamente ambientali.
Da quel momento in poi, la messa a punto della metodologia LCA ha ricevuto un grande impulso in quanto è apparso chiaro come l’approccio di tipo REPA o Analisi Energetica (EA), con le dovute integrazioni e miglioramenti, fosse quello che meglio si prestava a supportare le attività produttive nella nuova interpretazione del concetto di sviluppo.
Il termine LCA, in effetti, venne coniato solo durante il Congresso SETAC (Society of Environmental Toxicology and Chemistry) a Smuggler Notch (Vermont, USA) del 1990, proprio per meglio caratterizzare l’obiettivo delle analisi fino ad allora svolte sotto altri nomi. 

Il campo di applicazione della LCA

Il campo potenziale di applicazione della LCA è molto ampio, andando dalla gestione della singola azienda a quella dei sistemi socioeconomici nazionali: interessa dunque tanto il piccolo imprenditore quanto gli organi pubblici di controllo e programmazione.
Da quanto si è detto può già essere chiara l’utilità in campo macroeconomico dal momento che si tratta di uno strumento particolarmente adatto a perseguire politiche di sviluppo sostenibile (un ottimo esempio è quello della progettazione ed attuazione di un efficace programma di riciclo), ma è interessante chiedersi prima quali siano i motivi che portano alla sua applicazione nel settore produttivo privato.
Da un punto di vista generale, in campo industriale questo strumento consente all’azienda di analizzare le caratteristiche delle proprie attività operative nell’ottica del loro adeguamento alle norme di legge e agli standard di riferimento mondiali, sia vigenti sia proposti per il futuro.
Una serie di analisi LCA redatte in modo continuo permette di conoscere con precisione l’entità del proprio impatto ambientale e la sua evoluzione nel tempo, e pertanto di fissare in modo completo le procedure operative dell’azienda in campo ambientale, nonché tutta una serie di parametri di riferimento utili alla migliore gestione della stessa.
Una domanda ricorrente riguarda, ad esempio, l’adeguamento dei sistemi di abbattimento delle emissioni in aria a limiti più severi: in ottica di bilancio complessivo, utilizzare un sistema più energivoro o che richiede una massa superiore di reagenti porta ad un reale vantaggio sulla riduzione di alcuni punti percentuali di un determinato inquinante? Il tema va chiaramente trattato avendo ben presente la differenza tra le sfere di impatto (locale, regionale e globale, che verranno trattate nel capitolo dedicato alla valutazione degli impatti), ma pone un problema che può essere risolto considerando un sistema più ampio rispetto a quello che valuta solo le emissioni al camino di un determinato stabilimento (in altre parole, un cambiamento può sì produrre dei miglioramenti ma anche rendersi responsabile di effetti collaterali - side effects - che solo un approccio di tipo LCA è in grado di evidenziare).
Per quanto riguarda poi l’adesione a sistemi di etichettatura ecologica, di asserzioni o dichiarazioni ambientali (environmental claim), pratiche che stanno oggi ottenendo largo consenso e rapida diffusione, si deve di nuovo per forza passare attraverso un’analisi LCA che, a seconda della tipologia, viene svolta dall’organo che gestisce il sistema (come, ad esempio, la Commissione Europea nel caso dell’Eco-label Europeo) o dai produttori che ne fanno richiesta (come nel caso delle Dichiarazioni Ambientali di Prodotto).
Da un punto di vista imprenditoriale, l’aver investito nella redazione e nell’aggiornamento di inventari di cicli vita delle proprie attività produttive può quindi trovare molteplici applicazioni e benefici, che vanno dalla dimostrazione di stare adempiendo a norme e protocolli sempre più severi ad azioni di comunicazione volontarie come appunto la Dichiarazione Ambientale di Prodotto.
(...)
Con la stessa logica, le più importanti associazioni di categoria, sia a livello nazionale, sia internazionale (...), stanno applicando la LCA come valido strumento di comunicazione dei risultati ambientali di settore, assolvendo così a molteplici scopi: promuovere un comparto produttivo anche per le azioni di rispetto verso l’ambiente; rendere disponibili informazioni quantitative, preziose anche per coloro che, dovendo affrontare studi di carattere ambientale, necessitano di riferimenti riconosciuti e affidabili; stimolare la cultura ambientale tra i propri associati, ecc. (...). 

La struttura di una LCA

La definizione riportata nella norma UNI EN ISO 14040 esprime la LCA come una “compilazione e valutazione attraverso tutto il ciclo di vita dei flussi in entrata e in uscita, nonché i potenziali impatti ambientali, di un sistema di prodotto”.
Una LCA applicata a un sistema industriale indirizza dunque lo studio di efficienza del sistema in oggetto verso la salvaguardia della salute dell’ambiente e dell’uomo e verso il risparmio delle risorse.
Punto fondamentale della teoria è la definizione di “sistema industriale”, che la norma ISO qualifica (...) come “sistema di prodotti”.
La differenza tra questi due modi di intendere il sistema oggetto di uno studio di LCA risiede principalmente nella visione sostanzialmente diversa tra coloro che intendono la LCA come analisi di processo e quelli che la intendono come analisi di prodotto.
Per chiarire meglio questa differenza, sottile solo in apparenza, è bene ricordare che con sistema industriale si intende un insieme di procedure la cui funzione principale è la produzione di beni utili; esso è separato dal sistema ambiente da confini fisici ben definiti ed è ad esso collegato grazie allo scambio di input e di output. In quest’ottica, l’ambiente non è quindi quello naturale definito dall’ecologia, ma è tutto ciò che sta all’esterno del sistema industriale considerato.
Secondo questa impostazione risulta chiaro come gli input del sistema sono parametri che intervengono nel dibattito sui problemi di risparmio delle risorse, mentre gli output riguardano i problemi di inquinamento.
Già da questa prima descrizione si capisce come la definizione della funzione del sistema industriale e dei confini dello stesso rappresentino due tra le operazioni chiave per la buona riuscita di uno studio di LCA.
È allora logico affermare che, più che descrivere il prodotto, una LCA descrive il sistema che lo genera o, in altre parole, la funzione del sistema stesso.
Questa distinzione è dunque importante per evitare il rischio di identificare in qualunque caso l’analisi di ciclo di vita dei processi con un’analisi di ciclo di vita dei prodotti. Le Norme ISO parlano allora di “sistema di prodotti” (product system nella ISO 14040) per indicare “l’insieme elementare di unità di processo connesse tra loro per quanto riguarda materia e energia, che perseguono una o più funzioni definite” e, pertanto, per porre un forte accento sull’importanza dei prodotti all’interno di un qualunque sistema di processi o di servizi.
Il modello analogico del sistema oggetto di indagine in una LCA risulta sempre essere una semplificazione della realtà, poiché, come tutti i modelli matematici, fisici e ingegneristici, non include una rappresentazione completa delle interazioni con l’ambiente. L’importante è (...) poter eseguire campagne di simulazione in maniera affidabile ed efficace per progettare il miglioramento del sistema indagato.
(...)
La struttura moderna della LCA proposta dalla norma ISO 14040 è sintetizzabile in quattro momenti principali (da notare come la nomenclatura delle quattro fasi della metodologia sia stata in parte modificata rispetto a quella introdotta nel Convegno SETAC del Vermont del 1990):
1. Definizione degli scopi e degli obiettivi (Goal and Scope Definition): è la fase preliminare in cui vengono definiti le finalità dello studio, l’unità funzionale, i confini del sistema studiato, il fabbisogno e l’affidabilità dei dati, le assunzioni e i limiti.
2. Analisi di Inventario (Life Cycle Inventory Analysis, LCI): è la parte del lavoro dedicata allo studio del ciclo di vita del processo o attività; lo scopo principale è quello di ricostruire la via attraverso cui il fluire dell’energia e dei materiali permette il funzionamento del sistema produttivo in esame tramite tutti i processi di trasformazione e trasporto. Redigere un Inventario di ciclo vita significa pertanto costruire il modello analogico del sistema reale che si intende studiare.
3. Analisi degli impatti (Life Cycle Impact Assessment, LCIA): è lo studio dell’impatto ambientale provocato dal processo o attività, che ha lo scopo di evidenziare l’entità delle modificazioni generate a seguito dei rilasci nell’ambiente e dei consumi di risorse calcolati nell’Inventario. È questa la fase in cui si produce il passaggio dal dato oggettivo calcolato durante la fase di Inventario al giudizio di pericolosità ambientale.
4. Interpretazione e Miglioramento (Life Cycle Interpretation): è la parte conclusiva di una LCA, che ha lo scopo di proporre i cambiamenti necessari a ridurre l’impatto ambientale dei processi o attività considerati, valutandoli in maniera iterativa con la stessa metodologia LCA in modo da non attuare azioni tali da peggiorare lo stato di fatto. La nomenclatura ufficiale ISO è stata integrata con la vecchia dizione Improvement ereditata dallo schema operativo redatto dalla SETAC in seguito al Congresso del Vermont del 1990.
Questi diversi momenti di analisi costituiranno il punto di riferimento per gli interventi su un processo di produzione esistente o per il progetto di un nuovo prodotto. 

La definizione di "sistema" nell'ottica di una LCA

Nell’ottica LCA si è visto che viene definito "sistema” un qualsiasi insieme di dispositivi che realizzano una o più precise operazioni industriali aventi una determinata funzione; esso è delimitato da appropriati confini fisici rispetto al sistema ambiente e con questo ha rapporti di scambio caratterizzati da una serie di input e output.
Si cominci dal caso più generale possibile di un sistema industriale di tipo globale, intendendo con questo un sistema i cui input consistono tutti in materie prime e in energia primaria (energia solare compresa) e i cui output in reflui (calore disperso, emissioni in acqua e in aria, rifiuti solidi) che ritornano al sistema ambiente (o biosfera). Si tratta di un sistema al cui interno sono presenti tutti i protagonisti dei processi di trasformazione intesi in senso lato: dai produttori agli utenti, attraverso i prodotti finali (...).
È questo il caso in cui si è anche soliti parlare di "vero sistema di ciclo vita” poiché tra i suoi output non esistono prodotti utili ma solamente sostanze reflue: prendendo spunto da questa definizione è di conseguenza possibile estendere il concetto "dalla culla alla tomba” a quello "dalla culla alla culla”.
Come evidenziato in precedenza, tali sistemi contengono un gran numero di operazioni collegate tra loro, anche in modo molto complesso, dai flussi di materiali, di energia e di prodotti finali.
Per effettuare un Inventario di ciclo vita di un sistema di questo genere è pertanto necessario definire in primo luogo le singole operazioni componenti come "operazioni unitarie”: ognuna di queste operazioni unitarie riceve i propri input dalle operazioni unitarie a monte, mentre i suoi output serviranno ad alimentare quelle seguenti, secondo l’effettivo schema di produzione. Anche se più difficile da immaginare, è bene comprendere come questo schema non sia lineare ma funzioni in modalità di network, in grado cioè di scambiare massa ed energia con altri componenti del sistema in maniera interdipendente (...).
In condizioni stazionarie, il comportamento di un’operazione unitaria è indipendente sia dalle operazioni che a monte la precedono e le forniscono gli input, sia da quelle a valle che ne ricevono gli output. Di conseguenza, tale comportamento può essere analizzato senza riferimento alle altre operazioni unitarie contenute nel sistema complessivo.
Questa considerazione è importante proprio perché non sempre si analizzano sistemi globali, ma è spesso opportuno limitare l’analisi a parti di essi, cioè a sottosistemi produttivi.
La definizione dei sottosistemi o delle operazioni unitarie avviene in base alla funzione loro assegnata all’interno del sistema globale, e, in pratica, dipende dal grado di dettaglio raggiungibile con le informazioni a disposizione, con i dati raccolti e con i limiti di tempo imposti per terminare lo studio.
L’analisi di un singolo sottosistema, anche per distinguerla da quella del sistema globale, viene di solito definita col termine "ecobilancio”.
L’ecobilancio si differenzia pertanto dalla LCA essenzialmente per i confini del sistema indagato. In altre parole, si può intendere la LCA come un insieme di ecobilanci collegati opportunamente tra di loro.
Come sarà possibile approfondire nel seguito di questo capitolo, definire i confini del sistema significa determinare le unità di processo che devono essere prese in considerazione dallo studio. Tali unità devono essere esplicitamente elencate per evitare, ad esempio, di paragonare sistemi che solo apparentemente sono confrontabili. 

L'analisi degli impatti di una LCA

Per valutare in maniera appropriata l’inquinamento dell’ambiente su diverse scale, devono essere tenuti in conto tre diversi fattori essenziali, quali l’emanazione di sostanze nocive (emissione), la diffusione e l’eventuale trasformazione che le sostanze subiscono una volta introdotte nell’ambiente (trasmissione), la concentrazione o la deposizione di inquinanti nel luogo d’azione (immissione). (...)
Fatta questa premessa, risulta più chiaro il significato di quello che normalmente viene definito “impatto ambientale” per interpretarne correttamente i rapporti con gli “effetti ambientali”: nel contesto della LCA, un impatto è il risultato fisico immediato di una data operazione (consistente, in particolare, nell’emissione di certe sostanze).
Un impatto è associato a uno o più effetti ambientali: ad esempio, la CO2 emessa durante la combustione di un certo quantitativo di carbone provoca un impatto che contribuisce “all’effetto serra”.
Ora, dato che non è possibile correlare inequivocabilmente uno specifico impatto con i suoi effetti ambientali, ci si deve limitare ad affermare che “l’impatto è ciò che prelude a un effetto”, senza pretendere di poter quantificare rigorosamente il secondo sulla base del primo.
Dunque, mentre possiamo ottenere il valore numerico degli impatti dai risultati della fase di Analisi di Inventario, i corrispondenti effetti ambientali potranno solo essere stimati sulla base di ipotesi e convenzioni da stabilire.
(...) È ancora opportuno precisare due aspetti legati alla trasmissione degli inquinanti in atmosfera.
Una prima considerazione è quella che permette di evidenziare come gli effetti dovuti alle sostanze rilasciate nell’ambiente possano verificarsi nelle immediate vicinanze del punto di emissione oppure possano avere una ricaduta su tutto il pianeta. In pratica, gli effetti ambientali si suddividono, in base alla scala di azione, in effetti globali, regionali o locali (...).
Questo aspetto è dovuto fondamentalmente alle caratteristiche fisiche e chimiche dell’emissione che genera l’effetto.
Prendiamo di nuovo ad esempio le emissioni di CO2, responsabili dell’effetto serra: analizzandone il comportamento in atmosfera, e quindi in particolare il tempo di permanenza, è possibile classificare l’effetto serra come un effetto a scala globale in quanto è stato appurato che l’emissione di gas serra in un punto contribuisce all’effetto su tutto il pianeta.
Per le emissioni di rumore, invece, è chiaro come queste debbano essere considerate solamente a scala locale in quanto il rumore generato in una miniera di bauxite in Australia né disturba le popolazioni Europee, né può essere fisicamente sommato al rumore generato dalla fabbrica che produce alluminio primario in Francia.
Come conseguenza dell’impostazione metodologica adottata è opportuno evidenziare che un eventuale giudizio di valore sul significato ambientale degli impatti può riguardare soltanto gli effetti globali, intendendo con tale attributo quelli che si manifestano a scala planetaria o regionale, e questo sia per la natura cumulativa dei risultati delle elaborazioni effettuate, sia per la mancanza di un unico specifico istante a cui riferire i rilasci.
Il peso globale di un determinato inquinante è infatti il risultato di tanti contributi, spesso provenienti da diverse aree geografiche della terra, mentre gli output rilevati sono a loro volta riferiti a diversi periodi di tempo.
È caratteristica dunque di questa fase della LCA la “globalità” dell’analisi, nel significato che si è attribuito al termine. Per questo motivo, i risultati di un’Analisi di Inventario possono essere in generale utilizzati per la valutazione di effetti a scala globale quali, come si vedrà più nel dettaglio al punto seguente, l’effetto serra e l’assottigliamento della fascia di ozono stratosferico.
In seguito sarà anche possibile evidenziare in che modo essi possano essere utilizzati per valutazioni a scala diversa. Per ora si osserva soltanto come, a seconda del livello di analisi che si intende raggiungere, sia possibile impostare la fase di valutazione con un approccio globale oppure specifico per un determinato sito.
Un ultimo aspetto da citare in questa parte teorica introduttiva, si riallaccia nuovamente al problema della trasmissione degli inquinanti rilasciati nell’ambiente. Le sostanze nocive emesse durante la fase di trasmissione possono subire trasformazioni chimiche, fisiche o biologiche dando origine ad altre sostanze che normalmente vengono definite inquinanti di neoformazione o secondari.
Questo è importante quando si vogliono definire e prevedere gli effetti ambientali causati dalle eventuali emissioni del processo che si sta analizzando. Per fare un esempio del fenomeno si può citare la formazione di ossidanti fotochimici che avviene a causa dell’azione della luce del sole sugli idrocarburi emessi in atmosfera dando origine a molecole di ozono.
È quindi chiaro come questo rappresenti un ulteriore ostacolo alla determinazione univoca degli effetti ambientali dovuti agli impatti negativi causati da un processo.