la devolution dell'ecomafia



da lanuovaecologia mensile 2005

la devolution dell'ecomafia

Così materiali contaminati finiscono sulla linea Venezia-Milano o diventano
composti. E lo smaltimento illecito invade il Nord

RAFFAELE LUPO LI i PEPPE RUGGIERO

Allii Mcck srl dì Curnasco di Treviolo, ne! bergamasco, lo scorso 16 mar/o
sarebbe stato un giorno di lavoro come canti altri. Da tutta la Lombardia,
nonostante l'azienda non fosse autorizzata a raccoglierli, erano in arrivo
i soliti tir carichi di rifiuti speciali. Dopo di che sarebbe partito il
consueto processo di "pulitura": quello che rende il carico, una volta
miscelato con altri materiali e camuffato grazie a documenti filisi, idoneo
allo smaltimento in discarica. Quel giorno però in azienda sono arrivati i
carabinieri e hanno bloccato gli impianti. Contemporaneamente, grazie
all'intervento di un centinaio di militari, venivano arrestate quattro
persone e sequestrati nelle province di Bergamo, lirescia, Lecco, Varese e
Creinona altri sci impianti di smaltimento con 25 autoarticolati, per un
valore di 30 milioni di euro. Sono i numeri dell'operazione Koiitlìc &
Cfytle (dal soprannome di uno dei 29 indagati), l'ultima delle tre
maxi-retate che tra febbraio e mar/o hanno bloccato nel Nord Italia
organizzazioni
dedite al traffico illecito di rifiuti. L'ultimo segnale che
qualcosa nello smaltimento illegale è cambiato. E che il baricentro sì è
spostato verso il Nord. «11 Settentrione - spiega Paolo Russo, presidente
della Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti -
rappresenta dal punto di vista squisitamente geografico un naturale
crocevia di traffici. Inoltre è l'area dove, in
virtù della presenza di un maggior numero di agglomerati industriali, si
producono più scorie speciali».

Sorpasso a Nord
In effetti, fra la Pianura padana e l'arco alpino (fatta eccezione forse
per la val d'Aosta) lo smaltimento illecito è diventato altrettanto
frequente che al Sud. Almeno a giudicare dalle inchieste avviate dal
febbraio 2002 in base all'artìcolo 53 bis del cosiddetto decreto Ronchi,
che nel 1997 ha introdotto il delitto di «attività organizzate per il
traffico illecito di rifiuti». Delle 36 principali operazioni di polizia
condotte negli ultimi tre anni, infatti, ben 11 hanno riguardato procure
localizzate dall'Emilia-Romagna in su. Dal marzo 200-1 sette dei 13 blìtz
sono stati effettuati nel Settentrione, che nell'ultimo anno ha perfino
superato le regioni a tradizionale presenza matiosa (Calabria, Campania,
Sicilia e Puglia). Compiendo anche un "salto di qualità": oltre che come
zona di procacciamento, il Nord Italia si attesta come destinazione
finale degli scarti industriali smaltiti illegalmente. Come dire: un
anticipo, assai poco onorevole, della devolution. A conferma di ciò, gli
ultimi traffici Nord-Sud intercettati dalle forze dell'ordine risalgono a
un anno fa, proprio nel periodo in cui le strade della Campania
cominciavano a riempirsi di rifiuti per l'emergenza discariche. Fra marzo e
aprile 2004 sì sono succedute le «pera/ioni Houdini (dagli impianti di due
società
veneziane partivano, accompagnate da documenti falsi, migliala di
tonnellate di rifiuti speciali e pericolosi), \losca (sul litorale
molisani» finivano scarti provenienti da Piemonte, Veneto, Toscana, Lazio,
Campania, Molise e Puglia) e Re Mida (i rifiuti provenienti dal
Centro-nord venivano smaltiti illegalmente in Campania e sembra che la
maggior parte contenesse sostanze cancerogene).

Questione di soldi
A i n terrompe re le migrazioni dei carichi avvelenati potrebbe essere
stata proprio la forte attenzione che nell'ultimo anno le istituzioni e i
media hanno rivolto al Mezzogiorno. Una spiegazione però che non convince
del tutto il tenente colonnello Antonio Menga, comandante del Reparto
operativo tutela ambiente dell'Anna, da sei anni alla guida di numerose
inchieste sul ciclo illegale dei ritìnti: «Forse un territorio più
controllato nel Meridione favorisce il fatti» che i trafficanti del Nord
facciano tutto in casa. Ma questo fenomeno è sempre esistito in alta
Italia, dove la concentrazione di distretti industriali è più elevata. Dirò
di più: anche quando i rifiuti finiscono smaltiti al Sud, le menti, gli
organizzatori veri e propri, sono sempre persone residenti nel
Settentrione». L'attività delle forze dell'ordine poi, ha avuto il suo
peso: «Gli ecocri-minali non si spingono dove trovano maggior contrasto -
prosegue Menga -1 terreni fertili per ecomafia sono quelli meno
conosciuti, ma per fortuna ormai li conosciamo tutti». Insomma, ancora una
volta quella economica sembra la spiegazione più convincente per questa
"contrazione" delle rotte: «Se lo smaltimento avviene più vicino i costi si
abbattono: basta trovare i siti idonei».

Tecniche all'avanguardia
Proprio un recente dossier preparato dai carabinieri del Comando tutela
ambiente e da Legambiente, Rifiuti Spa, ha messo in chiaro le modalità con
cui si svolgono questi traffici. Negli ultimi tempi sono
venute alla luce tecniche sempre nuove e una metodologia più subdola di
smaltimento. I trafficanti non sono più costretti a scavare enormi buche:
questo rende più agevole completare il ciclo illegale nella stessa zona di
produzione. La tecnica del "giro di bolla", infatti, consente a tir
imbottiti di rifiuti pericolosi di viaggiare indisturbati lungo le
autostrade. In realtà il carico transita solo sulla carta da un centro di
stoccaggio all'altro: una rete ben articolata di faccendieri, analisti,
chimici e impiegati (vedi l'infografica in queste pagine) cambia i codici,
declassifica i rifiuti e ne falsifica le caratteristiche reali. Così, un
rifiuto pericoloso diventa speciale, un solvente tossico destinato a finire
in una discarica ad hoc si trasforma attraverso una "miscelazione" in
innocuo rifiuto urbano. E magari finisce come compost in terreni agricoli o
nel sottofondo stradale. Negli ultimi tempi poi al giro di bolla si è
aggiunta - come emerso dalle indagini dell'operazione Houdmi - la "teoria
del
codice prevalente": una partita ottenuta dalla miscelazione di rifiuti con
codici diversi viene identificata con il codice dei rifiuti presenti in
maggiore quantità.

I Colletti bianchi
Insomma, gli ecocriminali non hanno più bisogno di scavare enormi buche in
aree preferibilmente lontane dal controllo delle forze dell'ordine,
stringendo accordi con la criminalità organizzata. I "colletti bianchi" dei
rifiuti (come il chimico di turno, che predispone un formulario o un
certificato di analisi falso, o come i funzionari pubblici pronti a
chiudere più di un occhio dietro adeguata ricompensa) sono in grado di
garantire la "ripulitura" di interi carichi pericolosi, che poi finiscono
smaltiti in impianti non idonei, alla luce del sole. Da quando sono stati
messi a punto questi nuovi metodi, le indagini si sono fatte più complesse.
Ne sa qualcosa Vincenzo Macrì, dall'ottobre scorso a capo del servizio
della Dirczione nazionale
antimafia dedicato al fenomeno dell'eco-mafia. «Non è facile - chiarisce -
far fronte a un tipo di criminalità che mette insieme delitti ambientali,
delitti di mafia e reati contro la pubblica amministrazione. Per il momento
non sembra che le ultime operazioni mostrino un coinvolgimento della
criminalità organizzata. Ma una presenza diretta o indiretta, magari nella
fase di intermediazione o trasporto, non si può escludere del tutto».
Il mercante-Dei resto, nelle piccole e medie aziende del Nord se ne trovano
tanti di imprenditori pronti a smaltire a bassissimo costo rifiuti speciali
e pericolosi senza preoccuparsi di dove vadano a finire. Al punto che
persino strade ferrate e cavalcavia sono stati utilizzati come discariche a
ciclo apeno: fanghi pieni di idrocarburi pesanti, nichel e rame sono stari
utilizzati per realizzare massicciate per ferrovie, strade e parcheggi.
Sono 28 gli indagati, con sette ordinanze di custodia rantolare,
nell'ambito dell'operazione // mercante di rifiuti, effettuata nel
Vicentino il 22 febbraio dagli agenti del Corpo forestale dello Stato.
Sulla linea dell'alta velocità Venezia-Milano, quattro chilometri tra
Mestre e Dolo, olire a un cavalcavia del nuovo raccordo di Padova, sono
diventati ricettacolo di questi residui di lavorazione provenienti da
Veneto, Iombardia, Trentino ed Emilia-Romagna. L'ideatore della maxi
truffa - che fruttava tre milioni di euro l'anno sarebbe Fabrizio C.,
imprenditore di ... anni titolare della ditta che forniva il conglomerato.
Le opere pubbliche in cui il materiale è finito, spiegano gli
investigatori, "sono potenzialmente pericolose». Per i cittadini che le
utilizzano, per i lavoratori che le hanno realizzate. E per le falde
acquifere sottostanti.
Un altro imprenditore, Riccardo B., quarantadu enne residente a Mon
lecchio Maggiore (\lcenza), è stato arrestato invece lo scorso 17
febbraio. Gli uomini del Corpo forestale lo ritengono «responsabile di una
lucrosa attività di smaltimento di rifiuti per un giro complessivo di
affari di circa quattro milioni di euro l'anno». Con lui quattro persone,
fra cui la moglie titolare della ditta, sono finite agli arresti e altre
sette sono indagate come intermediar! o destinatari finali dei traffici
verso impianti situati in Lombardia, Veneto, Trentino-Alto Adige, Toscana
ed
Emilia-Romagna. Facile capire perché l'inchiesta sia stata chiamata
Camaleonte: "Una vera e propria operazione di trasformismo di facciata, di
miscelazione di carichi di rifiuti spacciati per legno che finivano ai
termo va lori zza tori o agli impianti di recupero», recita la nota emessa
dal Corpo forestale in seguito agli arresti. In soli tre mesi oltre 35
milioni di chili di rifiuti, cento camion al giorno, sono finiti
direttamente in discarica senza passare nei centri di selezione e recupero.
Come spesso accade, i prezzi stracciati che l'imprenditore arrestato
praticava a oltre cento imprese del Vicentino, avevano messo fuori mercato
i concorrenti ehe operavano nel rispetto della legge. Ora gli inquirenti
sono al lavoro per stabilire se i clienti fossero a conoscenza della truffa
del "camaleonte".

Bugie che puzzano
I nomi utilizzati per individuare i diversi filoni d'indagine la dicono
lunga sulla natura delle a ni vita messe in piedi dai trafficanti. Basti
pensare a quella chiamata Pinocchio, che nel luglio 2004 ha portato alla
scoperta di un giro di rifiuti speciali provenienti da aziende lombarde,
piemontesi e liguri. Destinazione, alcuni impianti delle province dii Al
essandria e Novara su intermediazione di società di Pavia e Bra.
Stavolta il gruppo di ecocriminali, che aveva costituito una società
denominata Gvp (il Catto, la Volpe e appunto Pinocchio), operava in due
modi paralleli: modificando la classifi camion e degli scarti o
miscelandoli per destinarli a imprese che producono compost, a cave
autorizzate al ripristino ambientale o a discariche di rifiuti urbani. 11
mese scorso è stato comunicata la conclusione delle indagini, con la
richiesta HI di rinvio a giudi/io per 36 persone. Così Pinocchio e
compagnia hanno smesso di dire bugie.

Un articolo "determinante"
Una carrellata di successi investigativi, insomma, che ha una spiegazione
ben precisa: «Assieme al rafforzamento del nostro organico, voluto dal
ministro Malleoli - sottolinea il colonnello Antonio Menga - l'articolo
53 bis ci ha consentito di ottenere risultati che
altrimenti non avremmo avuto. Ha reso le indagini più agili e snelle: con
l'introduzione della pena detentiva da uno a sei anni, ad esempio, oggi
perni a mo ricorrere alle intercettazioni telefoniche». Questa evoluzione
nonnativa si è rivelata determinante anche come strumento di contrasto alle
cosche.

I produttori
Complice l'assenza di controlli, chi produce rifluii ne affida lo
smaltimento a società non autorizzale, badando solo a minimizzare i costi
del servizio In alcuni casi il produttore è artefice diretto dello
smaltimento illegale

Gli intermediali
Pilotano il flusso illegale facendo tramite fra chi produce e chi siri
lisce e individuando sempre nui sversatoi Non entrano mai in cr tatto con i
rifiuti e per operare gli bai un piccolo ufficio, a volte solo I ai

I trasportatori
In passato provvedevano direttamente a falsificare i documenti di trasporto
per conferire m discariche autorizzate rifiuti non idonei. Oggi capita
spesso che il reato di traffico illecito si consumi a loro insaputa

Gli pseudo-imprenditori
Si tratta di truffatori specializzati ne declassificazione dei rifiuti.
Spas sono proprie tari dei siti dove si sir toscono senza autorizzazione
odii tori di discariche che in cambio di t geniì "chiudono un occhio'

Laboratori di analisi
Gli analisti chimici, nella veste di consulenti, "adeguano" gli esiti degli
esami alle esigenze dei trafficanti. Gli inquirenti hanno scoperto
certificati di iaboratori inesistenti o sprovvisti della strumentazione
necessaria

La manodopera
Sono trasportatori, agricoltori die far da scaricatori o pastonsentinelle.
E co è emerso dalle intercettazioni, qgar il carico è parti cola rmente
peritata trafficami non si sporcano le mani: .fi diamo due, tre
marocchini...».


«ROMPERE L'ACCORDO TRA IMPRESE E CLAN»
Per il procuratore nazionale antimafia Vigna i risparmi ottenuti con
l'illegalità sono illusori
«Va preso atto che ormai certi fenomeni interessano l'intero paese. E non
esitano a spostarsi anche oltrefrontiera. La criminalità ambientale non è
diversa da quella tradizionale: va dove ci sono gli affari». Piero Luigi
Vigna, 72 anni, confermato di recente - con una propoga che non ha mancato
di suscitare polemiche - alla guida della Dirczione investigativa antimafia
conferma l'allarme sull'intensificazione dei traffici illeciti di rifiuti
al Nord.
Le ultime operazioni indicano che ormai lo smaltimento illegale avviene
direttamente nei luoghi di produzione.
Certo, ma per fortuna il lavoro degli inquirenti ha portato a galla anche
questo nuovo aspetto. Il merito è anche di associazioni come Legam-biente,
che negli anni ha sensibilizzato forze di polizia e magistratura. Un merito
è anche quello di aver chiesto con insistenza un intervento normativo.
L'articolo 53 bis nel decreto Ronchi ha dato la possibilità alla
magistratura di intervenire più drasticamente. Ora bisogna introdurre i
delitti contro l'ambiente nel codice penale. Che cosa hanno in comune
l'eco-mafia e le altre forme di criminalità organizzata?
Pensi ai tabacchi, agli stupefacenti, agli stessi rifiuti... Pensi anche
alla tratta di esseri umani a fini di sfruttamento della prostituzione:
sono tutte forme di criminalità consensuale.
Cosa intende dire? C'è un mercato dove accanto a chi produce e offre beni
illeciti troviamo anche una domanda, gente che acquista questi beni. Il
problema di politica criminale più urgente mi
sembra quello di rompere questo accordo, questa consensualità. Intervenendo
in primo luogo sulla prevenzione.
E in quale maniera? Innanzitutto con l'informazione. Chi
I verificata sotto due profili. Il profilo I alto, che è quello che ha
posto in i luce questa indagine, e il profilo i basso, che deriva da
un'analisi fatta i sul territorio di Reggio Calabria e i Messina. Qui, per
esempio, sono sorti ; alberghi, residence e altro. L'aspet-! tativa è che
lo Stato al momento ! degli espropri paghi, e bene, sia il terreno sia la
costruzione. Quanto costruito dopo una certa data, quando ormai
"l'ingombro" del Ponte era noto, va demolito per legge, senza risarcimento.
I commissari dei Comuni sciolti per mafia, nelle loro relazioni al
Parlamento, hanno rilevato come la criminalità che si sostituisce allo
Stato non è capace di garantire i servizi
'Nessun risarcimento a chi ha costruito nei luoghi in cui sorgerà il Ponte.
Servono criteri rigorosissimi nelle candidature a livello locale'
smaltisce illegalmente un chilo di rifiuti nocivi risparmia, ma è un
risparmio illusorio. I soldi spesi "in nero" alimentano organizzazioni che
si infilano nell'economia legale e creano concorrenza monopolistica. Questi
imprenditori, alla lunga, si danneggiano da soli.
Di recente è arrivata la conferma che le cosche tentano di infiltrarsi
nell'affare del ponte sullo Stretto. Di fronte ad attacchi così pesanti, le
sembrano sufficienti gli strumenti di prevenzione messi in campo?
Già il risultato dell'indagine della Distrettuale di Roma mi sembra
positivo. L'aggressione al Ponte l'abbiamo
al cittadino: acqua, rifiuti, qualità urbana...
Le organizzazioni mafiose hanno come unico know-how la violenza e il
profitto. E sottovalutano i benefici apportati dalle moderne tecnologie.
Per questo è sicuramente più efficiente un'amministrazione non mafiosa.
Pensi alla ricchezza prodotta da alcuni termovalorizzatori in Lombardia. Le
discariche abusive, invece, perseguono solo profitti individuali
compromettendo intere aree del nostro territorio. Lei ha più volte invitato
i giovani delle terre di mafia e camorra ad amare di più il lavoro. Se non
c'è, però, non basta amarlo.
Sì, certo, il lavoro va dato. Ma è più facile dare lavoro che insegnare ad
avere voglia di lavorare. Pensi a un ragazzo di Scampia che "piglia" 50 o
100 euro al giorno per fare la sentinella appoggiato a un muro, al sole,
fumando sigarette. Il problema vero è come gli trasferisco la voglia di
lavorare. La vita del camorrista o del mafioso, al di là dei denari, è
trascorsa a cercare di non essere ammazzati. Nel '93 ad Agrigento il papa
disse: «Giovani, riprendete in mano la vostra vita ». Questi ragazzi hanno
la vita nelle mani di altri. A proposito delle mani di altri, lei ha
invitati i sindaci a costruire i insieme il futuro di questi territori. i
Ma come recita il titolo di un libro, : mafiosi e politici sono ancora i
«amici come prima», non le pare? i Le rappresentanze nazionali dei par-i
titi sono state capaci di fare una sorta I di patto a escludendum. In
questo i momento, le organizzazioni mafiose i trovano i collegamenti
soprattutto ! negli enti locali: dove si stabilisce se i e come si deve
fare un'opera. È a questi livelli allora che è necessario che i partiti
adottino criteri rigidissimi per le candidature. Ma come è possible
raggiungere questo risultato se il tema provoca ancora forti divisioni
politiche? Se non si esce dalle polemiche più o meno strumentali, se non ci
sono dei temi condivisi come la lotta alla mafia o la legalità è
impossibile fare qualunque ragionamento serio. Questa alternanza di
balletti fra la Sicilia che prospera e quella mafiosa è sbagliata.
Recentemente ho partecipato a un convegno sul racket a Palermo. Lì -come
dicono i miei colleghi - tutti pagano il pizzo. E il teatro quel giorno i
era vuoto. (Raffaele Lupoli)
alcuni casi, infatti, le indagini partite dal traffico di rifiuti hanno
addirittura disvelato attività di stampo mafioso o camorristico,
consentendo agli inquirenti di applicare anche l'articolo 416 bis del
codice penale. È il caso delle operazioni Houdini, Re Mida (che nel 2003 ha
portato all'arresto di sei esponenti del clan dei Casalesi) e di un suo
sviluppo nell'anno successivo, l'operazione
Mazzettus. «Re Mida è un'indagine unica nel suo genere - commenta ancora
Menga - sia per le particolari tecniche investigative che abbiamo adottato
sia per il coacervo di reati che sono venuti alla luce: traffico di
rifiuti, corruzione, estorsioni della criminalità organizzata ai danni
degli stessi trafficanti...». Viene da chiedersi che cos'altro salterebbe
fuori se si introducessero i delitti
contro l'ambiente nel codice penale. «In effetti c'è bisogno di un
ulteriore adeguamento della nonnativa - conclude il procuratore Macrì - La
lista dei reati che sarebbe più facile contrastrare è lunga: si tratta di
tutti quelli che possono configurarsi come disastro ambientale». Speriamo
che mentre il legislatore "studia" non ce ne siano di
nuovi