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il blackout della ragione economica
- Subject: il blackout della ragione economica
- From: "ANDREA AGOSTINI" <lonanoda at tin.it>
- Date: Mon, 4 Jul 2005 21:19:54 +0200
da "il manifesto" del 18 Ottobre
2003
Il blackout della ragione economica Crisi energetica e mito del progresso. «Un mondo diverso è necessario», l'ultimo libro di Carla Ravaioli Opzione zero La possibilità di una crescita illimitata si rivela una cattiva profezia. Alcune riflessioni sullo sviluppo insostenibile ENZO SCANDURRA, Mano a mano che la tecnologia si fa più raffinata cresce la nostra dipendenza da essa e la nostra assuefazione alle macchine e ai sistemi intelligenti. Il grande black-out che ha colpito l'Italia ha rafforzato la sensazione che senza una tecnologia raffinata non possiamo più vivere. Ma siamo davvero liberi di scegliere? L'homo technologicus non è «uomo-più-tecnologia», ma una nuova unità evolutiva e antropologica. Non sarebbe saggio (anche se fosse possibile) tornare indietro - diceva Bateson -, poiché ciò comporterebbe la perdita della saggezza che ci avrebbe spinti a questo ritorno e non farebbe che rimettere in moto daccapo tutto il processo. Andando semplicemente avanti, però, possiamo anche imboccare un vicolo cieco del processo evolutivo, come quel tale che segava il ramo cui era seduto. D'altra parte la nostra economia non ci consente neppure l'opzione della crescita zero; i consumi energetici, insieme al Pil, non possono che aumentare e, con essi, la nostra dipendenza dalle leggi del mercato, dei consumi, dallo sperpero di risorse del pianeta. Nessuno, naturalmente, vuole tornare indietro, ma una civiltà elevata dovrebbe limitare le proprie interazioni con l'ambiente. Dovrebbe consumare risorse naturali non rinnovabili solo allo scopo di facilitare i mutamenti necessari. Per il resto il metabolismo della civiltà deve dipendere dall'energia che l'astronave Terra riceve dal Sole. Quanto accaduto recentemente: variazioni climatiche insopportabili, black-out energetici, aumento delle specie a rischio di estinzione, fanno tornare d'attualità i temi del libro di Carla Ravaioli, Un mondo diverso è necessario (Editori Riuniti) che mette a nudo le contraddizioni economiche, sociali e perfino epistemologiche di un sistema planetario che si sviluppa in modo ortogonale ai processi naturali. Chi ha detto - dice Carla Ravaioli - che un'economia che non cresce è un'economia malata? Sembrerebbe una domanda impertinente, polemica e fuori luogo, ma, in fondo, è come l'esclamazione del bambino che vede il re che è nudo. Si perché questa stessa cosa è stata sollevata recentemente anche da altri autorevoli economisti; per esempio Walden Bello e Paolo Sylos Labini (Se la sinistra ha il coraggio dell'utopia, L'Unità dell'8 settembre 2003). Questa strana idea della crescita zero pare, infatti, che non sia nuova e che abbia, al contrario, antenati illustri come Adam Smith e John Stuart Mill. La crescita dell'economia era considerata da questi rivoluzionari signori necessaria per ridurre la miseria ma, da un certo momento in poi, essa avrebbe potuto e dovuto rallentare fino a fermarsi. Insomma Carla Ravaioli va dritta al problema e in questo senso non risparmia critiche a una sinistra che sembra non riuscire a pensare fuori dal paradigma della crescita e dell'aumento del Pil, della linearità dello sviluppo e dell'ineluttabilità del progresso. Eppure sono oggi oggettivamente osservabili e riscontrabili i sintomi di patologie ecologiche preoccupanti. Crescono gli effetti negativi, i feedback dell'ambiente e, dunque, secondo una spirale perversa, crescono anche i costi sociali necessari per tentare di «riparare» (inutilmente) i danni prodotti. Un modello diverso, dunque, non è solo possibile o auspicabile, ma, per Carla Ravaioli, esso si impone come necessario. Il libro non si limita ad una riflessione sui guasti ambientali prodotti da una crescita insensata; il mondo diverso implica necessariamente fare i conti e farsi carico della sofferenza e del dolore degli altri. Carla Ravaioli si guarda infatti attentamente intorno alla ricerca non dico di una soluzione alternativa, ma di un segnale, di un riferimento: incrocia, questo sguardo, economisti come: Adam Smith, Stuart Mill, Keynes, Sylos Labini Giorgio Fuà, Claudio Napoleoni tutti loro più o meno tenacemente convinti che il Pil non è proprio per niente un indicatore di benessere e che la crescita non è affatto necessaria. Nonostante questi pensieri ancorché autorevoli, ma sparigliati e inascoltati, le cose continuano ad andare come sono sempre andate: il benessere è divenuto crescita dei consumi ed il consumo è diventato sinonimo di benessere e, quindi, il consumo è diventato etica. Ma perché non stupirci di questo? Perché non stupirci osservando i giovani che non sanno più trascorrere qualche minuto della loro vita senza i telefoni cellulari? Perché non stupirci del fatto che «abbiamo ucciso le mezze stagioni» (Marcello di Cini su il manifesto del 18 settembre), o della crescita continua della produzione di automobili delle quali ormai potremmo fare volentieri a meno per gran parte della giornata? Insomma se un messaggio è forte e chiaro nel libro della Ravaioli, esso è proprio questo: almeno continuiamo a stupirci di questo mondo insensato perché abituarci ad esso è l cosa più terribile che ci può accadere perché lo stupore e l'io non ci sto è una delle armi più potenti contro l'assuefazione, la manipolazione, la rinuncia a cambiare. Ma la Ravaioli è studiosa che ha alle spalle una tradizione lunga di impegno politico e sa di non potersi sottrarre al «dovere» di fornire alcune risposte. Forse basterebbe, per cominciare, dice verso la fine del suo libro, dire ciò che non siamo, ciò che noi sinistre non possiamo essere e ciò che non vogliamo. Il primo valore da rifiutare dovrebbe essere il dominio incontrastato del fondamentalismo della ragione economica; il secondo è la quantità come misura di tutto il positivo; il terzo è il denaro come religione; il quarto è quella bestialità secondo la quale il tempo è denaro. Quinto valore da rifiutare è il mito dell'inesauribilità della natura; sesto valore da abiurare è quella tenacissima fede nel progresso della quale già Leopardi diffidava con ironia, ma che pervade l'intera nostra cultura e che le sinistre hanno abbracciato nel modo più acritico. Il ricettario elencato sembra banale, proprio come l'uovo di Colombo (chi non ci ha già pensato?): a Galilei che asseriva che la verità non può essere nemica della scienza, il matematico di corte rispondeva dicendo: «La Verità, la Verità ...chissà dove ci può portare». L'appello della Ravaioli individua come interlocutore quello storico lungo la tradizione del movimento operaio; si rivolge al mondo politico istituzionale che «non vede, non sente, non capisce o non vuole capire» che il mondo diverso non solo è possibile, ma necessario: «sembrano sogni - conclude la Ravaioli - e forse lo sono. Io resto però convinta che, come diceva Napoleoni, "posti a livello minore, i problemi non hanno risposta"». Già. |
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