il blackout della ragione economica



da "il manifesto" del 18 Ottobre 2003

Il blackout della ragione economica

Crisi energetica e mito del progresso. «Un mondo diverso è necessario»,
l'ultimo libro di Carla Ravaioli Opzione zero La possibilità di una
crescita illimitata si rivela una cattiva profezia. Alcune riflessioni
sullo sviluppo insostenibile
ENZO SCANDURRA,

Mano a mano che la tecnologia si fa più raffinata cresce la nostra
dipendenza da essa e la nostra assuefazione alle macchine e ai sistemi
intelligenti. Il grande black-out che ha colpito l'Italia ha rafforzato la
sensazione che senza una tecnologia raffinata non possiamo più vivere. Ma
siamo davvero liberi di scegliere? L'homo technologicus non è
«uomo-più-tecnologia», ma una nuova unità evolutiva e antropologica. Non
sarebbe saggio (anche se fosse possibile) tornare indietro - diceva
Bateson -, poiché ciò comporterebbe la perdita della saggezza che ci
avrebbe spinti a questo ritorno e non farebbe che rimettere in moto daccapo
tutto il processo. Andando semplicemente avanti, però, possiamo anche
imboccare un vicolo cieco del processo evolutivo, come quel tale che segava
il ramo cui era seduto. D'altra parte la nostra economia non ci consente
neppure l'opzione della crescita zero; i consumi energetici, insieme al
Pil, non possono che aumentare e, con essi, la nostra dipendenza dalle
leggi del mercato, dei consumi, dallo sperpero di risorse del pianeta.
Nessuno, naturalmente, vuole tornare indietro, ma una civiltà elevata
dovrebbe limitare le proprie interazioni con l'ambiente. Dovrebbe consumare
risorse naturali non rinnovabili solo allo scopo di facilitare i mutamenti
necessari. Per il resto il metabolismo della civiltà deve dipendere
dall'energia che l'astronave Terra riceve dal Sole.

Quanto accaduto recentemente: variazioni climatiche insopportabili,
black-out energetici, aumento delle specie a rischio di estinzione, fanno
tornare d'attualità i temi del libro di Carla Ravaioli, Un mondo diverso è
necessario (Editori Riuniti) che mette a nudo le contraddizioni economiche,
sociali e perfino epistemologiche di un sistema planetario che si sviluppa
in modo ortogonale ai processi naturali.

Chi ha detto - dice Carla Ravaioli - che un'economia che non cresce è
un'economia malata? Sembrerebbe una domanda impertinente, polemica e fuori
luogo, ma, in fondo, è come l'esclamazione del bambino che vede il re che è
nudo. Si perché questa stessa cosa è stata sollevata recentemente anche da
altri autorevoli economisti; per esempio Walden Bello e Paolo Sylos Labini
(Se la sinistra ha il coraggio dell'utopia, L'Unità dell'8 settembre 2003).
Questa strana idea della crescita zero pare, infatti, che non sia nuova e
che abbia, al contrario, antenati illustri come Adam Smith e John Stuart
Mill. La crescita dell'economia era considerata da questi rivoluzionari
signori necessaria per ridurre la miseria ma, da un certo momento in poi,
essa avrebbe potuto e dovuto rallentare fino a fermarsi. Insomma Carla
Ravaioli va dritta al problema e in questo senso non risparmia critiche a
una sinistra che sembra non riuscire a pensare fuori dal paradigma della
crescita e dell'aumento del Pil, della linearità dello sviluppo e
dell'ineluttabilità del progresso. Eppure sono oggi oggettivamente
osservabili e riscontrabili i sintomi di patologie ecologiche preoccupanti.
Crescono gli effetti negativi, i feedback dell'ambiente e, dunque, secondo
una spirale perversa, crescono anche i costi sociali necessari per tentare
di «riparare» (inutilmente) i danni prodotti. Un modello diverso, dunque,
non è solo possibile o auspicabile, ma, per Carla Ravaioli, esso si impone
come necessario.

Il libro non si limita ad una riflessione sui guasti ambientali prodotti da
una crescita insensata; il mondo diverso implica necessariamente fare i
conti e farsi carico della sofferenza e del dolore degli altri. Carla
Ravaioli si guarda infatti attentamente intorno alla ricerca non dico di
una soluzione alternativa, ma di un segnale, di un riferimento: incrocia,
questo sguardo, economisti come: Adam Smith, Stuart Mill, Keynes, Sylos
Labini Giorgio Fuà, Claudio Napoleoni tutti loro più o meno tenacemente
convinti che il Pil non è proprio per niente un indicatore di benessere e
che la crescita non è affatto necessaria. Nonostante questi pensieri
ancorché autorevoli, ma sparigliati e inascoltati, le cose continuano ad
andare come sono sempre andate: il benessere è divenuto crescita dei
consumi ed il consumo è diventato sinonimo di benessere e, quindi, il
consumo è diventato etica. Ma perché non stupirci di questo? Perché non
stupirci osservando i giovani che non sanno più trascorrere qualche minuto
della loro vita senza i telefoni cellulari? Perché non stupirci del fatto
che «abbiamo ucciso le mezze stagioni» (Marcello di Cini su il manifesto
del 18 settembre), o della crescita continua della produzione di automobili
delle quali ormai potremmo fare volentieri a meno per gran parte della
giornata?

Insomma se un messaggio è forte e chiaro nel libro della Ravaioli, esso è
proprio questo: almeno continuiamo a stupirci di questo mondo insensato
perché abituarci ad esso è l cosa più terribile che ci può accadere perché
lo stupore e l'io non ci sto è una delle armi più potenti contro
l'assuefazione, la manipolazione, la rinuncia a cambiare.

Ma la Ravaioli è studiosa che ha alle spalle una tradizione lunga di
impegno politico e sa di non potersi sottrarre al «dovere» di fornire
alcune risposte. Forse basterebbe, per cominciare, dice verso la fine del
suo libro, dire ciò che non siamo, ciò che noi sinistre non possiamo essere
e ciò che non vogliamo.

Il primo valore da rifiutare dovrebbe essere il dominio incontrastato del
fondamentalismo della ragione economica; il secondo è la quantità come
misura di tutto il positivo; il terzo è il denaro come religione; il quarto
è quella bestialità secondo la quale il tempo è denaro. Quinto valore da
rifiutare è il mito dell'inesauribilità della natura; sesto valore da
abiurare è quella tenacissima fede nel progresso della quale già Leopardi
diffidava con ironia, ma che pervade l'intera nostra cultura e che le
sinistre hanno abbracciato nel modo più acritico. Il ricettario elencato
sembra banale, proprio come l'uovo di Colombo (chi non ci ha già pensato?):
a Galilei che asseriva che la verità non può essere nemica della scienza,
il matematico di corte rispondeva dicendo: «La Verità, la Verità ...chissà
dove ci può portare». L'appello della Ravaioli individua come interlocutore
quello storico lungo la tradizione del movimento operaio; si rivolge al
mondo politico istituzionale che «non vede, non sente, non capisce o non
vuole capire» che il mondo diverso non solo è possibile, ma necessario:
«sembrano sogni - conclude la Ravaioli - e forse lo sono. Io resto però
convinta che, come diceva Napoleoni, "posti a livello minore, i problemi
non hanno risposta"». Già.