"Banca Padrona", di Angiolo Silvio Ori, SugarCo Edizioni, 1976



I misteri dei bilanci delle banche
Da: "Banca Padrona", di Angiolo Silvio Ori, SugarCo Edizioni, 1976

Sulla base dei dati forniti dalle banche interessate l'utile complessivo 
dell'intero sistema bancario sarebbe stato, nel 1975, di circa 200 miliardi 
di lire, naturalmente utile netto, che rende soltanto parzialmente l'idea 
del reale profitto del sistema bancario italiano calcolato, invece, dal 
ministro Donat Cattin in quattromila miliardi.
Per la verità le stesse banche sanno benissimo che il guadagno netto 
indicato nei loro bilanci annuali (e cioè la differenza tra l'ammontare dei 
proventi e quello delle spese e delle perdite) è cosa ben diversa dal 
guadagno reale. Nel passivo dei bilanci figurano, infatti, delle voci che 
non possono essere considerate "perdite" e neppure "spese": è il caso, per 
esempio, di quegli accantonamenti effettuati a fronte di presunte, 
possibili ed eventuali perdite. Queste somme, quasi sempre rilevantissime, 
possono essere, tutto al più, considerate delle vere e proprie riserve 
(tassate, tra l'altro, soltanto in parte); al minimo, veri e propri 
incrementi del patrimonio. E' giusto, quindi, che, per avere un'idea più 
precisa dei guadagni del sistema bancario, esse vengano sommate ai profitti.
Cominciamo, intanto, col ricordare che anche stando ai bilanci redatti 
dalle banche gli utili netti sono aumentati in modo notevole per tutti [1]. 
I più cospicui, sempre tra quelle private, riguardano il Credito bergamasco 
(da 1.059 milioni a 2.211), la Banca Agricola Milanese (da 928 milioni a 
1.954 milioni), la Banca d'America e d'Italia (da 2.238 a 4.275 milioni). 
Ed ora diamo un'occhiata agli accantonamenti (1975): la Banca Commerciale 
Italiana, con un utile di 9.230 milioni, ne accantona 65 mila; il Credito 
Italiano, a sua volta, con un utile di 7.829 milioni, ben 83 mila; per il 
Banco di roma l'utile netto è di 5.594 milioni e gli accantonamenti 26 mila 
milioni. Tra le banche private  troviamo l'Ambrosiano con 3.449 milioni di 
utili e 5.168 di accantonamenti e la Banca Cattolica del veneto con 3.364 
milioni di utili e 8.502 milioni di accantonamenti; il fenomeno è più 
ridotto ma sempre rilevante.
E dobbiamo ringraziare la legge fiscale Visentini se oggi siamo in grado di 
leggere queste cifre e somme una volta occultate nelle pieghe di 
incomprensibili bilanci. Tra l'altro la legge del condono tributario come 
abbiamo già rilevato nel nostro precedente volume [2] ha consentito alle 
banche di definire in modo automatico le pendenze fiscali arretrate 
concedendo alle stesse di annotare fra le passività una "riserva tassata" 
pari all'ammontare del maggior imponibile fiscale (rispetto a quello 
dichiarato) sul quale assolvere il tributo in base al condono. Sono così 
spariti i "fondi patrimoniali riservati", i "conti sussidiari", 
le "disponibilità fuori bilancio" sui quali non veniva pagata una sola lira 
di tasse, e finalmente queste "riserve occulte" sono apparse per quello che 
erano in realtà: profitti.
Le banche non hanno perduto tempo e così si è visto la Banca Commerciale 
Italiana con un utile di esercizio (1974) di 7,9 miliardi iscriverne 
nella "riserva tassata" 110 e il Credito Italiano, a sua volta, contro un 
utile di 9 miliardi, oltre 62. La Banca Nazionale del Lavoro accantonava 
176,6 miliardi che avevano come contropartita la rivalutazione degli 
immobili, di alcune partecipazioni e l'utilizzo di precedenti 
accantonamenti per assicurazioni e rischi. Per la Banca Nazionale 
dell'Agricoltura la "riserva tassata" era di 14,2 miliardi a fronte della 
quale la banca aumentava il valore degli immobili per 5,5 miliardi e così 
per il Banco di Santo Spirito nel cui bilancio la riserva tassata di 8,1 
miliardi emergeva da una pari rivalutazione degli immobili [3].
Ma tra le pieghe dei bilanci si possono rintracciare anche altre voci che 
permettono, quanto meno, di mascherare i profitti: sono i 
cosiddetti "fondi" di garanzia contro i rischi della svalutazione [N.d.R.: 
creata da loro tramite l'emissione monetaria dal nulla] e dell'oscillazione 
valori, per la liquidazione del personale e così via. Nel bilancio 1975 
della Banca Commerciale Italiana, per esempio, accanto all'utile netto di 
9,2 miliardi, si può leggere un'altra cifra da capogiro, che rende più 
realmente l'idea dei guadagni realizzati, ed è quella rappresentata 
dall'utile lordo di gestione: 107 miliardi e 300 milioni . Ai 9,2 miliardi 
netti vanno, infatti, aggiunti: 1,6 miliardi iscritti alla 
voce "svalutazione di crediti"; 700 milioni per "svalutazione delle 
partecipazioni"; 29,9 miliardi per "pagamenti ed accantonamenti per imposte 
e tasse"; 11,4 per "ammortamenti" e 54,2 per "accantonamenti al fondo 
rischi", fondo che sale a 94,6 miliardi. Ecco come, tutto considerato, 
l'utile di gestione lordo della Comit arriva ad oltre 107 miliardi. 
All'utile netto di 7,8 miliardi dichiarato del Credito Italiano nel 
bilancio 1975 vanno, a loro volta, sommati, oltre al "fondo riserva sui 
crediti" per 28,5 miliardi (di cui solo 13 tassati) i 35 miliardi 
del "fondo oscillazione valori", gli 11,5 miliardi dei "fondi vari" e i 21 
miliardi del "fondo imposte" cosicché il profitto lordo del Credito 
Italiano supera anche esso i 100 miliardi. E dicasi altrettanto per il 
Banco di Roma che iscrive 32 miliardi al "fondo rischi"; 27 miliardi 
alle "riserve per conguaglio fondo monetario"; 25 al "fondo svalutazione" e 
10 al "fondo di ammortamento". Nel settore privato l'Ibi, accanto ad un 
utile di 3 miliardi ed una riserva legale di 2, registra una riserva 
straordinaria di quasi 14 miliardi, un fondo rischi di 9 e l'elenco 
potrebbe naturalmente continuare [4].
Il controllo di una banca è dunque ancora un'impresa di sicura resa. Oggi, 
è vero, i capitali bancari, pubblici o privati che siano, hanno perduto la 
funzione di fondo di garanzia dei depositanti, cui una volta erano 
destinati, e sono del tutto inadeguati in rapporto alla massa dei fondi che 
le aziende di credito amministrano. Conseguentemente, anche l'impegno della 
loro remunerazione ha poca consistenza, potendo al più rappresentare una 
frazione degli utili realizzati che sono destinati invece, per la quasi 
totalità, alla costituzione di riserve e al rafforzamento delle compagini 
patrimoniali. Chi si dedica, tuttavia, a questo tipo di impresa 
finanziaria, senza escludere la motivazione, in molti casi ancora 
rilevante, del lucro fine a se stesso, lo fa, soprattutto, in vista dei 
privilegi che derivano dal controllo di una azienda di credito sia nel 
campo dei finanziamenti che in quello operativo [5].

Note;

1 - Per le banche private come per quelle pubbliche, il 1975 è stato un 
anno d'oro: i depositi sono cresciuti, mediamente, del 25% ed in linea di 
massima si può calcolare che gli utili di esercizio siano, a loro volta, 
aumentati secondo una media generale del 25%, cosicché negli ultimi mesi 
del 1974 e nel corso del 1975 quasi tutte le banche si sono trovate nella 
necessità di aumentare cospicuamente il proprio capitale sociale. Il Banco 
Ambrosiano ha visto salire i depositi del 34% (utile + 0,5), la Banca 
cattolica del 38%, il Credito italiano del 23,2% (utile + 7,8%); l'Istituto 
Bancario S.Paolo del 46%: la Banca Commerciale del 17% (utile +9,2%): il 
Banco di Roma del 7% (utile +5,9%); la Banca Nazionale del Lavoro del 
25,5%; la Cassa di Risparmio delle Prov. Lombarde del 15,63%; il Banco di 
Napoli del 15,48%; il Monte dei Paschi del 26,22%; il Banco di Sicilia del 
17%; il Banco di S.Spirito del 23%, la Banca Popolare di Novara del 28,45%; 
la Popolare di Milano del 38,32%; la Cassa di risparmio di Torino del 
25,6%; il Credito Commerciale del 25% (utile +25%); il Banco di Sardegna 
del 27%; la Banca d'America e d'Italia del 22,5% (utile +50%); la Banca 
Provinciale Lombarda del 21% (utile +20%); la Banca Popolare  Commercio e 
Industria del 34,31% e la Cassa Centrale di Risparmio delle Province 
Siciliane del 19,41%; la Banca Nazionale dell'Agricoltura, depositi + 28,6% 
(utile da 4,4 a 6,5 miliardi, aumento di capitale da 16 a 24 miliardi); 
l'Istituto Bancario Italiano, depositi +31,4%, utile da 2 a 3 miliardi; la 
Banca d'America e d'Italia, depositi 1.415 milioni, +22,5% (utile di 
gestione quasi raddoppiato: da 2.238 a 4.275 milioni); il Credito 
Romagnolo, depositi 1.225 miliardi, +33% (utile da 2 a 3 miliardi, aumento 
di capitale da 8 a 12 miliardi); Il Credito Varesino, depositi da 745 
miliardi, +28,8% (utile da 1,6 a 2,4 miliardi, aumento di capitale da 8 a 
12 miliardi); la Banca S.Paolo, depositi +39,7% (utile da 766 milioni ad 
oltre un miliardo, aumento di capitale da 1,5 a 4 miliardi); il Banco di 
San Geminiano, depositi 661 miliardi, +27,31% (utile da 873 milioni a 1.158 
milioni, raddoppio del capitale da 1,8 a 3,6 miliardi); il Banco Lariano, 
depositi 9,4 miliardi, +25,15% (utile da 1,5 a 2,4, aumento di capitale da 
5,7 a 11,5 miliardi); la Banca Credito Agrario Bresciano, depositi +30% 
(utile da 1,3 a 1,6 miliardi, aumento di capitale da 2 a 4 miliardi); la 
Banca Agricola Milanese, depositi da 366 a 464 miliardi (utile da 928 
milioni a 1,934 miliardi); il Credito Bergamasco, depositi e mezzi +35,2% 
(utile da 1 a 2,4 miliardi, aumento di capitale da 2 a 8 miliardi); la 
Banca Toscana, depositi +26,4% (utile da 1,6 a 2 miliardi).

2 - Angiolo Silvio Ori, "Banchieri e bancarottieri", sugarCo Edizioni, 
giugno 1976.

3 - Sulle "riserve tassate" delle banche è stata aperta una inchiesta 
giudiziaria che riguarda più di mille istituti di credito italiani per una 
somma di 1600 miliardi. Per la magistratura c'è il sospetto che si tratti 
di "fondi neri" e si vuol scoprire cioè l'uso che di essi ne è stato fatto 
e se queste riserve occulte con l'istituzione della "riserva tassata" siano 
state estinte interamente. A parte l'abuso e la frode fiscale, il 
magistrato intende accertare se tali fondi non siano stati impiegati per 
mascherare l'esportazione di capitali o per altre operazioni illecite. Il 
primo  istituto al quale i magistrati intendono rivedere le bucce è il 
Banco di Roma. Come vedremo a suo tempo, l'indagine riguarda un affare del 
1973 e cioè l'acquisto della Banca di Calabria. C'è il sospetto che gli 
amministratori del Banco di Roma, abbiano registrato tale acquisto per 4 
miliardi ma ne abbiano pagati in realtà 8, prelevando la differenza da 
questi fondi fuori bilancio. Mentre scriviamo, una serie di comunicazioni 
giudiziarie sono state inviate al direttore generale del ministero del 
Tesoro, Ferdinando Ventriglia, ex vicepresidente ed amministratore delegato 
del Banco di Roma; al suo successore Giovanni Guidi e al direttore centrale 
Carlo Garramone. Altri cinque avvisi di reato sono stati emessi a questo 
proposito a carico dell'allora presidente del Banco, Vittorino Veronese; 
del vicepresidente Danilo Ciulli, dell'amministratore delegato Mario 
barone, del presidente del collegio sindacale Tancredi Bianchi e dell'ex 
governatore della Banca d'Italia Guido Carli.

4 - La Banca Commerciale nel 1975, ai 94 miliardi indicati alle voci "fondo 
rischi", ne iscrive 190 al "fondo liquidazione personale"; 44 al "fondo 
imposte e tasse" e più di 41 al "fondo ammortamento mobili ed immobili". Il 
Credito Italiano ha accantonato 29,6 miliardi nel "fondo per il conguaglio 
volontario", poco meno di 47 nel "fondo eventuale svalutazione dei 
crediti", 57 (di cui solo 13 tassati) al "fondo rischi su crediti", 35 
al "fondo oscillazioni valori", 173,6 al "fondo liquidazione personale", 
42,4 al "fondo imposte e tasse", 40 al "fondo ammortamento immobili mobili 
e impianti" e altri 18,5 miliardi a non meglio precisati "fondi valori". Il 
Banco di Napoli ha accantonato  7,5 miliardi al "fondo mobili e impianti", 
13 al "fondo liquidazioni"; 48 miliardi al "fondo su rischi" contro un 
utile netto, si noti, di appena 3 miliardi. La Banca Nazionale 
dell'Agricoltura accanto a una "riserva tassata" per riprese fiscali per 
9,5 miliardi, iscrive le seguenti altre riserve "per rivalutazione 
monetaria" 66,3 miliardi, a "riserva legale" 3,2, "riserva straordinaria" 
10,8, "riserva tassata" (ex legge 823) 14,2, "fondi di ammortamento" 
8,4, "fondo rischi su crediti" 19,2, "fondo liquidazione personale" 60,6 
miliardi, "fondo pensionamento aziendale" 19 miliardi.

5 - La banca esercita da sempre un fascino notevole tra i potenti. Il 
giornalista Paolo Filo della Torre, per conto del suo giornale, nel corso 
di una inchiesta nel set internazionale bancario sui "banchieri" italiani 
di domani ha fatto una serie di curiose scoperte (La Repubblica, 4 aprile 
1976). A Londra si è addestrato nel mestiere, prima di tornare in Italia a 
dirigere la rappresentanza della Morgan Grenfell, Giorgio Cefis, il figlio 
del potentissimo presidente della Montedison; e così Arturo Aletti, che è 
stato alla Singer and Friedlander; il nipote ed il cugino di Gianni 
Agnelli, Rui Brandolini d'Adda e Carlo Nasi, ambedue in due banche molto 
vicine alla FIAT e cioè la Lazard Brothers e la Warburg S.A. insieme ad un 
altro nome patrizio Luca Salina Amorini Bolognini. Seguendo le orme paterne 
alla sede di Londra della Banca Commerciale si è fatto le ossa Giorgio 
Malagodi, figlio del presidente del Partito Liberale. Sempre a Londra si 
sono addestrati nel difficile ed affascinante mestiere degli affari bancari 
Alex Monti alla Brexel-Burnham; Dandolo Theodoli-Braschi, che è passato 
dalla scuola nella First Boston (Europe) alla Citicorp: Nicolò Dubini, 
nipote del vicepresidente della Pirelli, che dalla Bankers Trust di Londra 
è andato a dirigere quella di Milano. Nello Picella, figlio del segretario 
della Presidenza della Repubblica che lavora con i Rothschild di Londra, 
mentre Oliviero Prunas lavora per quelli [i Rothschild] di Parigi da Milano.
A Londra, via obbligata al successo, fanno spicco ancora oggi Mario d'Urso, 
un habitué dei tempi della finanza londinese; Gian franco De Carli, cugino 
dei Vallarino Gancia. Tra  Parigi e londra operano invece Giampiero Dotti, 
cognato della diva Audrey Hepburn e Carlo Corsi di Bagnasco che è manager 
della Overseas Fund della National Westminster Bank.