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quale domani per le energie rinnovabili
- Subject: quale domani per le energie rinnovabili
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Tue, 15 Mar 2005 23:13:59 +0100
da boiler.it
07.03.2005 Quale domani per le rinnovabili
di ALESSANDRO OVI L'autore è il direttore dell'edizione italiana di Technology Review L'AGENZIA INTERNAZIONALE DELL'ENERGIA (IEA) prevede
che nel 2030 la domanda
di energia del mondo, in crescita del 60 per cento rispetto a oggi, sarà soddisfatta per ben l'85 per cento dalle fonti tradizionali di combustibile fossile (petrolio, carbone, gas naturale). È un quadro da molti non condiviso per il suo pesante impatto ambientale e perché, oltre a sottovalutare la dipendenza degli approvvigionamenti di energia da aree del mondo politicamente critiche, non tiene conto del fatto che ben due terzi della domanda globale verrà dai paesi in via di sviluppo. Paesi con almeno 1,4 miliardi di persone prive di elettricità e nei quali, dovendo partire praticamente da zero, sarebbe logico non perpetuare le conseguenze negative dell'uso dei combustibili fossili. Ma esistono anche altri scenari e due, recentemente proposti dallo European Renewable Energy Council (EREC), prevedono situazioni a lungo termine molto diverse. La riduzione delle emissioni non solo è economicamente possibile, e non distrugge posti di lavoro, ma può perfino essere un fattore di incremento delle efficienze produttive. Il primo ipotizza un cambiamento radicale di politiche pubbliche (contributi alla ricerca, promozione di infrastrutture pilota, incentivi fiscali, definizione di obiettivi vincolanti di emissioni), e vede crescere le rinnovabili al 16,6 per cento nel 2010, al 23,6 per cento nel 2020, fino al 34,7 per cento nel 2030. Il secondo scenario assai più graduale, definito di "Politiche correnti dinamiche", punta a un 25 per cento per il 2030, un obiettivo più basso del precedente, ma comunque due volte superiore alla previsione IEA. Obiettivi ambiziosi quindi, ma non irrealistici perché un cambiamento importante è oggi in atto e non bisogna aver paura di apparire visionari. Vi sono segnali concreti: la ratifica da parte della Russia del Protocollo di Kyoto, che quindi acquista efficacia; la comparsa di soluzioni tecnologiche sempre più efficaci sia dal punto di vista tecnico sia da quello economico; il cambiamento di atteggiamento nei confronti dei temi ambientali di grandi gruppi industriali. In questo lento, ma continuo processo l'Europa ha avuto un ruolo di primissimo piano. Il suo impegno comincia già dieci anni fa, nel marzo 1994, con la Conferenza di Madrid e l' Action Plan for Renewable Sources in Europe dove si mettevano in evidenza tutti gli ostacoli per l'accesso al mercato delle energie rinnovabili. Un impegno tutto in salita, tanto che, quando il Libro Bianco del 1997 fissò gli obiettivi europei di contributo delle energie rinnovabili alla produzione totale di energia per il 2010, in tanti ci guardarono con un certo scetticismo. Si trattava di obiettivi che implicavano tassi di crescita annui molto elevati per fonti energetiche allora industrialmente non ben sviluppate. Poi nel settembre del 2001 ecco la direttiva sulla promozione dell' elettricità da fonti rinnovabili che portò al 22 per cento l'obiettivo di generazione di energia elettrica da fonti rinnovabili e, nel maggio 2003, la direttiva sulla promozione dell'uso dei biocombustibili con l'obiettivo di portare la loro quota di mercato a 5,75 per cento entro il 2010. Nell' ottobre 2003 la Direttiva sulla tassazione dei prodotti energetici include in modo specifico uso e produzione delle energie rinnovabili tra le attività cui gli stati membri possono applicare esenzioni o riduzioni fiscali. Nel dicembre 2003 viene lanciata l'iniziativa Intelligent Energy for Europe che dedica una parte rilevante delle sue risorse al programma ALTER di sviluppo delle rinnovabili. Infine, all'inizio di quest'anno alla Conferenza di Berlino vengono messe in evidenza le grandi potenzialità delle rinnovabili, non solo dal punto di vista dell'impatto ambientale e della diversificazione delle fonti, ma anche dello sviluppo dell' industria collegata, uno dei settori industriali dove l'Europa è all'avanguardia. È importante capire, a questo punto, quanto la visione europea sia realistica o velleitaria. Analizziamo quindi in dettaglio, fonte per fonte, i tassi di crescita storici delle rinnovabili in Europa e quelli necessari a raggiungere gli obiettivi finora fissati dal Libro Bianco. Sul fronte della sola energia elettrica, il contributo totale da energie rinnovabili in Europa era del 15,3 per cento nel 2001; la crescita annua necessaria, per arrivare all' obiettivo del 22 per cento al 2010, è dell'1,6 per cento. Alla domanda se gli obiettivi del Libro Bianco saranno raggiunti la risposta è: sì, per eolico, idro, fotovoltaico e geotermico se si fanno opportuni interventi di sostegno, per altro certamente possibili; probabilmente no, per biomasse e per il solare termico, che pure rappresentano potenzialità teoriche di sviluppo molto attraenti. Analizziamo più nel dettaglio alcune delle fonti rinnovabili. È interessante notare che, mentre all'inizio degli anni 1990 la produzione europea di energia eolica era circa il 20 per cento di quella del resto del mondo, oggi siamo vicini al 70 per cento. La Germania è davanti a tutti seguita da Spagna e Stati Uniti e Danimarca e ha una capacità più di dieci volte superiore a quella dell'Italia che comunque precede Gran Bretagna, Cina e Giappone. Tra i primi dieci fornitori di apparati per la produzione di energia eolica tre sono danesi che con Vestas e Neg Micon, occupano i primi due posti, tre sono tedeschi, tre spagnoli e uno americano. Il costo di generazione è sceso, in euro/kWh, da circa 30 nel 1980 a 5 nel 2004 per gli impianti su terraferma e da circa 20 nel 1990 a 8 nel 2004 per gli impianti offshore. I costi dell'eolico sono funzione della velocità media del vento e del costo per unità di potenza delle unità produttive. Con venti medi da circa 9m/sec e costi di 700 dollari per kW l'eolico si avvicina ai tre centesimi di dollaro per kWh prodotto, che è al limite inferiore dell'elettricità prodotta col carbone. Per l'eolico, specialmente quello offshore che rende meno disturbante l'impatto sul paesaggio, è facile prevedere uno sviluppo importante. Diversa è la situazione del fotovoltaico. Qui l'Europa oggi rappresenta circa il 17 per cento della produzione del resto del mondo comunque in crescita rispetto al 10 per cento di cinque anni fa. Il maggior produttore mondiale è il Giappone che da solo supera tutto il resto del mondo, seguito da Germania e Stati Uniti. L'Italia è lontana con una produzione del 5 per cento di quella giapponese, ma comunque è terza in Europa dietro Germania e Olanda. Tra i produttori, il Giappone è ovviamente avanti a tutti e tra i primi dieci vi sono Sharp (di gran lunga leader del mercato), Kyocera, Sanyo, Mitsubishi; ma vi sono anche BP Solar, RWE Solar e Shell Solar, a dimostrare l'interesse di grandi gruppi europei. Il costo del fotovoltaico è sceso del 70 per cento dal 1990 a oggi; il suo utilizzo è però ancora solo per applicazioni di nicchia. Lo sfruttamento delle energie idro continuerà a dare un contributo rilevante, anche se dal punto di vista delle prospettive di sviluppo la disponibilità maggiore non è tanto in Europa, dove un grande sforzo è già stato fatto, bensì in Asia. Molto rilevante può essere anche il contributo delle biomasse, per il trasporto (con i biocombustibili), per il riscaldamento e la produzione di elettricità; esse richiedono però un quadro normativo e di incentivi locali adeguati. Anche il solare termico ha buone prospettive, ma qui lo sforzo deve essere orientato soprattutto alla ricerca e allo sviluppo che fino a ora non sono stati sostenuti abbastanza. Per le energie rinnovabili resta comunque aperto un problema di fondo: quello della loro intermittenza. Il sole e il vento non danno energia durante l'arco di una intera giornata, né allo stesso modo in tutte le stagioni. Serve quindi un nuovo sistema di stoccaggio. Per questo problema la soluzione oggi più studiata è quella di utilizzare le rinnovabili per produrre idrogeno, immagazzinarlo e poi utilizzarlo con celle a combustibile per produrre elettricità in centrali fisse o su mezzi di trasporto. Un motivo per essere, sia pure moderatamente, ottimisti, sullo sviluppo delle rinnovabili, è che il mondo dei grandi gruppi industriali, americani compresi, sta dimostrando una nuova attenzione a tutte le problematiche ambientali. Si comincia a vedere che la riduzione delle emissioni non solo è economicamente possibile, e non distrugge posti di lavoro, ma può perfino essere un fattore di incremento delle efficienze produttive. Vi sono oramai molti esempi di grandi gruppi che hanno definito loro obiettivo strategico la minimizzazione dell'impatto ambientale e il ricorso alle rinnovabili come strumento fondamentale per raggiungerlo. Tra questi, prima nel tempo, STMicroelettronics ha lanciato già dal 1993 un programma aziendale per ridurre l'impatto delle sue attività sull'ambiente, e nel 1999 ha aggiornato il suo decalogo ambientale inserendovi in modo estremamente ambizioso l'obiettivo zero emissioni equivalenti di CO2 nel 2010. Per fare ciò intende: - continuare con il programma di riduzione del 5 per cento per anno del contenuto di energia per ogni unità di prodotto; - realizzare entro il 2010 impianti di energia rinnovabile (soprattutto eolica) oltre a quello già operante in Francia e a quello già previsto in Puglia, capaci di fornire il 15 per cento del fabbisogno energetico; - riforestare tanti ettari di terreno capaci di assorbire la residua CO2 emessa. È un impegno serio, che però, secondo la società, già a medio termine porterà anche benefici economici superiori ai costi sostenuti per mantenerlo. Molti altri stanno seguendo questa stessa linea. Pfizer, leader mondiale della produzione farmaceutica, si è impegnata nella riduzione del 35 per cento della emissione di gas a effetto serra entro il 2007 e ha identificato 600 progetti di risparmio energetico e di ricorso alle rinnovabili. Johnson & Johnson, nel suo sforzo di minimizzazione delle emissioni e di diminuzione dei costi energetici, è diventato il primo utilizzatore di pannelli solari degli Stati Uniti. Staples, grande fornitore di materiali per ufficio del Massachusetts, ha deciso di elevare la quota di rinnovabili utilizzate dal 2 per cento al 10 per cento del totale del suo consumo. Sono solo alcuni esempi di tanti tra i quali vale la pena di ricordare l'ultimo in ordine di tempo, ma assai significativo: British Telecom, che ha appena annunciato un piano per una copertura totale del suo fabbisogno energetico con rinnovabili in tre anni. La conversione riguarderà 6.500 centri di commutazione, le stazioni satellitari e tutti gli uffici. Un quantitativo di energia pari a quello necessario per una città come Birmingham. Le società specializzate in produzioni di apparati e sistemi per rinnovabili, dopo le crisi di borsa del 2002, oggi paiono suscitare un nuovo interesse negli investitori, e anche grandi gruppi come General Electric stanno preparando prodotti nuovi, soprattutto per lo sfruttamento di eolico e solare, da offrire in alternativa o come complemento agli impianti convenzionali a combustibili fossili. Il mondo della scienza, della tecnologia, dello sviluppo di progetti innovativi paiono abbastanza sensibilizzati. Manca ancora un segnale forte e concreto da parte della politica che, come abbiamo visto dalle elezioni americane, fatica a emergere, perfino col petrolio sopra i 50 dollari, sommerso da altri temi di breve termine ed emotivamente più diretti. Per ora è un dato di fatto e sul suo perché credo sarebbe bene riflettere a fondo. |
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