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fondi pensioni cosa ci vogliono fare col nostro tfr
- Subject: fondi pensioni cosa ci vogliono fare col nostro tfr
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Fri, 10 Dec 2004 06:52:59 +0100
il manifesto - 03 Dicembre 2004 Fondi poco convenienti MARIO BOMACCORSO Fondi poco convenienti Caccia grossa ai soldi del Trattamento di fine rapporto: Sgr, banche e assicurazioni vogliono mettere le mani sui 14 miliardi di euro annui dei lavoratori MARIO BOMACCORSO E'iniziata la corsa all'accaparramento delle liquidazioni: Sgr, Sim, banche e assicurazioni sono alla caccia di un bottino da 14 miliardi del trattamento di fine rapporto. Ma i fondi non vano bene. Anzi, rendono meno del Tfr: il rendimento dei fondi pensione è stato, tra il 30 settembre 1999 e il 30 settembre di quest'anno, mediamente inferiore alla rivalutazione netta del Trattamento di fine rapporto: 15,4% contro il 16,2%. E il risultato non migliora se si guarda agli ultimi tre anni: 6,7% contro l'8,9%. Cresce di poco l'attivo netto, sia dei fondi aperti sia di quelli negoziali. I primi hanno superato i 2 miliardi di euro alla fine del terzo trimestre di quest'anno, i secondi hanno raggiunto quasi i 5,5 miliardi. E cresce al di sotto delle aspettative degli operatori il numero degli iscritti: 374.110 nei fondi aperti (5,8% su base annua), 1.060.529 nei fondi negoziali (3,2% su base annua). La fetta più grossa del mercato dei fondi pensione aperti è gestita dalle società di gestione del risparmio (poco più del 30% degli iscritti). Seguono le società di intermediazione mobiliare, le banche e le assicurazioni. Il comparto azionario è quello che assorbe la percentuale maggiore degli investimenti dei fondi pensione aperti: il 39,2%; il comparto bilanciato il 35,6% e quello obbligazionario il 25,2%. Questi dati, forniti dalla Covip, la Commissione di vigilanza sui fondi pensione, sottolineano ancora una volta i potenziali pericoli che si nascondono dietro il sistema di previdenza complementare e pongono importanti interrogativi a tutti quei lavoratori che nei prossimi mesi saranno chiamati a decidere se mantenere il proprio Tfr in capo all'azienda o trasferirlo nei fondi pensione. La scelta è imminente, perché i decreti attuativi della riforma pensionistica introdotta dal governo Berlusconi saranno emanati all'inizio del prossimo anno. Una scelta che, comunque, sarà fortemente indirizzata, visto che tramite il meccanismo del silenzio assenso i lavoratori che non esprimeranno alcuna preferenza vedranno i propri soldi direttamente incanalati nei fondi pensione. In sostanza si punta sulla distrazione dei lavoratori e delle lavoratrici per trasferire l'intero ammontare dei trattamenti di fine rapporto nella previdenza complementare: una massa di 14 miliardi di euro, che fa gola a molti. All'Istituto nazionale di previdenza sociale è stato affidato l'onere di fornire ai lavoratori tutte le informazioni necessarie a compiere una decisione consapevole. Verrà perciò spedita nelle case degli italiani una lettera in cui saranno indicate le alternative che i lavoratori hanno a disposizione: lasciare i soldi alle imprese, versarli in un fondo pensione o sottoscrivere una polizza previdenziale. Sei mesi è il tempo che la riforma lascia a disposizione per prendere la decisione. Dopo questo lasso di tempo, che decorre dall'entrata in vigore del decreto di attuazione della riforma (o dall'assunzione, per i neoassunti), non ci sarà più nulla da fare: i soldi finiranno nei fondi pensione. A questo punto, però, i lavoratori saranno nuovamente chiamati in causa: si dovrà comunicare se si preferisce aderire a fondi di categoria, a fondi regionali, a fondi aperti o a polizze individuali. E se anche in questo caso il lavoratore è distratto? I soldi finiscono in un fondo presso l'Inps, un fondo cosiddetto residuale, in cui confluirà il Tfr di non pochi lavoratori, alla luce dei primi sondaggi. Proprio il fondo residuale è uno dei temi attorno al quale sono scoppiate in settimana roventi polemiche che hanno contrapposto il ministro del Welfare Roberto Maroni all'Ania, l'Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici. L'Ania ritiene infatti che il fondo presso l'Inps rappresenti un atto di concorrenza sleale da parte dello stato, che secondo le prime indiscrezioni si farebbe garante del fondo stesso, assicurando rendimenti uguali a quelli del Tfr attraverso l'emissione di titoli previdenziali riservati all'Inps. Insomma, tutti vogliono i soldi del Tfr e in questo caso è lo stato ad accaparrarseli. La proposta presentata dall'Ania prevede che «il Tfr sia devoluto all'Inps solo nel caso in cui si verifichino contemporaneamente tre circostanze: il lavoratore è silente; non è costituito un fondo di categoria nel settore di appartenenza dell'azienda; l'azienda non ha costituito un fondo aperto ad adesione collettiva». Fermo restando che qualunque emissione di titoli deve essere aperta a tutti gli investitori. Altro tema rilevante di polemica tra Maroni e l'Ania è quello relativo alla copertura finanziaria della riforma: il direttore generale dell'associazione, Giampaolo Galli, ha infatti manifestato nei giorni scorsi le proprie preoccupazioni per l'assenza di finanziamenti per il trasferimento del Tfr ai fondi, sollevando l'ipotesi di un possibile affossamento della riforma. E a Galli ha replicato Maroni stizzito: «Contrariamente a quanto denunciato da alcuni sindacalisti e dai vertici dell'Ania ci sarà copertura per la previdenza complementare e adesso stiamo valutando con il Tesoro di quanto sarà. Gli impegni li manteniamo. Invito tutti su questo tema a giocare meno ed essere più seri». Il punto, però, è che nonostante le rassicurazioni del ministro del Welfare, nell'emendamento alla finanziaria depositato lunedì scorso in Senato dal governo non c'è traccia delle coperture necessarie per far partire già nel 2005 la riforma del Tfr. Quindi anche la Covip è dovuta intervenire sulla vicenda, Covip che aveva già in passato evidenziato l'opportunità di «individuare, oltre che le misure compensative dei costi finanziari delle imprese nel caso di conferimento del Tfr alla previdenza complementare, anche quelle per le minori entrate derivanti dalla soppressione del contributo di garanzia all'Inps e per le minori entrate fiscali derivanti dalla riduzione delle aliquote fiscali indicate nella delega stessa». Lunedì il presidente Luigi Scimìa ha definito pesante il quadro della riforma: «Con la decisione di destinare tutte le risorse per abbattere l'Ire, dovrei escludere che ci sia la possibilità di alleggerire l'imposizione fiscale sui fondi pensione, e senza alleggerimento non ci sarà il decollo della riforma previdenziale». A ciò si aggiunge proprio la mancata copertura sul trasferimento del Tfr dalle imprese ai fondi. L'unico modo, quindi, per non far naufragare la riforma sarà inserire un collegato alla finanziaria. Ma non è stato finora fatto. Insomma, questo è il clima in cui i lavoratori sono chiamati a decidere sul destino del proprio Tfr: fondi pensione gestiti da società che costano molto e riescono sempre a far peggio del mercato; liquidazioni di fondi pensione per cattiva gestione, come nel caso del fondo pensioni dei lavoratori della ex banca commerciale italiana; rendimenti al di sotto della rivalutazione del Tfr; mancata copertura finanziaria della riforma. E un altro tassello al mosaico lo mettono gli economisti del lavoro: c'è chi fa notare i possibili risvolti che il trasferimento del Tfr ai fondi pensione potrà avere non solo sul sistema previdenziale, ma anche sul mercato del lavoro. Il Trattamento di fine rapporto, infatti, altro non è che un finanziamento dei lavoratori all'impresa a un tasso d'interesse considerevolmente inferiore a quello di norma applicato sul mercato. Le imprese hanno perciò avuto finora interesse ad aumentare la durata del rapporto di lavoro. Ma se perdono il Tfr saranno ancora interessate a rapporti di lavoro di lunga durata? Anche di questo elemento, quindi, dovranno tenere conto i lavoratori chiamati a decidere cosa fare del proprio Trattamento di fine rapporto. Quelli che temono per il loro posto di lavoro, dovrebbero essere più inclini a mantenere il Tfr in capo all'azienda, soprattutto se questa è di piccole dimensioni e quindi ha meno capacità di accesso al credito. In caso di difficoltà in azienda, a parità di tutte le altre condizioni, il datore di lavoro avrà una convenienza minore a rinunciare a quei lavoratori che non hanno cambiato la destinazione del Tfr.
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