agricoltura e inceneritori



Sintesi della Relazione di Gianni Tamino al Seminario
"Non bruciamoci il futuro"
25 settembre 2004 a Lavis

"Quale agricoltura di qualità in presenza di inceneritori?"
agricoltura industrializzata in una società inquinata

La cosiddetta rivoluzione verde, realizzata nel secondo dopoguerra, ha
determinato un grosso aumento di produzione agroalimentare, ma non ha
risolto né fame né sottosviluppo. Infatti i benefici sono andati solo alle
multinazionali della chimica e dell'alimentazione e ai grandi proprietari
terrieri, dati gli alti costi degli input tecnologici. E l'espulsione dalle
campagne dei contadini ha aumentato la piaga dei disoccupati e dei disperati
nelle aree urbane del sud del mondo. Secondo stime della FAO negli anni '90
sono morti per fame ogni anno circa 15 milioni di persone delle regioni del
Sud del mondo, mentre a 500 milioni ammontano le persone malnutrite (e nel
decennio attuale la situazione è peggiorata!).
La produttività delle coltivazioni ad alto contenuto tecnologico è stata
garantita dal massiccio impiego di energia in ogni fase lavorativa: macchine
agricole, selezione genetica, concimazione, irrigazione, controllo chimico
dei parassiti, ecc. Si tratta di un enorme flusso di energia supplementare
(cioè oltre a quella fornita negli ecosistemi naturali dal sole) che
trasforma il sistema produttivo primario da accumulatore di energia (grazie
alla fotosintesi) in forte consumatore di energia di origine fossile.
La rivoluzione verde ha dunque permesso un grosso aumento di consumi
alimentari per i paesi più ricchi, senza garantire cibo per i più poveri,
favorendo la concentrazione del settore agroalimentare in poche mani: quelle
di alcune multinazionali. Nell'ultimo periodo lo sforzo maggiore delle
multinazionali riguarda il settore delle biotecnologie, attraverso la
commercializzazione di semi transgenici brevettati.
L'agricoltura industrializzata, che consuma prodotti chimici tossici e
utilizza piante geneticamente modificate, produce gravi inquinamenti
ambientali, soprattutto del suolo e delle acque, ma, a sua volta, viene
inquinata da traffico, industrie, centrali elettriche e inceneritori.
agricoltura sostenibile e di qualità, legata al territorio
Per essere sostenibile l'agricoltura deve mantenere la fertilità del suolo
riportando al terreno agricolo quella materia organica e quei sali minerali
che derivano dalla trasformazione del cibo consumato, evitando fertilizzanti
di sintesi che inquinano le falde. Analogamente non dovrebbe ricorrere a
prodotti chimici estranei a cicli naturali, ma riciclare le risorse naturali
e conservare l'energia. Tutto ciò richiede l'uso di tecniche e di tecnologie
appropriate, localmente disponibili, per favorire l'autosufficienza. In tal
modo l'agricoltura sostenibile, analizzando i flussi di materiali e di
energia, si propone di produrre cibo sano e di qualità senza intaccare il
patrimonio naturale, come chi utilizza gli interessi, mantenendo il
capitale.
L'agricoltura fin dalle sue origini ha modificato gli ecosistemi naturali,
sostituendoli con quelli artificiali, frutto dell'attività umana. Ma un
sistema artificiale può essere compatibile con quelli naturali se si integra
con essi e se viene reso durevole da idonei interventi esterni; in questo
senso per lungo tempo l'agricoltura è stata sostanzialmente sostenibile dal
punto di vista ambientale, poiché il flusso di materiali che partiva dal
suolo fertile si concludeva con il ripristino dei sali minerali al suolo,
secondo il ciclo:
suolo piante cibo
prodotti di degradazione
e il flusso di energia che partiva dalla radiazione solare si diffondeva
lungo catene alimentari semplificate, ma integrate con quelle naturali dei
boschi e delle foreste.
Più recentemente gli interventi esterni realizzati dall'uomo sono divenuti
sempre meno compatibili (prodotti chimici di sintesi, mezzi meccanici,
energia derivata dal petrolio, manipolazioni genetiche - OGM -, ecc.) e l'
agricoltura è diventata sempre meno sostenibile, anche a causa di due
fattori che hanno reso problematica la possibilità di chiudere il ciclo dell
'ecosistema agricolo.

Un primo fattore è l'urbanizzazione, che ha portato gran parte della
popolazione a concentrarsi nelle città, mentre il cibo continua ad essere
prodotto in campagna. Così gli scarti e i reflui derivati dal cibo
utilizzato non ritornano al campo che lo ha prodotto, ma sono trasformati in
liquami e rifiuti che vanno in fognature e discariche o inceneritori,
sottraendo all'agricoltura i sali minerali e la materia organica necessari
per la fertilità del terreno ( il processo diviene da ciclico a lineare:
suolo à piante à cibo à prodotti di degradazione à fogne, inceneritori,
discariche). Inoltre gli abitanti della città dipendono dalla campagna per
il cibo, ma gli agricoltori dipendono economicamente dal commercio dei
prodotti con la città. Per rendere sostenibile questo sistema lineare
occorre integrare città e campagna in una dimensione territoriale regionale,
in cui pianificare gli scambi tra le aree in modo da renderli compatibili,
ad esempio trasformando liquami e rifiuti organici, grazie ad una adeguata
raccolta differenziata, in compost ricco di materia organica e sali
minerali, riutilizzabile in agricoltura.

Il secondo fattore, causa di insostenibilità ben più difficile da risolvere
del precedente, è la globalizzazione del commercio, che si realizza su scala
mondiale. Il problema è come gestire un flusso di materiali che si sposta da
un continente all'altro, in modo non bilanciato, e cercare di conservare i
cicli biogeochimici degli ecosistemi naturali.
L'agricoltura sostenibile deve dunque conservare e utilizzare la
biodiversità, rifiutando l'uniformità produttiva del sistema agricolo
industriale e rivalutando la tipicità dei prodotti e la biodiversità dei
gusti del cibo a seconda delle regioni.
Inoltre, avendo come obiettivo la qualità e non tanto la quantità, si adatta
anche a quelle regioni considerate marginali, come quelle di collina e di
montagna.

l'impatto sull'ambiente in generale e sull'ambiente agricolo in particolare
degli inceneritori

La pericolosità degli inquinanti prodotti dagli inceneritori è confermata da
numerosi studi medici. Uno studio epidemiologico condotto dall'Università di
Birmingham ribadisce che in prossimità di inceneritori di rifiuti, il
rischio di leucemia e cancri solidi aumenta vertiginosamente nei bambini.
Gli inquinanti vengono trasferiti dall'aria al suolo con le scorie e le
ceneri.
Le principali sostanze inquinanti emesse da un impianto di incenerimento
sono:
- Policlorodibenzodiossine (Diossina)
- Policlorodibenzofurani (Furani)
- Ceneri contenenti mercurio, cadmio, rame, manganese, nichel, zinco, cromo,
ferro.
- Idrocarburi policiclici aromatici (IPA).
- Fosforo
- Ossidi di zolfo
- Cloro
- Ossidi di azoto
- Acido Solfidrico
- Ossido di carbonio
- Ceneri contenenti argento, antimonio, arsenico, stagno, idrocarburi
policiclici aromatici. -etc.....
A tutto questo va aggiunta la produzione di CO2: incenerire 1 kg di rifiuti
comporta l'uso di 7 kg di aria e 1 kg acqua, nonché la produzione di 3 kg di
CO2 determinante per l'incremento dell'effetto serra.
Un inceneritore inoltre riduce ma non elimina la quantità di rifiuti: di
ogni tonnellata di RSU incenerita infatti produce 300 kg di scorie, 30 kg di
ceneri e 10 - 80 kg di prodotti usati per la depurazione. Tutto questo ha un
peso e un volume molto inferiore rispetto ai RSU ma ha un potere inquinante
molto più alto e quindi va smaltito in discariche speciali le quali oltre ad
essere più costose garantiscono la conservazione e la non pericolosità dei
rifiuti solamente per 20 anni a fronte di una durata centenaria degli
inquinanti.

Come riporta un documento di Medicina Democratica, da un'indagine del
Ministero dell'Agricoltura francese risulta che tassi allarmanti di diossina
sono stati riscontrati nel latte prodotto in 34 dei 95 Dipartimenti del
Paese. In tre Dipartimenti del Nord - l'area a maggiore vocazione lattiera -
il tasso riscontrato è superiore a 3 picogrammi per grammo di grassi dei
prodotti lattiero-caseari analizzati, rispetto ad un valore di riferimento
che non dovrebbe superare 1 picogrammo, mentre a 5 picogrammi scatta la
proibizione del consumo. La diossina dispersa nell'atmosfera appare dovuta
all'attività degli inceneritori; 40 impianti di incenerimento dei rifiuti
urbani, secondo il Ministero dell'Ambiente, non sarebbero in regola, e
quindi continuano sistematicamente a contaminare i pascoli. L'indagine si
sta anche estendendo ai tassi di diossina nelle uova e nelle carni.
Le prefetture hanno vietato a sedici aziende agricole la vendita del latte
prodotto e sono stati chiusi gli inceneritori di Halluin, Wasquehal e
Sequedin (zona di Lille) assieme a quello di Maubeuge, nel nord del paese,
dove si è accertato il superamento di 1.000 volte il vigente limite previsto
dalle direttive dell'Unione Europea sulle diossine. Tant'è che la Francia
sta riconsiderando la sua politica di smaltimento dei rifiuti urbani da
decenni basata sull'incenerimento e sta sottoponendo gli impianti di
incenerimento, fino a ieri vantati come sicuri e non inquinanti, a verifiche
approfondite.
Lo studio ha portato alla richiesto di blocco della costruzione di ulteriori
inceneritori per rifiuti per evitare di aggravare l'attuale contaminazione,
mettendo pertanto in discussione il programma francese che prevede oltre
cento nuovi impianti entro il 2002.
Analoghe verifiche sono in corso in Belgio per l'impianto di Anversa come
per quelli di Weurt e Lathum in Olanda. In Olanda, è utile ricordarlo, nel
1989 l'inceneritore di Rotterdam fu spento e la produzione di latte del
circondario fu distrutta per diversi anni per l'elevata presenza di
diossine. In alcuni casi si sono verificate contaminazioni tra 11 e 14
nanog/l in TCDDeq a fronte di un limite massimo fissato in Olanda a 0,1
nanog/l; questo inquinante ha interessato anche aziende di agricoltura
biologica.
Ma non è solo la diossina ad inquinare i prodotti agricoli o a danneggiare
le coltivazioni intorno ad un inceneritore. Infatti un peso rilevante è
svolto anche da furani, IPA e metalli pesanti che possono essere assorbiti
dai vegetali e trasferiti, attraverso la catena alimentare, agli animali e
all'uomo.
Inoltre ossidi d'azoto, ossidi di zolfo, cloro, acido solfidrico possono
reagire con pioggia e nebbia, dando origine a ricadute acide o comunque
tossiche, pericolose per le coltivazioni agricole e in generale per l'
ambiente. Anche le condizioni climatiche possono essere modificate a causa
dell'incremento di CO2, dei fumi e del calore prodotti.
E' dunque evidente che campi e pascoli attorno ad un inceneritore vengono
gravemente danneggiati sia dal punto di vista ambientale, che sanitario ed
economico. D'altra parte è ben difficile fare sforzi per avere un'
agricoltura di qualità, magari biologica, legata al territorio se il
territorio è sottoposto a fonti di inquinamento, tra l'altro ben visibili da
parte dei potenziali consumatori: chi potrebbe reclamizzare il proprio
prodotto agricolo con un'immagine dei campi sovrastati da un inceneritore?


SEMINARIO "NON BRUCIAMOCI IL FUTURO"
25 settembre 2004 - Lavis
Incompatibilità tra agricoltura di qualità e impianti di incenerimento dei
rifiuti
Intervento di Gianni Tamino
Docente di Biologia generale e di Fondamenti di Diritto ambientale
al Dipartimento di Biologia dell'Università di Padova


Continuerò su questo tema a partire da due considerazioni. La prima
considerazione che sentiamo fare da parte di coloro che propongono
inceneritori, discariche ecc. e di fronte alla quale si rimane spesso
disarmati, è questa: "ma dovremo pur metterli da qualche parte i rifiuti". E
questo ragionamento sembra chiudere il discorso. La seconda considerazione
è:  "ma da quando e in che misura esiste il problema rifiuti?"
Quando ero giovane (e non parliamo di quando abitavo in campagna, dove non c
'era il concetto di rifiuto, ma quando mi ero trasferito in città), ricordo
che la questione dei rifiuti era quasi inesistente, perché l'unico problema
era come e dove eliminare l'umido, che, se lo si separa, diviene facile da
gestire. Dopodiché c'era un po' di vetro e cocci rotti, che avevano già una
loro possibile utilizzazione, e poi non c'era la plastica ma altre cose che
io, bambino di 6/7 anni, raccoglievo perché una volta la settimana passava
un divertentissimo e buffo signore con il triciclo, che gridava "strasse
ossi fero vecio da vender"; era lo straccivendolo che comperava dalla gente
gli stracci, le ossa, i metalli, ecc. Noi li separavamo e li mettevamo da
parte e la mia paghetta me la ricavavo in questo modo. Come mai in 50 anni
abbiamo perso completamente il senso di tutto questo e come mai ci sembra
impossibile realizzare ciò che abbiamo fatto nel passato? Si può dire che la
società è diversa, che questo è il progresso: "avete voluto la bicicletta
adesso pedalate".
Ma mettiamola in termini più generali: d'accordo c'è il progresso (anche se
non capisco per quale motivo creare problemi sempre più rilevanti e
difficili da risolvere si chiami progresso e non sia invece un regresso), ma
proviamo a guardare le cose con un'ottica diversa, come fossimo esterni al
pianeta. Immaginiamo di essere dei marziani e di guardare quello che fanno
gli uomini. La conclusione sarebbe che su questo pianeta ci sono dei pazzi,
perché quello che stiamo facendo, in nome del progresso, è la
trasformazione, ogni giorno più rapida, di risorse in rifiuti. Non c'è
nessuna logica nell'usa e getta, nella trasformazione sempre più veloce di
beni di consumo in qualcosa da buttare via, anche se certamente c'è qualcuno
che da questo ci guadagna. Ma pensiamo che si possa andare avanti in questo
modo? Solo 50 anni fa tutto questo spreco non c'era. C'è qualcosa di
pazzesco in tutto questo.
Ma andiamo ancora un po' più indietro. Immaginiamo, anziché di essere dei
marziani, di essere degli organismi dotati di vita lunghissima, in grado di
vedere che cosa è successo negli ultimi miliardi di anni su questo pianeta.
Bene, la vita su questo pianeta si è consolidata quando si sono creati dei
rapporti ciclici fra organismi e ambiente naturale. Solo quando, grazie ad
una fonte di energia esterna al sistema, il sole, è stato possibile
trasformare materia inorganica in materia organica utilizzata dai viventi,
che a loro volta ridiventano materia inorganica, la vita ha potuto
consolidarsi sul pianeta. In pratica l'energia solare, durante la
fotosintesi, permette di ottenere la trasformazione dell'anidride carbonica
e dell'acqua in zuccheri, che a loro volta vengono demoliti nella
respirazione, per ottenere l'energia che serve alle diverse attività dell'
organismo. Analogamente succede per l'azoto e per il fosforo che si trovano
nel suolo,  che vanno a formare gli elementi costitutivi di tutti gli esseri
viventi, che, con le loro deiezioni e con la loro morte, ripristineranno i
minerali del suolo.
Tutto quello che viene prodotto attraverso i processi biologici ritorna
quindi materia inorganica, che viene riutilizzata periodicamente per
garantire questi cicli. Ora, se per caso, in un qualche momento, nel corso
dell'evoluzione della vita sulla Terra ci fosse stato un passaggio con
produzione di rifiuti, e questi rifiuti non fossero diventati materia prima
per altri processi in modo da riciclarli, oggi non staremmo qui a parlare
perché non ci sarebbe più vita sul pianeta.
La vita su questo pianeta è garantita fintanto che questi processi rimangono
ciclici. Purtroppo negli ultimi tempi noi stiamo trasformando i cicli
naturali in processi lineari, come quelli industriali.
Nei processi industriali utilizziamo materie prime come i minerali ed
energia fossile come il petrolio per produrre beni di consumo (o di
consumismo) come, ad esempio, la plastica o gli oggetti di plastica. Ma solo
una piccola parte dell'energia e delle materie prime sono trasformate nel
prodotto finale, mentre la maggior parte diventa rifiuto ed inquinamento già
durante il ciclo produttivo, ed il prodotto finale, che deve durare il meno
possibile, per costringere  il consumatore a comperarne ancora, esaurita la


sua funzione, diventa rifiuto a sua volta. In poche parole, in tempi sempre
più rapidi, trasformiamo le materie prime in rifiuti. E' evidente che, se
questo fosse avvenuto nel passato, adesso noi non potremmo vivere, perché il
pianeta sarebbe una montagna di rifiuti. C'è stata, nell'evoluzione della
vita sul pianeta, una gravissima crisi quando è iniziata la produzione di
ossigeno. Tutti noi senza ossigeno non possiamo vivere, ma la più grande
crisi su questo pianeta c'è stata proprio quando alcuni organismi hanno
incominciato a produrre, grazie alla fotosintesi, ossigeno, perché l'
ossigeno era un veleno, un ossidante, come dice la parola, che alterava gran
parte delle molecole pre-esistenti. Ma fortunatamente altri processi, come
la respirazione, hanno permesso l'utilizzazione dell'ossigeno, creando un
nuovo equilibrio.
La fotosintesi, dunque, senza la respirazione che utilizza l'ossigeno,
avrebbe potuto determinare una crisi irreparabile. L'ossigeno è lo scarto
della fotosintesi, ma l'ossigeno è materia prima per la respirazione; la CO2
è lo scarto della respirazione, ma è la materia prima della fotosintesi. E
la cosa va e andrà avanti ciclicamente finché c'è il sole. Così ogni volta
che si è creato un nuovo scarto (non un rifiuto), si è realizzato un
processo nuovo che ha utilizzato quello scarto. Quello che voglio far capire
è che la questione dei rifiuti è un problema recente e che la vita non ha
mai avuto nella sua evoluzione il problema "rifiuti", ma solo scarti che
diventano materie prime per altri processi produttivi.
Ma tutta la produzione chimica degli organismi viventi sul pianeta è
enormemente maggiore, in termini di quantità e di qualità, di quanto sia
tutta l'attività umana. E nonostante questo non c'è nessun rifiuto. I
rifiuti li producono gli uomini, ma solo in tempi recenti, da quando non
hanno saputo più rimettere nei cicli naturali i loro scarti, come hanno
fatto per lungo tempo.
Questo problema è rilevante in particolare per chi si occupa di agricoltura,
perché l'agricoltura ha sempre utilizzato i cicli naturali. L'uomo
agricoltore, pur essendo stato un tecnico innovatore, un manipolatore della
realtà intorno a sé, ha sempre cercato di inserire questa attività negli
equilibri naturali. Ma ad un certo punto, in nome del progresso e dello
sviluppo industriale, quello dei processi lineari, si è ritenuto opportuno
fare le pulci all'agricoltura, dichiarando che l'agricoltura era sbagliata
perché non rispondeva alla logica "fordista" del "massimo di produttività e
della omogeneità". In agricoltura ci si è sempre preoccupati di avere piante
giuste al posto giusto e se quelle che lì si adattavano erano un po'
diverse, non era un problema. Del resto gli uomini non si sono mai
preoccupati di essere tutti uguali (anche se c'è stato qualcuno - nel
recente passato - che voleva tutti uomini alti, biondi e con gli occhi
azzurri, però fortunatamente questa visione è rimasta appannaggio di una
oscura minoranza); ma non possiamo amare la nostra biodiversità e poi volere
l'omogeneità delle piante in agricoltura.
Ma a un certo punto, come dicevo, la logica "fordista" (cioè catene di
montaggio, processi ad alta produttività, grandi consumi di energia e di
risorse prelevate nell'ambiente che diventano rifiuti) è diventata dominante
anche in agricoltura. E questa è stata la cosiddetta "rivoluzione verde" che
ha trasformato l'agricoltura da un sistema di produzione di materiali in
modo equilibrato in un sistema che consuma in modo squilibrato energia e
materie prime trasformandole, in parte, in rifiuti.
Un'agricoltura di questo genere ha un impatto enorme perché è un'agricoltura
non più sostenibile. Pensate, oggi quando voi comperate da mangiare, che sia
pasta o che siano zucchine, o frutta, comperate a peso, ma ognuno pensa
dentro di sé a quante calorie corrisponde, cioè tutti avete la sensazione
che mangiare non è mangiare solo grammi ma è mangiare anche energia,
calorie. Oggi siamo arrivati al punto che per ogni caloria solare,
incamerata attraverso la fotosintesi nel cibo, ce n'è circa un'altra di
energia fossile. Cioè l'agricoltura, da sistema di trasformazione dell'
energia solare in cibo, in modo pienamente sostenibile, è diventata una
consumatrice di energia fossile e questo è il primo aspetto. Il secondo
aspetto è che l'agricoltura richiede il mantenimento del ciclo dei nitrati,
dei fosfati, dei sali e minerali in genere e della materia organica presenti
nel suolo. Per mantenere questa materia organica devono essere garantiti
cicli che richiedono anche le nostre deiezioni e i nostri rifiuti organici,
perché se tanto prelevo dal suolo, tanto al suolo deve ritornare. Nella
nuova logica, la materia organica, che ripristina la fertilità, non torna al
suolo, e siamo costretti ad utilizzare fertilizzanti chimici di sintesi,
cioè energia esterna e risorse esterne.
Questo crea due problemi:
- da una parte il suolo viene inaridito: pensate alla Pianura Padana che in
base all'Agenzia Europea per l'Ambiente, è desertificata, non perché manca l
'acqua, ma nel senso che la materia organica presente nei nostri suoli è
spesso inferiore all'1 %, mentre la fertilità è data da un valore superiore
al 3%, la differenza è fertilizzanti chimici di sintesi. Questa situazione
significa che per garantire la cosiddetta alta produttività della nostra
agricoltura dobbiamo ricorrere a qualche cosa che è esauribile, che dura
poco nel tempo, come il petrolio o i prodotti chimici di sintesi;
- dall'altra parte, tutto quello che tornava al suolo sotto forma di materia
organica è diventato rifiuto, che metteremo o in discariche, o negli
inceneritori.
Si da' quindi per scontato che non sia possibile altra via che usare
fertilizzanti chimici di sintesi al posto della materia organica, divenuta
rifiuti anziché concime, e gestire la materia organica come un rifiuto da
mettere in discarica o da bruciare. Questa è l'insostenibilità sia dell'
attuale agricoltura che dell'attuale sistema di vita. Rispetto a questi
problemi possiamo proporre due cose.
Anzitutto che l'agricoltura ritorni ad essere sostenibile: ciò significa
tornare al sistema ciclico dell'agricoltura, per cui la materia organica che
è stata prelevata dal suolo ritorni al suolo. Allora non è ammissibile che
qualcuno pensi che la materia organica diventi o fognatura che va ad
inquinare fiumi, laghi e mari, o rifiuti da bruciare. Dobbiamo ripensare un'
agricoltura sostenibile.
In secondo luogo l'agricoltura non deve dipendere da poche multinazionali,
che sono le multinazionali della chimica, che dopo aver imposto prodotti
chimici di sintesi in agricoltura, oggi, attraverso prima l'acquisizione
delle industrie sementiere e poi quelle biotecnologiche, vogliono imporre
gli OGM, cioè semi standardizzati e modificati geneticamente per essere
funzionali ai loro prodotti chimici. Infatti il 75% delle piante
transgeniche, coltivate soprattutto negli USA, Canada e Argentina (fuori da
questi paesi c'è quasi niente) sono piante resistenti al diserbante dell'
azienda che li produce. Un sistema ottimale per l'industria chimica, ma non
ottimale per l'agricoltore né per il cittadino perché in questo modo c'è un
controllo massiccio della semente, che viene brevettata, perché ciò che è
geneticamente modificato è brevettabile e diventa di proprietà della
multinazionale che obbliga a comprare quel seme e quel prodotto chimico.
Se una multinazionale riesce ad avere il controllo di tre piante, che sono
mais, riso e frumento, controlla il 50% dell'economia agricola mondiale e
controlla di fatto il mondo, perché non ha un controllo solo economico, ma
anche sociale e politico. Ma questo può succedere solo se c'è una
agricoltura insostenibile, basata sulla produttività al di fuori del modo di
produrre naturale, cioè attraverso sistemi lineari anziché ciclici.
Conseguenza di tutto questo è che l'agricoltura è inquinata al suo interno
da sostanze chimiche, produce l'inquinamento delle acque da pesticidi e da
nitrati, dovuto ai fertilizzanti di sintesi (recentemente l'OMS, affrontando
l'inquinamento delle acque da nitrati, responsabili dell'aumento di tumori,
ha detto che sono uno dei principali problemi sanitari), e rischia un nuovo
inquinamento da OGM, cioè un inquinamento biologico che, attraverso la
diffusione del polline e dei semi, può diffondere caratteri che non sono
coerenti con la logica delle piante, oltre all'inquinamento da pesticidi,
dato che il 75% degli OGM sono resistenti ai diserbanti, che in tal caso si
usano in quantità sempre maggiore. Quindi un'agricoltura divenuta
insostenibile e inquinante, ma che, a sua volta, è inquinata. Oggi, nella
programmazione, nella pianificazione del territorio l'agricoltura è l'ultimo
dei problemi, anche perché in 50 anni siamo passati dal 50% di mano d'opera
impiegato in agricoltura a meno del 5%. Quindi l'agricoltura è ritenuta
irrilevante e nella pianificazione del territorio sono molto più importanti
le aree industriali e artigianali, le nuove autostrade, le nuove aree di
espansione edilizia, magari le speculazioni per il turismo. Si dimentica
comunque che, per mangiare, da qualche parte dobbiamo pur produrre cibo.
Ebbene l'agricoltura diventa inquinata perché è relegata ad un ruolo
secondario, subisce l'inquinamento delle industrie, del traffico e dei
rifiuti, dato che i rifiuti, se non ritornano alla terra come materia
organica, ritornano comunque all'agricoltura come inquinamento, sia che si
tratti di percolato delle discariche o di fumi tossici di un inceneritore.
Quindi non aver affrontato complessivamente il problema del flusso di
materiali tra natura e attività umane, comporta che l'agricoltura subisca un
nuovo danno, un nuovo inquinamento, come quello provocato dalla
realizzazione di un inceneritore.
Va detto anzitutto che le sostanze inquinanti emesse da un impianto di
incenerimento sono numerosissime, dato che differenti sono i materiali che
vengono bruciati e differenti di conseguenza sono le condizioni in cui
avviene la combustione. Un inceneritore, il cui funzionamento non è
paragonabile a quello di un'automobile dove si utilizza un unico
combustibile, o la benzina o il gasolio (che comunque inquinano), presenta
una condizione instabile, poiché una combustione all'interno di una macchina
fatta per bruciare qualsiasi cosa, non permette di sapere quali diversi tipi
di composti si formeranno e quali reazioni chimiche, variando le condizioni
chimico fisiche, si potranno realizzare, ma alla fine avremo migliaia di
composti chimici, variabili nel tempo e rispetto ai quali non abbiamo
strategie difensive, perché non possiamo prevederli. Nell'imprevedibilità
chiunque dica che gli inceneritori sono puliti e che non producono niente di
pericoloso, o è ignorante, nel senso che ignora, o è in malafede, e in
questo caso è molto peggio.
Alcuni composti sono ovvi, in quanto logica conseguenza dei processi di
combustione, come la CO2 che, prodotta in eccesso, oggi ci preoccupa per i
cambiamenti climatici. Infatti da una parte produciamo CO2  con nuove
centrali termoelettriche, nuovi mezzi di trasporto e nuovi inceneritori, e
dall'altra abbiamo ridotto la superficie adibita a boschi e foreste e la
superficie agricola ed abbiamo cementificato il territorio. Quindi abbiamo
ridotto la capacità naturale di assorbire la CO2 , mentre la quantità di CO2
che produciamo è sempre maggiore, e anche questo diventa insostenibile.
In secondo luogo negli inceneritori si producono una serie di ossidi ed
acidi che possono dare origine alle piogge acide, che alterano le
caratteristiche del suolo e bruciano le piante, compresi gli ortaggi o le
altre piante coltivate. Si producono poi sostanze particolarmente pericolose
per la salute come le famose polveri sottili, le PM10 e le PM 2,5, che, nel
caso degli inceneritori, sono ancora più imprevedibili, ricche di metalli
pesanti, comunque ritenute dei pericolosi agenti che producono tumori e che
alterano la salute non solo delle persone ma di qualunque organismo vivente,
compresi gli animali allevati e le piante coltivate. Infine ci sono i
microinquinanti, cioè le diossine, i furani, i PCB ecc. dei quali sentiamo
spesso dire che la concentrazione in uscita dagli inceneritori è così bassa
che non siamo neanche in grado di misurarla: e allora di che cosa vi
preoccupate?
 Ovviamente questi composti vanno sulle verdure e quindi l'agricoltura
subisce un ulteriore danno. Ma dicono: "la concentrazione è talmente bassa".
Ma in natura, nell'ambito dei cicli naturali, si determina una catena
alimentare per cui la massa degli animali erbivori è circa 10 volte la massa
delle erbe che mangiano e, a loro volta, la massa dei carnivori è almeno 10
volte la massa degli erbivori mangiati e quindi 100 volte le erbe di
partenza. Pertanto un microinquinante che si deposita, o viene assorbito da
una pianta, lo troveremo 10 volte concentrato nell'erbivoro e 100 volte nel
carnivoro. Questo è il motivo per il quale troviamo tracce significative di
DDT nel grasso degli orsi polari o, ancor oggi, a distanza di 30 anni da
quando il DDT è stato vietato in Italia, si trovano tracce nel latte materno
delle donne italiane, per effetto di questi fenomeni di accumulo e
concentrazione.
Anche le diossine presentano questo stesso fenomeno. Ma le diossine, come
altri composti, non hanno bisogno di alte concentrazioni per determinare un
pericolo per la salute, perché anche in dosi bassissime possono svolgere
azioni significative. In altre parole, non c'è, come si verifica per la
tossicità, una concentrazione sotto la quale l'effetto è praticamente nullo,
oppure, come nella cancerogenicità, un livello di concentrazione sotto la
quale si può dire che è trascurabile l'aumento della probabilità che si
sviluppi un tumore. Infatti quando una sostanza, come è il caso delle
diossine, è in grado, anche a concentrazioni di singole molecole, di mimare
l'azione degli ormoni, abbiamo una situazione dove poche molecole sono in
grado di determinare a cascata delle reazioni molto più gravi, perché
possono o simulare il comportamento di un ormone o, al contrario, bloccare
un recettore dove gli ormoni devono agire o comunque alterare meccanismi
fisiologici, pur essendo in quantità trascurabile rispetto alle quantità
misurabili con analisi chimiche. Questo comporta che anche quando abbiamo
delle concentrazioni molto basse in un campo coltivato o in un pascolo, le
mucche che vanno in quel pascolo concentrano la diossina, e nel latte
troveremo valori che rendono quel latte non più vendibile. Questo è già
successo in Francia, in Belgio e in vari altri posti nelle zone che si
trovano vicino agli inceneritori. Cioè non solo la zona sotto gli
inceneritori è diventata insostenibile, perché è stato interrotto il ciclo
naturale, ma in quella zona abbiamo reso impossibile l'agricoltura. Ma
questo vuol dire creare le condizioni per cui è insostenibile la vita stessa
dell'uomo: o noi rimettiamo in discussione questo modo di agire, oppure
dovremo accettare anche gli inceneritori, perché se diamo per scontato che
tutto è da distruggere, che tutto il pianeta è un qualche cosa "usa e getta"
, sicuramente produrre e bruciare rifiuti è la logica conseguenza.
Ma io credo che dobbiamo cominciare ad agire diversamente, che vuol dire
ritornare a pensare a degli oggetti che durino il più a lungo possibile,
pensati per essere riciclati, perché la miglior cosa è che quello che noi
chiamiamo rifiuto venga riutilizzato. Ma mentre se un bicchiere è di vetro
lo riutilizzo finché non si rompe, se è di plastica lo butto via dopo il
primo uso: quindi è chiaro che la riutilizzabilità dipende dal fatto che il
materiale sia idoneo al riuso. Ma altrettanto vale per il riciclaggio: o l'
oggetto è pensato per essere riciclato o sarà praticamente impossibile un
reale riciclo. Si possono inventare a posteriori dei meccanismi, come si
intende fare per il tetrapak, attraverso una macchina che lo riciclerebbe.
Ma è la logica del tetrapak che è sbagliata. Non devo mescolare cose non
separabili e dopo studiare, a posteriori, come separarle; devo pensare in
partenza come produrre delle cose che siano facilmente separabili e
riutilizzabili. Lo stiamo imponendo a livello europeo ai costruttori di
automobili, non si capisce perché non si debba pensarlo per tutti i beni di
consumo. Dobbiamo incominciare a ragionare su come rendere la nostra vita
decente, una vita che possa essere vissuta facilmente, senza grosse
complicazioni, con la speranza, non remota, che quando separiamo in casa
delle cose, vadano realmente ad un riuso o a un riciclaggio e non succeda
che qualcuno proponga un riciclaggio fino al 50%, per poi inviare tutto all'
inceneritore. Il vero riciclaggio è incompatibile con l'inceneritore, perché
se voglio bruciare rifiuti, cosa brucio? Il vetro? Il metallo? Brucerò ciò
che è combustibile, cioè la carta, la plastica, i residui di legno, tutte
cose, guarda caso, che posso totalmente riciclare, e quindi con oltre il 50%
di riciclaggio, non ho nessun bisogno di ricorrere ad inceneritori. Ma se
invece ci ricorro è perché il riciclaggio non è finalizzato a recuperare la
materia, ma è pensato per fare il CDR (che non è un materiale omogeneo:
tutti i problemi di combustione che si verificano con i rifiuti tal quali,
li abbiamo anche con il CDR). Ma allora che riciclaggio è? Alla fine il
risultato non cambia, tanto vale che butto tutto nell'inceneritore
direttamente.
Per una corretta gestione dei rifiuti occorre prima di tutto, come dicono
anche la direttiva europea e le leggi italiane, ridurre i rifiuti: circa il
50% dei rifiuti sono imballaggi che ci vengono venduti spesso al prezzo del
prodotto acquistato. E anche lì dovremmo reagire. Il secondo livello è il
riuso. Ma per riusarli, bisogna che i materiali siano fatti per essere
riutilizzati. Terzo livello è il riciclaggio, ma  i prodotti devono essere
facilmente separabili. Allora ripensiamo a tutto questo e incominciamo a
dire che le logiche dell'incenerimento sono incompatibili con un sistema
sostenibile, rispettoso dei cicli naturali. Se vogliamo realmente riciclare,
non possiamo pensare di bruciare. O l'uno o l'altro. Qualunque altra ipotesi
non è che una scorciatoia per non risolvere il problema.

Lavis, 25 settembre 2004