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agricoltura e inceneritori
- Subject: agricoltura e inceneritori
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Thu, 18 Nov 2004 06:53:28 +0100
Sintesi della Relazione di Gianni Tamino al Seminario "Non bruciamoci il futuro" 25 settembre 2004 a Lavis "Quale agricoltura di qualità in presenza di inceneritori?" agricoltura industrializzata in una società inquinata La cosiddetta rivoluzione verde, realizzata nel secondo dopoguerra, ha determinato un grosso aumento di produzione agroalimentare, ma non ha risolto né fame né sottosviluppo. Infatti i benefici sono andati solo alle multinazionali della chimica e dell'alimentazione e ai grandi proprietari terrieri, dati gli alti costi degli input tecnologici. E l'espulsione dalle campagne dei contadini ha aumentato la piaga dei disoccupati e dei disperati nelle aree urbane del sud del mondo. Secondo stime della FAO negli anni '90 sono morti per fame ogni anno circa 15 milioni di persone delle regioni del Sud del mondo, mentre a 500 milioni ammontano le persone malnutrite (e nel decennio attuale la situazione è peggiorata!). La produttività delle coltivazioni ad alto contenuto tecnologico è stata garantita dal massiccio impiego di energia in ogni fase lavorativa: macchine agricole, selezione genetica, concimazione, irrigazione, controllo chimico dei parassiti, ecc. Si tratta di un enorme flusso di energia supplementare (cioè oltre a quella fornita negli ecosistemi naturali dal sole) che trasforma il sistema produttivo primario da accumulatore di energia (grazie alla fotosintesi) in forte consumatore di energia di origine fossile. La rivoluzione verde ha dunque permesso un grosso aumento di consumi alimentari per i paesi più ricchi, senza garantire cibo per i più poveri, favorendo la concentrazione del settore agroalimentare in poche mani: quelle di alcune multinazionali. Nell'ultimo periodo lo sforzo maggiore delle multinazionali riguarda il settore delle biotecnologie, attraverso la commercializzazione di semi transgenici brevettati. L'agricoltura industrializzata, che consuma prodotti chimici tossici e utilizza piante geneticamente modificate, produce gravi inquinamenti ambientali, soprattutto del suolo e delle acque, ma, a sua volta, viene inquinata da traffico, industrie, centrali elettriche e inceneritori. agricoltura sostenibile e di qualità, legata al territorio Per essere sostenibile l'agricoltura deve mantenere la fertilità del suolo riportando al terreno agricolo quella materia organica e quei sali minerali che derivano dalla trasformazione del cibo consumato, evitando fertilizzanti di sintesi che inquinano le falde. Analogamente non dovrebbe ricorrere a prodotti chimici estranei a cicli naturali, ma riciclare le risorse naturali e conservare l'energia. Tutto ciò richiede l'uso di tecniche e di tecnologie appropriate, localmente disponibili, per favorire l'autosufficienza. In tal modo l'agricoltura sostenibile, analizzando i flussi di materiali e di energia, si propone di produrre cibo sano e di qualità senza intaccare il patrimonio naturale, come chi utilizza gli interessi, mantenendo il capitale. L'agricoltura fin dalle sue origini ha modificato gli ecosistemi naturali, sostituendoli con quelli artificiali, frutto dell'attività umana. Ma un sistema artificiale può essere compatibile con quelli naturali se si integra con essi e se viene reso durevole da idonei interventi esterni; in questo senso per lungo tempo l'agricoltura è stata sostanzialmente sostenibile dal punto di vista ambientale, poiché il flusso di materiali che partiva dal suolo fertile si concludeva con il ripristino dei sali minerali al suolo, secondo il ciclo: suolo piante cibo prodotti di degradazione e il flusso di energia che partiva dalla radiazione solare si diffondeva lungo catene alimentari semplificate, ma integrate con quelle naturali dei boschi e delle foreste. Più recentemente gli interventi esterni realizzati dall'uomo sono divenuti sempre meno compatibili (prodotti chimici di sintesi, mezzi meccanici, energia derivata dal petrolio, manipolazioni genetiche - OGM -, ecc.) e l' agricoltura è diventata sempre meno sostenibile, anche a causa di due fattori che hanno reso problematica la possibilità di chiudere il ciclo dell 'ecosistema agricolo. Un primo fattore è l'urbanizzazione, che ha portato gran parte della popolazione a concentrarsi nelle città, mentre il cibo continua ad essere prodotto in campagna. Così gli scarti e i reflui derivati dal cibo utilizzato non ritornano al campo che lo ha prodotto, ma sono trasformati in liquami e rifiuti che vanno in fognature e discariche o inceneritori, sottraendo all'agricoltura i sali minerali e la materia organica necessari per la fertilità del terreno ( il processo diviene da ciclico a lineare: suolo à piante à cibo à prodotti di degradazione à fogne, inceneritori, discariche). Inoltre gli abitanti della città dipendono dalla campagna per il cibo, ma gli agricoltori dipendono economicamente dal commercio dei prodotti con la città. Per rendere sostenibile questo sistema lineare occorre integrare città e campagna in una dimensione territoriale regionale, in cui pianificare gli scambi tra le aree in modo da renderli compatibili, ad esempio trasformando liquami e rifiuti organici, grazie ad una adeguata raccolta differenziata, in compost ricco di materia organica e sali minerali, riutilizzabile in agricoltura. Il secondo fattore, causa di insostenibilità ben più difficile da risolvere del precedente, è la globalizzazione del commercio, che si realizza su scala mondiale. Il problema è come gestire un flusso di materiali che si sposta da un continente all'altro, in modo non bilanciato, e cercare di conservare i cicli biogeochimici degli ecosistemi naturali. L'agricoltura sostenibile deve dunque conservare e utilizzare la biodiversità, rifiutando l'uniformità produttiva del sistema agricolo industriale e rivalutando la tipicità dei prodotti e la biodiversità dei gusti del cibo a seconda delle regioni. Inoltre, avendo come obiettivo la qualità e non tanto la quantità, si adatta anche a quelle regioni considerate marginali, come quelle di collina e di montagna. l'impatto sull'ambiente in generale e sull'ambiente agricolo in particolare degli inceneritori La pericolosità degli inquinanti prodotti dagli inceneritori è confermata da numerosi studi medici. Uno studio epidemiologico condotto dall'Università di Birmingham ribadisce che in prossimità di inceneritori di rifiuti, il rischio di leucemia e cancri solidi aumenta vertiginosamente nei bambini. Gli inquinanti vengono trasferiti dall'aria al suolo con le scorie e le ceneri. Le principali sostanze inquinanti emesse da un impianto di incenerimento sono: - Policlorodibenzodiossine (Diossina) - Policlorodibenzofurani (Furani) - Ceneri contenenti mercurio, cadmio, rame, manganese, nichel, zinco, cromo, ferro. - Idrocarburi policiclici aromatici (IPA). - Fosforo - Ossidi di zolfo - Cloro - Ossidi di azoto - Acido Solfidrico - Ossido di carbonio - Ceneri contenenti argento, antimonio, arsenico, stagno, idrocarburi policiclici aromatici. -etc..... A tutto questo va aggiunta la produzione di CO2: incenerire 1 kg di rifiuti comporta l'uso di 7 kg di aria e 1 kg acqua, nonché la produzione di 3 kg di CO2 determinante per l'incremento dell'effetto serra. Un inceneritore inoltre riduce ma non elimina la quantità di rifiuti: di ogni tonnellata di RSU incenerita infatti produce 300 kg di scorie, 30 kg di ceneri e 10 - 80 kg di prodotti usati per la depurazione. Tutto questo ha un peso e un volume molto inferiore rispetto ai RSU ma ha un potere inquinante molto più alto e quindi va smaltito in discariche speciali le quali oltre ad essere più costose garantiscono la conservazione e la non pericolosità dei rifiuti solamente per 20 anni a fronte di una durata centenaria degli inquinanti. Come riporta un documento di Medicina Democratica, da un'indagine del Ministero dell'Agricoltura francese risulta che tassi allarmanti di diossina sono stati riscontrati nel latte prodotto in 34 dei 95 Dipartimenti del Paese. In tre Dipartimenti del Nord - l'area a maggiore vocazione lattiera - il tasso riscontrato è superiore a 3 picogrammi per grammo di grassi dei prodotti lattiero-caseari analizzati, rispetto ad un valore di riferimento che non dovrebbe superare 1 picogrammo, mentre a 5 picogrammi scatta la proibizione del consumo. La diossina dispersa nell'atmosfera appare dovuta all'attività degli inceneritori; 40 impianti di incenerimento dei rifiuti urbani, secondo il Ministero dell'Ambiente, non sarebbero in regola, e quindi continuano sistematicamente a contaminare i pascoli. L'indagine si sta anche estendendo ai tassi di diossina nelle uova e nelle carni. Le prefetture hanno vietato a sedici aziende agricole la vendita del latte prodotto e sono stati chiusi gli inceneritori di Halluin, Wasquehal e Sequedin (zona di Lille) assieme a quello di Maubeuge, nel nord del paese, dove si è accertato il superamento di 1.000 volte il vigente limite previsto dalle direttive dell'Unione Europea sulle diossine. Tant'è che la Francia sta riconsiderando la sua politica di smaltimento dei rifiuti urbani da decenni basata sull'incenerimento e sta sottoponendo gli impianti di incenerimento, fino a ieri vantati come sicuri e non inquinanti, a verifiche approfondite. Lo studio ha portato alla richiesto di blocco della costruzione di ulteriori inceneritori per rifiuti per evitare di aggravare l'attuale contaminazione, mettendo pertanto in discussione il programma francese che prevede oltre cento nuovi impianti entro il 2002. Analoghe verifiche sono in corso in Belgio per l'impianto di Anversa come per quelli di Weurt e Lathum in Olanda. In Olanda, è utile ricordarlo, nel 1989 l'inceneritore di Rotterdam fu spento e la produzione di latte del circondario fu distrutta per diversi anni per l'elevata presenza di diossine. In alcuni casi si sono verificate contaminazioni tra 11 e 14 nanog/l in TCDDeq a fronte di un limite massimo fissato in Olanda a 0,1 nanog/l; questo inquinante ha interessato anche aziende di agricoltura biologica. Ma non è solo la diossina ad inquinare i prodotti agricoli o a danneggiare le coltivazioni intorno ad un inceneritore. Infatti un peso rilevante è svolto anche da furani, IPA e metalli pesanti che possono essere assorbiti dai vegetali e trasferiti, attraverso la catena alimentare, agli animali e all'uomo. Inoltre ossidi d'azoto, ossidi di zolfo, cloro, acido solfidrico possono reagire con pioggia e nebbia, dando origine a ricadute acide o comunque tossiche, pericolose per le coltivazioni agricole e in generale per l' ambiente. Anche le condizioni climatiche possono essere modificate a causa dell'incremento di CO2, dei fumi e del calore prodotti. E' dunque evidente che campi e pascoli attorno ad un inceneritore vengono gravemente danneggiati sia dal punto di vista ambientale, che sanitario ed economico. D'altra parte è ben difficile fare sforzi per avere un' agricoltura di qualità, magari biologica, legata al territorio se il territorio è sottoposto a fonti di inquinamento, tra l'altro ben visibili da parte dei potenziali consumatori: chi potrebbe reclamizzare il proprio prodotto agricolo con un'immagine dei campi sovrastati da un inceneritore? SEMINARIO "NON BRUCIAMOCI IL FUTURO" 25 settembre 2004 - Lavis Incompatibilità tra agricoltura di qualità e impianti di incenerimento dei rifiuti Intervento di Gianni Tamino Docente di Biologia generale e di Fondamenti di Diritto ambientale al Dipartimento di Biologia dell'Università di Padova Continuerò su questo tema a partire da due considerazioni. La prima considerazione che sentiamo fare da parte di coloro che propongono inceneritori, discariche ecc. e di fronte alla quale si rimane spesso disarmati, è questa: "ma dovremo pur metterli da qualche parte i rifiuti". E questo ragionamento sembra chiudere il discorso. La seconda considerazione è: "ma da quando e in che misura esiste il problema rifiuti?" Quando ero giovane (e non parliamo di quando abitavo in campagna, dove non c 'era il concetto di rifiuto, ma quando mi ero trasferito in città), ricordo che la questione dei rifiuti era quasi inesistente, perché l'unico problema era come e dove eliminare l'umido, che, se lo si separa, diviene facile da gestire. Dopodiché c'era un po' di vetro e cocci rotti, che avevano già una loro possibile utilizzazione, e poi non c'era la plastica ma altre cose che io, bambino di 6/7 anni, raccoglievo perché una volta la settimana passava un divertentissimo e buffo signore con il triciclo, che gridava "strasse ossi fero vecio da vender"; era lo straccivendolo che comperava dalla gente gli stracci, le ossa, i metalli, ecc. Noi li separavamo e li mettevamo da parte e la mia paghetta me la ricavavo in questo modo. Come mai in 50 anni abbiamo perso completamente il senso di tutto questo e come mai ci sembra impossibile realizzare ciò che abbiamo fatto nel passato? Si può dire che la società è diversa, che questo è il progresso: "avete voluto la bicicletta adesso pedalate". Ma mettiamola in termini più generali: d'accordo c'è il progresso (anche se non capisco per quale motivo creare problemi sempre più rilevanti e difficili da risolvere si chiami progresso e non sia invece un regresso), ma proviamo a guardare le cose con un'ottica diversa, come fossimo esterni al pianeta. Immaginiamo di essere dei marziani e di guardare quello che fanno gli uomini. La conclusione sarebbe che su questo pianeta ci sono dei pazzi, perché quello che stiamo facendo, in nome del progresso, è la trasformazione, ogni giorno più rapida, di risorse in rifiuti. Non c'è nessuna logica nell'usa e getta, nella trasformazione sempre più veloce di beni di consumo in qualcosa da buttare via, anche se certamente c'è qualcuno che da questo ci guadagna. Ma pensiamo che si possa andare avanti in questo modo? Solo 50 anni fa tutto questo spreco non c'era. C'è qualcosa di pazzesco in tutto questo. Ma andiamo ancora un po' più indietro. Immaginiamo, anziché di essere dei marziani, di essere degli organismi dotati di vita lunghissima, in grado di vedere che cosa è successo negli ultimi miliardi di anni su questo pianeta. Bene, la vita su questo pianeta si è consolidata quando si sono creati dei rapporti ciclici fra organismi e ambiente naturale. Solo quando, grazie ad una fonte di energia esterna al sistema, il sole, è stato possibile trasformare materia inorganica in materia organica utilizzata dai viventi, che a loro volta ridiventano materia inorganica, la vita ha potuto consolidarsi sul pianeta. In pratica l'energia solare, durante la fotosintesi, permette di ottenere la trasformazione dell'anidride carbonica e dell'acqua in zuccheri, che a loro volta vengono demoliti nella respirazione, per ottenere l'energia che serve alle diverse attività dell' organismo. Analogamente succede per l'azoto e per il fosforo che si trovano nel suolo, che vanno a formare gli elementi costitutivi di tutti gli esseri viventi, che, con le loro deiezioni e con la loro morte, ripristineranno i minerali del suolo. Tutto quello che viene prodotto attraverso i processi biologici ritorna quindi materia inorganica, che viene riutilizzata periodicamente per garantire questi cicli. Ora, se per caso, in un qualche momento, nel corso dell'evoluzione della vita sulla Terra ci fosse stato un passaggio con produzione di rifiuti, e questi rifiuti non fossero diventati materia prima per altri processi in modo da riciclarli, oggi non staremmo qui a parlare perché non ci sarebbe più vita sul pianeta. La vita su questo pianeta è garantita fintanto che questi processi rimangono ciclici. Purtroppo negli ultimi tempi noi stiamo trasformando i cicli naturali in processi lineari, come quelli industriali. Nei processi industriali utilizziamo materie prime come i minerali ed energia fossile come il petrolio per produrre beni di consumo (o di consumismo) come, ad esempio, la plastica o gli oggetti di plastica. Ma solo una piccola parte dell'energia e delle materie prime sono trasformate nel prodotto finale, mentre la maggior parte diventa rifiuto ed inquinamento già durante il ciclo produttivo, ed il prodotto finale, che deve durare il meno possibile, per costringere il consumatore a comperarne ancora, esaurita la sua funzione, diventa rifiuto a sua volta. In poche parole, in tempi sempre più rapidi, trasformiamo le materie prime in rifiuti. E' evidente che, se questo fosse avvenuto nel passato, adesso noi non potremmo vivere, perché il pianeta sarebbe una montagna di rifiuti. C'è stata, nell'evoluzione della vita sul pianeta, una gravissima crisi quando è iniziata la produzione di ossigeno. Tutti noi senza ossigeno non possiamo vivere, ma la più grande crisi su questo pianeta c'è stata proprio quando alcuni organismi hanno incominciato a produrre, grazie alla fotosintesi, ossigeno, perché l' ossigeno era un veleno, un ossidante, come dice la parola, che alterava gran parte delle molecole pre-esistenti. Ma fortunatamente altri processi, come la respirazione, hanno permesso l'utilizzazione dell'ossigeno, creando un nuovo equilibrio. La fotosintesi, dunque, senza la respirazione che utilizza l'ossigeno, avrebbe potuto determinare una crisi irreparabile. L'ossigeno è lo scarto della fotosintesi, ma l'ossigeno è materia prima per la respirazione; la CO2 è lo scarto della respirazione, ma è la materia prima della fotosintesi. E la cosa va e andrà avanti ciclicamente finché c'è il sole. Così ogni volta che si è creato un nuovo scarto (non un rifiuto), si è realizzato un processo nuovo che ha utilizzato quello scarto. Quello che voglio far capire è che la questione dei rifiuti è un problema recente e che la vita non ha mai avuto nella sua evoluzione il problema "rifiuti", ma solo scarti che diventano materie prime per altri processi produttivi. Ma tutta la produzione chimica degli organismi viventi sul pianeta è enormemente maggiore, in termini di quantità e di qualità, di quanto sia tutta l'attività umana. E nonostante questo non c'è nessun rifiuto. I rifiuti li producono gli uomini, ma solo in tempi recenti, da quando non hanno saputo più rimettere nei cicli naturali i loro scarti, come hanno fatto per lungo tempo. Questo problema è rilevante in particolare per chi si occupa di agricoltura, perché l'agricoltura ha sempre utilizzato i cicli naturali. L'uomo agricoltore, pur essendo stato un tecnico innovatore, un manipolatore della realtà intorno a sé, ha sempre cercato di inserire questa attività negli equilibri naturali. Ma ad un certo punto, in nome del progresso e dello sviluppo industriale, quello dei processi lineari, si è ritenuto opportuno fare le pulci all'agricoltura, dichiarando che l'agricoltura era sbagliata perché non rispondeva alla logica "fordista" del "massimo di produttività e della omogeneità". In agricoltura ci si è sempre preoccupati di avere piante giuste al posto giusto e se quelle che lì si adattavano erano un po' diverse, non era un problema. Del resto gli uomini non si sono mai preoccupati di essere tutti uguali (anche se c'è stato qualcuno - nel recente passato - che voleva tutti uomini alti, biondi e con gli occhi azzurri, però fortunatamente questa visione è rimasta appannaggio di una oscura minoranza); ma non possiamo amare la nostra biodiversità e poi volere l'omogeneità delle piante in agricoltura. Ma a un certo punto, come dicevo, la logica "fordista" (cioè catene di montaggio, processi ad alta produttività, grandi consumi di energia e di risorse prelevate nell'ambiente che diventano rifiuti) è diventata dominante anche in agricoltura. E questa è stata la cosiddetta "rivoluzione verde" che ha trasformato l'agricoltura da un sistema di produzione di materiali in modo equilibrato in un sistema che consuma in modo squilibrato energia e materie prime trasformandole, in parte, in rifiuti. Un'agricoltura di questo genere ha un impatto enorme perché è un'agricoltura non più sostenibile. Pensate, oggi quando voi comperate da mangiare, che sia pasta o che siano zucchine, o frutta, comperate a peso, ma ognuno pensa dentro di sé a quante calorie corrisponde, cioè tutti avete la sensazione che mangiare non è mangiare solo grammi ma è mangiare anche energia, calorie. Oggi siamo arrivati al punto che per ogni caloria solare, incamerata attraverso la fotosintesi nel cibo, ce n'è circa un'altra di energia fossile. Cioè l'agricoltura, da sistema di trasformazione dell' energia solare in cibo, in modo pienamente sostenibile, è diventata una consumatrice di energia fossile e questo è il primo aspetto. Il secondo aspetto è che l'agricoltura richiede il mantenimento del ciclo dei nitrati, dei fosfati, dei sali e minerali in genere e della materia organica presenti nel suolo. Per mantenere questa materia organica devono essere garantiti cicli che richiedono anche le nostre deiezioni e i nostri rifiuti organici, perché se tanto prelevo dal suolo, tanto al suolo deve ritornare. Nella nuova logica, la materia organica, che ripristina la fertilità, non torna al suolo, e siamo costretti ad utilizzare fertilizzanti chimici di sintesi, cioè energia esterna e risorse esterne. Questo crea due problemi: - da una parte il suolo viene inaridito: pensate alla Pianura Padana che in base all'Agenzia Europea per l'Ambiente, è desertificata, non perché manca l 'acqua, ma nel senso che la materia organica presente nei nostri suoli è spesso inferiore all'1 %, mentre la fertilità è data da un valore superiore al 3%, la differenza è fertilizzanti chimici di sintesi. Questa situazione significa che per garantire la cosiddetta alta produttività della nostra agricoltura dobbiamo ricorrere a qualche cosa che è esauribile, che dura poco nel tempo, come il petrolio o i prodotti chimici di sintesi; - dall'altra parte, tutto quello che tornava al suolo sotto forma di materia organica è diventato rifiuto, che metteremo o in discariche, o negli inceneritori. Si da' quindi per scontato che non sia possibile altra via che usare fertilizzanti chimici di sintesi al posto della materia organica, divenuta rifiuti anziché concime, e gestire la materia organica come un rifiuto da mettere in discarica o da bruciare. Questa è l'insostenibilità sia dell' attuale agricoltura che dell'attuale sistema di vita. Rispetto a questi problemi possiamo proporre due cose. Anzitutto che l'agricoltura ritorni ad essere sostenibile: ciò significa tornare al sistema ciclico dell'agricoltura, per cui la materia organica che è stata prelevata dal suolo ritorni al suolo. Allora non è ammissibile che qualcuno pensi che la materia organica diventi o fognatura che va ad inquinare fiumi, laghi e mari, o rifiuti da bruciare. Dobbiamo ripensare un' agricoltura sostenibile. In secondo luogo l'agricoltura non deve dipendere da poche multinazionali, che sono le multinazionali della chimica, che dopo aver imposto prodotti chimici di sintesi in agricoltura, oggi, attraverso prima l'acquisizione delle industrie sementiere e poi quelle biotecnologiche, vogliono imporre gli OGM, cioè semi standardizzati e modificati geneticamente per essere funzionali ai loro prodotti chimici. Infatti il 75% delle piante transgeniche, coltivate soprattutto negli USA, Canada e Argentina (fuori da questi paesi c'è quasi niente) sono piante resistenti al diserbante dell' azienda che li produce. Un sistema ottimale per l'industria chimica, ma non ottimale per l'agricoltore né per il cittadino perché in questo modo c'è un controllo massiccio della semente, che viene brevettata, perché ciò che è geneticamente modificato è brevettabile e diventa di proprietà della multinazionale che obbliga a comprare quel seme e quel prodotto chimico. Se una multinazionale riesce ad avere il controllo di tre piante, che sono mais, riso e frumento, controlla il 50% dell'economia agricola mondiale e controlla di fatto il mondo, perché non ha un controllo solo economico, ma anche sociale e politico. Ma questo può succedere solo se c'è una agricoltura insostenibile, basata sulla produttività al di fuori del modo di produrre naturale, cioè attraverso sistemi lineari anziché ciclici. Conseguenza di tutto questo è che l'agricoltura è inquinata al suo interno da sostanze chimiche, produce l'inquinamento delle acque da pesticidi e da nitrati, dovuto ai fertilizzanti di sintesi (recentemente l'OMS, affrontando l'inquinamento delle acque da nitrati, responsabili dell'aumento di tumori, ha detto che sono uno dei principali problemi sanitari), e rischia un nuovo inquinamento da OGM, cioè un inquinamento biologico che, attraverso la diffusione del polline e dei semi, può diffondere caratteri che non sono coerenti con la logica delle piante, oltre all'inquinamento da pesticidi, dato che il 75% degli OGM sono resistenti ai diserbanti, che in tal caso si usano in quantità sempre maggiore. Quindi un'agricoltura divenuta insostenibile e inquinante, ma che, a sua volta, è inquinata. Oggi, nella programmazione, nella pianificazione del territorio l'agricoltura è l'ultimo dei problemi, anche perché in 50 anni siamo passati dal 50% di mano d'opera impiegato in agricoltura a meno del 5%. Quindi l'agricoltura è ritenuta irrilevante e nella pianificazione del territorio sono molto più importanti le aree industriali e artigianali, le nuove autostrade, le nuove aree di espansione edilizia, magari le speculazioni per il turismo. Si dimentica comunque che, per mangiare, da qualche parte dobbiamo pur produrre cibo. Ebbene l'agricoltura diventa inquinata perché è relegata ad un ruolo secondario, subisce l'inquinamento delle industrie, del traffico e dei rifiuti, dato che i rifiuti, se non ritornano alla terra come materia organica, ritornano comunque all'agricoltura come inquinamento, sia che si tratti di percolato delle discariche o di fumi tossici di un inceneritore. Quindi non aver affrontato complessivamente il problema del flusso di materiali tra natura e attività umane, comporta che l'agricoltura subisca un nuovo danno, un nuovo inquinamento, come quello provocato dalla realizzazione di un inceneritore. Va detto anzitutto che le sostanze inquinanti emesse da un impianto di incenerimento sono numerosissime, dato che differenti sono i materiali che vengono bruciati e differenti di conseguenza sono le condizioni in cui avviene la combustione. Un inceneritore, il cui funzionamento non è paragonabile a quello di un'automobile dove si utilizza un unico combustibile, o la benzina o il gasolio (che comunque inquinano), presenta una condizione instabile, poiché una combustione all'interno di una macchina fatta per bruciare qualsiasi cosa, non permette di sapere quali diversi tipi di composti si formeranno e quali reazioni chimiche, variando le condizioni chimico fisiche, si potranno realizzare, ma alla fine avremo migliaia di composti chimici, variabili nel tempo e rispetto ai quali non abbiamo strategie difensive, perché non possiamo prevederli. Nell'imprevedibilità chiunque dica che gli inceneritori sono puliti e che non producono niente di pericoloso, o è ignorante, nel senso che ignora, o è in malafede, e in questo caso è molto peggio. Alcuni composti sono ovvi, in quanto logica conseguenza dei processi di combustione, come la CO2 che, prodotta in eccesso, oggi ci preoccupa per i cambiamenti climatici. Infatti da una parte produciamo CO2 con nuove centrali termoelettriche, nuovi mezzi di trasporto e nuovi inceneritori, e dall'altra abbiamo ridotto la superficie adibita a boschi e foreste e la superficie agricola ed abbiamo cementificato il territorio. Quindi abbiamo ridotto la capacità naturale di assorbire la CO2 , mentre la quantità di CO2 che produciamo è sempre maggiore, e anche questo diventa insostenibile. In secondo luogo negli inceneritori si producono una serie di ossidi ed acidi che possono dare origine alle piogge acide, che alterano le caratteristiche del suolo e bruciano le piante, compresi gli ortaggi o le altre piante coltivate. Si producono poi sostanze particolarmente pericolose per la salute come le famose polveri sottili, le PM10 e le PM 2,5, che, nel caso degli inceneritori, sono ancora più imprevedibili, ricche di metalli pesanti, comunque ritenute dei pericolosi agenti che producono tumori e che alterano la salute non solo delle persone ma di qualunque organismo vivente, compresi gli animali allevati e le piante coltivate. Infine ci sono i microinquinanti, cioè le diossine, i furani, i PCB ecc. dei quali sentiamo spesso dire che la concentrazione in uscita dagli inceneritori è così bassa che non siamo neanche in grado di misurarla: e allora di che cosa vi preoccupate? Ovviamente questi composti vanno sulle verdure e quindi l'agricoltura subisce un ulteriore danno. Ma dicono: "la concentrazione è talmente bassa". Ma in natura, nell'ambito dei cicli naturali, si determina una catena alimentare per cui la massa degli animali erbivori è circa 10 volte la massa delle erbe che mangiano e, a loro volta, la massa dei carnivori è almeno 10 volte la massa degli erbivori mangiati e quindi 100 volte le erbe di partenza. Pertanto un microinquinante che si deposita, o viene assorbito da una pianta, lo troveremo 10 volte concentrato nell'erbivoro e 100 volte nel carnivoro. Questo è il motivo per il quale troviamo tracce significative di DDT nel grasso degli orsi polari o, ancor oggi, a distanza di 30 anni da quando il DDT è stato vietato in Italia, si trovano tracce nel latte materno delle donne italiane, per effetto di questi fenomeni di accumulo e concentrazione. Anche le diossine presentano questo stesso fenomeno. Ma le diossine, come altri composti, non hanno bisogno di alte concentrazioni per determinare un pericolo per la salute, perché anche in dosi bassissime possono svolgere azioni significative. In altre parole, non c'è, come si verifica per la tossicità, una concentrazione sotto la quale l'effetto è praticamente nullo, oppure, come nella cancerogenicità, un livello di concentrazione sotto la quale si può dire che è trascurabile l'aumento della probabilità che si sviluppi un tumore. Infatti quando una sostanza, come è il caso delle diossine, è in grado, anche a concentrazioni di singole molecole, di mimare l'azione degli ormoni, abbiamo una situazione dove poche molecole sono in grado di determinare a cascata delle reazioni molto più gravi, perché possono o simulare il comportamento di un ormone o, al contrario, bloccare un recettore dove gli ormoni devono agire o comunque alterare meccanismi fisiologici, pur essendo in quantità trascurabile rispetto alle quantità misurabili con analisi chimiche. Questo comporta che anche quando abbiamo delle concentrazioni molto basse in un campo coltivato o in un pascolo, le mucche che vanno in quel pascolo concentrano la diossina, e nel latte troveremo valori che rendono quel latte non più vendibile. Questo è già successo in Francia, in Belgio e in vari altri posti nelle zone che si trovano vicino agli inceneritori. Cioè non solo la zona sotto gli inceneritori è diventata insostenibile, perché è stato interrotto il ciclo naturale, ma in quella zona abbiamo reso impossibile l'agricoltura. Ma questo vuol dire creare le condizioni per cui è insostenibile la vita stessa dell'uomo: o noi rimettiamo in discussione questo modo di agire, oppure dovremo accettare anche gli inceneritori, perché se diamo per scontato che tutto è da distruggere, che tutto il pianeta è un qualche cosa "usa e getta" , sicuramente produrre e bruciare rifiuti è la logica conseguenza. Ma io credo che dobbiamo cominciare ad agire diversamente, che vuol dire ritornare a pensare a degli oggetti che durino il più a lungo possibile, pensati per essere riciclati, perché la miglior cosa è che quello che noi chiamiamo rifiuto venga riutilizzato. Ma mentre se un bicchiere è di vetro lo riutilizzo finché non si rompe, se è di plastica lo butto via dopo il primo uso: quindi è chiaro che la riutilizzabilità dipende dal fatto che il materiale sia idoneo al riuso. Ma altrettanto vale per il riciclaggio: o l' oggetto è pensato per essere riciclato o sarà praticamente impossibile un reale riciclo. Si possono inventare a posteriori dei meccanismi, come si intende fare per il tetrapak, attraverso una macchina che lo riciclerebbe. Ma è la logica del tetrapak che è sbagliata. Non devo mescolare cose non separabili e dopo studiare, a posteriori, come separarle; devo pensare in partenza come produrre delle cose che siano facilmente separabili e riutilizzabili. Lo stiamo imponendo a livello europeo ai costruttori di automobili, non si capisce perché non si debba pensarlo per tutti i beni di consumo. Dobbiamo incominciare a ragionare su come rendere la nostra vita decente, una vita che possa essere vissuta facilmente, senza grosse complicazioni, con la speranza, non remota, che quando separiamo in casa delle cose, vadano realmente ad un riuso o a un riciclaggio e non succeda che qualcuno proponga un riciclaggio fino al 50%, per poi inviare tutto all' inceneritore. Il vero riciclaggio è incompatibile con l'inceneritore, perché se voglio bruciare rifiuti, cosa brucio? Il vetro? Il metallo? Brucerò ciò che è combustibile, cioè la carta, la plastica, i residui di legno, tutte cose, guarda caso, che posso totalmente riciclare, e quindi con oltre il 50% di riciclaggio, non ho nessun bisogno di ricorrere ad inceneritori. Ma se invece ci ricorro è perché il riciclaggio non è finalizzato a recuperare la materia, ma è pensato per fare il CDR (che non è un materiale omogeneo: tutti i problemi di combustione che si verificano con i rifiuti tal quali, li abbiamo anche con il CDR). Ma allora che riciclaggio è? Alla fine il risultato non cambia, tanto vale che butto tutto nell'inceneritore direttamente. Per una corretta gestione dei rifiuti occorre prima di tutto, come dicono anche la direttiva europea e le leggi italiane, ridurre i rifiuti: circa il 50% dei rifiuti sono imballaggi che ci vengono venduti spesso al prezzo del prodotto acquistato. E anche lì dovremmo reagire. Il secondo livello è il riuso. Ma per riusarli, bisogna che i materiali siano fatti per essere riutilizzati. Terzo livello è il riciclaggio, ma i prodotti devono essere facilmente separabili. Allora ripensiamo a tutto questo e incominciamo a dire che le logiche dell'incenerimento sono incompatibili con un sistema sostenibile, rispettoso dei cicli naturali. Se vogliamo realmente riciclare, non possiamo pensare di bruciare. O l'uno o l'altro. Qualunque altra ipotesi non è che una scorciatoia per non risolvere il problema. Lavis, 25 settembre 2004
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