la delocalizzazione vista dagli usa



da lavoceinfo.it
30 Ottobre 2004

Economia

La delocalizzazione vista dagli Usa
di Jane Little
www.lavoce.info 26/10/04

Quasi ogni giorno leggiamo di aziende americane che lasciano a casa migliaia
di lavoratori statunitensi per trasferire la programmazione, un call center
o tutta la funzione "risorse umane" in Cina o India.
Queste notizie portano a stimare in 500mila circa i posti di lavoro nel
settore dei servizi all'impresa trasferiti all'estero negli ultimi tre anni.
E poiché questi trasferimenti hanno coinciso con la crescita più debole dell
'occupazione dalla ripresa successiva alla seconda guerra mondiale, molti
osservatori ne hanno tratto la conclusione che la delocalizzazione all'
estero "spiega" gran parte del malessere del nostro mercato del lavoro.
Tuttavia, l'evidenza empirica suggerisce che la delocalizzazione di mansioni
ha inciso molto poco sull'andamento dell'occupazione. L'impatto è, e
probabilmente resterà, modesto perché i flussi commerciali e d'investimento
che facilitano l'outsourcing all'estero mettono in moto anche forze
riequilibratici.

Delocalizzazione e colletti bianchi

Gli elettori americani sono da tempo indifferenti alla delocalizzazione di
mansioni nell'industria manifatturiera perché nel frattempo l'occupazione
americana si è spostata verso attività basate sulla conoscenza. Se dunque l'
outsourcing non è di per sé un fenomeno nuovo, quello che è nuovo (e secondo
alcuni, preoccupante) è il fatto che oggi l'outsourcing comprende l'
esportazione di lavori qualificati, da "colletti bianchi".
Storicamente, via via che la produzione di scarpe, videoregistratori e
semiconduttori si trasferiva all'estero, gli americani passavano a impieghi
"migliori". Ma ora alcuni dei lavori che prendono il volo verso altri paesi
"sono" i lavori migliori - per esempio, nell'ideazione di software, nella
microeconomia, nella radiologia - in quelle nuove industrie nelle quali si
suppone che gli Stati Uniti abbiano un vantaggio comparato.
Tuttavia, secondo i dati sul commercio, l'impatto reale della
delocalizzazione di lavoro è stato finora piuttosto modesto. I servizi all'
impresa qui di maggior interesse sono tutti riuniti nella generica voce
"altri servizi privati". Le importazioni americane di "altri servizi
 privati" da tutti i paesi asiatici in via di sviluppo ammontavano nel 2003
a meno di un decimo dell'1 per cento del Pil degli Stati Uniti. Troppo poco
per aver avuto un forte impatto sulla crescita dell'occupazione in Usa.
Inoltre, i flussi di lavoro legati all'outsourcing devono essere visti alla
luce dello straordinario dinamismo dell'economia americana, dove ogni
settimana un milione di persone perde il lavoro, ma un altro milione lo
trova.
Dalla metà degli anni Novanta, il Bureau of labor statistics ha registrato i
motivi di tutte le interruzioni del rapporto di lavoro che interessano
cinquanta o più lavoratori in un periodo di cinque settimane e che durano
più di trenta giorni. Secondo questi dati, importazione competitiva e
delocalizzazione di lavoro spiegano appena il 2,4 per cento di tali
interruzioni dal 2001 al 2003 (figura 1), la stessa percentuale del 1998-99,
gli anni del boom. Anche se triplicassero, le quote attribuite alla
importazione competitiva e alla delocalizzazione lascerebbero ancora a
vicende interne come la debolezza della domanda di lavoro, il compito di
spiegare la quantità dei recenti licenziamenti di massa. (1)

Le assunzioni da outsourcing
Spostandoci dai grandi licenziamenti all'occupazione totale, nel 2001-2003,
i lavoratori americani hanno sperimentato 143 milioni di interruzioni del
rapporto di lavoro, comprese 56 milioni di interruzioni involontarie (figura
2). Le interruzioni sono compensate in larga parte dai 141 milioni di
assunzioni, ma nei tre anni il risultato netto è stato leggermente negativo.
Assumendo (dai dati sui licenziamenti di massa) che la delocalizzazione di
lavoro e l'importazione competitiva spieghino il 2,4 per cento di tutti i 56
milioni di licenziamenti avvenuti tra il 2001 e il 2003, l'outsourcing ha
comportato 1,3 milioni di licenziamenti nei tre anni. Sono grandi numeri.
Ma l'outsourcing ha significato anche assunzioni. Le imprese indiane stanno
"insourcing" negli Stati Uniti, attraverso l'apertura di filiali americane
per offrire servizi ai clienti negli Stati Uniti. E i call center indiani
acquistano software e apparecchiature di comunicazione americani, così come
i loro giovani lavoratori, grazie al nuovo benessere, acquistano dvd
americani. Inoltre, le imprese degli Stati Uniti hanno potuto tagliare i
costi per hardware, software e altri servizi procurandoseli all'estero e
così hanno potuto assumere persone che altrimenti non avrebbero assunto.
Gli analisti non sanno quante assunzioni legate all'outsourcing hanno
bilanciato qualcuno fra il milione di licenziamenti causati dall'outsourcing
negli ultimi tre anni. Ma è decisamente sbagliato confrontare il milione
lordo di licenziamenti dovuto all'outsourcing con la perdita netta di due
milioni di posti di lavoro da fine 2000 a fine 2003. Sarebbe come
confrontare una mela con una mezza arancia.
L'outsourcing verso una serie di aree a basso costo continuerà certamente.
Le aree prescelte si spostano nel tempo perché il commercio mette in moto
forze che tendono a eguagliare il costo del lavoro nelle diverse regioni.
Con l'incremento della domanda, i programmatori indiani stanno ricevendo
notevoli aumenti quest'anno.
Inoltre, mentre i paesi a basso reddito accumulano capitale fisico e umano,
la produttività dei loro lavoratori cresce e così i loro salari.
Infine, anche i tassi di cambio possono giocare un ruolo. Nei primi anni
Novanta, i capitali affluivano nei paesi del miracolo asiatico facendo
salire il loro costo del lavoro in dollari così come i prezzi delle loro
attività.
Insomma, le vicende interne sono responsabili in larga parte della recente
debolezza del mercato del lavoro negli Stati Uniti. In futuro, l'outsourcing
proseguirà, seguendo le variazioni nelle fonti del vantaggio comparato. Ma
come tutto il commercio internazionale, l'outsourcing aumenta la
produttività dei lavoratori americani e, in aggregato, farà crescere i
redditi reali del paese.
Nel frattempo, una politica monetaria accomodante, può favorire il reimpiego
degli individui danneggiati dalla delocalizzazione, mettendo a tacere le
richieste di protezione.

(1) A partire dall'inizio del 2004 per tutti i licenziamenti, esclusi quelli
stagionali e le ferie, il programma Bls Mass Layoff Statistics chiede se l'
interruzione del rapporto di lavoro implica il trasferimento della mansione
in altra sede della stessa o altra società. Se è così, il programma chiede
anche se la mansione è stata trasferita all'estero. Secondo i primi dati
divulgati nel primo trimestre 2004, il 3,5 per cento di tutte le
interruzioni, escluse le stagionali e le ferie, implicano un trasferimento
all'estero della mansione. Quasi due terzi delle mansioni trasferite all'
estero restano all'interno della stessa società. Nonostante questi dati non
siano perfettamente comparabili con i dati Mass layoff statistics pre-2004,
i risultati sono molto simili: i licenziamenti causati dalla
delocalizzazione di lavoro restano una piccola parte della massa totale dei
licenziamenti.