sostenibilità e crescita delle disuguaglianze



Sviluppo sostenibile e ambiente
Approfondimenti sulla sostenibilità locale e sugli effetti ambientali

CRESCITA DELLE DISUGUAGLIANZE

E ' noto che, come ci ricorda nel suo ultimo rapporto l 'UNDP, nel 2000 il
10% della popolazione più benestante degli Stati Uniti (25 milioni di
persone)ha un reddito equivalente al 43% della popolazione mondiale (più di
2 miliardi di persone)o che l '1%della popolazione mondiale più ricca (50
milioni di persone)abbia un reddito equivalente al 57%della popolazione più
povera (2,8 miliardi di persone). Queste disuguaglianze sono scioccanti ma
potrebbero essere considerate solo il segno del progresso realizzato in una
parte del mondo e che da questa parte più ricca del mondo si è poi diffuso.
Il punto è che,invece,le disuguaglianze tra le varie aree del mondo non si
sono attenuate,ma peggiorate. Confrontando l 'andamento dei redditi
procapite delle varie aree tra il 1960 e il 1999,l 'UNDP rileva che solo per
l 'Asia Orientale,dove risiedono le economie più dinamiche,si è ridotta la
distanza con il reddito procapite dei paesi OCSE,passato da 1/10 a 1/5.Nell
'Asia meridionale,che negli ultimi due decenni recupera però il
peggioramento degli anni '60 e '70,il rapporto 1/10 è rimasto invariato.Per
l 'America Latina si registra un leggero peggioramento,con un reddito che
rimane circa 1/3 di quello dei paesi ricchi. Si allarga immensamente il
divario con l 'Africa Subsahariana,il cui reddito procapite scende da 1/9 a
1/18. In termini assoluti,però,la distanza tra il reddito dei paesi ricchi e
dei paesi in via di sviluppo si allarga in tutti i casi.Anche per l 'Asia
Orientale,la differenza assoluta di reddito procapite (in valori costanti)
passa dai 6.000 dollari del 1960 ai 13.000 dollari del 1998.

Le differenze tra i paesi sviluppati

Ma una differenza di accesso all 'economia della conoscenza esiste anche all
'interno dei paesi sviluppati.Gli anni '90 sono stati gli anni della
riscossa tecnologica statunitense.Il ritorno della leadership statunitense è


stato sostenuto da molti elementi:la capacità innovativa di alcune imprese,
l 'apertura dei mercati,la forte presenza di meccanismi come il venture
capital che ha consentito lo sviluppo di attività innovative ad alto
rischio,la riconversione della spesa pubblica. Ma la liberalizzazione non
sembra l 'unica condizione di successo.I paesi scandinavi sono oggi leader
mondiali nell 'innovazione,hanno un accesso alle tecnologie ICT comparabile
e superiore agli Stati Uniti,con forti tassi di crescita economica e una
crescente competitività e attrattività per gli investimenti esteri.Ciò è
avvenuto,smentendo i luoghi comuni del neoliberalismo,in un contesto
istituzionale che ha mantenuto una forte pressione fiscale,un elevato
standard di spesa sociale,una alta protezione della forza lavoro: una
inattesa contraddizione per l 'assunto tradizionale secondo il quale alti
livelli di regolazione impediscono la globalizzazione. Il ruolo della
ricerca e sviluppo e delle politiche pubbliche in questo settore appare
rilevante e sotto questo profilo i percorsi dei vari paesi europei non sono
omogenei. I paesi nordici (in primo luogo Svezia,Finlandia,Danimarca)hanno
conosciuto una crescita intensa della spesa per ricerca e sviluppo,talvolta
quasi raddoppiandone l 'incidenza sul Pil rispetto al 1985,e sono
caratterizzati da alcuni tra i livelli assoluti più elevati di spesa in area
OCSE (3,8% in Svezia,2,9% in Finlandia). In un secondo gruppo di
paesi -Germania,Francia,Olanda,Gran Bretagna, la spesa per ricerca e
sviluppo è superiore o attorno (Gran Bretagna)alla media europea,ma è
rimasta invariata o è declinata nel corso degli ultimi quindici anni. In un
altro gruppo di paesi,che partiva da livelli di spesa significativamente più
bassi della media europea,vi è stata una rapida crescita della spesa.In
Grecia,Portogallo,Spagna la spesa per ricerca e sviluppo è quasi raddoppiata
negli ultimi 15 anni,pur rimanendo inferiore all '1%.L 'Irlanda,che partiva
da un livello inferiore all 'Italia,si colloca oggi poco sotto la media
europea. Infine vi è il caso,assolutamente unico,dell 'Italia.L 'unico paese
che,partendo da livelli inferiori alla media europea,nel corso degli ultimi
15 anni ha visto ulteriormente decrescere la quota di spesa (pubblica e
privata)sul Pil.

 documento di Lega Ambiente Italia

RALLENTAMENTO DEI PROGRESSI ECONOMICI

L 'idea che i processi di globalizzazione abbiano accelerato il
miglioramento delle condizioni di vita non sembra supportata da nessuna
evidenza. Un rapporto del CEPR mostra che negli ultimi venti anni, associata
a politiche di liberalizzazione e alla crescente integrazione dei mercati,
si registra un declino rispetto ai venti anni precedenti nel tasso di
miglioramento del reddito, dell'attesa di vita, del tasso di
scolarizzazione,della riduzione della mortalità infantile. Rispetto al
periodo 1960 - 1980, negli ultimi venti anni vi è un ulteriore
miglioramento, ma con un ritmo meno accelerato, soprattutto per chi parte da
condizioni più svantaggiate. Nello studio CEPR, nei due periodi esaminati -
1960//1980 e 1980/2000 - sono stati raggruppati i paesi in classi omogenei a
seconda del livello di partenza dello specifico indicatore. Ciò che si
compara, quindi, sono le prestazioni di paesi che partono in ciascun periodo
da un simile livello, invece che l 'andamento di uno stesso paese nei due
periodi (che potrebbe giustificare un rallentamento del tasso di
progresso).In questo modo sarebbe ragionevole attendersi che nel secondo
periodo i paesi che ancora si collocano ai livelli più bassi conoscano una
crescita più rapida, potendo usufruire di livelli tecnologici e scientifici
e di esperienze più avanzate e consolidate. Al contrario,l 'analisi mostra
che: sotto il profilo del reddito il gruppo dei paesi più poveri passa da
una crescita del 1,9% annua nel primo periodo ad una riduzione del
0,5%annuo; un rallentamento si rileva anche nel secondo gruppo (dal 3,6% al
1%); sotto il profilo dell'attesa di vita, si ha una riduzione del tasso di
progresso per 4 gruppi su 5, con l 'eccezione dei paesi che già si
collocavano nella fascia più alta; il tasso di riduzione della mortalità
infantile declina per tutti i gruppi di paesi, ma declina in maniera più
accentuata per quelli che si collocavano a un livello medio o basso; sotto
il profilo dell'educazione,infine, si rallenta la crescita della
scolarizzazione per tutti i gruppi di paesi, ma ancora il rallentamento è
più accentuato proprio per i gruppi di paesi che già avevano più bassi tassi
di scolarità. Politiche neoliberiste e aumento dell'ineguaglianza sociale
all'interno delle nazioni Contemporaneamente a una maggiore ineguaglianza
tra le nazioni, sono cresciute - soprattutto negli ultimi 15 o venti anni -
anche le ineguaglianze e gli squilibri all'interno delle nazioni. La
distribuzione del reddito - che si misura, tradizionalmente, con il
cosiddetto Indice Gini (un indice che assume il valore 0 per un paese dove
tutti hanno lo stesso reddito e il valore 1 per un paese dove tutto il
reddito è concentrato in una sola persona) - mostra ampie variazioni su
scala mondiale e anche tra i paesi più sviluppati. Nel mondo si oscilla tra
lo 0,2 della Slovacchia e lo 0,6 del Brasile, mentre nei paesi ricchi l
'intervallo è più stretto e va dallo 0.23 dell 'Austria allo 0.44 della
Nuova Zelanda. Ma cosa è successo negli ultimi anni ? Non c 'è una linea di
tendenza univoca e i dati disponibili spesso non consentono comparazioni
significative nel corso del tempo. Ciò nonostante, sulla base dei dati
grezzi, emerge che un gran numero di paesi - sia sviluppati che in via di
sviluppo - ha conosciuto un peggioramento nella distribuzione del reddito.
Sugli ultimi 30 anni, secondo uno studio della Banca Mondiale (GEP 2001),si
registrano casi di peggioramento e di miglioramento dell'ineguaglianza,ma
"dal momento che l 'ineguaglianza interna è cresciuta in alcuni dei paesi
più popolosi,complessivamente più persone sono state segnate da un aumento
di ineguaglianza che da una diminuzione. E ' difficile valutare se i
processi di globalizzazione - intesi come l 'integrazione dei mercati -
abbiano alleviato o esacerbato le condizioni di povertà. Gli studi compiuti
disegnano un quadro composito,dal quale non sembra possibile trarre
conclusioni semplicistiche. Il tasso di apertura dei mercati interni al
commercio estero non è probabilmente il fattore chiave delle trasformazioni
intervenute. Più studi confermano che il tasso di apertura del commercio non
è correlato con la distribuzione del reddito.Povertà e redditi sono
influenzati in maniera altrettanto e forse più importante da altri elementi,
come il cambiamento tecnologico, la produttività relativa, fattori
istituzionali e politici (sindacalizzazione, politiche assistenziali e di
tutela etc). Ma i processi di globalizzazione sono stati
governati,soprattutto dalla seconda metà degli anni '80, da politiche
neoliberiste, basate sulla riduzione del ruolo economico dello Stato,la
privatizzazione delle attività economiche e dei servizi pubblici (energia,
telecomunicazioni, sanità, educazione), la contrazione degli strumenti
assistenziali (previdenza) e degli ammortizzatori sociali e di tutela del
lavoro,la riduzione delle libertà e delle garanzie sindacali, la
liberalizzazione del mercato dei capitali. Queste politiche hanno invece
avuto un impatto chiaro e misurabile sulla distribuzione del reddito. Nei
paesi Ocse, l 'area ricca del mondo, vi è stato un uniforme arretramento
dell'uguaglianza sociale,con al sola eccezione della Danimarca. Recentissime
analisi hanno mostrato che dopo un fase di riduzione dell'iniquità
sociale,tra la metà degli anni '70 e la metà degli anni '80, in concomitanza
con la diffusione di politiche neoliberiste e la riduzione del potere
contrattuale dei lavoratori si è registrata una polarizzazione della
ricchezza, più accentuata in paesi come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna.
In alcuni paesi in via di sviluppo, come la Cina, la Corea, l 'Indonesia,una
maggiore iniquità della distribuzione del reddito si è accompagnata ad un
forte sviluppo ed ha contemporaneamente formato elite ricche e ridotto le
condizioni di povertà e in particolare le condizioni di povertà estreme. In
altri paesi, come in America Latina, la crescita di ineguaglianze sociali si
è accompagnata ad uno sviluppo moderato e con frequenti crisi e recessioni
che non hanno consentito un miglioramento delle condizioni di povertà. Nei
paesi africani,la contrazione dello sviluppo ha esacerbato quasi
uniformemente le iniquità sociali (e non ha consentito di ridurle neanche
laddove, come in Sud Africa,vi sono stati eccezionali rivoluzioni sociali e
politiche). Ma cambiamento più drammatico nella distribuzione del reddito -
e direttamente dipendente da una transizione selvaggia all'economia di
mercato -lo si rileva nell'ex Unione Sovietica e in molti dei paesi
dell'Europa centro orientale. Negli anni '80,prima della transizione, l
'indice di distribuzione del reddito era basso, cioè vi era una
distribuzione con poco polarizzazione. Dopo la transizione tutti i paesi
hanno sperimentato un peggioramento della distribuzione,di modesta entità in
paesi come l 'Ungheria o la Slovenia, di dimensioni sconvolgenti nei paesi
dell'ex-unione Sovietica. In Russia,iniquità e povertà sono corse
rovinosamente assieme. In meno di un decennio la Russia, che era uno dei
paesi meno polarizzati (un indice Gini di 0.24 nel 1988), è divenuta uno dei
paesi più squilibrati (un indice Gini di 0,49 nel 1998,al livello di paesi
latino americani), con una rapida mobilità verso il basso che ha fatto
balzare la quota di popolazione povera dall '11%del periodo sovietico al 43%
del 1996 (prima della crisi del 1998 che ha sicuramente aggravato questa
condizione).

 documento di Lega Ambiente Italia

EFFETTI NEI MERCATI

Gli effetti diretti della globalizzazione sono stati oggetto di grande
discussione. La preoccupazione principale è quella che si realizzi uno
spostamento di processi produttivi verso le aree dove, oltre a bassi costi
del lavoro, vi sono anche bassi livelli di controllo e protezione
ambientale. Indubbiamente,la delocalizzazione di alcuni processi
produttivi - soprattutto quelli a più alta intensità di lavoro - nei paesi
in via di sviluppo comporta anche una riduzione degli standard ambientali
dei processi. Gli standard, la regolazione e la capacità di garantirne l
'applicazione è in questi paesi da moderatamente a incredibilmente più bassa
di quella in vigore nei paesi sviluppati. L 'esportazione di rifiuti tossici
nei paesi in via di sviluppo è il caso più eclatante. Ma, complessivamente,
la gravità dei problemi ambientali e di inquinamento non sembra connessa in
maniera diretta con un processo di delocalizzazione delle attività più
inquinanti dai paesi sviluppati verso i paesi in via di sviluppo. La
produzione industriale nei settori più inquinanti (che sono anche settori
industriali ad alta intensità di capitale, come la chimica, l 'industria
petrolifera, quella cartaria o metallurgica) è rimasta concentrata nei paesi
sviluppati, la cui quota mondiale (ca. l '80%) è anzi leggermente aumentata
negli anni '90. Un recente studio su 89 imprese multinazionali americane ha
mostrato che il 60% degli stabilimenti nei paesi in via di sviluppo ha
standard analoghi a quelli degli stabilimenti dei paesi industrializzati.
Una indagine compiuta in Indonesia, nel 1995, ha mostrato che mentre l '80%
degli stabilimenti di imprese multinazionali era conforme agli standard
nazionali sulla qualità degli scarichi,ca.il 70%degli scarichi delle imprese
locali era fuori norma. D 'altra parte, anche ai livelli elevati delle
regolazioni ambientali dei paesi sviluppati, la protezione ambientale
(depurazione,trattamento fumi,smaltimento rifiuti) incide normalmente per
meno del 2% dei costi produttivi e non costituisce quindi un fattore
critico. Inoltre,l 'impiego di tecnologie produttive moderne .necessarie per
garantire una qualità standard della produzione - determina intrinsecamente
una maggiore efficienza ambientale dei cicli produttivi. Infine, l
'attenzione sia internazionale che delle comunità locali è spesso un
deterrente per le grandi imprese multinazionali all'abbandono di standard
usuali nell'insieme dei paesi sviluppati. E ' la combinazione tra rapidità
della crescita industriale e crescita demografica (o,per altro verso, la
combinazione tra crescita demografica e declino economico) che determina la
crisi ambientale in molti di questi paesi. Diretti effetti ambientali della
globalizzazione dei mercati sono piuttosto ravvisabili nell'impatto
esercitato dal peggioramento delle ragioni di scambio sulle materie prime
agricole - che hanno sollecitato una spinta verso livelli produttivi sempre
più elevati innescando fenomeni gravi di erosione e di inquinamento, dagli
effetti indiretti delle politiche di aggiustamento strutturale, dalle
restrizioni imposte attraverso i trattati internazionali all'applicazione di
politiche ambientali di prodotto. In Indonesia, nel periodo 1997 - 1998, la
combinazione tra la pressione sulle risorse forestali innescata dal ritorno
alle campane per sfuggire alla recessione economica e le eccezionali
condizioni climatiche determinate da El Nino hanno innescato incendi di
proporzioni inimmaginabili, con la distruzione di ca.10 milioni di ettari di
foresta. Le politiche di aggiustamento strutturale imposte ad alcuni di
questi paesi, riducendo il livello di spesa pubblica, colpiscono in maniera
significativa gli investimenti di tipo ambientale.

EFFETTI AMBIENTALI

La Conferenza di Rio,1992,coronò l 'emergere delle questioni ambientali come
grande tema delle politiche nazionali e internazionali.Con Rio,da un lato si
affermava la necessità di un governo globale di alcuni questioni ambientali
planetarie - effetto serra, acidificazione, riduzione dello strato di
ozono,tutela della biodiversità -,dall 'altro si richiedeva di integrare gli
obiettivi di tutela delle risorse e della qualità ambientale sia nelle
politiche territoriali ed economiche nazionali (e locali), sia nelle
strategie produttive dei gruppi economici. 10 anni dopo,la Conferenza di
Johannesburg 2002,si confronterà con la necessità di fare il bilancio degli
effetti ambientali di un decennio di globalizzazione economica.Un triplo
bilancio:il bilancio dell 'efficacia delle politiche globali e
nazionali,pubbliche e private;il bilancio dello stato delle risorse
ambientali e dei rischi;il bilancio degli effetti diretti (e indiretti)della
globalizzazione dei mercati.

Dematerializzazione relativa e assoluta

Nell 'arco dell 'ultimo decennio,i cambiamenti strutturali dell 'economia,la
diffusione di nuove tecnologie e lo sviluppo delle politiche ambientali
hanno consentito di consolidare il processo di "dematerializzazione " e di
riduzione dell 'intensità ambientale dello sviluppo economico avviatosi
dalla metà degli anni '70. Tutti i principali indicatori ambientali si sono
disaccoppiati dagli indicatori economici.Su scala globale,a fronte di una
crescita del 20%del Prodotto Interno Lordo e di una crescita del 12%della
popolazione (nel periodo 1990 - 1998)),i consumi energetici sono aumentati
del 10,5%,le emissioni di Co2 (da soli usi energetici) sono cresciute del
8%,le emissioni di anidride solforosa e di ossidi di azoto diminuiscono,i
consumi di ferro sono aumentati del 3%(mentre erano cresciuti del 11% nel
decennio precedente),l 'estensione delle terre arabile è rimasta stabile
(mentre erano cresciute del 4% nel decennio precedente),il tasso di crescita
dell 'inquinamento organico rilasciato dagli scarichi idrici si è ridotto.
Su scala globale siamo di fronte a quella che è stata chiamata una
"dematerializzazione relativa ", perchè in assoluto è comunque cresciuto il
prelievo di risorse energetiche e di materie prime,sono cresciute le aree
naturali convertite (per urbanizzazione,agricoltura o degrado),sono
aumentate le emissioni climalteranti e idriche e i rifiuti rilasciati nell
'ambiente.Ma ciò è avvenuto ad un tasso inferiore rispetto al passato e con
una intensità inferiore a quello della crescita economica.

La riduzione delle pressioni ambientali nei paesi sviluppati

Nei paesi sviluppati - e soprattutto in Europa - per molti aspetti si è
realizzata una riduzione assoluta dei carichi ambientali.Le emissioni
atmosferiche - dall 'anidride solforosa,agli ossidi di azoto ai metalli
pesanti e alle diossine - si sono uniformemente e costantemente ridotte..In
Europa - ma non negli Stati Uniti - anche le emissioni climalteranti si sono
ridotte (-4%) rispetto ai livelli del 1990, nonostante la crescita dei
consumi energetici.I consumi di fertilizzanti e pesticidi sono diminuiti,in
valore assoluto,per ettaro coltivato,per tonnellata di prodotto.I prelievi
idrici,nella gran parte dei paesi europei,si è ridotta o stabilizzata ed è
diminuito (per quantità e pericolosità) il carico inquinante rilasciato nei
corpi idrici,nelle acque sotterranee e in mare.Considerando il riciclo,anche
la quantità di rifiuti destinata a smaltimento si è stabilizzata o ridotta
(in alcuni paesi in maniera consistente). Nei paesi industrializzati l
'inversione di tendenza è evidente ed è oggi guidata non solo dalla
normativa ambientale e dagli strumenti fiscali,ma anche dal mercato e dagli
orientamenti dei consumatori.Aumentano in maniera sensibile sia l 'offerta
che il consumo di prodotti industriali ad alta efficienza energetica e
qualità ambientale,di prodotti agricoli e alimentari biologici,di turismo
naturalistico,di prodotti finanziari orientati ambientalmente. Non è un
processo irreversibile.La pressione per un allentamento dei vincoli
ambientali e per limitare l 'internalizzazione dei costi ambientali resta
alta,anche se ormai il mondo industriale e agricolo è diversificato e non
costituisce più un blocco omogeneo che resiste all 'innovazione e alla
tutela ambientale. Ciò nonostante,nella gran parte delle regioni dei paesi
sviluppati è cambiata,soprattutto nel corso di questo decennio,la qualità
del problema ambientale e del conflitto ambientale.Gli scarichi idrici e
atmosferici e lo stesso smaltimento dei rifiuti,non costituiscono più - se
non in alcune aree e punti circoscritti - una emergenza e un rischio
ambientale..Il tema fondamentale non è più contenere i danni,ma migliorare
la qualità.Pur con molte eccezioni (ad esempio per molte regioni italiane) e
con diversa efficacia,la maggiore efficienza ambientale della produzione e
la realizzazione di una rete di infrastrutture ambientali hanno consentito
di spostare l 'attenzione sulla qualità ambientale dei consumi,del
territorio e dell 'ambiente urbano.La sfida ambientale - e il conflitto
fondamentale - si è spostato sul campo delle politiche urbanistiche, sul
traffico urbano e sulla mobilità,sull 'infrastrutturazione del
territorio,sulla qualità dell 'alimentazione,sulla tutela del paesaggio,sul
ripristino degli ambienti verdi e naturali.

Il degrado ambientale nel sud del mondo

Se nel Nord del mondo si contraggono i carichi ambientali immessi e in parte
si assiste a un recupero di funzionalità ambientale,il degrado e l
'inquinamento ambientale esplode invece in tutto il Sud del mondo. Nei paesi
in via di sviluppo sia la crescita economica che il declino economico si
traducono con prepotenza in danno ambientale. In queste aree del mondo - e
con più evidenza nelle aree meno dinamiche o in declino - peggiora anche la
stessa efficienza d 'uso delle risorse.Tra il 1990 e il 1998 l 'intensità
energetica è aumentata (o non è diminuita) in quasi tutte le regioni del
mondo fuori dall 'area OCSE,con la sola importante eccezione della Cina. In
questa parte del mondo - anche trainata da un miglioramento delle condizioni
di vita - la crescita dei consumi energetici ha in genere sopravanzato la
crescita economica e all 'interno dei consumi energetici è cresciuta la
componente di combustibili fossili e di combustibili ad alto contenuto di
carbonio. Questo peggioramento è più evidente nelle aree meno dinamiche o in
declino (l 'Africa e i paesi dell 'ex blocco sovietico),ma non risparmia
neanche economie dinamiche come l 'Indonesia o la Malesia (i dati calcolati
sul periodo precedente al 1998 non sono inficiati dagli effetti della crisi
economica finanziaria). Anche se al crescere del tasso di
industrializzazione (e del reddito)aumenta anche l 'efficienza nell 'impiego
delle risorse (ma non sempre e non con la stessa intensità si riducono
consumi e emissioni totali),il ritmo dello sviluppo industriale di questi
paesi,sommandosi al carico demografico,prospetta problemi sconosciuti all
'evoluzione del sistema industriale occidentale. Particolarmente rilevante è
l 'impatto sulle risorse idriche,sia in termini di prelievi che di scarichi.
A differenza di quel che succede nei paesi industrializzati,dove il carico
inquinante subisce una contrazione,in tutti i paesi in via di sviluppo le
emissioni inquinanti sono in forte accelerazione. Anche in questo caso la
crescita delle emissioni da attività industriali,in molti paesi,ha un tasso
superiore a quello della crescita economica.Tra il 1980 e il 1996 le stime
per l 'Indonesia segnalano un aumento del carico inquinante del 350%,per la
Cina del 260%,per la Malesia del 200%. L 'inquinamento atmosferico presenta
andamenti diversificati nei vari paesi in via di sviluppo.In alcune aree
urbane - in Cina, in Brasile, in Messico - le rilevazioni disponibili
segnalano una contrazione dei livelli di inquinamento atmosferico,le cui
concentrazioni nelle aree urbane restano però eccezionalmente elevate
rispetto ai paesi sviluppati.Mentre sembrano ridursi gli effetti legati al
riscaldamento e alla produzione di energia,la crescente motorizzazione
determina condizioni di inquinamento drammatiche.In India,-con una
prevalenza di veicoli a due e tre tempi (che rappresentano il 65% del parco
e il 60% dei consumi),una bassa qualità dei combustibili (un più basso
contenuto di benzene e zolfo è entrato in vigore nel 2000)e una scarsa
manutenzione -,il traffico è ritenuto responsabile del 64% dell
'inquinamento atmosferico a Delhi,del 52%a Mumbai, del 32%a Calcutta.Recenti
stime indicano in circa 2 milioni di morte premature gli effetti sanitari
del traffico nelle città indiane. E,più in generale,in questi paesi crescono
tutti i principali fattori di impatto:consumo di pesticidi, consumo di
sostanze dannose per la fascia di ozono,consumo di suolo. Certo,l 'impatto
complessivo di questi paesi resta,sotto molti profili,marginale.Negli ultimi
10 anni sul totale dei consumi energetici la quota dei paesi OCSE è
cresciuta ulteriormente e nonostante il vertiginoso aumento dei consumi
procapite in Asia (+19%in 10 anni,contro una media OCSE del 5%) in valori
assoluti il consumo procapite asiatico è cresciuto di meno della metà di
quanto non sia cresciuto quello di un abitante dei paesi sviluppati.Anche
per le emissioni climalteranti,l 'incremento registrato dai paesi in via di
sviluppo è comunque stato inferiore,in valori assoluti,a quello degli stati
Uniti. Ma il percorso dell 'industrializzazione nei paesi occidentali non ha
avuto i ritmi violenti che caratterizzano la condizione dei paesi di nuova
industrializzazione né ha dovuto confrontarsi con analoghi tassi di
esplosione demografica e di urbanizzazione.Nè,soprattutto,è mai prima d 'ora
avvenuto nella storia che una vasta quantità di paesi sperimentasse per un
lungo periodo il declino o la stagnazione economica associato ad una rapida
crescita demografica. Anche se oggi sono teoricamente (ma non
economicamente)disponibili tecnologie e conoscenze capaci di consentire una
forte minimizzazione degli impatti,l 'impatto sulla qualità e disponibilità
delle risorse ambientali dei processi in atto in questi paesi potrebbe
rivelarsi più devastante di quella conosciuta nel Nord del Mondo.

documento di Lega Ambiente Italia