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sostenibilità e crescita delle disuguaglianze
- Subject: sostenibilità e crescita delle disuguaglianze
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Tue, 2 Nov 2004 07:09:52 +0100
Sviluppo sostenibile e ambiente Approfondimenti sulla sostenibilità locale e sugli effetti ambientali CRESCITA DELLE DISUGUAGLIANZE E ' noto che, come ci ricorda nel suo ultimo rapporto l 'UNDP, nel 2000 il 10% della popolazione più benestante degli Stati Uniti (25 milioni di persone)ha un reddito equivalente al 43% della popolazione mondiale (più di 2 miliardi di persone)o che l '1%della popolazione mondiale più ricca (50 milioni di persone)abbia un reddito equivalente al 57%della popolazione più povera (2,8 miliardi di persone). Queste disuguaglianze sono scioccanti ma potrebbero essere considerate solo il segno del progresso realizzato in una parte del mondo e che da questa parte più ricca del mondo si è poi diffuso. Il punto è che,invece,le disuguaglianze tra le varie aree del mondo non si sono attenuate,ma peggiorate. Confrontando l 'andamento dei redditi procapite delle varie aree tra il 1960 e il 1999,l 'UNDP rileva che solo per l 'Asia Orientale,dove risiedono le economie più dinamiche,si è ridotta la distanza con il reddito procapite dei paesi OCSE,passato da 1/10 a 1/5.Nell 'Asia meridionale,che negli ultimi due decenni recupera però il peggioramento degli anni '60 e '70,il rapporto 1/10 è rimasto invariato.Per l 'America Latina si registra un leggero peggioramento,con un reddito che rimane circa 1/3 di quello dei paesi ricchi. Si allarga immensamente il divario con l 'Africa Subsahariana,il cui reddito procapite scende da 1/9 a 1/18. In termini assoluti,però,la distanza tra il reddito dei paesi ricchi e dei paesi in via di sviluppo si allarga in tutti i casi.Anche per l 'Asia Orientale,la differenza assoluta di reddito procapite (in valori costanti) passa dai 6.000 dollari del 1960 ai 13.000 dollari del 1998. Le differenze tra i paesi sviluppati Ma una differenza di accesso all 'economia della conoscenza esiste anche all 'interno dei paesi sviluppati.Gli anni '90 sono stati gli anni della riscossa tecnologica statunitense.Il ritorno della leadership statunitense è stato sostenuto da molti elementi:la capacità innovativa di alcune imprese, l 'apertura dei mercati,la forte presenza di meccanismi come il venture capital che ha consentito lo sviluppo di attività innovative ad alto rischio,la riconversione della spesa pubblica. Ma la liberalizzazione non sembra l 'unica condizione di successo.I paesi scandinavi sono oggi leader mondiali nell 'innovazione,hanno un accesso alle tecnologie ICT comparabile e superiore agli Stati Uniti,con forti tassi di crescita economica e una crescente competitività e attrattività per gli investimenti esteri.Ciò è avvenuto,smentendo i luoghi comuni del neoliberalismo,in un contesto istituzionale che ha mantenuto una forte pressione fiscale,un elevato standard di spesa sociale,una alta protezione della forza lavoro: una inattesa contraddizione per l 'assunto tradizionale secondo il quale alti livelli di regolazione impediscono la globalizzazione. Il ruolo della ricerca e sviluppo e delle politiche pubbliche in questo settore appare rilevante e sotto questo profilo i percorsi dei vari paesi europei non sono omogenei. I paesi nordici (in primo luogo Svezia,Finlandia,Danimarca)hanno conosciuto una crescita intensa della spesa per ricerca e sviluppo,talvolta quasi raddoppiandone l 'incidenza sul Pil rispetto al 1985,e sono caratterizzati da alcuni tra i livelli assoluti più elevati di spesa in area OCSE (3,8% in Svezia,2,9% in Finlandia). In un secondo gruppo di paesi -Germania,Francia,Olanda,Gran Bretagna, la spesa per ricerca e sviluppo è superiore o attorno (Gran Bretagna)alla media europea,ma è rimasta invariata o è declinata nel corso degli ultimi quindici anni. In un altro gruppo di paesi,che partiva da livelli di spesa significativamente più bassi della media europea,vi è stata una rapida crescita della spesa.In Grecia,Portogallo,Spagna la spesa per ricerca e sviluppo è quasi raddoppiata negli ultimi 15 anni,pur rimanendo inferiore all '1%.L 'Irlanda,che partiva da un livello inferiore all 'Italia,si colloca oggi poco sotto la media europea. Infine vi è il caso,assolutamente unico,dell 'Italia.L 'unico paese che,partendo da livelli inferiori alla media europea,nel corso degli ultimi 15 anni ha visto ulteriormente decrescere la quota di spesa (pubblica e privata)sul Pil. documento di Lega Ambiente Italia RALLENTAMENTO DEI PROGRESSI ECONOMICI L 'idea che i processi di globalizzazione abbiano accelerato il miglioramento delle condizioni di vita non sembra supportata da nessuna evidenza. Un rapporto del CEPR mostra che negli ultimi venti anni, associata a politiche di liberalizzazione e alla crescente integrazione dei mercati, si registra un declino rispetto ai venti anni precedenti nel tasso di miglioramento del reddito, dell'attesa di vita, del tasso di scolarizzazione,della riduzione della mortalità infantile. Rispetto al periodo 1960 - 1980, negli ultimi venti anni vi è un ulteriore miglioramento, ma con un ritmo meno accelerato, soprattutto per chi parte da condizioni più svantaggiate. Nello studio CEPR, nei due periodi esaminati - 1960//1980 e 1980/2000 - sono stati raggruppati i paesi in classi omogenei a seconda del livello di partenza dello specifico indicatore. Ciò che si compara, quindi, sono le prestazioni di paesi che partono in ciascun periodo da un simile livello, invece che l 'andamento di uno stesso paese nei due periodi (che potrebbe giustificare un rallentamento del tasso di progresso).In questo modo sarebbe ragionevole attendersi che nel secondo periodo i paesi che ancora si collocano ai livelli più bassi conoscano una crescita più rapida, potendo usufruire di livelli tecnologici e scientifici e di esperienze più avanzate e consolidate. Al contrario,l 'analisi mostra che: sotto il profilo del reddito il gruppo dei paesi più poveri passa da una crescita del 1,9% annua nel primo periodo ad una riduzione del 0,5%annuo; un rallentamento si rileva anche nel secondo gruppo (dal 3,6% al 1%); sotto il profilo dell'attesa di vita, si ha una riduzione del tasso di progresso per 4 gruppi su 5, con l 'eccezione dei paesi che già si collocavano nella fascia più alta; il tasso di riduzione della mortalità infantile declina per tutti i gruppi di paesi, ma declina in maniera più accentuata per quelli che si collocavano a un livello medio o basso; sotto il profilo dell'educazione,infine, si rallenta la crescita della scolarizzazione per tutti i gruppi di paesi, ma ancora il rallentamento è più accentuato proprio per i gruppi di paesi che già avevano più bassi tassi di scolarità. Politiche neoliberiste e aumento dell'ineguaglianza sociale all'interno delle nazioni Contemporaneamente a una maggiore ineguaglianza tra le nazioni, sono cresciute - soprattutto negli ultimi 15 o venti anni - anche le ineguaglianze e gli squilibri all'interno delle nazioni. La distribuzione del reddito - che si misura, tradizionalmente, con il cosiddetto Indice Gini (un indice che assume il valore 0 per un paese dove tutti hanno lo stesso reddito e il valore 1 per un paese dove tutto il reddito è concentrato in una sola persona) - mostra ampie variazioni su scala mondiale e anche tra i paesi più sviluppati. Nel mondo si oscilla tra lo 0,2 della Slovacchia e lo 0,6 del Brasile, mentre nei paesi ricchi l 'intervallo è più stretto e va dallo 0.23 dell 'Austria allo 0.44 della Nuova Zelanda. Ma cosa è successo negli ultimi anni ? Non c 'è una linea di tendenza univoca e i dati disponibili spesso non consentono comparazioni significative nel corso del tempo. Ciò nonostante, sulla base dei dati grezzi, emerge che un gran numero di paesi - sia sviluppati che in via di sviluppo - ha conosciuto un peggioramento nella distribuzione del reddito. Sugli ultimi 30 anni, secondo uno studio della Banca Mondiale (GEP 2001),si registrano casi di peggioramento e di miglioramento dell'ineguaglianza,ma "dal momento che l 'ineguaglianza interna è cresciuta in alcuni dei paesi più popolosi,complessivamente più persone sono state segnate da un aumento di ineguaglianza che da una diminuzione. E ' difficile valutare se i processi di globalizzazione - intesi come l 'integrazione dei mercati - abbiano alleviato o esacerbato le condizioni di povertà. Gli studi compiuti disegnano un quadro composito,dal quale non sembra possibile trarre conclusioni semplicistiche. Il tasso di apertura dei mercati interni al commercio estero non è probabilmente il fattore chiave delle trasformazioni intervenute. Più studi confermano che il tasso di apertura del commercio non è correlato con la distribuzione del reddito.Povertà e redditi sono influenzati in maniera altrettanto e forse più importante da altri elementi, come il cambiamento tecnologico, la produttività relativa, fattori istituzionali e politici (sindacalizzazione, politiche assistenziali e di tutela etc). Ma i processi di globalizzazione sono stati governati,soprattutto dalla seconda metà degli anni '80, da politiche neoliberiste, basate sulla riduzione del ruolo economico dello Stato,la privatizzazione delle attività economiche e dei servizi pubblici (energia, telecomunicazioni, sanità, educazione), la contrazione degli strumenti assistenziali (previdenza) e degli ammortizzatori sociali e di tutela del lavoro,la riduzione delle libertà e delle garanzie sindacali, la liberalizzazione del mercato dei capitali. Queste politiche hanno invece avuto un impatto chiaro e misurabile sulla distribuzione del reddito. Nei paesi Ocse, l 'area ricca del mondo, vi è stato un uniforme arretramento dell'uguaglianza sociale,con al sola eccezione della Danimarca. Recentissime analisi hanno mostrato che dopo un fase di riduzione dell'iniquità sociale,tra la metà degli anni '70 e la metà degli anni '80, in concomitanza con la diffusione di politiche neoliberiste e la riduzione del potere contrattuale dei lavoratori si è registrata una polarizzazione della ricchezza, più accentuata in paesi come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna. In alcuni paesi in via di sviluppo, come la Cina, la Corea, l 'Indonesia,una maggiore iniquità della distribuzione del reddito si è accompagnata ad un forte sviluppo ed ha contemporaneamente formato elite ricche e ridotto le condizioni di povertà e in particolare le condizioni di povertà estreme. In altri paesi, come in America Latina, la crescita di ineguaglianze sociali si è accompagnata ad uno sviluppo moderato e con frequenti crisi e recessioni che non hanno consentito un miglioramento delle condizioni di povertà. Nei paesi africani,la contrazione dello sviluppo ha esacerbato quasi uniformemente le iniquità sociali (e non ha consentito di ridurle neanche laddove, come in Sud Africa,vi sono stati eccezionali rivoluzioni sociali e politiche). Ma cambiamento più drammatico nella distribuzione del reddito - e direttamente dipendente da una transizione selvaggia all'economia di mercato -lo si rileva nell'ex Unione Sovietica e in molti dei paesi dell'Europa centro orientale. Negli anni '80,prima della transizione, l 'indice di distribuzione del reddito era basso, cioè vi era una distribuzione con poco polarizzazione. Dopo la transizione tutti i paesi hanno sperimentato un peggioramento della distribuzione,di modesta entità in paesi come l 'Ungheria o la Slovenia, di dimensioni sconvolgenti nei paesi dell'ex-unione Sovietica. In Russia,iniquità e povertà sono corse rovinosamente assieme. In meno di un decennio la Russia, che era uno dei paesi meno polarizzati (un indice Gini di 0.24 nel 1988), è divenuta uno dei paesi più squilibrati (un indice Gini di 0,49 nel 1998,al livello di paesi latino americani), con una rapida mobilità verso il basso che ha fatto balzare la quota di popolazione povera dall '11%del periodo sovietico al 43% del 1996 (prima della crisi del 1998 che ha sicuramente aggravato questa condizione). documento di Lega Ambiente Italia EFFETTI NEI MERCATI Gli effetti diretti della globalizzazione sono stati oggetto di grande discussione. La preoccupazione principale è quella che si realizzi uno spostamento di processi produttivi verso le aree dove, oltre a bassi costi del lavoro, vi sono anche bassi livelli di controllo e protezione ambientale. Indubbiamente,la delocalizzazione di alcuni processi produttivi - soprattutto quelli a più alta intensità di lavoro - nei paesi in via di sviluppo comporta anche una riduzione degli standard ambientali dei processi. Gli standard, la regolazione e la capacità di garantirne l 'applicazione è in questi paesi da moderatamente a incredibilmente più bassa di quella in vigore nei paesi sviluppati. L 'esportazione di rifiuti tossici nei paesi in via di sviluppo è il caso più eclatante. Ma, complessivamente, la gravità dei problemi ambientali e di inquinamento non sembra connessa in maniera diretta con un processo di delocalizzazione delle attività più inquinanti dai paesi sviluppati verso i paesi in via di sviluppo. La produzione industriale nei settori più inquinanti (che sono anche settori industriali ad alta intensità di capitale, come la chimica, l 'industria petrolifera, quella cartaria o metallurgica) è rimasta concentrata nei paesi sviluppati, la cui quota mondiale (ca. l '80%) è anzi leggermente aumentata negli anni '90. Un recente studio su 89 imprese multinazionali americane ha mostrato che il 60% degli stabilimenti nei paesi in via di sviluppo ha standard analoghi a quelli degli stabilimenti dei paesi industrializzati. Una indagine compiuta in Indonesia, nel 1995, ha mostrato che mentre l '80% degli stabilimenti di imprese multinazionali era conforme agli standard nazionali sulla qualità degli scarichi,ca.il 70%degli scarichi delle imprese locali era fuori norma. D 'altra parte, anche ai livelli elevati delle regolazioni ambientali dei paesi sviluppati, la protezione ambientale (depurazione,trattamento fumi,smaltimento rifiuti) incide normalmente per meno del 2% dei costi produttivi e non costituisce quindi un fattore critico. Inoltre,l 'impiego di tecnologie produttive moderne .necessarie per garantire una qualità standard della produzione - determina intrinsecamente una maggiore efficienza ambientale dei cicli produttivi. Infine, l 'attenzione sia internazionale che delle comunità locali è spesso un deterrente per le grandi imprese multinazionali all'abbandono di standard usuali nell'insieme dei paesi sviluppati. E ' la combinazione tra rapidità della crescita industriale e crescita demografica (o,per altro verso, la combinazione tra crescita demografica e declino economico) che determina la crisi ambientale in molti di questi paesi. Diretti effetti ambientali della globalizzazione dei mercati sono piuttosto ravvisabili nell'impatto esercitato dal peggioramento delle ragioni di scambio sulle materie prime agricole - che hanno sollecitato una spinta verso livelli produttivi sempre più elevati innescando fenomeni gravi di erosione e di inquinamento, dagli effetti indiretti delle politiche di aggiustamento strutturale, dalle restrizioni imposte attraverso i trattati internazionali all'applicazione di politiche ambientali di prodotto. In Indonesia, nel periodo 1997 - 1998, la combinazione tra la pressione sulle risorse forestali innescata dal ritorno alle campane per sfuggire alla recessione economica e le eccezionali condizioni climatiche determinate da El Nino hanno innescato incendi di proporzioni inimmaginabili, con la distruzione di ca.10 milioni di ettari di foresta. Le politiche di aggiustamento strutturale imposte ad alcuni di questi paesi, riducendo il livello di spesa pubblica, colpiscono in maniera significativa gli investimenti di tipo ambientale. EFFETTI AMBIENTALI La Conferenza di Rio,1992,coronò l 'emergere delle questioni ambientali come grande tema delle politiche nazionali e internazionali.Con Rio,da un lato si affermava la necessità di un governo globale di alcuni questioni ambientali planetarie - effetto serra, acidificazione, riduzione dello strato di ozono,tutela della biodiversità -,dall 'altro si richiedeva di integrare gli obiettivi di tutela delle risorse e della qualità ambientale sia nelle politiche territoriali ed economiche nazionali (e locali), sia nelle strategie produttive dei gruppi economici. 10 anni dopo,la Conferenza di Johannesburg 2002,si confronterà con la necessità di fare il bilancio degli effetti ambientali di un decennio di globalizzazione economica.Un triplo bilancio:il bilancio dell 'efficacia delle politiche globali e nazionali,pubbliche e private;il bilancio dello stato delle risorse ambientali e dei rischi;il bilancio degli effetti diretti (e indiretti)della globalizzazione dei mercati. Dematerializzazione relativa e assoluta Nell 'arco dell 'ultimo decennio,i cambiamenti strutturali dell 'economia,la diffusione di nuove tecnologie e lo sviluppo delle politiche ambientali hanno consentito di consolidare il processo di "dematerializzazione " e di riduzione dell 'intensità ambientale dello sviluppo economico avviatosi dalla metà degli anni '70. Tutti i principali indicatori ambientali si sono disaccoppiati dagli indicatori economici.Su scala globale,a fronte di una crescita del 20%del Prodotto Interno Lordo e di una crescita del 12%della popolazione (nel periodo 1990 - 1998)),i consumi energetici sono aumentati del 10,5%,le emissioni di Co2 (da soli usi energetici) sono cresciute del 8%,le emissioni di anidride solforosa e di ossidi di azoto diminuiscono,i consumi di ferro sono aumentati del 3%(mentre erano cresciuti del 11% nel decennio precedente),l 'estensione delle terre arabile è rimasta stabile (mentre erano cresciute del 4% nel decennio precedente),il tasso di crescita dell 'inquinamento organico rilasciato dagli scarichi idrici si è ridotto. Su scala globale siamo di fronte a quella che è stata chiamata una "dematerializzazione relativa ", perchè in assoluto è comunque cresciuto il prelievo di risorse energetiche e di materie prime,sono cresciute le aree naturali convertite (per urbanizzazione,agricoltura o degrado),sono aumentate le emissioni climalteranti e idriche e i rifiuti rilasciati nell 'ambiente.Ma ciò è avvenuto ad un tasso inferiore rispetto al passato e con una intensità inferiore a quello della crescita economica. La riduzione delle pressioni ambientali nei paesi sviluppati Nei paesi sviluppati - e soprattutto in Europa - per molti aspetti si è realizzata una riduzione assoluta dei carichi ambientali.Le emissioni atmosferiche - dall 'anidride solforosa,agli ossidi di azoto ai metalli pesanti e alle diossine - si sono uniformemente e costantemente ridotte..In Europa - ma non negli Stati Uniti - anche le emissioni climalteranti si sono ridotte (-4%) rispetto ai livelli del 1990, nonostante la crescita dei consumi energetici.I consumi di fertilizzanti e pesticidi sono diminuiti,in valore assoluto,per ettaro coltivato,per tonnellata di prodotto.I prelievi idrici,nella gran parte dei paesi europei,si è ridotta o stabilizzata ed è diminuito (per quantità e pericolosità) il carico inquinante rilasciato nei corpi idrici,nelle acque sotterranee e in mare.Considerando il riciclo,anche la quantità di rifiuti destinata a smaltimento si è stabilizzata o ridotta (in alcuni paesi in maniera consistente). Nei paesi industrializzati l 'inversione di tendenza è evidente ed è oggi guidata non solo dalla normativa ambientale e dagli strumenti fiscali,ma anche dal mercato e dagli orientamenti dei consumatori.Aumentano in maniera sensibile sia l 'offerta che il consumo di prodotti industriali ad alta efficienza energetica e qualità ambientale,di prodotti agricoli e alimentari biologici,di turismo naturalistico,di prodotti finanziari orientati ambientalmente. Non è un processo irreversibile.La pressione per un allentamento dei vincoli ambientali e per limitare l 'internalizzazione dei costi ambientali resta alta,anche se ormai il mondo industriale e agricolo è diversificato e non costituisce più un blocco omogeneo che resiste all 'innovazione e alla tutela ambientale. Ciò nonostante,nella gran parte delle regioni dei paesi sviluppati è cambiata,soprattutto nel corso di questo decennio,la qualità del problema ambientale e del conflitto ambientale.Gli scarichi idrici e atmosferici e lo stesso smaltimento dei rifiuti,non costituiscono più - se non in alcune aree e punti circoscritti - una emergenza e un rischio ambientale..Il tema fondamentale non è più contenere i danni,ma migliorare la qualità.Pur con molte eccezioni (ad esempio per molte regioni italiane) e con diversa efficacia,la maggiore efficienza ambientale della produzione e la realizzazione di una rete di infrastrutture ambientali hanno consentito di spostare l 'attenzione sulla qualità ambientale dei consumi,del territorio e dell 'ambiente urbano.La sfida ambientale - e il conflitto fondamentale - si è spostato sul campo delle politiche urbanistiche, sul traffico urbano e sulla mobilità,sull 'infrastrutturazione del territorio,sulla qualità dell 'alimentazione,sulla tutela del paesaggio,sul ripristino degli ambienti verdi e naturali. Il degrado ambientale nel sud del mondo Se nel Nord del mondo si contraggono i carichi ambientali immessi e in parte si assiste a un recupero di funzionalità ambientale,il degrado e l 'inquinamento ambientale esplode invece in tutto il Sud del mondo. Nei paesi in via di sviluppo sia la crescita economica che il declino economico si traducono con prepotenza in danno ambientale. In queste aree del mondo - e con più evidenza nelle aree meno dinamiche o in declino - peggiora anche la stessa efficienza d 'uso delle risorse.Tra il 1990 e il 1998 l 'intensità energetica è aumentata (o non è diminuita) in quasi tutte le regioni del mondo fuori dall 'area OCSE,con la sola importante eccezione della Cina. In questa parte del mondo - anche trainata da un miglioramento delle condizioni di vita - la crescita dei consumi energetici ha in genere sopravanzato la crescita economica e all 'interno dei consumi energetici è cresciuta la componente di combustibili fossili e di combustibili ad alto contenuto di carbonio. Questo peggioramento è più evidente nelle aree meno dinamiche o in declino (l 'Africa e i paesi dell 'ex blocco sovietico),ma non risparmia neanche economie dinamiche come l 'Indonesia o la Malesia (i dati calcolati sul periodo precedente al 1998 non sono inficiati dagli effetti della crisi economica finanziaria). Anche se al crescere del tasso di industrializzazione (e del reddito)aumenta anche l 'efficienza nell 'impiego delle risorse (ma non sempre e non con la stessa intensità si riducono consumi e emissioni totali),il ritmo dello sviluppo industriale di questi paesi,sommandosi al carico demografico,prospetta problemi sconosciuti all 'evoluzione del sistema industriale occidentale. Particolarmente rilevante è l 'impatto sulle risorse idriche,sia in termini di prelievi che di scarichi. A differenza di quel che succede nei paesi industrializzati,dove il carico inquinante subisce una contrazione,in tutti i paesi in via di sviluppo le emissioni inquinanti sono in forte accelerazione. Anche in questo caso la crescita delle emissioni da attività industriali,in molti paesi,ha un tasso superiore a quello della crescita economica.Tra il 1980 e il 1996 le stime per l 'Indonesia segnalano un aumento del carico inquinante del 350%,per la Cina del 260%,per la Malesia del 200%. L 'inquinamento atmosferico presenta andamenti diversificati nei vari paesi in via di sviluppo.In alcune aree urbane - in Cina, in Brasile, in Messico - le rilevazioni disponibili segnalano una contrazione dei livelli di inquinamento atmosferico,le cui concentrazioni nelle aree urbane restano però eccezionalmente elevate rispetto ai paesi sviluppati.Mentre sembrano ridursi gli effetti legati al riscaldamento e alla produzione di energia,la crescente motorizzazione determina condizioni di inquinamento drammatiche.In India,-con una prevalenza di veicoli a due e tre tempi (che rappresentano il 65% del parco e il 60% dei consumi),una bassa qualità dei combustibili (un più basso contenuto di benzene e zolfo è entrato in vigore nel 2000)e una scarsa manutenzione -,il traffico è ritenuto responsabile del 64% dell 'inquinamento atmosferico a Delhi,del 52%a Mumbai, del 32%a Calcutta.Recenti stime indicano in circa 2 milioni di morte premature gli effetti sanitari del traffico nelle città indiane. E,più in generale,in questi paesi crescono tutti i principali fattori di impatto:consumo di pesticidi, consumo di sostanze dannose per la fascia di ozono,consumo di suolo. Certo,l 'impatto complessivo di questi paesi resta,sotto molti profili,marginale.Negli ultimi 10 anni sul totale dei consumi energetici la quota dei paesi OCSE è cresciuta ulteriormente e nonostante il vertiginoso aumento dei consumi procapite in Asia (+19%in 10 anni,contro una media OCSE del 5%) in valori assoluti il consumo procapite asiatico è cresciuto di meno della metà di quanto non sia cresciuto quello di un abitante dei paesi sviluppati.Anche per le emissioni climalteranti,l 'incremento registrato dai paesi in via di sviluppo è comunque stato inferiore,in valori assoluti,a quello degli stati Uniti. Ma il percorso dell 'industrializzazione nei paesi occidentali non ha avuto i ritmi violenti che caratterizzano la condizione dei paesi di nuova industrializzazione né ha dovuto confrontarsi con analoghi tassi di esplosione demografica e di urbanizzazione.Nè,soprattutto,è mai prima d 'ora avvenuto nella storia che una vasta quantità di paesi sperimentasse per un lungo periodo il declino o la stagnazione economica associato ad una rapida crescita demografica. Anche se oggi sono teoricamente (ma non economicamente)disponibili tecnologie e conoscenze capaci di consentire una forte minimizzazione degli impatti,l 'impatto sulla qualità e disponibilità delle risorse ambientali dei processi in atto in questi paesi potrebbe rivelarsi più devastante di quella conosciuta nel Nord del Mondo. documento di Lega Ambiente Italia
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