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a cosa può servire il protocollo di kjoto
- Subject: a cosa può servire il protocollo di kjoto
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Sun, 17 Oct 2004 08:24:46 +0200
da reteambiente.it lunedi 4 ottobre 2004 co2 e biodiversità Quando i problemi sono profondamente interconnessi - come è tipico delle dinamiche ambientali - anche i metodi per affrontarli devono essere concepiti in modo integrato, poiché proprio dall'efficacia della loro integrazione nasce la portata e la forza delle soluzioni. Che le azioni mirate a contrastare il riscaldamento globale e il cambiamento climatico risultino utili anche per la salvaguardia della biodiversità non è immediatamente intuitivo. Così come non è ovvio che meccanismi di mercato opportunamente regolati possano servire alla protezione delle foreste. Oppure che l'abbattimento delle emissioni possa avviare processi di efficienza energetica a basso costo nelle economie del primo mondo, e contemporaneamente restituire dignità e migliori condizioni di vita a popolazioni marginalizzate. Gli autori di CO2 e biodiversità analizzano, scompongono e ricombinano le diverse facce della realtà del "dopo Kyoto", affrontando alcune contraddizioni emerse dal Protocollo e dalle successive Conferenze delle Parti. Contraddizioni che sono frutto dei giochi di potere dei "grandi" governi del mondo, gli stessi che, sospendendo la firma, hanno portato all' attuale fase di stallo. Il volume affronta il tema delle emissioni di CO2 e del loro "immagazzinamento", con particolare attenzione alle foreste e all' agricoltura dei paesi tropicali. Si indagano le potenzialità della riforestazione, dell'agricoltura sostenibile e della "deforestazione evitata", mettendo in evidenza che tutti e tre i filoni possono avere un ruolo cruciale nel controllo delle emissioni, mentre solo il primo è oggetto di finanziamento nell'ambito del Protocollo di Kyoto. Un nutrito gruppo di ricercatori di fama mondiale, integrando discipline diverse, lancia idee e argomenti concreti per una soluzione possibile delle alterazioni climatiche. Tenendo in conto le esigenze di sopravvivenza e sviluppo di entrambi gli emisferi del pianeta. Ian R. Swingland, curatore dell'edizione originale del libro, è Professore emerito di Conservazione biologica al Durrell Institute of Conservation and Ecology (DICE), nonché Direttore del Sustainable Forestry Management Ltd. La Convenzione sul clima e il Protocollo di Kyoto La Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico (d'ora in poi indicata come "Convenzione") è stata adottata nel 1992 in occasione del Summit di Rio per fronteggiare gli effetti del cambiamento climatico e rappresenta la conclusione dei lavori della Meteorological Organization e dell'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC). L'operato di queste due organizzazioni è stato fondamentale ai fini dell'allargamento del consenso sul cambiamento climatico in ambito scientifico. La Convenzione è entrata in vigore il 21 marzo 1994 e, al febbraio 2003, è stata ratificata da 188 paesi. La Convenzione è un documento di riferimento che mira a fornire una struttura nel contesto della quale le parti coinvolte possano sviluppare leggi miranti a raggiungere gli obiettivi della Convenzione stessa secondo scadenze regolari, rappresentate dalle Conferenze delle Parti (COP). La Convenzione definisce l'infrastruttura legale, il processo di deliberazione e gli organismi amministrativi che devono esser coinvolti per sviluppare e adottare protocolli significativi. (.) L'obiettivo della "Convenzione e di qualunque strumento legale correlato che la Conferenza delle Parti possa adottare" è quello di ottenere "la stabilizzazione delle concentrazioni di gas-serra nell'atmosfera a un livello che possa prevenire una pericolosa interferenza antropogenica con il sistema climatico". Ciò deve essere ottenuto in modo tale da consentire che "lo sviluppo economico proceda in maniera sostenibile". I principi della Convenzione, delineati nell'articolo 3, includono i seguenti punti: . Equità intergenerazionale e responsabilità comune ma differenziata tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo, con speciale attenzione ai paesi particolarmente vulnerabili rispetto agli effetti avversi del cambiamento climatico e a quelli che dovrebbero sopportare un costo sproporzionato o abnorme entro il regime fissato dalla Convenzione. . Il principio di precauzione, secondo il quale in caso di incertezza scientifica devono essere intraprese azioni per adottare misure e politiche efficienti per "anticipare, prevenire o minimizzare le cause del cambiamento climatico". Queste misure devono essere "di vasta portata, coprire tutte le fonti, i sink e i serbatoi di gas serra", nonché "economicamente efficienti, così da assicurare benefici globali al costo più basso possibile". . "Le Parti hanno il diritto e il dovere di promuovere lo sviluppo sostenibile . poiché lo sviluppo economico è essenziale per adottare le misure utili a far fronte al cambiamento climatico". . "Un sistema economico internazionale aperto e capace di fornire supporto alla crescita e allo sviluppo economici sostenibili di tutte le Parti, in particolare dei paesi in via di sviluppo [e] le misure intraprese per combattere il cambiamento climatico . non dovrebbero costituire un mezzo di discriminazione arbitraria e ingiusta o una restrizione camuffata del commercio internazionale". (.) Il principale risultato della terza COP, tenuta a Kyoto nel dicembre 1997, è stato l'accordo sull'impegno dei paesi dell'Allegato I della Convenzione a limitare le emissioni di gas serra secondo i criteri specificati nell' Allegato B del Protocollo, entro un primo periodo di adempimento fissato al 2008-2012. Altro importante risultato è stata l'individuazione di meccanismi flessibili (compreso il sequestro del carbonio e l'emission trading) in grado di favorire l'assolvimento degli impegni in modo economicamente efficiente. L'articolo 3 del Protocollo assegna a ciascuna delle Parti dell' Allegato I un obiettivo di riduzione delle emissioni basato sui rispettivi livelli di emissioni nazionali al 1990. Ogni paese deve quindi prendere come riferimento le emissioni del 1990. Le Parti dell'Allegato I6 si sono accordate per "assicurare che le proprie emissioni aggregate di gas serra di origine antropica non superino in termini di CO2 equivalenti le quantità assegnate . nella prospettiva di ridurre entro il 2008-2012 le emissioni complessive di almeno il 5% rispetto ai livelli del 1990".7 Gli articoli 7 e 8 forniscono le unità di emissioni assegnate (AAU). Si ricorda che il paragrafo 1 dell'articolo 4 della Convenzione contiene gli impegni generali di tutte le Parti, e il paragrafo 2 si riferisce agli impegni specifici delle Parti dell'Allegato I, e in particolare al ritorno entro il 2000 ai livelli di emissioni del 1990. (Ciò naturalmente non è stato ottenuto: con ben poche eccezioni, i livelli di emissione di tutti i paesi dell'Allegato I hanno superato i livelli specificati). Il Protocollo entrerà in vigore quando almeno 55 delle Parti, rappresentanti di almeno il 55% delle emissioni di gas-serra del 1990, lo avranno ratificato (art. 25 del Protocollo). Al febbraio 2003 il Protocollo era stato siglato da 84 Parti e ratificato da 105 (compresi Unione Europea e Giappone), rappresentanti del 43,9% delle emissioni del 1990. Per raggiungere la percentuale richiesta in assenza della partecipazione statunitense,9 sono stati raggiunti compromessi sui sink del carbonio, che vengono discussi più avanti nel capitolo. (.) Per consentire alle Parti dell'Allegato I di affrontare i propri impegni in un modo economicamente efficiente, il Protocollo prevede tre "meccanismi di flessibilità": la Joint Implementation (JI), il Clean Development Mechanism (CDM) e l'Emission Trading, che i paesi dell'Allegato I possono utilizzare. Due meccanismi, la Joint Implementation e il Clean Development Mechanism sono concettualmente simili. Secondo la Joint Implementation, un organismo legale (pubblico o privato), individuato dai paesi dell'Allegato I, finanzia la riduzione o la rimozione delle emissioni in un altro paese dell'Allegato I, acquistando "unità di riduzione delle emissioni" (ERU, Emissions-Reduction Units). Quando il finanziamento avviene nei confronti di paesi extra Allegato I, si ricade nel Clean Development Mechanism, acquistando "riduzioni di emissione certificate" (Certified Emissions Reductions, CER) agganciate a progetti CDM che valgono come riduzione delle emissioni del paese finanziatore. L'uso di differenti nomi o acronimi non riflette solo la determinazione a distinguere le responsabilità dei paesi dell'Allegato 1 e dei paesi fuori dall'Allegato 1, ma anche il persistere di un dibattito sul ruolo che i sink di assorbimento del carbonio e l'emission trading dovrebbero poter giocare. ( di Autori Vari ) Mercati pilota per l'emission trading La comunità internazionale ha codificato una strategia di protezione del clima che consente un'ampia gamma di strumenti di mercato per la gestione dei gas serra. Come per tutti i sistemi di emission trading, il fine ultimo è quello di abbassare i costi complessivi della mitigazione, sfruttando i margini della commercializzazione e utilizzando i segnali dei prezzi come guida a un più efficiente uso delle risorse. L'utilizzo di strumenti di mercato nella gestione delle emissioni di gas serra riflette in parte il successo ottenuto da questi strumenti rispetto ad altri problemi ambientali. Di fatto, se non ci fosse stata un'ampia dimostrazione precedente, molto difficilmente l'UNFCCC e il Protocollo di Kyoto avrebbero dato spazio a questi meccanismi di mercato. Questi accordi internazionali hanno anche riconosciuto formalmente l' influenza determinante della gestione dell'uso dei suoli rispetto alle concentrazioni di gas serra. Ciò rappresenta un'estensione di importanza fondamentale del concetto di emission trading, che potenzialmente offrirà ampi benefici agli ecosistemi e alla biodiversità. Questa nuova dimensione promette di offrire uno strumento ulteriore per finanziare su ampia scala interventi volti alla conservazione. Se si potrà sfruttare con successo questa opportunità, sarà possibile di ridurre i rischi del cambiamento climatico e contemporaneamente migliorane gli habitat, la qualità dell'acqua e i valori estetici del patrimonio naturale. Inoltre, l'introduzione di nuovi strumenti per il finanziamento dell'uso sostenibile dei suoli offre la possibilità di incrementare la vitalità delle economie locali e delle collettività indigene che dipendono da sistemi forestali in buona salute. (.) Gli obiettivi delle convenzioni sul clima e sulla diversità biologica sono strettamente intrecciati. L'alterazione degli habitat, che molti vedono associata ai cambiamenti del clima terrestre, è la principale causa della perdita di specie. I meccanismi di mercato previsti dall'UNFCCC e dal Protocollo di Kyoto introducono una possibile fonte di supporto finanziario alla protezione degli habitat biologici. La sfida è dunque quella di mettere in pratica meccanismi di mercato che offrano dimostrazione dei benefici, verificando al contempo i metodi di gestione tecnici, con tutte le difficoltà che competono ai programmi di protezione ambientale. Il Protocollo di Kyoto, e tutte le iniziative intraprese dai governi, dal settore privato e dal settore delle organizzazioni non governative, offrono l'opportunità di contabilizzare i servizi di sequestro del carbonio realizzati attraverso il potenziamento dei sink. E i mercati emergenti di emission trading possono fornire nuove fonti di finanziamenti dedicati al miglioramento degli ecosistemi. (.) I mercati di emission trading aiuteranno ad abbassare i costi di mitigazione dei gas serra solo se ci si basa sull'assunto che tali mercati possano essere definiti e integrati internazionalmente, che i costi di transazione possano essere mantenuti bassi e che quindi essi possano guidare alle opzioni più efficienti di uso delle risorse. Considerando l'esperienza limitata di emission trading a livello mondiale, l'introduzione di programmi pilota rappresenta un passo di importanza critica nel processo di costruzione, messa a punto, diffusione e integrazione di questi mercati. Viene ampiamente riconosciuto che il modo migliore per favorire l' avanzamento del processo consiste nell'iniziare rapidamente le transazioni, anche se su scala limitata, in modo da fornire esperienza reale alle istituzioni e agli operatori. La formazione di un mercato pilota richiede la soluzione di un'ampia gamma di problemi di progettazione e di applicazione, tra cui: la definizione dei criteri di contabilizzazione delle emissioni, delle fonti e dei progetti di compensazione; il monitoraggio e i protocolli di verifica; la definizione delle registrazioni e delle procedure di rendicontazione; l'iscrizione dei partecipanti; la determinazione della linea base per i conteggi; l' assegnazione delle tolleranze; la registrazione dei progetti di compensazione; l'effettivo accertamento dei dati di emissione, di tolleranza e di compensazione. Ciascuno di questi temi presenta un certo numero di problemi di natura politica, tecnica e istituzionale, e molti rendono evidente la necessità di creare un nuovo approccio al problema. Ma molti dei meccanismi utilizzati nei mercati delle materie prime e ambientali offrono esempi che possono essere applicati anche al mercato dei gas serra. I paesi industrializzati, che sono i primi autorizzati a partire con le sperimentazioni, potranno probabilmente realizzare buoni passi in avanti entro un decennio, mentre la diffusione della commercializzazione a un vasto numero di paesi richiederà probabilmente tempi significativamente più lunghi. L'imprescindibilità del ciclo di costruzione, verifica e messa a punto rende essenziale iniziare presto. Ed è altrettanto importante riconoscere ai mercati emergenti la possibilità di comprendere nei conteggi le attività di sequestro del carbonio. (.) Questi programmi hanno come obiettivo la costruzione delle istituzioni e delle capacità necessarie a creare mercati più ampi negli anni a venire. È importante notare che gli impegni di riduzione del Protocollo di Kyoto (che i paesi dell'Unione Europea sembrano pronti ad accettare) non diventano vincolanti fino al 2008, mentre il lancio dei mercati pilota del Regno Unito e dell'Unione Europea è previsto con molto anticipo. Questa partenza precoce aiuterà a rivelare i punti di forza e di debolezza degli approcci iniziali. Purtroppo, la continua esitazione dei paesi europei ad accettare il ruolo del sequestro del carbonio da sink sembra avere contribuito all'omissione del suo utilizzo dai mercati di prima generazione. Il Regno Unito ha lanciato un sistema di emission trading sia a livello governativo che da parte di un consorzio di imprese, che va sotto il nome di Emissions Trading Group. Si tratta di un programma pilota su base volontaria, aperto a tutti i settori tranne quello dei trasporti e della generazione di energia. Esso copre tutte le sei le categorie di gas serra e offre incentivi di partecipazione. Non concede crediti per progetti rivolti al sequestro di carbonio, ma il punto è passibile di revisione futura. Il programma è stato attivato quando le principali fonti di emissione hanno dichiarato la propria intenzione di intraprendere impegni di riduzione secondo un meccanismo di offerta di appalto, nel primo trimestre del 2002. Nell'ottobre 2001, la Commissione Europea ha effettuato una proposta di emission trading da avviare nel 2005. Poiché il CO2 costituisce l'80% dell'impatto totale di gas serra dell'UE, ed è relativamente facile da monitorare, la proposta chiede di comprendere solo questo gas nella fase iniziale del mercato. Il piano si indirizza ai grandi impianti dei settori dell'energia, dei metalli, della lavorazione dei minerali e dei prodotti forestali. La proposta non dice nulla sulla questione del sequestro del carbonio. Ci sono progetti in corso anche in Olanda, dove il governo prevede di creare un sistema di commercio delle quote di emissione di CO2 entro il 2005. In Germania e Giappone, gruppi di lavoro pubblico/privato stanno discutendo i passi da intraprendere per arrivare a mettere a punto mercati di emission trading. La Danimarca ha lanciato un primo mercato nazionale, per il momento limitato solo al settore dell'energia. In Germania il partito dei Verdi, noto per la sua disaffezione ai meccanismi di mercato, ha proposto la creazione di un primo programma nazionale di emission trading. Negli USA gli sforzi sembrano finora limitati ai lavori del Chicago Climate Exchange (CCX). La Joyce Foundation ha previsto il finanziamento di uno studio di fattibilità per la definizione del progetto, sotto la direzione della Environmental Financial Products, con sede a Chicago. Il CCX sta lavorando a una ipotesi di mercato che combinerà un sistema cap-and-trade con compensazioni basate su progetti, compresi quelli di sequestro di carbonio. L'ente preposto emetterà quote annuali corrispondenti agli obiettivi di ciascuna impresa associata. Verrà stabilito un registro contabile delle quote assegnate e delle compensazioni di ciascun partecipante. Verranno anche registrate e conteggiate le compensazioni ottenute tramite progetti con i giusti requisisti (ad esempio sequestro da biomassa in NordAmerica, progetti energetici o di sequestro in Brasile). Le imprese effettueranno il monitoraggio delle emissioni effettive e le riporteranno in un database. Proprio come è avvenuto per il programma relativo all'SO2, alla fine di ogni anno dovranno essere dimostrate le emissioni effettive: le imprese con un eccesso di produzione di CO2 equivalenti rispetto alle quote assegnate potranno acquistare quote di compensazione o di assegnazione per ottenere la conformità. Al contrario, chi avrà emissioni minori potrà venderle o scontarle. Vi sono al momento 46 enti che partecipano alla formulazione di regole per il CCX, tra cui industrie dell'energia elettrica, petrolifera e del gas, dei prodotti forestali, industrie manifatturiere e di smaltimento dei rifiuti, Enti locali, società di generazione eolica, solare, idroelettrica, cooperative di agricoltori e organizzazioni conservazioniste specializzate in progetti di sequestro del carbonio. I partecipanti al CCX comprendono le due più grandi società di prodotti forestali al mondo, il maggiore produttore di energia elettrica degli Stati Uniti e diversi gruppi di gestione dei suoli. Le emissioni complessive annue dei membri sono di circa 700 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti, pari circa a quelle della Germania. È importante notare che l'aver incluso le attività di sequestro del carbonio del settore forestale e agricolo offre la prospettiva di generare un segnale di prezzo più significativo rispetto a un mercato che le escluda. Verranno prese le disposizioni necessarie a impedire che le quote di compensazione derivanti dalle azioni di sequestro invadano il mercato, per far sì che i prezzi mostrino un giusto equilibrio di riduzioni industriali e di sequestro. ( di Autori Vari ) Il ciclo terrestre del carbonio Lo stoccaggio del carbonio è ripartito tra suolo e vegetazione. Globalmente i suoli contengono più del 75% delle riserve terrestri di carbonio, benché il loro contributo al totale subisca variazioni con la latitudine e con lo sfruttamento dei terreni. Le foreste e le praterie alberate, come le savane, sono di gran lunga i maggiori serbatoi di carbonio, costituendo, rispettivamente, circa il 47% e il 25% del totale globale. Altri ecosistemi tendono a immagazzinare relativamente poco carbonio in superficie, con riserve al suolo che variano tra 100 e 225 PgC. Negli ecosistemi forestali il carbonio si accumula grazie all'assorbimento del CO2 atmosferico e alla sua assimilazione nella biomassa. Il risultato è uno stoccaggio che avviene a livelli diversi: nella biomassa dei diversi strati del suolo che comprende tronchi, rami, foglie e radici; e nella necromassa, che comprende le lettiera, i residui vegetali e la materia organica. Approssimativamente il 50% della biomassa secca degli alberi è costituita da carbonio. Qualsiasi attività che interferisce con la quantità di biomassa nella vegetazione e nel suolo ha la capacità di sequestrare carbonio dall' atmosfera, o di rilasciarlo in essa. Complessivamente le foreste boreali contengono più carbonio di qualunque altro ecosistema terrestre (26%), mentre le foreste tropicali e temperate ne contengono, rispettivamente, il 20% e il 7%. Esistono tuttavia notevoli variazioni tra i diversi tipi di foresta in cui il carbonio si accumula. Fino al 90% del carbonio degli ecosistemi boreali è immagazzinato nel suolo, mentre nelle foreste tropicali il totale è diviso quasi equamente tra suolo e sottosuolo. Il fattore primario che determina questa differenza è la temperatura, che ad alte latitudini limita la decomposizione della materia organica al suolo e il riciclo dei nutrienti, mentre a basse latitudini questi processi vengono favoriti. Nelle zone umide il carbonio contenuto nella biomassa vegetale è una piccola parte di quello complessivo: il lento tasso di decomposizione dei suoli bagnati, come quelli di torba, ha determinato l'alta densità di carbonio che caratterizza questi ambienti. Una percentuale compresa tra il 30 e il 50% della quantità totale di carbonio assorbito dalla vegetazione (produzione primaria lorda, PPL) viene utilizzata per sostenere i processi metabolici delle piante ed è rilasciata di nuovo nell'atmosfera come prodotto secondario della respirazione. Il carbonio rimanente viene fissato come materia organica a vari livelli del suolo ed è definito produzione primaria netta (PPN). I tipi di vegetazione variano nella loro PPN a seconda del clima, del tipo di suolo e della composizione in specie. Benché le foreste temperate a latifoglie siano altamente produttive per parte dell'anno, la stagionalità limita la loro PPN: ciò rappresenta l'effetto avvertito più intensamente alle maggiori latitudini. È evidente che i vari tipi di vegetazione trasformano il carbonio a un tasso differente. Questo valore, espresso come tempo medio di residenza del carbonio assimilato (t, in anni), può essere stimato come rapporto tra il carbonio totale immagazzinato e la PPN. Il risultato varia con il tipo di suolo e di vegetazione. Nel caso della biomassa delle piante non c'è una relazione forte tra PPN e t, dal momento che t varia (nelle piante non coltivate) tra 3 e 22 anni. Tale relazione esiste tuttavia nel suolo: nelle foreste tropicali, in cui la PPN è elevata, il tempo di residenza nel suolo è relativamente corto (circa 10 anni); mentre in ambienti più freddi, dove la PPN può raggiungere valori molto più bassi, i tempi di residenza sono molto più lunghi (200-300 anni). Se ci si concentra soltanto sulla biomassa vegetale, la capacita di stoccare carbonio di differenti tipi di vegetazione è proporzionale al prodotto tra la PPN e il tempo di residenza, che risulta a sua volta proporzionale agli stock di carbonio nella biomassa (.). È stato descritto lo stato di quasi equilibrio del ciclo globale del carbonio che è prevalso durante tutto l'Olocene e per gran parte della storia umana. Nei secoli recenti, tuttavia, la crescita della popolazione umana e delle attività economiche ha subito un'accelerazione enorme. Anche se a livello locale queste attività hanno prodotto effetti notevoli sull' ambiente, come l'inquinamento urbano e industriale, fino a qualche tempo fa la Terra veniva complessivamente percepita come una gigantesca riserva di materie prime e nello stesso tempo come un'enorme discarica di rifiuti. Questa prospettiva ha cominciato a mutare verso la fine del 20° secolo, sull 'onda della possibilità di esprimere l'alterazione umana dei cicli biogeochimici attraverso un indice. L'indice in questione è la concentrazione atmosferica di CO2 misurata fin dal 1958 presso Mauna Loa, nelle Isole Hawaii. I dati mostrano che le concentrazioni di CO2 nell'aria sono salite inesorabilmente, con alcune variazioni stagionali e interannuali, e indicano che lo stato di quasi equilibrio del ciclo del carbonio dell'Olocene sta cambiando. Questa alterazione ha rappresentato uno dei primi segnali del fatto che i cicli biogeochimici stavano per essere modificati su scala globale. ( di Autori Vari ) Oliare gli ingranaggi del Protocollo di Kyoto attraverso il mercato Nell'ultimo decennio del 20° secolo si è assistito a un processo di convergenza fra le iniziative per la protezione dell'ambiente e l'attività dei mercati finanziari. Alcuni meccanismi basati su leggi di mercato, come quelli relativi ai diritti di emissione, hanno acquisito un vasto consenso grazie al positivo rapporto costi/benefici nel produrre miglioramenti a livello ambientale. La natura evoluzionistica del mercato, a giudicare dai suoi precedenti storici, tende a svilupparsi seguendo un rigido processo strutturato in sette fasi. Anche per gli eco-mercati si assiste a un processo evolutivo analogo a quello verificatosi per altri mercati già consolidati o comunque "adulti", come il mercato delle merci, dei titoli azionari ordinari e dei titoli a rendimento fisso. In tempi più recenti, un'analoga evoluzione in sette fasi può essere riletta nel fiorire del mercato dei diritti di emissione di biossido di zolfo, nell'ambito dell'Acid Rain Programme statunitense. Di pari passo con l'orientarsi della società verso un mondo carbonio-dipendente, il commercio dei diritti di emissione dei gas-serra guadagna un sempre maggior credito, sia nei settori privati che in ambito governativo, come strategia economicamente valida per la riduzione dei rischi causati dalla mutazione climatica indotta dall'uomo. È per questo motivo che in tema di emissioni di biossido di carbonio (CO2) si sta ripetendo quello stesso processo evolutivo. L'adozione di meccanismi di mercato può offrire dei vantaggi non solo nel controllo delle emissioni nocive, ma anche per altri aspetti della tutela dell'ambiente: ad esempio, i "sink" (i "depositi" di carbonio, come le foreste) possono rivestire un ruolo di importanza capitale nella protezione e nel miglioramento dell'habitat, contribuendo perciò a un guadagno ambientale complessivo, ivi compreso l'innalzamento della qualità delle acque e la salvaguardia delle biodiversità. Possiamo quindi aspettarci che nel breve periodo la convergenza tra ambiente e finanza assuma la forma di una più ampia interconnessione fra le performance finanziarie delle corporation e la loro gestione ai fini ambientali, così come l'adozione sempre più frequente di meccanismi di mercato nell'affrontare temi quali la salvaguardia della qualità delle acque e degli stock ittici. (.) La già citata convergenza fra i mercati finanziario e ambientale è avvenuta attraverso la mercificazione di risorse naturali, quali l'acqua e l'aria. Queste risorse erano per tradizione considerate a 'costo zero', cosa che ne aveva favorito un eccessivo consumo, contribuendo all'insorgere del problema talvolta definito dagli economisti "la tragedia dei beni comuni". Il principio sotteso all'approccio di mercato è quello di trattare l' ambiente come una risorsa realmente scarsa, stabilendo quindi dei limiti per il suo utilizzo. Conseguentemente, l'adozione di strumenti di tipo proprietario &endash; come i diritti di emissione e di compensazione &endash; mette in moto un meccanismo capace di garantire un uso efficiente della risorsa, che le attribuisce un prezzo, aprendole un mercato che fino a quel momento non esisteva. Il prezzo dei diritti di emissione negoziabili segnala il valore che la società attribuisce all'uso dell'ambiente e indica la controparte monetaria pagata per la riduzione di tali emissioni. Particolare rilevante, queste ricompense vengono incamerate da coloro che possiedono i diritti di proprietà di tale risorsa, e sono pertanto i soggetti che più probabilmente possono disporne con efficienza. La certezza della proprietà, o del titolo legale per essa, è d'importanza fondamentale, sia per la buona riuscita del mercato sia come garanzia che il valore della risorsa vada a beneficio di chi ne ha titolo. In questo modo non solo si evita "la tragedia dei beni comuni", ma si mettono in circolo nuovi capitali, che possono essere impiegati a vantaggio dell'ambiente. (.) Per meglio comprendere l'attuale condizione dei mercati ambientali è utile esaminare la storia dello sviluppo di altri mercati "adulti". Questa storia ci mostra come la traccia del loro sviluppo segua un preciso processo strutturato in sette fasi. Come già abbiamo accennato, esempi del genere sono il mercato delle merci e quello dei titoli azionari e obbligazionari e, più di recente, quello istituito negli Stati Uniti per i diritti sulle emissioni di biossido di zolfo, nel quadro dell'Acid Rain Programme. Per comprendere come i mercati possano evolversi, presentiamo qui di seguito una sequenza di sette fasi che illustra il maturare nel tempo delle diverse forze in gioco, che a volte danno luogo a mercati più sofisticati ed efficienti. Gli stadi di tale sviluppo possono sintetizzarsi come segue: 1. Il verificarsi di un importante cambiamento strutturale che determini una domanda di capitali; 2. La creazione di standard comuni uniformi rispetto a una merce o valore mobiliare; 3. Lo sviluppo di uno strumento legislativo che certifichi la proprietà; 4. Lo sviluppo di mercati informali a pronti (per le operazioni a consegna immediata) e di mercati a termine (accordi non standardizzati per operazioni a consegna differita) in cui si negoziano "attestazioni" di proprietà di merci e valori mobiliari; 5. L'insorgere di scambi in merci e in valori mobiliari; 6. La strutturazione di mercati dei futures (contratti standardizzati per operazioni organizzate di scambio a consegna differita) e mercati di contratti a premio (diritti di consegna differita, senza garanzia di prezzo) per merci e valori mobiliari; 7. Il nascere e proliferare del cosiddetto mercato libero (fuori dalle Borse) e la conseguente svalorizzazione degli strumenti commercializzati. (.) L'emission trading è un'opzione basata su leggi di mercato la cui influenza nel risolvere altri problemi di inquinamento è già provata; per questo sarebbe auspicabile il suo impiego anche per limitare le emissioni di CO2, di metano, e altri gas serra che catturano calore. È un modo di affrontare la questione del cambiamento del clima ormai largamente condiviso, e potrebbe anche rivelarsi utile a fornire incentivi per sostenere ogni sforzo mirato alla conservazione delle biodiversità. (.) Perseguire l'obiettivo del Protocollo di Kyoto, rallentare cioè il rapido cambiamento del clima, sarebbe già di per sé un enorme contributo al mantenimento delle biodiversità. Ma Kyoto ha anche riconosciuto e focalizzato il ruolo dei sink di carbonio, cioè le foreste e i suoli capaci di catturare e trattenere il CO2 atmosferico. Il sistema di emission trading può fornire una opportunità immediata di creare supporto alle attività di conservazione. Il nascente mercato può essere indirizzato a finanziare la riforestazione, il miglioramento dei terreni agricoli e dei bacini idrici. Nella misura in cui il Protocollo di Kyoto sarà reso operante in modo da produrre un reale sostegno finanziario a questi scopi, sarà anche migliorata la protezione e l'espansione degli habitat fondamentali per il mantenimento della biodiversità. La presenza di un mercato dei permessi di emissione introdurrà una chiara valutazione in termini finanziari dei gas serra rilasciati o assorbiti. Verrà attribuito quindi un prezzo al servizio ambientale della riduzione di carbonio indotta dall'espansione delle superfici forestali e dei suoli con funzione di sink, e questi nuovi stock si guadagneranno diretti riconoscimenti finanziari. L'opportunità di trarre profitto dall'emission trading &endash; vendendo crediti di emissione a quei soggetti che trovino finanziariamente vantaggioso cedere a terzi parte del loro onere di riduzione &endash; fornisce a sua volta una opportunità di finanziamento per le attività volte anche alla protezione delle specie biologiche. Il sostegno delle biodiversità è quindi un esito indiretto, ma potenzialmente rilevante, di questo mercato. (.) I mercati dei diritti di emissione dei gas serra stanno delineandosi in varie parti del mondo, nonostante le perduranti incertezze rispetto al Protocollo di Kyoto e la possibilità di un assetto internazionale gestito dalle Nazioni Unite. Tuttavia questi mercati &endash; e soprattutto un mercato internazionale di coordinamento &endash; sono ancora allo stadio iniziale. Non sono stati ancora messi a punto gli standard dei protocolli di monitoraggio, verifica, contratti legali, documentazione commerciale e contropartite. Non esistono ancora scambi organizzati, né sono stati definiti chiari prezzi di mercato. Ogni transazione è un caso a sé, il che porta a un innalzamento dei costi di transazione. (.) Il processo evolutivo di questo mercato rispecchia anche la storia della cooperazione politica. Gli accordi internazionali tendono ad allargarsi: la Comunità Europea per il Carbone e l'Acciaio si è evoluta nel Mercato Comune e ora nell'Unione Monetaria Europea. Nel caso trading del carbonio, un gruppo di nazioni sta iniziando a dar vita a un contesto commerciale di tipo "plurilaterale", convogliando in questo meccanismo un sistema di convenzioni e statuti stipulati in un primo tempo fra un ridotto numero di paesi. Nel contesto dei negoziati del Protocollo di Kyoto, essi includono l'Umbrella Group, costituito dagli Stati Uniti e dalle nazioni che li hanno fiancheggiati nel sostenere un uso senza limiti dei meccanismi commerciali e dei sink e i paesi dell'Unione Europea che, pur avendo assunto una posizione opposta sugli aspetti commerciali, alla fine del 2001 hanno formulato una proposta che consenta a un programma di emission trading di entrare in vigore nel 2005. A livello di singoli stati, agli inizi del 2002, l' Inghilterra propose un sistema di emission trading dei gas serra, messo a punto dal governo e da un consorzio di aziende noto come "Emissions Trading Group". Il governo britannico ha inoltre dichiarato che tenterà di far passare questa iniziativa all'interno del programma pilota dell'Unione Europea col minor dissenso possibile. ( di Ian Swingland, Autori Vari ) Usare il territorio e ridurre le emissioni Per determinare la riduzione (taglio delle emissioni) e la rimozione (sequestro) del carbonio atmosferico nei paesi in via di sviluppo, le aree specifiche di ogni paese per la riforestazione attraverso la rigenerazione assistita e naturale (non piantagioni commerciali), il ricorso a pratiche agricole sostenibili e la prevenzione della deforestazione sono state prese in considerazione una serie di fonti. Nell'analisi non sono state incluse le piantagioni commerciali, perché stimare il loro apporto può essere difficile dal momento che nei paesi in via di sviluppo la loro superficie va aumentando; esse producono vantaggi finanziari diretti e comportano pratiche ben conosciute che possono essere adottate a prescindere dal problema del carbonio. I dati sull'area e il tasso di adozione di pratiche forestali e agricole sono stati moltiplicati per le stime della variazione degli stock di carbonio che la diversa gestione del territorio produce nei singoli paesi. Dati i limiti dei dati, i paesi in via di sviluppo non possono ancora essere valutati per tutti i tipi di attività. Inoltre, non viene considerata la bioenergia, le riduzioni degli input dell'agricoltura, le variazioni del carbonio al suolo associate a deforestazione o riforestazione e ai sink di foreste protette. Per essere coerenti abbiamo utilizzato stime di tipo conservativo dei cambiamenti negli stock di carbonio per ciascuna attività. Ciò riflette il fatto che nei paesi in via di sviluppo esistono ancora pochi studi sulle attività di mitigazione a lungo termine. Ci sono tuttavia ragionevoli prove che depongono a favore dei valori di mitigazione più conservativi. La velocità con cui vengono adottate le varie pratiche resta la fonte più cospicua di incertezza nella nostra analisi. Esistono informazioni molto scarse su queste stime per poter produrre analisi significative, cosicché qui ci limitiamo a riportare solo le stime centrali. Per quanto riguarda la mitigazione nei paesi in via di sviluppo, la piantagione di alberi è la sola opzione di questo primo periodo di impegni (2008-2012). Secondo l'Accordo di Bonn, sottoscritto nel luglio 2001 durante la sesta Conferenza delle Parti (COP6), i paesi industrializzati possono sponsorizzare una quantità limitata di progetti di riforestazione e afforestazione in paesi in via di sviluppo. Nei paesi avanzati, per assolvere agli impegni di Kyoto può essere usata qualsiasi compensazione del carbonio che sia credibile, tuttavia sono stati posti dei limiti alla contabilizzazione dei crediti. Inoltre i singoli progetti sono stati ridimensionati, su base annua, a 15 kt di CO2 equivalenti. Nella voce "riforestazione e afforestazione" ricadono due ampie categorie di progetti. Alcuni si basano sostanzialmente sull'uso di tecniche ecocompatibili, come la rigenerazione assistita, l'agroselvicoltura e il recupero forestale volti a mantenere o ripristinare l'ambiente naturale. Altri, come le piantagioni industriali, puntano ad assorbire carbonio il più rapidamente possibile. A metà strada fra due tipologie principali comunque rientrano molti progetti le cui distinzioni sono alquanto artificiali. I nostri risultati si applicano alle misure più ecocompatibili, che comprendono la rigenerazione naturale, la riforestazione di terreni deteriorati e l'agroselvicoltura, ma non le piantagioni in senso stretto, per due ragioni principali. 1. Nei paesi tropicali le piantagioni vanno già espandendosi a un tasso di circa 1,9 milioni di ettari all'anno. Dimostrare che una piantagione è realmente supplementare, cioè che non sarebbe stata piantata in assenza di incentivi sul carbonio, sarà difficile. Viceversa, oggi c'è poca riforestazione di terreni deteriorati, poca agroselvicoltura e poca rigenerazione di foreste naturali. 2. Poco più della metà delle piantagioni tropicali sono il risultato della conversione di foresta naturale a foresta gestita. Ciò solleva un gran numer o di preoccupazioni ambientali, nonché problemi di contabilizzazione del carbonio. La nostra analisi muove dalla premessa che, mentre in molti casi le piantagioni possono essere vantaggiose, dimostrare le motivazioni e le conseguenze delle piantagioni industriali sarà difficile, e noi non valutiamo pertanto questo potenziale. (.) L'agricoltura può anche sequestrare carbonio quando la materia organica si accumula nel suolo o nella biomassa legnosa; oppure quando la produzione di biomassa avviene grazie a fonti di energia diverse dai combustibili fossili. La materia organica del suolo, e dunque anche il carbonio, possono essere incrementati grazie a pratiche di gestione sostenibile. Il più grande dividendo viene dalla conversione di seminativi annuali a sistemi agroforestali, per l'incremento di carbonio organico nel suolo e nella biomassa legnosa. Anche la rotazione, le pratiche che non alterano la terra, il sovescio, le colture intercalari, gli ammendanti vegetali e i concimi organici determinano un sequestro apprezzabile di carbonio. Anche se le pratiche agricole sostenibili non erano comprese nell'elenco delle misure di mitigazione del carbonio che, nel quadro del Protocollo di Kyoto, possono generare crediti (di emissioni), i programmi di agricoltura sostenibile si riveleranno essenziali per la realizzazione dei progetti di recupero forestale. Nei paesi in via di sviluppo, soprattutto quelli che puntano al miglioramento dei suoli, l'agricoltura sostenibile può dare un contributo notevole alla diminuzione della deforestazione. Per quanto riguarda le pratiche agricole, i dati dei 48 paesi di Africa, Asia e America Latina selezionati per calcolare il potenziale di sequestro del carbonio nei territori agricoli sono forniti dalla FAO. L'area potenziale di sequestro del carbonio mediante pratiche agricole ecocompatibili è stata determinata in base a dati recenti estratti da oltre 200 progetti per l'agricoltura sostenibile, stabilendo un range di zone agroecologiche, i tipi di coltivazione e alcune categorie di terreno. Dal momento che il focus di questa analisi riguarda ciò che i metodi sostenibili possono fare per incrementare quantità marginali di carbonio in prossimità del suolo, non si tiene conto degli stock di carbonio esistenti, ma piuttosto del guadagno incrementale rispetto a tali serbatoi. (.) Viene stimato che circa il 70% delle praterie del mondo sia degradato, principalmente per effetto del sovrasfruttamento del pascolo, tuttavia una gestione migliore potrebbe aumentarne le potenzialità di sequestro del carbonio, in particolare migliorando la crescita delle radici delle piante erbacee. Le pratiche di gestione includono il controllo del pascolo per massimizzare la crescita, il controllo degli incendi, il miglioramento del suolo, la scelta oculata delle varietà, l'aggiunta di leguminose per la fissazione dell'azoto e l'uso di piante erbacee permanenti con apparati radicali profondi. Noi applichiamo un fattore di correzione ("fattore prateria") che rappresenta la proporzione delle praterie permanenti assoggettabili a interventi di questo tipo. Le praterie più remote, a quote più elevate e più aride non produrranno comunque incrementi significativi del sequestro di carbonio. (.) Si valuta che su scala globale la deforestazione tropicale causi il 20% delle emissioni antropogeniche di carbonio. Molti scienziati e soggetti non governativi hanno sostenuto che le emissioni evitate grazie alla protezione delle foreste tropicali sono importantissime, data anche la contabilizzazione del carbonio prevista dal Protocollo di Kyoto. Secondo l'accordo siglato a Bonn, le misure per proteggere le foreste tropicali minacciate non potranno essere incluse nel bilancio del carbonio nel primo periodo di adempimento del Protocollo. Questa decisione politica è diventata terreno di forte contrapposizione a livello internazionale e nazionale. Le misure per prevenire la deforestazione nelle aree tropicali faciliterebbero e integrerebbero la riforestazione e l'agricoltura sostenibile in molti modi. Innanzitutto, se l'agricoltura sostenibile avrà successo ridurrà la pressione sul territorio forestale. Inoltre gli incentivi finanziari per la conservazione delle foreste si tradurranno in incentivi a favore del recupero del patrimonio forestale ma anche dell' agricoltura sostenibile. Mentre queste strategie vengono normalmente ritenute distinte, di fatto la gestione "olistica" della foresta e del territorio sarebbe la via più efficace per ottenere in un colpo solo la mitigazione del carbonio atmosferico e altri benefici secondari. ( di Autori Vari )
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