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manuale delle impronte ecologiche
- Subject: manuale delle impronte ecologiche
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Sat, 16 Oct 2004 07:10:35 +0200
da ed.ambiente.it Manuale delle impronte ecologiche Quando venne pubblicato, agli inizi del 1996, L'Impronta Ecologica suscitò un profondo interesse nei lettori, proponendo un nuovo e stimolante modo di misurare e comunicare la sostenibilità. Oggi l'Impronta non è più una semplice teoria accademica, ma uno strumento con innumerevoli applicazioni pratiche, di cui si parla in più di 4000 siti web, in documenti ufficiali dei governi e perfino nel linguaggio pubblicitario. L'Impronta Ecologica è un metodo pratico che permette di visualizzare in termini di superficie il nostro impatto sull'ecosistema terrestre e, dunque, di capire se eccede quanto la natura può supportare sul lungo termine e individuare i punti su cui intervenire per diminuire il nostro "peso" sull' ecosistema terrestre. Un'idea di successo, che ha avuto tali sviluppi da indurre Mathis Wackernagel - che con William Rees aveva elaborato l'idea iniziale - a rimettere un po' d'ordine nella teoria dell'Impronta Ecologica, tornando a puntualizzare i principi su cui si fonda questa metodologia. Non solo: questo nuovo volume - realizzato con la collaborazione di Nicky Chambers e Craig Simmons, che sulle applicazioni dell'Impronta hanno creato la loro società di consulenza - si propone anche come manuale pratico, offrendo un'ampia casistica di utilizzo del metodo dell'Impronta Ecologica alle scale più diverse, dalle nazioni alle città, dalle attività economiche ai singoli prodotti. Nicky Chambers e Craig Simmons hanno fondato e dirigono Best Foot Forward, importante società di consulenza ambientale in Gran Bretagna. Mathis Wackernagel, già ricercatore presso la University of British Columbia, Canada, è attualmente dirigente di Redefinig Progress negli Stati Uniti e coordinatore del Centro Studi sulla Sostenibilità in Messico. Alcuni interrogativi sull'Impronta Ecologica di Nicky Chambers, Craig Simmons, Mathis Wackernagel Qual è il vantaggio di aggregare diversi impatti ambientali in un unico indicatore? Con un indicatore aggregato come lImpronta Ecologica è più semplice analizzare la relazione che intercorre tra le diverse funzioni ecologiche e linterazione delle diverse pressioni esercitate sulla natura, come la perdita di biodiversità, le erosioni, la scarsità dacqua, laccumulo di CO2. Gli autori hanno ribattezzato questo stato di cose "effetto coperta corta": quando di notte abbiamo freddo alla testa, tendiamo a tirarci la coperta sul viso; ma a quel punto i piedi restano fuori e si raffreddano. In modo analogo, nel momento in cui limpronta supera la capacità ecologica le attività umane cominciano a competere per lo spazio ecologico; e ridurre la pressione su un determinato ecosistema significa semplicemente spostarla su un altro. Ad esempio, lincremento degli allevamenti ittici mirato a superare il problema dellimpoverimento degli stock marini richiede a sua volta maggiore spazio per produrre il mangime (più mare per i pesci di bassa qualità e più terreno coltivabile). O, ancor peggio, un impatto potrebbe via via aggravarne un altro: il disboscamento fa diminuire lumidità di una zona e, di conseguenza, la produttività degli ecosistemi circostanti. LImpronta non è uno dei tanti arbitrari indici di sostenibilità? Tuttaltro. LImpronta Ecologica è basata sulla misurazione degli "interes- si" forniti dalla natura: e cioè le risorse che la natura può generare in modo rinnovabile e linquinamento che è in grado di riassorbire. Lanalisi dellImpronta Ecologica riconosce la capacità limitata del pianeta e fornisce una chiara indicazione della quantità di natura che abbiamo a disposizione e di quanta ne stiamo attualmente utilizzando. LImpronta è, inoltre, coerente con le leggi fondamentali della termodinamica (.). LImpronta non è un po troppo semplicistica? Creare modelli idonei alla complessità dei sistemi ecologici mondiali sarebbe senza dubbio lideale, ma questo non solo non è possibile, ma nemmeno necessario per gran parte degli obiettivi da raggiungere. LImpronta Ecologica è di certo uno dei modelli più semplici per descrivere luso della natura da parte delluomo, ma si tratta di un modello che serve a uno scopo ben preciso. Essenzialmente, lImpronta Ecologica è uno strumento di pianificazione che serve a comprendere e a gestire più efficacemente i limiti ecologici. Per essere efficace, uno strumento di pianificazione non deve per forza essere sofisticato: meglio che sia di facile comprensione. In questo senso, lImpronta svolge il ruolo di "minimo comune denominatore" per la comprensione delle funzioni della natura. Qual è il vantaggio di una semplificazione così radicale? È un modello che incoraggia una più efficace comunicazione fra visioni del mondo opposte. Nellesperienza degli autori, le premesse semplici alla base dellImpronta Ecologica vengono accettate da persone molto diverse fra loro, e rappresentano pertanto un buon punto di partenza comune per il dibattito. LImpronta Ecologica si rivolge a coloro che credono nella dipendenza delluomo dalla natura e nella necessità di salvaguardare le capacità ecologiche per garantire la sopravvivenza degli uomini, ma è altrettanto significativa per chi ritiene che le attività economiche siano alla base della ricchezza e che soltanto una costante crescita economica possa garantire la pace sociale. In altre parole, lImpronta è un punto dincontro che incoraggia persone diverse a intraprendere un viaggio comune. Inoltre, sebbene il concetto e la rappresentazione dellImpronta siano semplificati, il metodo e i calcoli da cui tali indicatori derivano possono essere tanto dettagliati quanto i dati a disposizione e limpegno umano lo consentono. LImpronta fornisce una stima precisa dellimpatto umano? Proprio perché lopinione pubblica sia in grado di accettarle, le Impronte non esagerano la gravità della situazione ecologica e forniscono, piuttosto, una sottostima delleffettivo impatto umano sulla terra. Nonostante le sistematiche sottovalutazioni, i calcoli dellImpronta Ecologica mostrano che lumanità utilizza più di quanto la biosfera sia in grado di rigenerare. Inoltre, nella maggior parte delle valutazioni utilizziamo dati ufficiali: non perché siano i più affidabili, ma per mostrare che quando le statistiche ufficiali sono interpretate da un punto di vista ecologico emergono nuove conclusioni molto significative. Non abbiamo bisogno di uno strumento più preciso per le politiche gestionali? Una maggior precisione è sempre auspicabile, ma il più delle volte mancano gli elementi. Gli autori invitano i governi e gli altri enti coinvolti a raccogliere i dati che sarebbero necessari per condurre analisi più dettagliate dellImpronta Ecologica. Al tempo stesso, sono consapevoli dei rischi della "paralisi da analisi": non è necessario ritardare lazione elaborando gli impatti fino al quinto decimale se già sappiamo che il problema esiste. PIL e GPI (Genuine Progress Indicator) di Nicky Chambers, Craig Simmons, Mathis Wackernagel Il PIL viene spesso utilizzato come indicatore della qualità della vita (secondo gli autori di questo libro in modo del tutto fuorviante). In effetti il PIL dice molto sul livello dei consumi, ma riesce a dire qualcosa anche sul benessere umano? Ne dubitiamo. Conteggiando solo le transazioni monetarie, il PIL trascura in larga misura i bisogni essenziali delle persone, come ad esempio alcuni servizi prestati in modo assolutamente gratuito: si pensi al prendersi cura dei bambini e degli anziani, al cucinare, al pulire o alle attività di volontariato civile. Inoltre, il PIL ignora il valore del tempo speso nelle attività ricreative, nel tempo libero e nellimpegno sociale. Ancora, il PIL non considera il contributo economico fondamentale fornito dallambiente naturale, in termini di aria e acqua pure, suoli produttivi, benefici climatici, protezione dalla radiazione solare nociva, né considera la perdita di risorse naturali impiegate per la produzione di beni e servizi. Per esempio, nella logica economica lestrazione di legno "stagionato" dalle foreste di sequoie costituisce un valore aggiunto per il mercato del legno. Il PIL non discrimina fra transazioni monetarie che effettivamente potenziano il benessere e quelle che invece lo riducono, fra quelle che tendono a conservare lo status quo e quelle mirate a porre rimedio a situazioni degradate. Molto di ciò che concorre alla crescita economica viene vissuto da buona parte delle persone come perdita" piuttosto che come "guadagno". Il PIL considera come profitti economici i crimini, i divorzi, le parcelle legali e gli altri sintomi di crisi sociale. Per valutare linadeguatezza del PIL come misura di reddito sostenibile, si è tentato di contabilizzare la perdita di capitale (naturale o prodotto dalluomo) e le spese sostenute per lo svantaggio sociale utilizzando varie tecniche di valutazione ambientale. In questa materia il risultato forse più significativo è stato conseguito da Herman Daly, John Cobb e Cliff Cobb, che nel 1989 elaborarono una nuova misura chiamata "Index of Sustainable Economic Welfare" (ISEW). Nel 1994, con laiuto di Cliff Cobb, il gruppo di attivisti denominato "Redefining Progress" (Ridefinire il progresso) sviluppò ulteriormente lISEW, che diventò così "Genuine Progress Indicator" (GPI). Una fondamentale lacuna del PIL (che i conteggi del GPI invece correggono) è lincapacità di distinguere fra transazioni che aumentano o diminuiscono il benessere. In buona sostanza il PIL si riduce a essere unespressione del volume complessivo daffari, che somma le spese alle entrate anziché sottrarle. Al contrario, il GPI punta esclusivamente al calcolodei benefici ed è in grado di discriminare fra transazioni economiche positive e negative (in termini di percezione da parte delle persone), oltre che tra i costi di produzione dei benefici economici e i benefici stessi. Il GPI somma il valore dei prodotti e dei servizi consumati a prescindere dal fatto che generino o meno un passaggio di denaro. Per esempio, vengono compresi il lavoro domestico, la cura dei figli, il volontariato. Inoltre sottrae le uscite che non incentivano il benessere (le spese per la protezione da crimini, incidenti stradali e inquinamento) o i costi sociali come quelli che derivano da divorzi, crimini e riduzione del tempo libero; infine la svalutazione dei beni ambientali e delle risorse naturali, in cui rientrano la perdita di terre coltivabili e di zone umide e foreste mature, oltre ai danni indotti dallinquinamento e dai rifiuti. Rispetto agli USA, il GPI evidenzia ciò che le persone già percepiscono: il guadagno economico netto non è in aumento, come emerge dal PIL, ma in declino. Benché il GPI possa riassumere in una cifra diversi elementi chiave, in realtà ha due limiti fondamentali. Innanzitutto confonde le sfide sociali e quelle ambientali che si frappongono al raggiungimento della sostenibilità, mentre questultima richiede qualità della vita per tutti e sussistenza entro i limiti della natura, senza che i due trend entrino in competizione fra loro. Inoltre, invece di fornire una misura diretta dei fattori che concorrono a determinare una situazione, il GPI traduce ogni cosa in denaro. Ciò preclude, proprio per la natura astratta del denaro, la possibilità di riconoscere la complessità di molti servizi sociali e ambientali di base. Il valore fluttuante delle valute dipende più dai capricci dei mercati che dalla salute dellambiente e della società. Dunque il GPI non può esprimere con facilità quanto ci si trovi vicini (o lontani) a una condizione di sostenibilità. In ogni caso, il denaro è la lingua franca del mondo industrializzato, e visto che gli indici complessivi come il Dow Jones e il PIL ricevono tutta lattenzione che sappiamo, usarne uno che definisce in modo più realistico il benessere delle persone segna comunque un passo nella giusta direzione. Sollecitare il mondo produttivo ad aprire le porte alla sostenibilità è unoperazione utilissima perché, viceversa, quelle porte resterebbero saldamente sbarrate. Il Genuine Progress Indicator (GPI) Vantaggi o utilizza ununità di misura facilmente comprensibile; o aggrega tutto in un singolo indicatore; o i confronti fra paesi e periodi diversi sono semplici; o possiede un potenziale comunicativo molto efficace. Svantaggi o quando vengono formulati quesiti sbagliati* non è in grado di orientare adeguatamente la politica; o dà limpressione di essere una misura oggettiva; o confonde sfide sociali e ambientali; non tiene nel conto dovuto il futuro; o dipende da metodi di valutazione che non producono risultati confrontabili. * (come nel caso del PIL: "quanto denaro cambia mano?"; contrariamente al più significativo quesito del GPI: "quali sono i benefici per le persone?") I pro e i contro della metodologia dello Spazio Ambientale di Nicky Chambers, Craig Simmons, Mathis Wackernagel Lo "spazio ambientale" è una metodologia che mira al raggiungimento della sostenibilità. Si tratta di una serie di indicatori del consumo di risorse, proposta per la prima volta da Johan Opshoor e sviluppata in seguito dallassociazione Friends of the Earth. Oltre a mostrare lo stato delle cose, ognuno di questi indicatori è collegato a un parametro ("benchmark"), cioè a un preciso valore di riferimento in termini di sostenibilità. In altre parole, questo è uno dei pochi approcci che non solo documenta la quantità di capacità ecologica utilizzata dalle persone, ma anche le quantità che dovrebbero essere utilizzate in un mondo sostenibile. Si tratta essenzialmente di un approccio "distanza dal bersaglio", in cui luso sostenibile di risorse chiave viene definito sotto forma di obiettivo globale di sostenibilità. Una volta definito lo "spazio ambientale" relativo a queste risorse chiave, esse vengono espresse come quote pro-capite globali, in linea con una serie di "principi di equità" dello sviluppo sostenibile. Ad esempio, supponendo che per mantenere la stabilità climatica fino al 2050 sia stato fissato un obiettivo globale di emissioni di CO2 pari a 11,1 gigatonnellate e che la popolazione nel 2050 sia di 9,8 miliardi, lo "spazio ambientale" pro-capite di energia è di 1,1 tonnellate lanno. Oggi la produzione pro-capite di CO2 nel Regno Unito si aggira intorno a 9 tonnellate, il che implicherebbe una riduzione delle emissioni del paese intorno all85%. A oggi gli Amici della Terra hanno portato a termine calcoli simili relativamente ai materiali da costruzione, i metalli, il terreno e il legname. Il concetto di spazio ambientale ha molti aspetti positivi, dal saper evidenziare i problemi relativi alle "quote legittime" e allaccesso equo alle risorse fino allesprimere efficacemente le implicazioni "pro-capite" dellapplicazione di politiche di protezione ambientale globale. Esso ha, tuttavia, anche alcuni punti deboli. Unanalisi approfondita dei punti di forza e dei difetti dello spazio ambientale è fornita in The Concept of Environmental Space, di John Hille. Passiamo ad analizzare brevemente alcuni di questi problemi. Innanzitutto, invece di essere un indicatore in grado di aiutare a definire obiettivi globali, si basa su uno "stato di sostenibilità" predefinito e su stime predeterminate dello spazio ambientale che potrebbero essere considerate soggettive. Ad esempio, lobiettivo di spazio ambientale globale relativo al cloro è fissato a zero e si chiede quindi leliminazione graduale ma completa dei fertilizzanti chimici. In secondo luogo, lo spazio ambientale tiene in scarsa considerazione le interazioni fra diversi tipi di risorse. Gli obiettivi di spazio ambientale per i minerali non combustibili sono basati su un lavoro completo e dettagliato relativo allintensità di materiale per unità di servizio (Material Intensity Per Unit of Service, MIPS), condotto da Schmidt-Bleek presso il Wuppertal Institute. Gli obiettivi sono fissati a una riduzione del 50% dellinput di materiale. Come evidenzieremo in seguito, la metodologia MIPS non tenta nemmeno di confrontare le conseguenze legate a input di materiali diversi, ma si limita a considerare il flusso totale di materiali allinterno di una determinata attività economica come misura del danno ambientale. Ad esempio, il contributo di una riduzione del 50% nel consumo globale di alluminio rispetto alleco-sostenibilità potrebbe essere notevolmente maggiore di una riduzione del 50% nel consumo di acciaio. Daltra parte, il problema di come "sommare le pere alle mele" quando si considera limpatto ambientale, è del tutto ovvio. Analogamente, questo approccio definisce un obiettivo di spazio ambientale relativo al terreno coltivabile, alle zone boschive e al terreno da costruzione, ma non tenta di stabilire alcuna relazione fra usi diversi di quella che è essenzialmente la stessa risorsa. Senza una visione generale di problemi come luso del territorio, non è possibile applicare questo metodo per sviluppare efficaci scenari di sostenibilità. Come avviene con alcuni altri indicatori, si rischia di contare due volte alcuni tipi di impatto, creando unimmagine fuorviante. (.) In terzo luogo, il concetto di spazio ambientale utilizza un approccio "dallalto verso il basso" e, per quanto si riveli talvolta utile nel guidare le decisioni politiche a livello nazionale e globale, non si presta a farci capire le conseguenze ambientali dei nostri comportamenti quotidiani. Perché gli obiettivi dello Spazio Ambientale acquistino significato agli occhi del singolo, essi dovrebbero essere espressi in forma di rapporto tra attività svolta e equità misurando gli impatti secondo lapproccio del ciclo di vita. Si pensi ad esempio a quanto può risultare equa la quantità di terreno di cui ci si appropria mangiando una banana! In quarto luogo, è molto difficile definire i confini usati per determinare gli obiettivi di sostenibilità, e si tratta ancora una volta di un problema ben noto. In Towards Sustainable Europe (Friends of the Earth Europe, 1995), mentre gli obiettivi di spazio ambientale relativi alle risorse minerarie vengono definiti a livello globale (basandosi sul fatto che i minerali sono una risorsa commercializzata globalmente), gli obiettivi relativi ai prodotti agricoli vengono invece determinati per singolo continente, fatto che rende problematico considerare i problemi di equità globale in modo coerente. Lo Spazio Ambientale Vantaggi o Stabilisce obiettivi di sostenibilità rispetto a diversi orizzonti temporali; o Trasmette concetti ed esempi reali di equità e giustizia distributiva; o È utile per i decisori a livello nazionale nella definizione di obiettivi e nella verifica del relativo avanzamento. Svantaggi o Gli obiettivi vengono stabiliti sulla base delle "migliori stime" e non sempre tengono in considerazione le caratteristiche di materiali diversi; o Non esprime le interazioni fra luso di diverse risorse e la sostituibilità dei materiali; o Difficilmente ha un impatto sul singolo individuo. Carrying capacity di Nicky Chambers, Craig Simmons, Mathis Wackernagel La filosofia che sta dietro allanalisi dellImpronta Ecologica si basa sul concetto di carrying capacity, ossia la capacità della Terra di sostenere la vita. Si tratta di unespressione coniata dai biologi per descrivere il numero di animali di una data specie che un certo habitat può mantenere a tempo indefinito. Un esempio è dato dagli allevatori, che devono sapere quanti capi di bestiame possono pascolare sui terreni di loro proprietà; oppure dai biologi della conservazione, che devono sapere il numero di cervi che possono sopravvivere in una foresta di una determinata estensione. Per molti anni si è evitato di applicare il concetto anche agli esseri umani. Alcuni hanno anche argomentato che gli uomini, diversamente da buoi e cervi, possono plasmare lambiente in base alle proprie esigenze e incrementare la sua carrying capacity. È certamente così. Prima dellavvento dellagricoltura moderna, ad esempio, è stato stimato che per il proprio sostentamento un singolo cacciatore-raccoglitore dovesse cercare foraggio su un territorio di oltre 100 ettari. Attualmente, lagricoltura intensiva ha aumentato la resa, al punto che unarea coltivabile di pari superficie potrebbe sfamare circa 1000 persone allanno, anche se a un livello minimo di sussistenza e con una dieta ristretta. Se accettiamo che esistano limiti naturali alla capacità rigenerativa del pianeta (e levidenza indica che uno alla volta tali limiti sono stati raggiunti e superati dallincremento demografico), allora gli interrogativi che dobbiamo porci con urgenza sono: o di quanto dobbiamo aumentare la produttività dei sistemi naturali per tenere testa allaumento dei consumi e della popolazione? o è possibile produrre di più senza incidere sulle possibilità di sussistenza delle generazioni future? o quale sarà limpatto di tale intervento sulle altre specie? Accettato che i principi della carrying capacity sono applicabili alla popolazione umana, ne segue che molti andamenti tipici delle fluttuazioni demografiche animali in alcune circostanze potrebbero ben applicarsi anche allumanità. Come nel caso di qualsiasi altra specie, è verosimile che lumanità stia superando la carrying capacity del suo ambiente, debilitando quindi le potenzialità produttive della natura. (.) Forse lanalisi più completa della letteratura sulla carrying capacity globale è quella effettuata da Joel E. Cohen. Quante persone può sostenere la Terra? Una rassegna critica Bisogna essere grati a Joel E. Cohen per aver dato spessore al fondamentale problema della carrying capacitiy, anche se, sfortunatamente, non è arrivato a risposte soddisfacenti. Nellottica degli autori, proprio il fatto che la capacità ecologica può essere sfruttata al di là dei suoi limiti sostenibili rende estremamente preoccupanti gli attuali livelli di consumo (Wackernagel et al., 1999). Negando la possibilità di un superamento dei limiti si nega implicitamente la possibilità di un collasso demografico (Dobkowski e Walliman, 1999). Riguardo ad alcune delle stime più estreme di carrying capacity riportate da Cohen, il semplice uso dellanalisi quantitativa può contribuire a demolire le valutazioni più ridicole. Si considerino ad esempio i 1000 miliardi di unità di popolazione massima sostenibile di Marchetti (1978). Questa cifra può facilmente essere confutata attraverso banalissimi conti su dati FAO. Se in unipotesi molto generosa assumiamo che larea ecologicamente produttiva resti come ora (ovvero circa 10,3 miliardi di ettari), ciò si traduce in circa 100 metri quadrati per persona, assegnando 3 metri quadrati di spazio per vivere. Oggi un ettaro di terra arabile può produrre in media circa 2.800 kg di cereali allanno (senza considerare il fatto che una resa simile è possibile solo attraverso un ingente impiego di fertilizzanti). Ma la terra arabile è quella più fertile, e arriva ad essere fino a tre volte più produttiva della media dei suoli bioproduttivi. Questi generici 100 mq di terreno disponibile procapite sarebbero quindi in grado di fornire un raccolto annuo di soli 10 kg di cerealiOgni chilogrammo di cereali contiene circa 13.000 kilojoule di energia nutrizionale, pari al 30% in più del fabbisogno calorico quotidiano di un uomo medio. Assumendo un consumo diretto senza nessuna perdita fra i coltivi e la tavola, una popolazione di 1000 miliardi di persone potrebbe assicurarsi la sussistenza per soli 13 giorni allanno, senza peraltro poter contare sulla disponibilità di legname per costruire case, di energia per riscaldarsi (salvo una piccola quota procapite di paglia), di fibre per vestirsi, di spazi per la conservazione delle specie selvatiche e di qualsiasi altro servizio ecologico che richieda "territorio". (.) Riprendendo i dati proposti nellampia rassegna messa a punto da Cohen, gli autori hanno incrociato le varie stime della carrying capacity con gli andamenti demografici). I limiti superiori suggeriti denotano differenze comprese in un intervallo piuttosto ampio: da un miliardo a un miliardo di miliardi. Come lo stesso Cohen rileva, alcune delle stime più alte sono basate su assunti del tutto infondati oppure su un buona dose di caustico umorismo. Due terzi di queste stime propongono limiti massimi di popolazione inferiori ai 15 miliardi di individui. (.) Tutte le stime di carrying capacity globale dovrebbero contemplare una soglia di health warning (allarme per la salute). Esistono molti fattori da tenere in conto quando si definiscono questi limiti: Cohen sostiene che "per restituire credibilità alle valutazioni sulla carrying capacity umana, gli scienziati devono comprendere meglio i quattro principali fattori che ne sono alla base e le loro relative interazioni: popolazione, ambiente, economia e cultura". E aggiunge che prima di tutto è necessario rispondere a quesiti del tipo "che cosa vogliono mangiare gli uomini?", "che aspettative hanno riguardo alla salute?", "dove vogliono vivere?", "come vogliono rapportarsi con le altre specie?". Si potrebbe addirittura sostenere che non ha alcun senso parlare di carrying capacity globale senza averne preventivamente definito i termini. Le stime della carrying capacity non variano solo a causa delle differenze di calcolo, ma anche per la grande diversità degli assunti che vengono formulati: qualche volta sono chiari, altre volte vengono costruiti secondo criteri e opinioni personali del ricercatore. Alcuni studi sono chiaramente basati su idee assurde. Per esempio, Marchetti ha proposto di vivere su o città galleggianti, mentre Hardin ha fondato i suoi calcoli sul presupposto che i nordamericani potrebbero ridurre i consumi di energia al livello degli etiopi. Altri hanno completamente trascurato le specie non umane o, in altri casi, hanno pronosticato lavvento di una qualche scappatoia tecnologica che permetterà un elevato rendimento delle colture agricole, superando gli attuali problemi di siccità e desertificazione. Queste incertezze inducono a reclamare ad alta voce un quadro unitario di strumenti finalizzati a esplorare limpatto umano sul pianeta. Contabilità della terra di Nicky Chambers, Craig Simmons, Mathis Wackernagel I calcoli dellImpronta Ecologica si basano su due ipotesi precise: 1. Che si sia in grado di stimare con ragionevole accuratezza le risorse che consumiamo e i rifiuti che produciamo. 2. Che questi flussi di risorse e rifiuti possano essere convertiti in una equivalente area biologicamente produttiva, necessaria a garantire queste funzioni. Utilizzando lequivalenza darea, lImpronta Ecologica mira a esprimere la quantità di "interessi" maturati dalla natura di cui ci stiamo appropriando. Se lo spazio bioproduttivo richiesto è maggiore di quello disponibile, possiamo ragionevolmente affermare che il tasso di consumi non è sostenibile. Come vedremo, il metodo base dellImpronta Ecologica fornisce una valutazione conservativa degli interessi maturati dalla natura che stiamo utilizzando. Poiché lAnalisi di Impronta Ecologica (EFA, Ecological Footprint Analysis) utilizza una valuta di uso comune (larea bioproduttiva), è possibile aggregare unampia gamma di impatti per misurare le Impronte di attività, oggetti e regioni. Il modello è cumulativo. LImpronta totale è determinata dalla somma di singole Impronte, ognuna correlata a un certo quantitativo di risorse e di rifiuti, ma facendo attenzione a non contare più volte gli impatti ambientali che potrebbero coesistere allinterno dello stesso spazio bioproduttivo. Si consideri, ad esempio, un pasto composto di agnello e riso. Lagnello richiede una certa quantità di terra di pascolo, di spazio stradale per il trasporto e di energia per lavorazione, trasporto e cottura. Allo stesso modo, il riso richiede terra per essere coltivato, strade ed energia per essere lavorato, trasportato e cotto. Unanalisi di Impronta Ecologica dettagliata dovrebbe considerare tutti questi impatti ambientali (e probabilmente altri) per arrivare a calcolare limpronta totale. Naturalmente, limpronta non si esprime di solito sotto forma di un ben preciso appezzamento di terra o di un terreno di tipologia o qualità particolare. La globalizzazione del commercio ha aumentato la probabilità che le aree bioproduttive necessarie per sostenere un consumo, almeno nei paesi più ricchi, siano sparse per tutto il pianeta. Nel caso in cui il pasto descritto nellesempio sia consumato in Europa, è molto probabile che lagnello sia stato allevato nei pascoli della Nuova Zelanda e il riso sia stato coltivato in Italia. Tipologie di terra Quando si effettua unanalisi dellImpronta Ecologica, conviene distinguere fra le seguenti categorie di spazio ecologico: terra coltivabile, terra a pascolo, terra edificata o degradata, terra forestata e area di mare produttiva. Queste tipologie sono state scelte perché riflettono le categorie utilizzate dalle principali fonti di dati, e in particolare dalla FAO. In certi casi è però possibile descrivere con un maggior grado di dettaglio le diverse tipologie di terra, come quando si sviluppano progetti a scala locale per i quali esistono studi più accurati del territorio. Le principali categorie utilizzate nellambito dellanalisi dellimpronta sono definite nel modo seguente: o La terra coltivabile è, dal punto di vista biologico, la più produttiva. Essa può generare il quantitativo maggiore di biomassa vegetale. È utilizzata tipicamente per le coltivazioni principali, come il grano, i tuberi e i legumi. o La terra a pascolo è utilizzata principalmente per lallevamento del bestiame. È meno produttiva della terra coltivabile; inoltre, le efficienze di conversione dalle piante agli animali riducono lenergia biochimica disponibile per luomo di circa un fattore dieci (nonostante questo dipenda dal prodotto animale in questione e dalle pratiche di gestione attuate). o La terra forestata si riferisce alle foreste, coltivate o naturali, che possono generare prodotti in legno. Naturalmente esse garantiscono anche altre funzioni, come la prevenzione dei fenomeni di erosione, la stabilità climatica, il mantenimento dei cicli idrologici e, se gestite correttamente, la protezione della biodiversità. Per semplificazione espositiva gli autori talvolta raggruppano la terra coltivabile, la terra a pascolo e la terra forestata in ununica categoria di "terra produttiva". o Area di mare produttiva. Anche se la netta maggioranza della superficie terrestre (più di 36 miliardi di ettari) è costituita da oceani, vale la pena ricordare che la maggior parte della pesca destinata alla commercializzazione (che è allincirca il 90% della pesca complessiva) avviene allinterno dei primi 300 km dalla linea di costa, ossia solamente nell8% della superficie marina (2,9 miliardi di ettari). E questo perché le aree prossime alle coste sono le più produttive. o La terra edificata è larea in cui la capacità produttiva è stata in gran parte persa a causa dello sviluppo (strade, edifici e altro). Il modello degli insediamenti umani dimostra che si costruisce invariabilmente sui terreni coltivabili, cioè i più produttivi. o La terra destinata alla produzione di energia costituisce unulteriore categoria che gli autori utilizzano per designare il territorio che sarebbe necessario per una gestione sostenibile del nostro fabbisogno energetico. La terra o la tipologia di terra può variare in funzione della politica energetica. Ad esempio, si può fare fronte al rilascio di CO2 da combustibili fossili riservando aree perpetuamente destinate a piantare alberi che riassorbono le emissioni di carbonio. Tuttavia, la porzione di foreste attualmente assegnata in modo specifico allassorbimento di questo inquinamento è irrilevante. Questa situazione potrà lentamente cambiare con lattuazione del Protocollo di Kyoto. Ma come notato in precedenza, trattenere la CO2 in questo modo è, nel migliore dei casi, una soluzione a breve termine. Più avanti verranno presentati dati relativi allImpronta Ecologica di una gamma più ampia di fonti energetiche, sia fossili che non fossili. o La terra destinata alla conservazione della biodiversità. È definita come la terra necessaria ad assicurare la protezione dei circa 15 milioni di specie del pianeta. Di questo si parlerà nella sezione successiva. Tratto da: Manuale delle impronte ecologiche (Principi, applicazioni, esempi) di Gianfranco Bologna
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