quanto costa rifare l'italia



4 Settembre 2004

Quanto costa rifare l'Italia
Giovanni Sartori
Corriere della Sera - 03/09/2004

Finalmente, davvero finalmente (con tre anni di ritardo, e anche più)
arrivano i conti. Si è mai visto progettare una casa senza un preventivo,
senza calcolare quanto costerà e senza sapere se i soldi ci sono? No, non si
è mai visto. Eppure noi stiamo per varare un radicale rifacimento della
«casa Italia» - la cosiddetta devolution - senza che mai nessuno si sia
preoccupato di prevedere cosa costerà, senza fare i conti. I progettisti di
Lorenzago non se ne sono mai occupati, e nemmeno in Parlamento nessuno se ne
è preoccupato più di tanto. I conti cominciano ad arrivare soltanto ora, e
cioè a giochi quasi fatti. Comunque, meglio tardissimo che mai. E ancora in
tempo, volendo, per metterli in conto. Pochi sanno che la presidenza del
Consiglio è assistita da un dipartimento economico diretto da Gianfranco
Polillo. Che l'altro giorno ha valorosamente parlato citando, però, dati non
suoi (esistono?) ma dati forniti dall'Isae (Istituto di analisi economiche,
controllato dal ministero del Tesoro). Dati dai quali Polillo ricava che «se
il titolo V della Costituzione venisse applicato integralmente, i
trasferimenti delle competenze dello Stato alle Regioni comporterebbero un
aumento della spesa pubblica pari al 40%». Forse un leghista non batterà
ciglio, ma io ho avuto un soprassalto e mi sono precipitato a guardare lo
studio Isae. Nel quale si legge che il federalismo avviato da noi nel 1997
ha comportato un aggravio per i conti dello Stato di almeno 61 miliardi di
euro. E dico almeno perché non si sa quanti finiranno per essere i
dipendenti dello Stato che si trasferiranno dal centro alle Regioni. Certo è
che quando fu fatta la prima riforma regionalista, allora da città a città
si trasferirono in pochi. E davvero mi stupirei se la devolution non
ripeterà questa esperienza. Eppure, come ha sottolineato su queste colonne
Sabino Cassese (17 agosto), il nodo del problema dei «costi aggiuntivi» sta
qui.
Esistono anche studi di tutto rispetto di Massimo Bordignon e Floriana
Cerniglia dell'Università Cattolica di Milano che contabilizzano, anche
loro, attorno ai 60 miliardi di euro le spese aggiuntive per le autonomie
che possono lievitare ulteriormente, in misura ancora da determinare con
sufficiente sicurezza, se mettiamo in conto anche i costi in più della
devolution . E siccome queste faccende scappano sempre di mano, il maggior
costo burocratico della devolution è evidentemente un costo non sostenibile.
Finora il governo fa finta di niente. Finora abbiamo soltanto saputo dal
ministro delle Riforme Calderoli che il problema non esiste perché «tutti
gli Stati federali costano meno di quelli centrali». Davvero? La tesi è
sicuramente indimostrabile. Gli Stati federali sono nati federali, e quindi
non sappiamo quale ne sia il costo «centralizzato». Pertanto nemmeno
possiamo sapere se costano meno. Coraggio, signor ministro: i conti si
controbattono soltanto con altri conti fatti meglio. Aspettiamo i suoi.
E li dobbiamo assolutamente aspettare. Se Bossi ha fretta, se la tenga. Se
farà cadere il governo (ammesso e non concesso che abbia i numeri per
farlo), male; ma affossare il Paese nel baratro di una devolution senza
copertura è un male infinitamente peggiore. La maggioranza sembra rassegnata
(salvo Follini, onore al merito) a subire il ricatto della Lega illudendosi
che poi in qualche modo si rimedierà. Invece il danno sarà irreparabile. Una
volta insediate, le quasi venti nuove burocrazie di fabbricazione regionale
ce le dovremo godere per sempre, con i loro costi non solo di spesa ma anche
di appesantimento e disfunzione burocratica.