reddito di ultima istanza ?



da lavoceinfo.it

venerdi 7 maggio 2004

Il nome non fa il reddito

Maria Cecilia Guerra
Stefano Toso

L'esperienza del reddito minimo d'inserimento (Rmi) si è formalmente
esaurita nell'aprile 2003, con la destinazione degli ultimi 36 milioni di
euro a diciannove comuni inclusi nella sperimentazione.
Il superamento del Rmi a vantaggio di un nuovo istituto, il reddito di
ultima istanza (Rui), era stato annunciato ufficialmente nel Libro bianco
sul welfare, presentato dal ministro Roberto Maroni nel febbraio 2003, con
queste motivazioni: "Il Rmi ha consentito di verificare l'impraticabilità di
individuare attraverso la legge dello Stato soggetti aventi diritto ad
entrare in questa rete di sicurezza sociale. Per questo motivo si è
stabilito di individuare un nuovo sistema - il reddito di ultima istanza -
da realizzare e co-finanziare in modo coordinato con il sistema regionale e
locale, attraverso programmi che distinguano in modo finalizzato le carenze
reddituali derivanti esclusivamente da mancanza di opportunità lavorativa
(da affrontare attraverso politiche attive del lavoro che evitino l'
instaurarsi di percorsi di cronicità e dipendenza assistenziale) e carenze
tipiche delle fragilità e marginalità sociali che necessitino di misure di
integrazione sociali e reddituali". (1)
Il rischio di un passo indietro
La formale istituzione del Rui è avvenuta con la Finanziaria per il 2004
(legge n. 350/2003, articolo 3, comma 101).
Le caratteristiche che assumerà non sono però ancora definite.
La Finanziaria rimanda infatti a uno o più decreti ministeriali le modalità
di attuazione. In particolare, resta oscuro come il Rui si rapporterà ai
dettami della legge quadro sull'assistenza (legge 328/2000), che prevede la
generalizzazione della misura, e la cui validità come legge dallo Stato non
sembra indebolita dalle recenti modifiche in senso federalista della Carta
costituzionale.
Ciò lascia aperto il rischio che la bocciatura del Rmi a favore del reddito
di ultima istanza faccia retrocedere il fronte delle politiche di lotta
della povertà. E induca a tornare a misure, se non occasionali certamente
discrezionali, finanziate in massima parte a livello locale e che per loro
stessa natura equivarrebbero alla negoziazione di un diritto sociale di
cittadinanza, garantito in pressoché tutti i paesi dell' Unione europea.
Per meglio comprendere questa affermazione, è utile fare riferimento agli
esiti della sperimentazione del Rmi. Dimostrano che un'attuazione corretta
della legge 328/2000 (articolo 22, comma 2), che pone il contrasto della
povertà tra i livelli essenziali di intervento, richiede forti investimenti,
sia finanziari sia di definizione di standard, sul piano nazionale.
Peccato che sia proprio su questi aspetti che il Rui prende le distanze dal
Rmi.
Finanziamento e definizione degli standard
Per quanto riguarda le modalità di finanziamento del nuovo istituto, la
Finanziaria per il 2004 si limita ad affermare che "lo Stato concorre al
finanziamento delle Regioni che istituiscono il Rui", nei limiti delle
risorse preordinate nell'ambito del Fondo nazionale per le politiche
sociali, detratte alcune quote da destinare nel triennio 2004-2006 a favore
delle famiglie che sostengono oneri per l'attività educativa dei figli
presso scuole paritarie (100 milioni di euro) e a favore del potenziamento
dell'attività di ricerca scientifica e tecnologica (45 milioni di euro).
Non è quindi chiaro se tutte le Regioni siano tenute a istituire la nuova
misura, né l'entità del cofinanziamento. Certo è, invece, che le Regioni che
la introdurranno potranno contare su un contributo statale decurtato. E
dunque, le scarne informazioni finora disponibili fanno ritenere che lo
sforzo finanziario non si configurerà sicuramente come un incentivo alla
implementazione del Rui. (2)
Vari argomenti, poi, spingerebbero verso una piena assunzione di
responsabilità da parte del Governo centrale nella definizione di standard
nazionali del nuovo istituto. Su questo punto la Finanziaria resta invece
silente.
La definizione dei criteri di eleggibilità e di determinazione dell'importo
di base del Rui potrebbe avvenire a livello centrale. Senza per questo
impedire di riconoscere al livello locale la possibilità di prevedere una
serie di "supplementi", in funzione di caratteristiche non monetarie
influenti nel determinare lo stato di bisogno (spese di riscaldamento, spese
per il pagamento del canone di affitto, eccetera) o di fattori aggiuntivi e
indiretti di privazione economica (elevati carichi di famiglia, gravi forme
di handicap psicofisico). Così come di delegare a livello decentrato le
procedure amministrative di definizione dei progetti di inserimento e di
accertamento della veridicità delle dichiarazioni rese.

L'assenza di una cultura amministrativa consolidata e territorialmente
omogenea non consente invece di guardare con tranquillità a una delega pura
e semplice di iniziativa agli enti locali. Le carenze culturali e
professionali a livello locale nell'affrontare le situazioni di povertà e di
recupero sociale di famiglie in condizioni di privazione economica, sono
emerse con chiarezza nella sperimentazione del Rmi. Razionalità vorrebbe che
delle luci e delle ombre dell'esperienza passata si facesse tesoro.
Non va inoltre sottovalutata la disomogeneità di interventi che caratterizza
storicamente il welfare locale in Italia e gli squilibri regionali tra aree
ricche e aree povere.
In sintesi, l'istituzione del Rui e il parallelo affossamento del Rmi sembra
riflettere più la volontà di segnare una discontinuità con le politiche
avviate nella precedente legislatura che il rigetto del disegno teorico
sotteso a misure di questo tipo. Ciononostante, il sostanziale disimpegno a
investire risorse nella creazione di una rete di sicurezza sociale di base,
fa dubitare sulle reali intenzioni dell'esecutivo di impegnarsi in modo non
effimero nell'azione di contrasto della povertà economica.
Infine, è stato più volte ribadito l'impegno di procedere con l'abbattimento
del carico fiscale sulle famiglie, iniziato nel 2003 con la mini-riforma
dell'Irpef.

Il reperimento durevole dei fondi necessari all'attuazione del Rui non potrà
quindi che provenire da risparmi di spesa nel comparto pensionistico o dalla
sottrazione di risorse da settori (assistenza agli anziani non
autosufficienti, politiche abitative, ammortizzatori sociali) che
necessitano di interventi altrettanto urgenti. Se ciò non dovesse avvenire,
anche l'attuazione del Rui sarebbe inevitabilmente ritardata.
Reddito di ultima istanza? Non basta la parola.


(1) Ministero del Lavoro e delle politiche sociali 2003, 37
(2) Per farsi un'idea del costo di tale strumento, si può ricordare che il
costo complessivo del Rmi nel primo biennio di sperimentazione (1999-2000)
era ammontato a 220 milioni di euro. Stime successive con modelli di
microsimulazione indicavano in quasi 2 miliardi di euro il costo della sua
ipotetica estensione a livello nazionale, con una platea di beneficiari pari
a circa 2 milioni e mezzo di famiglie.

Se il reddito è di ultima istanza
Paolo Sestito

L'ultima Finanziaria (la legge 289/2003) ha sancito l'intenzione del
legislatore di sostituire il Reddito minimo d'inserimento (Rmi) con un nuovo
strumento, il Reddito di ultima istanza (Rui).

Di quest'ultimo, però, il legislatore ha detto ben poco. (1)

Comuni al vecchio Rmi sono peraltro i problemi che sorgono nel definire le
regole di accesso a uno strumento di contrasto della povertà, quindi
soggetto alla prova dei mezzi, e di sostegno al reinserimento sociale.
Cocnetrando l'attenzione sulle regole di accesso, abbiamo perciò cercato di
analizzare i problemi di un ipotetico Rui in un recente lavoro. Data l'
analogia col vecchio Rmi, quest'ultimo è stato considerato come il dato di
partenza su cui operare le modifiche necessarie per superare quelle che, a
mio giudizio, ne erano le principali "aree critiche".

I problemi con il vecchio Rmi

L'evidenza empirica sulla sperimentazione del Rmi è di natura poco
sistematica e spesso aneddotica. Tuttavia, su questa base, si possono
distinguere due grandi aree problematiche: le regole di accesso e di
quantificazione delle erogazioni monetarie e la gestione dello strumento,
compresa la predisposizione dei programmi di inserimento sociale.

Le criticità "gestionali" maggiormente rilevanti sono la scala comunale di
intervento (quantomeno nel caso di piccoli comuni), la notevole isteresi che
caratterizza le politiche sociali a livello locale (le maggiori difficoltà
sono state incontrate nelle realtà prive di esperienze pregresse), le
difficoltà di interazione tra programmi di inserimento ed erogazioni
monetarie e gli ostacoli alla verifica dei mezzi, soprattutto a fronte dell'
ampia presenza di redditi sommersi.

Quanto alle regole di accesso e alla quantificazione delle erogazioni
monetarie, non vengono presi in considerazione taluni elementi differenziali
del costo della vita che possono grandemente influire sul tenore di vita
effettivo delle famiglie. È scarsa la capacità di verifica delle condizioni
di vita, perché sfugge il sommerso. E perché spesso l'unico parametro
utilizzato è quello dei redditi correnti, mentre l'aspetto patrimoniale o
non è preso in considerazione oppure preclude del tutto l'accesso al Rmi.
Inoltre, sono forti i disincentivi al lavoro regolare determinati dalla
logica propria dell'intervento means tested e dalla pervasiva presenza del
sommerso. Questi disincentivi si accentuano, almeno in certe aree del paese,
nel caso di soggetti con molte persone a carico.

L'insieme di questi elementi ha portato in talune realtà, specialmente nei
piccoli centri del Mezzogiorno, a percentuali di beneficiari del Rmi
estremamente elevate rispetto al complesso della popolazione. Al di là dei
profili di legittimità, da un lato, e di effettivo maggior bisogno di quelle
aree, dall'altro, un tale situazione appare densa di pericoli. Nel mercato
del lavoro, il rischio è quello di spiazzare l'offerta di lavoro regolare,
contravvenendo all'obiettivo di crescita economica di quelle Regioni. Dal
punto di vista socio-politico, è l'accettabilità stessa di uno strumento
redistributivo che viene profondamente minata dalla percezione che ampie
zone del paese "vivono di assistenza".

Una possibile alternativa

Lo schema alternativo da noi elaborato prevede che la verifica dei mezzi, e
il suo controllo a livello centrale, avvenga tramite il ricorso a uno
strumento che già esiste: l'indicatore sulla situazione economica delle
famiglie, il cosiddetto Ise, per il quale è già disponibile una banca dati
unica a livello nazionale. (2)

Il riferimento all'Ise, con alcuni accorgimenti ulteriori, consentirebbe di
garantire un monitoraggio centrale ed omogeneo e di apportare alcune
modifiche atte a superare le criticità nelle regole di accesso del Rmi prima
esposte.

Rispetto al Rmi, le innovazioni, che non sono indolori, si concentrano su
quattro punti. (3)

In primo luogo, dovrebbe essere calcolato un reddito minimo presunto. Il
vantaggio è che così si tiene conto delle situazioni di partecipazione al
lavoro sommerso e si accrescono gli incentivi al lavoro regolare entro una
certa soglia di reddito (il reddito da lavoro entro quella soglia non
verrebbe computato ai fini della prova dei mezzi, per essere poi trattato
con le norme generali, di favore nel caso di soggetti già beneficiari, oltre
quella soglia). Implicitamente, però, si attenuerebbe il principio di
intervento sulle situazioni di maggior bisogno.

Accanto agli elementi reddituali in senso proprio, il riferimento all'Ise
consentirebbe poi di considerare elementi di valorizzazione del patrimonio,
evitando le brusche discontinuità nel trattamento del dato patrimoniale del
vecchio Rmi.. Il vantaggio è che il patrimonio, specie se immobiliare, è più
difficile da occultare. E contribuisce ad indicare, con più precisione del
reddito corrente, il tenore di vita effettivamente sostenibile per un dato
nucleo familiare.

Si prevederebbe poi un trattamento di favore dei redditi da lavoro, nel caso
dei nuclei familiari che già abbiano fatto ricorso al Rui in passato e che
quindi devono essere incentivati a uscirne. È un obiettivo abituale anche
nel panorama internazionale ed è congruente con l'idea di un Rui che, da un
lato, intervenga solo in ultima istanza, quindi con una soglia che in prima
battuta è più stringente, ma che dall'altro accompagni verso un'uscita
significativa, e non per un importo infinitesimale, dall'area della
deprivazione.

Infine, andrebbe considerato il costo dell'abitazione con lo scomputo di un
elemento forfetario, differenziato geograficamente e in base alla dimensione
del nucleo familiare. L'obiettivo è quello di tener conto del diverso costo
della vita nelle varie aree del paese e nei centri piccoli e grandi. Mentre
l'aggiustamento ad hoc per la dimensione familiare discende dalla
considerazione che la scala di equivalenza prevista dal Rmi, e adoperata per
le componenti positive di reddito, era inadeguata rispetto a questa
componente del bilancio familiare.

Costi e dimensione

Per valutare costi e portata dello strumento ipotizzato abbiamo utilizzato l
'indagine sui redditi familiari della Banca d'Italia relativa all'anno 2000.

Per semplicità, non si è considerato l'impatto della possibile discrepanza
tra dati fiscali e dati reddituali riportati nell'indagine (che potrebbe far
considerare sottostimato il numero dei potenziali beneficiari), né il fatto
che lo schema richiederebbe ai beneficiari di partecipare a programmi di
reinserimento sociale. E neppure il tradizionale stigma sociale associato
alle erogazioni di questi sussidi o le difficoltà ad accedere alla misura
per molti dei nuclei familiari potenzialmente interessati, che potrebbe
invece indurre un accesso effettivo inferiore a quello teoricamente
possibile qui stimato.

Il costo degli interventi è poi considerato come costo complessivo, quale
che sia la fonte, statale o regionale, del finanziamento, e senza scomputare
il costo di quegli interventi alternativi (il cosiddetto minimo vitale), che
potrebbero venir meno.

Lo schema base di Rui arriverebbe a coprire il 2,7 per cento delle famiglie
(Tabella 1a).

Con una media di 2.925 euro annui per ciascun nucleo familiare, il
fabbisogno finanziario complessivo sarebbe di 1,67 miliardi di euro. La
tabella riporta anche gli effetti di modifiche al margine nei diversi
parametri ipotizzati.

Identiche simulazioni con il vecchio Rmi, mostrano che nello schema base la
spesa si attesterebbe a 2,90 miliardi di euro, con il coinvolgimento del 4
per cento delle famiglie. Mentre nella variante che recepisce il
comportamento effettivo di molti dei comuni che hanno partecipano alla prima
sperimentazione del Rmi (con elevazione della franchigia patrimoniale,
detrazione per affitti e trattamento di favore esteso anche ai redditi da
pensione), la spesa complessiva sarebbe di 4,6 miliardi di euro.

Per saperne di più

Paolo Sestito e Valentina Nigro, "La sensibilità alle regole di accesso
della spesa aggregata e della composizione dei beneficiari nel sostegno al
reddito di ultima istanza: alcune valutazioni".

Tabella 1a. Simulazioni Rui

Id
   Erogazione

media annua
 Incidenza % delle famiglie beneficiarie
 Totale famiglie beneficiarie
 Fabbisogno finanziario annuo

(mld di euro)

1
 RUI schema base
 2925
 2,7
 571052
 1,67

2
 RUI con reddito da lavoro al 75% oltre la soglia presunta
 2722
 3,6
 754433
 2,05

3
 RUI con reddito da lavoro al 50% oltre la soglia presunta
 2522
 5,9
 1249005
 3,15

4
 RUI con soglia presunta di reddito di ? 200
 2007
 1,9
 393011
 0,79

5
 RUI senza presunzione di reddito
 3784
 3,5
 741364
 2,81

6
 RUI con valorizzazione del patrimonio al 25%
 2904
 2,7
 569785
 1,65

7
 RUI con valorizzazione del patrimonio al 15%
 2902
 2,8
 582501
 1,69

8
 RUI senza valorizzazione del patrimonio
 2838
 5,8
 1208948
 3,43

9
 RUI con affitto base di ? 3000
 2998
 2,9
 615191
 1,84

10
 RUI con affitto base di ? 1000
 3021
 2,3
 488865
 1,48

11
 RUI con ammontare fisso di affitti pari a ? 2000
 2901
 3
 635255
 1,84

Fonte: dati SHIW00, nostre elaborazioni.

Nello schema base la soglia presunta di reddito è di ? 100 mensili per ogni
adulto ("occupabile") e il reddito da lavoro viene computato (al 100 per
cento) solo oltre tale soglia; il tasso medio annuo sulle attività
finanziarie rilevante ai fini Ise è posto pari a 0,05 ed il coefficiente di
valorizzazione del patrimonio è posto pari a 0,2 (in conformità alla
legislazione Ise), con una franchigia per il patrimonio mobiliare pari a
15.494 euro e una per il patrimonio immobiliare identificata nel debito
residuo per acquisto immobili di abitazione; per i proprietari della casa di
residenza il costo forfetario dell'abitazione è detratto fino a concorrenza
del patrimonio immobiliare valorizzato al 20 per cento, per gli affittuari
sino a concorrenza dell'affitto effettivo.

(1) Dal testo normativo si desume che si tratterebbe di uno strumento
cofinanziato da Stato e Regioni. Non è peraltro chiaro se il nuovo strumento
debba essere ritenuto parte di quei livelli essenziali di assistenza che
comunque l'intervento statale dovrebbe garantire oppure se la presenza e i
contorni dell'intervento siano essenzialmente da definire a livello
regionale. Nel primo caso le caratteristiche essenziali dello strumento
dovrebbero essere definite a livello nazionale, pur senza che ciò trasformi
lo stesso, anche per via della sua natura non esclusiva di erogazione
monetaria, in un diritto soggettivo comunque esigibile. Nella seconda
ipotesi, il cofinanziamento statale comunque dovrebbe far riferimento a un
qualche parametro oggettivo di "bisogno" delle diverse aree e non
intervenire a piè di lista, magari finendo col finanziare proprio le Regioni
più ricche e più in grado di avviare interventi simili.

(2) Nel calcolo verrebbero anche aggiunti sussidi e indennità non computati
nell'Ise.

(3) Nel lavoro citato si espongono anche meccanismi possibili di governo del
cofinanziamento statale atti a incentivare l'efficacia delle iniziative di
reinserimento sociale, i cui contorni sarebbero invece definiti a livello
regionale.