rifiuti, contro l'emergenza strategie



da repubblica.it
lunedi 28 giugno 2004

Contro l'emergenza raccolta differenziata porta a porta

MASSIMILIANO DI PACE

Non solo Campania, ma anche Puglia, Calabria, Sicilia e Lazio, si trovano in
una situazione di emergenza dei rifiuti, tanto da essere state
commissariate. Ma quando scatta l'emergenza? Sostanzialmente quando non si
sa più come smaltire i rifiuti, perché le discariche sono in via di
esaurimento, e non esistono impianti alternativi per il loro trattamento. In
questi casi la Regione richiede alla Presidenza del Consiglio lo stato di
emergenza, che viene riconosciuto con un'ordinanza, che nomina il
commissario straordinario, che è, ed è davvero singolare, lo stesso
presidente della Regione.
Con questa nuova veste, il presidente della Regione può assumere decisioni
in modo autonomo (ossia senza aspettare pareri), non solo per quanto attiene
i compiti della Regione, che sono sostanzialmente di pianificazione, ma
anche per quelli delle Province, a cui spetta la localizzazione degli
impianti e il loro controllo, e dei Comuni, a cui compete la raccolta dei
rifiuti, da effettuare anche in modo differenziato. Purtroppo spesso cambia
ben poco perché le eventuali decisioni non sono sufficienti a risolvere il
problema, come dimostra il fatto che regioni come la Campania e la Puglia
sono in una situazione di emergenza da 10 anni, senza che vi sia stato un
miglioramento della situazione.
Quali sono allora le iniziative da prendere per uscire dall'emergenza? Prima
di tutto bisogna assicurare una raccolta differenziata che riguardi almeno
il 35% dei rifiuti solidi urbani, così come previsto dal decreto Ronchi (ma
ci sono Comuni che riescono a raggiungere l'80%), e poi occorrono impianti
che li valorizzino, sia che si tratti di di carta, vetro, plastica, metalli;
impianti di compostaggio per la produzione di compost (una sorta di concime)
ottenuto dalla trasformazione della frazione organica dei rifiuti; impianti
di incenerimento, che consentano di ricavare energia dalla combustione dei
rifiuti utilizzabili a questo scopo, ossia il Cdr (combustibile derivato dai
rifiuti, in sostanza, plastica, carta, legno, stracci), che si ottiene da un
processo di separazione.
Se è dunque chiaro cosa bisogna fare, c'è da chiedersi cosa impedisce alle
regioni in difficoltà di superare l'emergenza. Secondo Carlo Noto La Diega,
membro del direttivo di Assoambiente, l'associazione che riunisce 350
aziende operanti nella raccolta e trattamento dei rifiuti e che nel
complesso serve 18 milioni di cittadini e recupera il 60% dei rifiuti
avviati al riciclaggio, i motivi sono sostanzialmente due: «In primo luogo
la diminuzione delle risorse a disposizione degli enti locali, per effetto
dei tagli ai trasferimenti statali, che impedisce anche un'adeguata raccolta
differenziata, e poi la riluttanza dei cittadini ad accettare impianti di
incenerimento, e di trattamento dei rifiuti, incluse le discariche, nei
propri territori. Quest'ultima circostanza spesso è determinante, ma
l'opposizione agli inceneritori non è più giustificata, perché diversi studi
scientifici dimostrano che i moderni impianti di incenerimento sono oggi
meno inquinanti delle discariche».
D'altronde in molti paesi europei, e nelle stesse regioni italiane del
centro nord, si utilizzano gli impianti di termovalorizzazione senza
particolari effetti negativi. Ma in futuro la gestione dei rifiuti dovrebbe
basarsi sulla raccolta differenziata porta a porta, che si basa sulla
collocazione da parte dei cittadini delle varie tipologie di rifiuti in
appositi sacchi di diverso colore (in genere sono 56), che vengono poi
raccolti a domicilio dagli addetti. «Si tratta di una modalità che si sta
diffondendo sempre di più sottolinea Stefano Ciafani, coordinatore
dell'ufficio scientifico di Legambiente come dimostrano gli oltre 600 comuni
premiati dalla nostra associazione per aver ottenuto i migliori risultati di
raccolta differenziata. In questo modo si riescono a raggiungere elevati
livelli di raccolta differenziata, come dimostra l'esperienza di Monza, che
pur essendo una cittadina di 120.000 abitanti, riesce a raccogliere in modo
differenziato oltre il 50% dei rifiuti».
Il vantaggio della raccolta differenziata porta a porta è data dal fatto che
spariscono dalle strade i cassonetti, che oltre ad essere antiestetici e
antiigenici, occupano spazio. Inoltre diminuiscono i costi per il recupero
del materiale contenuto nei rifiuti, essendo essi già separati. Naturalmente
tale soluzione richiede un'organizzazione più complessa, oltre ad un maggior
numero di risorse umane, e quindi costi maggiori di gestione, ma va tenuto
in conto che il materiale recuperato ha un valore, che consente di
recuperare i costi.
Al futuro della raccolta e del trattamento dei rifiuti verrà dedicato un
congresso mondiale, che si terrà a Roma il 1721 ottobre 2004, organizzato
dall'Iswa, l'International solid waste association (www.iswa.org), a cui
parteciperanno enti di oltre 30 paesi.

Promossi i prodotti riciclati. "Ma debbono costare meno"

Larga consapevolezza della presenza diffusa di oggetti quotidiani rinati da
vite precedenti. Discreta capacità di riconoscerli e buona disponibilità ad
acquistarli, magari con un po' più di informazioni a riguardo. Ma il prezzo
resta l'argomento principale del contendere: quasi quattro consumatori su
cinque vogliono un incoraggiamento economico per la loro buona azione
ecologica sul fronte del riciclo: l'oggetto verde va bene, ma con lo sconto.
Chi compra vuole un prezzo più basso di quello che dovrebbe pagare se
comprasse lo stesso oggetto ricavato da materiali vergini: il risparmio
ambientale si deve tradurre in un vantaggio anche per il portafoglio.
Insomma, nell'ambito dei materiali (il discorso cambia passando ad altri
campi come quello energetico vista la propensione a pagare qualcosa di più
per avere la garanzia di disporre di energia pulita) il riciclo può
contribuire all'immagine positiva del prodotto ma non si traduce
direttamente in un'attribuzione di maggior valore.
Sono questi gli elementi principali che emergono da un sondaggio che è stato
condotto nell'ottobre scorso dal Conai su mille persone rappresentative
della popolazione italiana adulta (tra i 18 e i 64 anni). Un quadro
articolato da cui viene fuori una buona sensibilità del consumatore medio.
Il 75,2 per cento del campione (nel Nord Est si arriva a sfiorare l'85 per
cento) ha l'informazione di base, cioè sa che esistono in commercio prodotti
realizzati utilizzando materiali riciclati. Solo il 5,1 per cento sbaglia
nettamente barrando la voce «sicuramente non esistono», mentre il 13,4 per
cento è in dubbio e il 6,2 per cento confessa di non sapere cosa rispondere.
Con una sollecitazione dell'intervistatore, il 61,2 per cento del campione
riconosce nelle scatole, negli imballaggi e nelle confezioni di carta
prodotti che possono essere realizzati con materiali riciclati. La
percentuale scende al 54,5 per cento per i sacchetti di plastica; al 51,5
per cento per le bottiglie e i contenitori di plastica; al 50,8 per cento
per i giornali, le riviste, i libri, gli oggetti di cartoleria; al 48,7 per
cento per i mobili e gli arredi di plastica: al 45,2 per cento per le
bottiglie e i contenitori di vetro; al 44 per cento per i barattoli di
alluminio; al 37 per cento per i mobili di legno.
La classifica dei materiali da cui provengono i prodotti riciclati è guidata
dalla carta (78,1) seguita dalla plastica (67,8), dal vetro (46,1), dal
legno (26,8), dall'alluminio (26,3), dai cartoni (18), dal vestiario (9,4),
dall'acciaio (6,6). Ma solo il 5,1 per cento degli intervistati è sicuro di
riconoscere sempre i prodotti realizzati con materiali di riciclo, mentre il
16,6 per cento li riconosce quasi sempre e il 37,5 per cento qualche volta.
Dunque gli oggetti di provenienza virtuosa sono accanto a noi, piuttosto
individuabili e allettanti: il 52,6 per cento del campione ritiene molto
interessante il loro acquisto e il 35,8 per cento abbastanza interessante
(la preferenza va, nell'ordine, a giornali, riviste, libri e oggetti di
cartoleria, a bottiglie e contenitori in vetro, a bottiglie e contenitori in
plastica).
C'è anche la consapevolezza diffusa che questo genere di prodotti tenderà ad
aumentare: lo dice l'83 per cento degli intervistati che si dichiarano molto
o abbastanza interessati a una maggiore informazione da parte dei mezzi di
comunicazione (82,3 per cento del campione).
Il punto però è che per il 72,8 per cento degli intervistati questi prodotti
dovrebbero costare un po' meno rispetto ai normali prodotti in commercio.
Per il 20,6 per cento dovrebbero costare come gli altri. Solo il 5 per cento
ritiene che dovrebbero costare un po' di più. Una risposta tutto sommato
scontata. In fase di adattamento all'euro, con un'inflazione percepita come
altissima e una crisi reale di spesa a fine mese, è davvero difficile che
qualcuno voglia tirare fuori più soldi per un oggetto riciclato.
Dopo aver vinto la difficile battaglia d'immagine (il prodotto ottenuto da
una materia prima seconda non è più considerato di serie B o visto con
sospetto, ma anzi è largamente apprezzato per il suo ruolo ecologico), il
settore del riutilizzo deve dunque affrontare l'ultimo scoglio cruciale: il
prezzo.
(a.cian.)

Tutte le strade per ridurre gli imballaggi

Ridurre gli imballaggi è possibile, come conferma Gianfranco Faina,
presidente del Conai, il Consorzio nazionale per gli imballaggi, ma entro
certi limiti, che dipendono dalle funzioni svolte dalle confezioni: «Non
bisogna infatti dimenticare che gli imballaggi hanno diverse finalità che
vanno dalla protezione del prodotto durante il trasporto e la conservazione,
all'immagine che il prodotto assume agli occhi del consumatore, fondamentale
per richiamare la sua attenzione».
Ad ogni modo sono diverse le iniziative in corso per ridurre gli imballaggi.
In primo luogo vi è la riduzione degli spessori dei contenitori. Ad esempio,
le lattine hanno visto ridursi di un terzo il loro peso, fermo restando le
garanzie di protezione degli alimenti. Una seconda iniziativa consiste nell'
utilizzare al massimo il contenitore, evitando di riempirlo solo in parte.
Un'altra possibilità è data dalla riduzione del numero di strati che
avvolgono il prodotto. Ora, grazie anche a materiali innovativi, ne può
bastare uno solo.
Altre iniziative utili sono l'utilizzo di un solo tipo di materiale, così da
evitare il processo di separazione ai fini del riciclo, così come l'impiego
di materiale riciclato. Va detto però che non tutte le materie prime si
prestano ad essere facilmente riciclate: «Se è possibile riciclare all'
infinito vetro, alluminio e acciaio - precisa Faina - la carta e la plastica
presentano diversi limiti». Infine, il riuso degli imballaggi, in
particolare di quelli utilizzati nelle vendite tra imprese (es. pallet e
cassette di legno, fusti metallici), che rappresentano il 20% di tutti gli
imballaggi, può contribuire in maniera significativa alla riduzione.
Va detto che tutte queste iniziative sono effettuate su base volontaria, in
quanto il decreto Ronchi, pur auspicando la riduzione degli imballaggi, non
pone limiti quantitativi, anche se i produttori che li recuperano sono
esentati dal pagamento del contributo ambientale dovuto al Conai. Questo
stimolo economico non è però sufficiente secondo Corrado Scapino,
vicepresidente di Assoambiente: «I dati dimostrano che il contributo,
ricadendo di fatto sui consumatori, non è sufficiente né a stimolare una
riduzione degli imballaggi, né a costituire un fattore di competizione tra
le imprese». In ogni caso il Conai cerca di sensibilizzare tutti gli
operatori che utilizzano imballaggi: «A questo scopo - rammenta Faina -
organizziamo corsi di formazione, e diffondiamo buone prassi, come il
recente dossier sulla prevenzione, scaricabile dal sito www. conai. org, che
cita 75 casi di successo, anche di Pmi».
(m. d. p.)