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rifiuti, contro l'emergenza strategie
- Subject: rifiuti, contro l'emergenza strategie
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Sun, 25 Jul 2004 08:36:20 +0200
da repubblica.it lunedi 28 giugno 2004 Contro l'emergenza raccolta differenziata porta a porta MASSIMILIANO DI PACE Non solo Campania, ma anche Puglia, Calabria, Sicilia e Lazio, si trovano in una situazione di emergenza dei rifiuti, tanto da essere state commissariate. Ma quando scatta l'emergenza? Sostanzialmente quando non si sa più come smaltire i rifiuti, perché le discariche sono in via di esaurimento, e non esistono impianti alternativi per il loro trattamento. In questi casi la Regione richiede alla Presidenza del Consiglio lo stato di emergenza, che viene riconosciuto con un'ordinanza, che nomina il commissario straordinario, che è, ed è davvero singolare, lo stesso presidente della Regione. Con questa nuova veste, il presidente della Regione può assumere decisioni in modo autonomo (ossia senza aspettare pareri), non solo per quanto attiene i compiti della Regione, che sono sostanzialmente di pianificazione, ma anche per quelli delle Province, a cui spetta la localizzazione degli impianti e il loro controllo, e dei Comuni, a cui compete la raccolta dei rifiuti, da effettuare anche in modo differenziato. Purtroppo spesso cambia ben poco perché le eventuali decisioni non sono sufficienti a risolvere il problema, come dimostra il fatto che regioni come la Campania e la Puglia sono in una situazione di emergenza da 10 anni, senza che vi sia stato un miglioramento della situazione. Quali sono allora le iniziative da prendere per uscire dall'emergenza? Prima di tutto bisogna assicurare una raccolta differenziata che riguardi almeno il 35% dei rifiuti solidi urbani, così come previsto dal decreto Ronchi (ma ci sono Comuni che riescono a raggiungere l'80%), e poi occorrono impianti che li valorizzino, sia che si tratti di di carta, vetro, plastica, metalli; impianti di compostaggio per la produzione di compost (una sorta di concime) ottenuto dalla trasformazione della frazione organica dei rifiuti; impianti di incenerimento, che consentano di ricavare energia dalla combustione dei rifiuti utilizzabili a questo scopo, ossia il Cdr (combustibile derivato dai rifiuti, in sostanza, plastica, carta, legno, stracci), che si ottiene da un processo di separazione. Se è dunque chiaro cosa bisogna fare, c'è da chiedersi cosa impedisce alle regioni in difficoltà di superare l'emergenza. Secondo Carlo Noto La Diega, membro del direttivo di Assoambiente, l'associazione che riunisce 350 aziende operanti nella raccolta e trattamento dei rifiuti e che nel complesso serve 18 milioni di cittadini e recupera il 60% dei rifiuti avviati al riciclaggio, i motivi sono sostanzialmente due: «In primo luogo la diminuzione delle risorse a disposizione degli enti locali, per effetto dei tagli ai trasferimenti statali, che impedisce anche un'adeguata raccolta differenziata, e poi la riluttanza dei cittadini ad accettare impianti di incenerimento, e di trattamento dei rifiuti, incluse le discariche, nei propri territori. Quest'ultima circostanza spesso è determinante, ma l'opposizione agli inceneritori non è più giustificata, perché diversi studi scientifici dimostrano che i moderni impianti di incenerimento sono oggi meno inquinanti delle discariche». D'altronde in molti paesi europei, e nelle stesse regioni italiane del centro nord, si utilizzano gli impianti di termovalorizzazione senza particolari effetti negativi. Ma in futuro la gestione dei rifiuti dovrebbe basarsi sulla raccolta differenziata porta a porta, che si basa sulla collocazione da parte dei cittadini delle varie tipologie di rifiuti in appositi sacchi di diverso colore (in genere sono 56), che vengono poi raccolti a domicilio dagli addetti. «Si tratta di una modalità che si sta diffondendo sempre di più sottolinea Stefano Ciafani, coordinatore dell'ufficio scientifico di Legambiente come dimostrano gli oltre 600 comuni premiati dalla nostra associazione per aver ottenuto i migliori risultati di raccolta differenziata. In questo modo si riescono a raggiungere elevati livelli di raccolta differenziata, come dimostra l'esperienza di Monza, che pur essendo una cittadina di 120.000 abitanti, riesce a raccogliere in modo differenziato oltre il 50% dei rifiuti». Il vantaggio della raccolta differenziata porta a porta è data dal fatto che spariscono dalle strade i cassonetti, che oltre ad essere antiestetici e antiigenici, occupano spazio. Inoltre diminuiscono i costi per il recupero del materiale contenuto nei rifiuti, essendo essi già separati. Naturalmente tale soluzione richiede un'organizzazione più complessa, oltre ad un maggior numero di risorse umane, e quindi costi maggiori di gestione, ma va tenuto in conto che il materiale recuperato ha un valore, che consente di recuperare i costi. Al futuro della raccolta e del trattamento dei rifiuti verrà dedicato un congresso mondiale, che si terrà a Roma il 1721 ottobre 2004, organizzato dall'Iswa, l'International solid waste association (www.iswa.org), a cui parteciperanno enti di oltre 30 paesi. Promossi i prodotti riciclati. "Ma debbono costare meno" Larga consapevolezza della presenza diffusa di oggetti quotidiani rinati da vite precedenti. Discreta capacità di riconoscerli e buona disponibilità ad acquistarli, magari con un po' più di informazioni a riguardo. Ma il prezzo resta l'argomento principale del contendere: quasi quattro consumatori su cinque vogliono un incoraggiamento economico per la loro buona azione ecologica sul fronte del riciclo: l'oggetto verde va bene, ma con lo sconto. Chi compra vuole un prezzo più basso di quello che dovrebbe pagare se comprasse lo stesso oggetto ricavato da materiali vergini: il risparmio ambientale si deve tradurre in un vantaggio anche per il portafoglio. Insomma, nell'ambito dei materiali (il discorso cambia passando ad altri campi come quello energetico vista la propensione a pagare qualcosa di più per avere la garanzia di disporre di energia pulita) il riciclo può contribuire all'immagine positiva del prodotto ma non si traduce direttamente in un'attribuzione di maggior valore. Sono questi gli elementi principali che emergono da un sondaggio che è stato condotto nell'ottobre scorso dal Conai su mille persone rappresentative della popolazione italiana adulta (tra i 18 e i 64 anni). Un quadro articolato da cui viene fuori una buona sensibilità del consumatore medio. Il 75,2 per cento del campione (nel Nord Est si arriva a sfiorare l'85 per cento) ha l'informazione di base, cioè sa che esistono in commercio prodotti realizzati utilizzando materiali riciclati. Solo il 5,1 per cento sbaglia nettamente barrando la voce «sicuramente non esistono», mentre il 13,4 per cento è in dubbio e il 6,2 per cento confessa di non sapere cosa rispondere. Con una sollecitazione dell'intervistatore, il 61,2 per cento del campione riconosce nelle scatole, negli imballaggi e nelle confezioni di carta prodotti che possono essere realizzati con materiali riciclati. La percentuale scende al 54,5 per cento per i sacchetti di plastica; al 51,5 per cento per le bottiglie e i contenitori di plastica; al 50,8 per cento per i giornali, le riviste, i libri, gli oggetti di cartoleria; al 48,7 per cento per i mobili e gli arredi di plastica: al 45,2 per cento per le bottiglie e i contenitori di vetro; al 44 per cento per i barattoli di alluminio; al 37 per cento per i mobili di legno. La classifica dei materiali da cui provengono i prodotti riciclati è guidata dalla carta (78,1) seguita dalla plastica (67,8), dal vetro (46,1), dal legno (26,8), dall'alluminio (26,3), dai cartoni (18), dal vestiario (9,4), dall'acciaio (6,6). Ma solo il 5,1 per cento degli intervistati è sicuro di riconoscere sempre i prodotti realizzati con materiali di riciclo, mentre il 16,6 per cento li riconosce quasi sempre e il 37,5 per cento qualche volta. Dunque gli oggetti di provenienza virtuosa sono accanto a noi, piuttosto individuabili e allettanti: il 52,6 per cento del campione ritiene molto interessante il loro acquisto e il 35,8 per cento abbastanza interessante (la preferenza va, nell'ordine, a giornali, riviste, libri e oggetti di cartoleria, a bottiglie e contenitori in vetro, a bottiglie e contenitori in plastica). C'è anche la consapevolezza diffusa che questo genere di prodotti tenderà ad aumentare: lo dice l'83 per cento degli intervistati che si dichiarano molto o abbastanza interessati a una maggiore informazione da parte dei mezzi di comunicazione (82,3 per cento del campione). Il punto però è che per il 72,8 per cento degli intervistati questi prodotti dovrebbero costare un po' meno rispetto ai normali prodotti in commercio. Per il 20,6 per cento dovrebbero costare come gli altri. Solo il 5 per cento ritiene che dovrebbero costare un po' di più. Una risposta tutto sommato scontata. In fase di adattamento all'euro, con un'inflazione percepita come altissima e una crisi reale di spesa a fine mese, è davvero difficile che qualcuno voglia tirare fuori più soldi per un oggetto riciclato. Dopo aver vinto la difficile battaglia d'immagine (il prodotto ottenuto da una materia prima seconda non è più considerato di serie B o visto con sospetto, ma anzi è largamente apprezzato per il suo ruolo ecologico), il settore del riutilizzo deve dunque affrontare l'ultimo scoglio cruciale: il prezzo. (a.cian.) Tutte le strade per ridurre gli imballaggi Ridurre gli imballaggi è possibile, come conferma Gianfranco Faina, presidente del Conai, il Consorzio nazionale per gli imballaggi, ma entro certi limiti, che dipendono dalle funzioni svolte dalle confezioni: «Non bisogna infatti dimenticare che gli imballaggi hanno diverse finalità che vanno dalla protezione del prodotto durante il trasporto e la conservazione, all'immagine che il prodotto assume agli occhi del consumatore, fondamentale per richiamare la sua attenzione». Ad ogni modo sono diverse le iniziative in corso per ridurre gli imballaggi. In primo luogo vi è la riduzione degli spessori dei contenitori. Ad esempio, le lattine hanno visto ridursi di un terzo il loro peso, fermo restando le garanzie di protezione degli alimenti. Una seconda iniziativa consiste nell' utilizzare al massimo il contenitore, evitando di riempirlo solo in parte. Un'altra possibilità è data dalla riduzione del numero di strati che avvolgono il prodotto. Ora, grazie anche a materiali innovativi, ne può bastare uno solo. Altre iniziative utili sono l'utilizzo di un solo tipo di materiale, così da evitare il processo di separazione ai fini del riciclo, così come l'impiego di materiale riciclato. Va detto però che non tutte le materie prime si prestano ad essere facilmente riciclate: «Se è possibile riciclare all' infinito vetro, alluminio e acciaio - precisa Faina - la carta e la plastica presentano diversi limiti». Infine, il riuso degli imballaggi, in particolare di quelli utilizzati nelle vendite tra imprese (es. pallet e cassette di legno, fusti metallici), che rappresentano il 20% di tutti gli imballaggi, può contribuire in maniera significativa alla riduzione. Va detto che tutte queste iniziative sono effettuate su base volontaria, in quanto il decreto Ronchi, pur auspicando la riduzione degli imballaggi, non pone limiti quantitativi, anche se i produttori che li recuperano sono esentati dal pagamento del contributo ambientale dovuto al Conai. Questo stimolo economico non è però sufficiente secondo Corrado Scapino, vicepresidente di Assoambiente: «I dati dimostrano che il contributo, ricadendo di fatto sui consumatori, non è sufficiente né a stimolare una riduzione degli imballaggi, né a costituire un fattore di competizione tra le imprese». In ogni caso il Conai cerca di sensibilizzare tutti gli operatori che utilizzano imballaggi: «A questo scopo - rammenta Faina - organizziamo corsi di formazione, e diffondiamo buone prassi, come il recente dossier sulla prevenzione, scaricabile dal sito www. conai. org, che cita 75 casi di successo, anche di Pmi». (m. d. p.)
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