perchè la libertà non l'ha inventata l'occidente



dal manifesto di domenica 28 marzo 2004

L'invenzione di un primato

«La democrazia degli altri», due saggi pubblicati da Mondadori del Nobel per
l'economia Amartya Sen per spiegare, con numerosi esempi nella storia e
nelle diverse aree del mondo, «perché la libertà non è un'invenzione
dell'Occidente»

GUGLIELMO RAGOZZINO

Amartya Sen, in un passo del secondo scritto che compone La democrazia degli
altri (Mondadori, pp. 88, ? 10), usa un esempio apparentemente frivolo. Cita
il caso del marito che nel romanzo Punto contro punto di Aldous Huxley, per
meglio tradire la moglie, si inventa una ricerca da fare al British Museum
sulla democrazia nell'India antica. Ma esisteva democrazia nell'India
antica? Un quesito senza soluzioni o addirittura inutile, agli occhi degli
snob inglesi dell'epoca imperiale, ma capace di appassionare gli specialisti
da museo, lasciando molto tempo a tresche più divertenti ma di tutt'altra
natura. Alcuni europei la pensano, ancora e sempre, così, gettando il
ridicolo su dominanti e dominati, ma si potrebbe dire che la democrazia,
ereditata insieme agli aviti manieri, non la meritino. Sen sorride, ma
l'argomento lo appassiona. Egli ritiene che la diffusione della democrazia
sia il fatto saliente («l'evento») del ventesimo secolo, ma che la
democrazia non sia un'invenzione occidentale e tanto meno una qualità o una
caratteristica dell'Occidente (Europa, Nord America) venduta al resto del
mondo, insieme al libero scambio e alla coca cola. Bisogna ripeterlo e
ripeterlo ancora. E così, nel secondo saggio contenuto nel volume dà una
definizione della democrazia, discute di come la si possa esportare e poi se
essa si adatti a ogni popolo e a ogni cultura e infine a cosa serva, perché
sia così importante o meglio essenziale. Tutto questo in meno di quaranta
minuscole pagine: il testo di un discorso del febbraio del 1999, durante la
Global Conference on Democracy tenutasi a New Delhi.

Che cosa sia la democrazia è presto detto: «Innanzitutto occorre evitare
l'identificazione fra democrazia e governo della maggioranza. La democrazia
ha esigenze complesse, fra cui naturalmente lo svolgimento delle elezioni e
l'accettazione del loro risultato, ma richiede inoltre la protezione dei
diritti e delle libertà, il rispetto della legalità, nonché la garanzia di
libere discussioni e di una circolazione senza censura delle notizie. In
realtà anche le elezioni possono essere del tutto inutili se si svolgono
senza aver offerto alle diverse parti un'adeguata opportunità per presentare
le loro posizioni, o senza concedere all'elettorato la possibilità di avere
accesso alle notizie e valutare le opinioni di tutti i contendenti. La
democrazia è un sistema che esige un impegno costante, e non un semplice
meccanismo (come il governo della maggioranza), indipendente e isolato da
tutto il resto». Dopo che la democrazia scese dall'antica Grecia, via Magna
Charta a paesi e sistemi più prossimi a noi, nei paesi che si considerano i
monopolisti di questa rarità, ci si continua a chiedere: possiamo esportarla
là o là? E' pronto quel paese? Secondo Sen è una domanda sbagliata. Non si è
pronti per, ma mediante la democrazia. Significa che la democrazia cresce
nel suo stesso farsi, vive realizzandosi.

Un altro aspetto è quello dell'idoneità. Asiatici dell'estremo oriente non
sarebbero idonei, al contrario di popoli di diversa cultura e tradizioni. Ma
neppure Confucio resiste alla critica democratica, universalistica. Alla
domanda su cosa dire al re, anche Confucio suggerisce: «digli la verità,
anche se lo offende». E aggiunge Sen: «i due pilastri dell'immaginario
palazzo dei valori asiatici - fedeltà alla famiglia e obbedienza allo
Stato - possono trovarsi in grave contrasto fra loro». E il monolitico
palazzo dei valori comincia a cedere. Ma a che serve la democrazia? La
risposta è come sempre un'altra domanda. Sapete che in democrazia non ci
sono carestie? Studiando le carestie dell'India l'economista premio Nobel ha
capito i valori della democrazia. Le carestie hanno funestato l'India in
ogni tempo, anche sotto la dominazione inglese. Non si è mai trattato di
povertà che pure c'era, ma di cattiva distribuzione, di carenze
d'informazione, di ritardi, di mancate critiche da parte dell'opposizione.

Il confronto tra gli stati indiani, tra India e Cina è bruciante in
proposito. La democrazia è l'unico rimedio umano contro la fame, le
alluvioni, la siccità, le malattie epidemiche, dilaganti e improvvise, come
la Sars. L'ultima carestia in India è stata dunque nel 1943, sotto il giogo
inglese che impediva il dispiegarsi della democrazia, intesa come la
possibilità di informarsi, far sapere, cambiare le decisioni. Ben diverso il
caso della Cina, travolta dalle conseguenze del Grande balzo in avanti,
trasformato in verità rivelata, in politica opaca e senza alternative. A
volte la democrazia non è una soluzione perfetta, ma è il miglior rimedio
che ci sia.

Il primo scritto del libro è un articolo di ottobre 2003, quindi assai più
recente, successivo al cambio di millennio e al crollo delle torri. Sen vi
ripropone due argomenti. Il primo è l'universalismo della democrazia; il
secondo è il discorso pubblico, l'altra gamba sulla quale la democrazia
procede. La democrazia è un valore universale. Gli occidentali non possono
ammettere che la democrazia sia di tutti e non un prodotto made in Europe,
made in Usa e da lì esportato nei paesi che lo vogliono acquistare. «Tale
indebita appropriazione deriva da un lato da una grave disattenzione per la
storia intellettuale delle società non occidentali e, dall'altro, dal
difetto concettuale di considerare la democrazia sostanzialmente in termini
di voti ed elezioni, anziché secondo la più ampia prospettiva della
discussione pubblica». Sen invece è convinto che l'India sia, pur con tutti
difetti, tutte le povertà, la maggiore democrazia del mondo, capace di
difendersi contro i pericoli induisti del governo in carica e in grado di
sviluppare gli anticorpi necessari per capovolgere la tendenza attuale;
certo è più facile vantare la democrazia dell'antico re indiano Ashoka,
piuttosto che discutere, oggi, con il pessimismo di Arundhati Roy, la
splendida scrittrice che ha molti dubbi sulla democrazia attuale in India.
Per sostenere la democrazia indiana diventa indispensabile la discussione
pubblica; la stessa che deve essere sostenuta anche in molti altri casi
difficili (cioè tutti). E' la voce d'opposizione; sono la stampa, la tv,
Internet, le campagne politiche, le manifestazioni pubbliche delle donne, i
sindacati, i movimenti di opinione, comunque organizzati, (dalle marce della
pace ai girotondi, dalle campagne ai concerti, dalla raccolta di firme ai
digiuni). E Sen, pur con molto equilibrio, sembra preferire un po' questa
democrazia, in movimento, in cambiamento, a quella, più risaputa, più
fredda, delle maggioranze parlamentari.