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perchè la libertà non l'ha inventata l'occidente
- Subject: perchè la libertà non l'ha inventata l'occidente
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Tue, 18 May 2004 06:49:18 +0200
dal manifesto di domenica 28 marzo 2004 L'invenzione di un primato «La democrazia degli altri», due saggi pubblicati da Mondadori del Nobel per l'economia Amartya Sen per spiegare, con numerosi esempi nella storia e nelle diverse aree del mondo, «perché la libertà non è un'invenzione dell'Occidente» GUGLIELMO RAGOZZINO Amartya Sen, in un passo del secondo scritto che compone La democrazia degli altri (Mondadori, pp. 88, ? 10), usa un esempio apparentemente frivolo. Cita il caso del marito che nel romanzo Punto contro punto di Aldous Huxley, per meglio tradire la moglie, si inventa una ricerca da fare al British Museum sulla democrazia nell'India antica. Ma esisteva democrazia nell'India antica? Un quesito senza soluzioni o addirittura inutile, agli occhi degli snob inglesi dell'epoca imperiale, ma capace di appassionare gli specialisti da museo, lasciando molto tempo a tresche più divertenti ma di tutt'altra natura. Alcuni europei la pensano, ancora e sempre, così, gettando il ridicolo su dominanti e dominati, ma si potrebbe dire che la democrazia, ereditata insieme agli aviti manieri, non la meritino. Sen sorride, ma l'argomento lo appassiona. Egli ritiene che la diffusione della democrazia sia il fatto saliente («l'evento») del ventesimo secolo, ma che la democrazia non sia un'invenzione occidentale e tanto meno una qualità o una caratteristica dell'Occidente (Europa, Nord America) venduta al resto del mondo, insieme al libero scambio e alla coca cola. Bisogna ripeterlo e ripeterlo ancora. E così, nel secondo saggio contenuto nel volume dà una definizione della democrazia, discute di come la si possa esportare e poi se essa si adatti a ogni popolo e a ogni cultura e infine a cosa serva, perché sia così importante o meglio essenziale. Tutto questo in meno di quaranta minuscole pagine: il testo di un discorso del febbraio del 1999, durante la Global Conference on Democracy tenutasi a New Delhi. Che cosa sia la democrazia è presto detto: «Innanzitutto occorre evitare l'identificazione fra democrazia e governo della maggioranza. La democrazia ha esigenze complesse, fra cui naturalmente lo svolgimento delle elezioni e l'accettazione del loro risultato, ma richiede inoltre la protezione dei diritti e delle libertà, il rispetto della legalità, nonché la garanzia di libere discussioni e di una circolazione senza censura delle notizie. In realtà anche le elezioni possono essere del tutto inutili se si svolgono senza aver offerto alle diverse parti un'adeguata opportunità per presentare le loro posizioni, o senza concedere all'elettorato la possibilità di avere accesso alle notizie e valutare le opinioni di tutti i contendenti. La democrazia è un sistema che esige un impegno costante, e non un semplice meccanismo (come il governo della maggioranza), indipendente e isolato da tutto il resto». Dopo che la democrazia scese dall'antica Grecia, via Magna Charta a paesi e sistemi più prossimi a noi, nei paesi che si considerano i monopolisti di questa rarità, ci si continua a chiedere: possiamo esportarla là o là? E' pronto quel paese? Secondo Sen è una domanda sbagliata. Non si è pronti per, ma mediante la democrazia. Significa che la democrazia cresce nel suo stesso farsi, vive realizzandosi. Un altro aspetto è quello dell'idoneità. Asiatici dell'estremo oriente non sarebbero idonei, al contrario di popoli di diversa cultura e tradizioni. Ma neppure Confucio resiste alla critica democratica, universalistica. Alla domanda su cosa dire al re, anche Confucio suggerisce: «digli la verità, anche se lo offende». E aggiunge Sen: «i due pilastri dell'immaginario palazzo dei valori asiatici - fedeltà alla famiglia e obbedienza allo Stato - possono trovarsi in grave contrasto fra loro». E il monolitico palazzo dei valori comincia a cedere. Ma a che serve la democrazia? La risposta è come sempre un'altra domanda. Sapete che in democrazia non ci sono carestie? Studiando le carestie dell'India l'economista premio Nobel ha capito i valori della democrazia. Le carestie hanno funestato l'India in ogni tempo, anche sotto la dominazione inglese. Non si è mai trattato di povertà che pure c'era, ma di cattiva distribuzione, di carenze d'informazione, di ritardi, di mancate critiche da parte dell'opposizione. Il confronto tra gli stati indiani, tra India e Cina è bruciante in proposito. La democrazia è l'unico rimedio umano contro la fame, le alluvioni, la siccità, le malattie epidemiche, dilaganti e improvvise, come la Sars. L'ultima carestia in India è stata dunque nel 1943, sotto il giogo inglese che impediva il dispiegarsi della democrazia, intesa come la possibilità di informarsi, far sapere, cambiare le decisioni. Ben diverso il caso della Cina, travolta dalle conseguenze del Grande balzo in avanti, trasformato in verità rivelata, in politica opaca e senza alternative. A volte la democrazia non è una soluzione perfetta, ma è il miglior rimedio che ci sia. Il primo scritto del libro è un articolo di ottobre 2003, quindi assai più recente, successivo al cambio di millennio e al crollo delle torri. Sen vi ripropone due argomenti. Il primo è l'universalismo della democrazia; il secondo è il discorso pubblico, l'altra gamba sulla quale la democrazia procede. La democrazia è un valore universale. Gli occidentali non possono ammettere che la democrazia sia di tutti e non un prodotto made in Europe, made in Usa e da lì esportato nei paesi che lo vogliono acquistare. «Tale indebita appropriazione deriva da un lato da una grave disattenzione per la storia intellettuale delle società non occidentali e, dall'altro, dal difetto concettuale di considerare la democrazia sostanzialmente in termini di voti ed elezioni, anziché secondo la più ampia prospettiva della discussione pubblica». Sen invece è convinto che l'India sia, pur con tutti difetti, tutte le povertà, la maggiore democrazia del mondo, capace di difendersi contro i pericoli induisti del governo in carica e in grado di sviluppare gli anticorpi necessari per capovolgere la tendenza attuale; certo è più facile vantare la democrazia dell'antico re indiano Ashoka, piuttosto che discutere, oggi, con il pessimismo di Arundhati Roy, la splendida scrittrice che ha molti dubbi sulla democrazia attuale in India. Per sostenere la democrazia indiana diventa indispensabile la discussione pubblica; la stessa che deve essere sostenuta anche in molti altri casi difficili (cioè tutti). E' la voce d'opposizione; sono la stampa, la tv, Internet, le campagne politiche, le manifestazioni pubbliche delle donne, i sindacati, i movimenti di opinione, comunque organizzati, (dalle marce della pace ai girotondi, dalle campagne ai concerti, dalla raccolta di firme ai digiuni). E Sen, pur con molto equilibrio, sembra preferire un po' questa democrazia, in movimento, in cambiamento, a quella, più risaputa, più fredda, delle maggioranze parlamentari.
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