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marghera il patto chimico-mafioso
- Subject: marghera il patto chimico-mafioso
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Wed, 19 May 2004 07:03:54 +0200
da il manifesto 18 maggio 2004 Il patto chimico-mafioso Processo Marghera: il Cvm uccide, le aziende sapevano e misero il top secret. Casson: riaprire il caso MANUELA CARTOSIO Una tesi «suggestiva», ma non suffragata da prove. Così i giudici di primo grado avevano liquidato il «patto di segretezza» stretto dalle industrie chimiche europee e americane per occultare la cancerogenicità del cloruro di vinile monomero (Cvm). Anche (ma non solo) per questa mancata prova il processo per i morti e il disastro ambientale provocati dal petrolchimico di Porto Marghera era finito con l'assoluzione di tutti gli imputati. Il patto del silenzio torna nel processo d'appello e, questa volta, carta canta. Le carte sono una dozzina di documenti con la dicitura «strettamente confidenziale» scoperti navigando in internet da Gianfranco Bettin e Maurizio Dianese (vedi intervista) e pubblicati in appendice al loro Petrolkiller, edito da Feltrinelli nel 2002. Repubblica, con il solito vizietto di non citare la fonte, li ha ri-scoperti ieri. Dopo che il pm Felice Casson ha «prodotto» i chemical papers tra le nuove prove per ottenere dalla corte la riapertura del dibattimento. L'accordo di segretezza verte sui risultati della ricerca commissionata nel 1972 dalla Montedison e da altre industrie europee all'oncologo Cesare Maltoni. I risultati confermano quel che un medico della Solvey di Rosignano, Luigi Viola, aveva già capito e comunicato in congressi internazionali: il Cvm causa il cancro. Montedison, Ici, Solvay e Rhone Poulain comunicano gli esiti della ricerca alle colleghe statunitensi (tra cui Dow Chemical e Union Carbide) che fanno capo alla Manufactoring Chemists Association. Chiedono e ottengono che la notizia resti top secret. «A proposito delle informazioni rivelate a personale della nostra azienda rigurdanti la ricerca europea sul cloruro di vinile monomero... noi assicuriamo che terremo queste informazioni nel più stretto riserbo all'interno della nostra azienda», recita la lettera d'impegno sottoscritta dalle aziende americane nel novembre del `72. «In base a questo accordo, i membri del nostro gruppo di lavoro sono gli unici autorizzati a maneggiare le informazioni sugli studi europei», scrive nell'ottobre del `72 l'Mca al gruppo tecnico che coordina le ricerche sul Cvm. «Chi riceve questo memorandum deve ricordare che, in base a un accordo con il gruppo europeo, dobbiamo esarcitare ogni sforzo per fare in modo che queste informazioni restino all'interno della nostra compagnia», scrive alla fine del `72 il consulente tossicologo ai vertici dell'Allied Chemical Corporation. Il tema Cvm è così scottante che negli incontri, pur tra gente «fidata», è proibito prendere appunti. Dai papers risulta che Montedison non vuole che la faccenda Cvm venga a conoscenza del Niosh (l'Istituto nazionale per la sicurezza professionale e la salute). Le colleghe americane, invece, coinvolgono il Niosh ma quest'ultimo, o per insipienza o per connivenza, non realizza la drammaticità degli effetti del Cvm. Oltre alla consegna del silenzio, le aziende si mettono d'accordo sul comunicato stampa «tipo» da diffondere nel caso la bomba Cvm diventi di pubblico dominio. Insomma, una vera e propria cosca mafiosa. Il rilievo processuale dei chemical papers sta oltre che nei contenuti nelle date. Smentiscono la versione di comodo accampata dalle aziende (e dalla Montedison al processo) secondo cui solo nel `74 i casi di tumore al fegato alla Goodrich di Louisville fecero aprire gli occhi sulla pericolosità del Cvm (piccolo particolare: la Goodrich due anni prima aveva sottoscritto il patto). Nuove perizie sull'inquinamento delle acque della laguna e ulteriori studi sulla mortalità e i rischi connessi all'esposizione al Cvm sono gli altri elementi di prova portati dall'accusa per riaprire il dibattimento. Casson, che nel processo d'appello affianca i pg Bruni e Fortuna, ha consegnato alla corte i risultati delle indagini svolte tra il 2002 e il 2003 dal Magistrato delle acque sui canali della «penisola chimica» di Marghera. Sono state misurate le concentrazioni di sostanze riconducibili al ciclo del cloro e il Cvm è «saltato fuori» in concentrazioni superiori alla norma. L'accusa chiede di acquisire le fotografie delle aree del Petrolchimico scattate tra gli anni `40 e `60. Dimostrerebbero che gli impianti del Petrolchimico sono sorti su terre emerse e destinate a uso agricolo. Non su fanghi e terra di riporto prelevata dagli insediamenti industriali di inizio 900 e quindi già inquinata, come ha sostenuto la difesa e convenuto la sentenza di primo grado. INTERVISTA Ecco da dove spuntano quelle carte Dianese racconta la storia dei documenti segreti Montedison PAOLO ANDRUCCIOLI Maurizio Dianese è un giornalista, autore di libri-inchiesta sulla mafia e lo stragismo. In un suo lavoro recente si è occupato anche di Montedison e della storia del processo per le morti da tumore a Porto Marghera. Pubblicato da Feltrinelli nel novembre del 2002, Petrolkiller, scritto con Gianfranco Bettin, (recensito da Gabriele Polo sul manifesto del 20 novembre 2002) racconta proprio la vera storia dei documenti segreti, confidential, delle aziende chimiche multinazionali sulle sostanze tumorali e racconta anche, in particolare, la storia del documento secretato dal «patto tra le multinazionali della chimica», che ora il giudice Casson chiede di acquisire per riaprire il processo. Allora Dianese, si riparla del documento segreto che nel vostro libro viene pubblicato e commentato sulle ricerche del professor Maltoni. Come lo avete scoperto e che cosa ti ha mosso? La nostra ricerca è partita il giorno dopo la sentenza di primo grado del 2 novembre 2001, che ha assolto tutti gli imputati del processo di Porto Marghera. Mi aveva incuriosito il riferimento di Casson a un patto segreto tra le aziende chimiche sulla non divulgazione delle scoperte di Maltoni sulle sostanza cancerogene. Il tribunale respinse quel riferimento. Noi ci siamo messi a cercare i documenti su quel patto. E dove li avete trovati, visto che neppure la magistratura italiana e la Guardia di Finanza, a quel tempo avevano potuto avere riscontri? Il ragionamento è stato abbastanza semplice. Siccome mentre in Italia partiva il processo per le morti a Porto Marghera dovuto alla battaglia di un ex operaio Montedison, negli Usa fioccavano varie cause civili di vedove e madri di persone morte a causa delle sostanze cancerogene, abbiamo pensato di ripartire dagli Usa per cercare i documenti sul Cvm (il clorulo di vinile monomero). Abbiamo così trovato 20 mila documenti e 50 mila carteggi. Tra tutti questi documenti c'era anche il documento che impegna individualmente le società americane a non rivelare le scoperte di Maltoni, il medico che era stato incaricato dalla Montedison di studiare gli effetti del Cvm e che aveva scoperto la tossicità cancerogena e lo aveva poi scritto anche in un documento rivolto all'azienda del novembre del 1972. E' un testo, quello americano, datato 14 novembre 1972. Perché è così importante quel documento che attesterebbe il «patto» tra le multinazionali chimiche? Solo nel 1974 è stato stabilito, a livello mondiale, che il Cvm è effettivamente cancerogeno. Infatti da allora sono state ridotte le parti per milione usate nelle varie produzioni (da 250 parti per milione si è passati a 5). Ma in Italia il dottor Maltoni aveva scoperto già due anni prima la tossicità mortale del prodotto chimico. Lo aveva comunicato telefonicamente all'azienda nell'estate del '72. E poi lo ha scritto nel documento di novembre. Quel documento è stato però bloccato e secretato, mentre in quegli anni, tra il 1972 e il 74 centinaia di persone continuavano a morire. La conferma che ci fu un «patto del silenzio» tra le multinazionali potrebbe riaprire parecchie cose. Si tratta di capire se Casson ha trovato anche altre «prove». MARGHERA La città dice no GUGLIELMO RAGOZZINO «La sentenza del tribunale - ha detto il procuratore generale di Venezia, Ennio Fortuna - è da rispettare, anche da ammirare, ma la città ha mostrato di non condividerla». Allora si tratta di convincere la città, una città con la testa dura. «Mancano completamente le condizioni per un giudizio allo stato degli atti, mancano le prove» ma andiamo avanti lo stesso, perdiamo altro tempo, buttiamo in mare altri soldi della giustizia. «Occorre percorrere qualunque via per dimostrare di aver fatto tutto il possibile per prendere una decisione. Sarà un percorso lungo, doloroso, ma anche ineludibile. I giudici sbagliano, ma non inventano, e anche se sbagliano non lo possono fare se non dopo aver scavato fino in fondo». Quest'ultima osservazione del procuratore generale è assai importante e va presa alla lettera. Occorre scavare, scavare fino in fondo, dragare la laguna, cercare sottoterra, misurare il cloro presente nelle acque (ora che si può farlo). Occorre rileggere le memorie di trenta anni fa, a partire dagli studi di Cesare Maltoni, cercando di coglierne i suggerimenti: il pericolo di sottovalutare le piccole dosi di esposizioni ripetute per un largo numero di soggetti, il pericolo di trascurare la durata nel tempo delle esposizioni; il pericolo di «aggredire il ricercatore» come se fosse inviato dal concorrente industriale e non una persona che cerca di capire e di rimediare ai danni della chimica. Una persona che non si limita a fare il conto dei morti, ma li piange come fossero fratelli o figli e si dispera per non aver saputo salvarli in tempo. Cesare Maltoni, che morì il 22 gennaio del 2001, durante il processo di primo grado. Occorre mettere sottosopra gli archivi. Forse perfino la Filcea, glorioso sindacato dei lavoratori chimici, ha qualche traccia scritta dell'accordo tra le società chimiche mondiali che producevano e lavoravano il cloruro di vinile monomero e si erano reciprocamente impegnate a negare tutto, a sostenersi di fronte agli stati e ai tribunali, evitando conseguenze dannose per tutti. E'documentato che Montedison chiedeva tempo e solidarietà ai cosiddetti concorrenti - ma sarebbe più giusto dire complici - per eliminare le conseguenze letali dei processi e dei prodotti solo nel momento in cui l'intera industria fosse pronta. E solo - si badi - per andare incontro agli scrupoli di certi sedicenti scienziati e alla cattiva stampa che essi riuscivano a suscitare nei confronti della chimica, piena di meriti e ingiustamente vituperata. Sì, la città non «condivide» la sentenza chimica del tribunale. Meglio starla a sentire, questa volta.
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