marghera il patto chimico-mafioso



da il manifesto
18 maggio 2004

Il patto chimico-mafioso

Processo Marghera: il Cvm uccide, le aziende sapevano e misero il top
secret. Casson: riaprire il caso

MANUELA CARTOSIO

Una tesi «suggestiva», ma non suffragata da prove. Così i giudici di primo
grado avevano liquidato il «patto di segretezza» stretto dalle industrie
chimiche europee e americane per occultare la cancerogenicità del cloruro di
vinile monomero (Cvm). Anche (ma non solo) per questa mancata prova il
processo per i morti e il disastro ambientale provocati dal petrolchimico di
Porto Marghera era finito con l'assoluzione di tutti gli imputati. Il patto
del silenzio torna nel processo d'appello e, questa volta, carta canta. Le
carte sono una dozzina di documenti con la dicitura «strettamente
confidenziale» scoperti navigando in internet da Gianfranco Bettin e
Maurizio Dianese (vedi intervista) e pubblicati in appendice al loro
Petrolkiller, edito da Feltrinelli nel 2002. Repubblica, con il solito
vizietto di non citare la fonte, li ha ri-scoperti ieri. Dopo che il pm
Felice Casson ha «prodotto» i chemical papers tra le nuove prove per
ottenere dalla corte la riapertura del dibattimento. L'accordo di segretezza
verte sui risultati della ricerca commissionata nel 1972 dalla Montedison e
da altre industrie europee all'oncologo Cesare Maltoni. I risultati
confermano quel che un medico della Solvey di Rosignano, Luigi Viola, aveva
già capito e comunicato in congressi internazionali: il Cvm causa il cancro.
Montedison, Ici, Solvay e Rhone Poulain comunicano gli esiti della ricerca
alle colleghe statunitensi (tra cui Dow Chemical e Union Carbide) che fanno
capo alla Manufactoring Chemists Association. Chiedono e ottengono che la
notizia resti top secret. «A proposito delle informazioni rivelate a
personale della nostra azienda rigurdanti la ricerca europea sul cloruro di
vinile monomero... noi assicuriamo che terremo queste informazioni nel più
stretto riserbo all'interno della nostra azienda», recita la lettera
d'impegno sottoscritta dalle aziende americane nel novembre del `72. «In
base a questo accordo, i membri del nostro gruppo di lavoro sono gli unici
autorizzati a maneggiare le informazioni sugli studi europei», scrive
nell'ottobre del `72 l'Mca al gruppo tecnico che coordina le ricerche sul
Cvm.

«Chi riceve questo memorandum deve ricordare che, in base a un accordo con
il gruppo europeo, dobbiamo esarcitare ogni sforzo per fare in modo che
queste informazioni restino all'interno della nostra compagnia», scrive alla
fine del `72 il consulente tossicologo ai vertici dell'Allied Chemical
Corporation. Il tema Cvm è così scottante che negli incontri, pur tra gente
«fidata», è proibito prendere appunti. Dai papers risulta che Montedison non
vuole che la faccenda Cvm venga a conoscenza del Niosh (l'Istituto nazionale
per la sicurezza professionale e la salute). Le colleghe americane, invece,
coinvolgono il Niosh ma quest'ultimo, o per insipienza o per connivenza, non
realizza la drammaticità degli effetti del Cvm. Oltre alla consegna del
silenzio, le aziende si mettono d'accordo sul comunicato stampa «tipo» da
diffondere nel caso la bomba Cvm diventi di pubblico dominio.

Insomma, una vera e propria cosca mafiosa. Il rilievo processuale dei
chemical papers sta oltre che nei contenuti nelle date. Smentiscono la
versione di comodo accampata dalle aziende (e dalla Montedison al processo)
secondo cui solo nel `74 i casi di tumore al fegato alla Goodrich di
Louisville fecero aprire gli occhi sulla pericolosità del Cvm (piccolo
particolare: la Goodrich due anni prima aveva sottoscritto il patto).

Nuove perizie sull'inquinamento delle acque della laguna e ulteriori studi
sulla mortalità e i rischi connessi all'esposizione al Cvm sono gli altri
elementi di prova portati dall'accusa per riaprire il dibattimento. Casson,
che nel processo d'appello affianca i pg Bruni e Fortuna, ha consegnato alla
corte i risultati delle indagini svolte tra il 2002 e il 2003 dal Magistrato
delle acque sui canali della «penisola chimica» di Marghera. Sono state
misurate le concentrazioni di sostanze riconducibili al ciclo del cloro e il
Cvm è «saltato fuori» in concentrazioni superiori alla norma. L'accusa
chiede di acquisire le fotografie delle aree del Petrolchimico scattate tra
gli anni `40 e `60. Dimostrerebbero che gli impianti del Petrolchimico sono
sorti su terre emerse e destinate a uso agricolo. Non su fanghi e terra di
riporto prelevata dagli insediamenti industriali di inizio 900 e quindi già
inquinata, come ha sostenuto la difesa e convenuto la sentenza di primo
grado.

INTERVISTA
Ecco da dove spuntano quelle carte
Dianese racconta la storia dei documenti segreti Montedison

PAOLO ANDRUCCIOLI

Maurizio Dianese è un giornalista, autore di libri-inchiesta sulla mafia e
lo stragismo. In un suo lavoro recente si è occupato anche di Montedison e
della storia del processo per le morti da tumore a Porto Marghera.
Pubblicato da Feltrinelli nel novembre del 2002, Petrolkiller, scritto con
Gianfranco Bettin, (recensito da Gabriele Polo sul manifesto del 20 novembre
2002) racconta proprio la vera storia dei documenti segreti, confidential,
delle aziende chimiche multinazionali sulle sostanze tumorali e racconta
anche, in particolare, la storia del documento secretato dal «patto tra le
multinazionali della chimica», che ora il giudice Casson chiede di acquisire
per riaprire il processo.

Allora Dianese, si riparla del documento segreto che nel vostro libro viene
pubblicato e commentato sulle ricerche del professor Maltoni. Come lo avete
scoperto e che cosa ti ha mosso?

La nostra ricerca è partita il giorno dopo la sentenza di primo grado del 2
novembre 2001, che ha assolto tutti gli imputati del processo di Porto
Marghera. Mi aveva incuriosito il riferimento di Casson a un patto segreto
tra le aziende chimiche sulla non divulgazione delle scoperte di Maltoni
sulle sostanza cancerogene. Il tribunale respinse quel riferimento. Noi ci
siamo messi a cercare i documenti su quel patto.

E dove li avete trovati, visto che neppure la magistratura italiana e la
Guardia di Finanza, a quel tempo avevano potuto avere riscontri?

Il ragionamento è stato abbastanza semplice. Siccome mentre in Italia
partiva il processo per le morti a Porto Marghera dovuto alla battaglia di
un ex operaio Montedison, negli Usa fioccavano varie cause civili di vedove
e madri di persone morte a causa delle sostanze cancerogene, abbiamo pensato
di ripartire dagli Usa per cercare i documenti sul Cvm (il clorulo di vinile
monomero). Abbiamo così trovato 20 mila documenti e 50 mila carteggi. Tra
tutti questi documenti c'era anche il documento che impegna individualmente
le società americane a non rivelare le scoperte di Maltoni, il medico che
era stato incaricato dalla Montedison di studiare gli effetti del Cvm e che
aveva scoperto la tossicità cancerogena e lo aveva poi scritto anche in un
documento rivolto all'azienda del novembre del 1972. E' un testo, quello
americano, datato 14 novembre 1972.

Perché è così importante quel documento che attesterebbe il «patto» tra le
multinazionali chimiche?

Solo nel 1974 è stato stabilito, a livello mondiale, che il Cvm è
effettivamente cancerogeno. Infatti da allora sono state ridotte le parti
per milione usate nelle varie produzioni (da 250 parti per milione si è
passati a 5). Ma in Italia il dottor Maltoni aveva scoperto già due anni
prima la tossicità mortale del prodotto chimico. Lo aveva comunicato
telefonicamente all'azienda nell'estate del '72. E poi lo ha scritto nel
documento di novembre. Quel documento è stato però bloccato e secretato,
mentre in quegli anni, tra il 1972 e il 74 centinaia di persone continuavano
a morire. La conferma che ci fu un «patto del silenzio» tra le
multinazionali potrebbe riaprire parecchie cose. Si tratta di capire se
Casson ha trovato anche altre «prove».

MARGHERA

La città dice no

GUGLIELMO RAGOZZINO

«La sentenza del tribunale - ha detto il procuratore generale di Venezia,
Ennio Fortuna - è da rispettare, anche da ammirare, ma la città ha mostrato
di non condividerla». Allora si tratta di convincere la città, una città con
la testa dura. «Mancano completamente le condizioni per un giudizio allo
stato degli atti, mancano le prove» ma andiamo avanti lo stesso, perdiamo
altro tempo, buttiamo in mare altri soldi della giustizia. «Occorre
percorrere qualunque via per dimostrare di aver fatto tutto il possibile per
prendere una decisione. Sarà un percorso lungo, doloroso, ma anche
ineludibile. I giudici sbagliano, ma non inventano, e anche se sbagliano non
lo possono fare se non dopo aver scavato fino in fondo». Quest'ultima
osservazione del procuratore generale è assai importante e va presa alla
lettera. Occorre scavare, scavare fino in fondo, dragare la laguna, cercare
sottoterra, misurare il cloro presente nelle acque (ora che si può farlo).
Occorre rileggere le memorie di trenta anni fa, a partire dagli studi di
Cesare Maltoni, cercando di coglierne i suggerimenti: il pericolo di
sottovalutare le piccole dosi di esposizioni ripetute per un largo numero di
soggetti, il pericolo di trascurare la durata nel tempo delle esposizioni;
il pericolo di «aggredire il ricercatore» come se fosse inviato dal
concorrente industriale e non una persona che cerca di capire e di rimediare
ai danni della chimica. Una persona che non si limita a fare il conto dei
morti, ma li piange come fossero fratelli o figli e si dispera per non aver
saputo salvarli in tempo. Cesare Maltoni, che morì il 22 gennaio del 2001,
durante il processo di primo grado.

Occorre mettere sottosopra gli archivi. Forse perfino la Filcea, glorioso
sindacato dei lavoratori chimici, ha qualche traccia scritta dell'accordo
tra le società chimiche mondiali che producevano e lavoravano il cloruro di
vinile monomero e si erano reciprocamente impegnate a negare tutto, a
sostenersi di fronte agli stati e ai tribunali, evitando conseguenze dannose
per tutti. E'documentato che Montedison chiedeva tempo e solidarietà ai
cosiddetti concorrenti - ma sarebbe più giusto dire complici - per eliminare
le conseguenze letali dei processi e dei prodotti solo nel momento in cui
l'intera industria fosse pronta. E solo - si badi - per andare incontro agli
scrupoli di certi sedicenti scienziati e alla cattiva stampa che essi
riuscivano a suscitare nei confronti della chimica, piena di meriti e
ingiustamente vituperata.

Sì, la città non «condivide» la sentenza chimica del tribunale. Meglio
starla a sentire, questa volta.