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la prossima fine del petrolio a basso costo
- Subject: la prossima fine del petrolio a basso costo
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Sat, 24 Apr 2004 06:59:47 +0200
da cunegonda.org martedi 16 marzo 2004 La prossima fine del petrolio a basso costo Sin dai primordi della storia umana, il raggiungimento di un maggior benessere materiale si è accompagnato ad un incremento nell'uso di energia. Al giorno d'oggi l'uomo ha bisogno di energia meccanica per i macchinari agricoli, per quelli industriali, e per i trasporti, di energia termica per scaldarsi, per cucinare e per gli usi industriali, nonché, in misura minore, di energia elettrica per l'illuminazione e per l'elaborazione dell' informazione. In effetti, il prodotto interno lordo (PIL) di una nazione, che pur non costituendo una buona quantificazione dell'effettivo livello di benessere di un popolo è, per definizione, una misura del livello di produzione di beni e servizi, risulta estremamente ben correlato con i consumi di energia. Ciò è vero sia quando si consideri un medesimo paese in diverse epoche storiche, sia quando si confrontino nazioni differenti. Mentre fino al 1800 la principale fonte di energia era costituita dalle biomasse e dalla forza muscolare animale ed umana, l'inizio della rivoluzione industriale ha segnato l'affermazione dell'uso delle fonti di energia di origine fossile. In particolare, il carbon fossile è stata la fonte energetica che ha alimentato le macchine a vapore che hanno costituito il motore della rivoluzione industriale. Il secolo appena trascorso ha successivamente visto un progressivo aumento dell'importanza del petrolio come fonte energetica, fino a fargli superare per importanza il carbone, grazie alle sue doti di maggiore facilità di estrazione, di più facile trasportabilità e di maggior quantità di energia fornita per unità di massa di combustibile. Centrale in questo spostamento di paradigma è stato il motore a combustione interna, che ha rivoluzionato il modo di intendere la mobilità di persone e merci. Oggi, il petrolio fornisce il 35% dei consumi mondiali di energia, contro il 23% del carbone e il 21% del gas naturale. Questa quota è inferiore rispetto a quella del 45% che si aveva nel 1973, al tempo del primo choc petrolifero, in quanto nel frattempo si è avuto un aumento delle quote di gas naturale e nucleare. Tuttavia, in termini assoluti si consuma più petrolio oggi che nel 1973, a causa del fatto che nel frattempo i consumi energetici mondiali sono aumentati del 66%. Più rilevante ancora è il fatto che il petrolio fornisce il 95% dell'energia utilizzata per i trasporti, il che equivale a dire che questo settore è completamente dipendente dal petrolio. Non va poi sottovalutato il fatto che anche la moderna agricoltura intensiva è pesantemente dipendente dal petrolio, sia per il funzionamento dei macchinari e per l'irrigazione che per la produzione di fertilizzanti e pesticidi. Quando si parla della questione delle riserve mondiali di petrolio, la tesi corrente è che le riserve note dureranno altri 40 anni ai livelli di consumo attuali, e che gli sviluppi della tecnologia saranno in grado di prolungare ulteriormente tale durata. Di solito, viene anche aggiunto che in passato è già accaduto che venissero sollevati allarmi riguardo a un possibile esaurimento del petrolio, allarmi poi rivelatisi senza fondamento. Il punto che qui vogliamo affrontare non è però quello dell'ammontare delle riserve, pur essendo questo un elemento importante per il nostro ragionamento. Vogliamo invece chiederci quanti barili di petrolio al giorno saremo in grado di estrarre nel prossimo futuro, cioè quale potrà essere l' evoluzione dell'offerta di petrolio, e fino a quando essa sarà in grado di soddisfare una domanda in costante crescita. Nel 1956 M. King Hubbert, un geologo statunitense, predisse, sulla base di un semplice modello statistico da lui elaborato, che la produzione giornaliera di petrolio degli USA (escluso l'Alaska) avrebbe raggiunto un picco nel 1969, per poi diminuire. All'epoca, con una produzione in costante crescita, questa predizione fu ritenuta stravagante e inattendibile. Tuttavia, la produzione petrolifera statunitense raggiunse effettivamente il suo massimo nel 1970, un solo anno dopo quanto predetto da Hubbert, per poi declinare inesorabilmente. Il modello di Hubbert si basa sulla considerazione che per attingere alle risorse petrolifere presenti in un dato territorio occorrono investimenti in capitale, che hanno sia un costo che dei tempi non trascurabili di messa in opera. Questi investimenti quindi verranno effettuati soltanto via via che si rivelino necessari ed economicamente convenienti. Per fare un esempio, il capitale necessario per attingere ai giacimenti meno redditizi verrà messo in opera solo quando la produzione dei giacimenti migliori inizi a declinare. Il risultato di queste dinamiche è che la capacità produttiva di una data regione, cioè il numero di barili al giorno che possono essere estratti, ha un comportamento nel tempo caratterizzato da un aumento iniziale e un successivo decremento. Questa forma "a campana" presenta un massimo che si verifica quando all'incirca metà delle risorse complessive della regione considerata sono state sfruttate. Negli ultimi anni l'importanza del modello di Hubbert per predire l' evoluzione della produzione petrolifera a livello mondiale ha attirato un interesse sempre maggiore, grazie soprattutto a un gruppo di studiosi riuniti nell'"Association for the Study of Peak Oil" (ASPO) . I ricercatori in questione, alcuni dei quali sono geologi con decenni di esperienza nel settore petrolifero, hanno effettuato una valutazione il più possibile accurata delle riserve di petrolio esistenti sul pianeta. Questa valutazione non è affatto semplice, visto che molti dati non sono pubblicamente disponibili, o vengono alterati per ragioni economiche e politiche. Le conclusioni raggiunte, che sono state pubblicate su riviste scientifiche di indubbio prestigio come Scientific American e Nature , dicono che il mondo è ormai molto vicino ad aver consumato metà delle riserve di petrolio esistenti, e che il famoso picco di capacità produttiva si verificherà intorno al 2010 o al 2015. Per il gas naturale si prevede un analogo picco una decina d'anni più tardi. Ciò che accadrà quando il picco verrà superato, e l'offerta di petrolio non sarà più in grado di soddisfare una domanda in costante ascesa, è che i prezzi inizieranno ad aumentare bruscamente. È prevedibile dunque che il petrolio a basso costo, che è stato alla base dell'elevato livello di ricchezza materiale raggiunto da una parte dell'umanità nel corso del XX secolo, tra una decina d'anni non sarà più disponibile. A questa affermazione, che risulta di primo acchito difficile da accettare, gli scettici replicano con una illimitata fiducia nei progressi tecnologici, che certamente consentiranno di scoprire nuovi grandi giacimenti. Eppure, questa fiducia, così radicata in tutti coloro che sono cresciuti in un mondo in cui la tecnologia è in grado di raggiungere obiettivi impensati solo pochi decenni prima, è in questo caso mal riposta. I ricercatori hanno mostrato, ed è confermato anche da grandi compagnie petrolifere come la Exxon , che i ritrovamenti di nuovi giacimenti hanno raggiunto un picco negli anni '60, e sono da allora in costante calo. Dal 1980, l'estrazione di petrolio avviene a un ritmo più elevato del suo ritrovamento, e oggi viene trovato un solo nuovo barile per ogni cinque che vengono estratti. Ciò si verifica nonostante i notevolissimi progressi registrati nel campo delle tecnologie per la ricerca dei giacimenti e per il loro sfruttamento. Oggi si riesce a trivellare pozzi anche in mare ad elevate profondità, ma ciononostante i nuovi ritrovamenti sono in calo, e anzi il fatto stesso che si cerchino giacimenti in condizioni così difficili è una conferma delle tesi appena esposte. A queste considerazioni va poi aggiunto che gran parte del petrolio ancora esistente sul pianeta si trova in Medio Oriente. Man mano che passa il tempo, e altre aree del globo raggiungono il loro picco produttivo e iniziano a diminuire la produzione, il ruolo chiave del Medio Oriente nell' approvvigionamento petrolifero, e quindi l'importanza di quest'area in termini geopolitici, si fa sempre più rilevante. Si può anzi affermare che lo scenario qui delineato fornisce una chiave interpretativa molto chiara per parecchi dei recenti eventi geopolitici. Volendo schematizzare la situazione in poche parole, la prossima fine del petrolio e del gas a basso costo, l'improponibilità del carbone per i suoi inaccettabili costi ambientali e il limitato sviluppo delle fonti rinnovabili, uniti ai rischi connessi ad un uso massiccio della fissione nucleare, e alla lontananza temporale della realizzazione della fusione, sono tutti fattori che puntano alla necessità di arrestare e possibilmente invertire la crescita dei consumi energetici. Paradossalmente, va osservato che la relativa scarsità degli idrocarburi potrebbe rivelarsi la salvezza del genere umano, costituendo una limitazione forzosa delle emissioni di gas-serra e delle conseguenti modificazioni del clima. Ma una reale riduzione dei consumi non può essere attuata solo aumentando l' efficienza con cui si usa l'energia, perché gli aumenti di efficienza sono comunque condizionati da ben precisi limiti termodinamici. Occorre quindi agire sulle cause stesse che sono alla base del continuo aumento dei consumi, e attuare una fuoriuscita dal paradigma economico corrente, che vede nella crescita continua della produzione di beni e servizi una condizione essenziale per lo sviluppo del genere umano. D'altra parte, vista la stretta correlazione esistente tra consumi energetici e ricchezza materiale, questo cambiamento ha come inevitabile corollario la necessità di instaurare adeguate politiche redistributive a livello planetario. In mancanza di un approccio di questo tipo, la cui implementazione va iniziata senza ulteriori ritardi, non è difficile prevedere che l' approssimarsi del picco della produzione mondiale di petrolio sarà all' origine di una sempre maggiore instabilità internazionale, che sfocerà in nuove guerre per il controllo delle risorse rimanenti. In quei paesi che non vorranno, o non potranno, cimentarsi in questi conflitti, il forte aumento del prezzo dei combustibili sarà all'origine di scontri sociali di portata mai vista prima, e potrebbe anche causare una brusca riduzione della produzione agricola. Non è esagerato sostenere che, se non si inizia da subito a correre ai ripari, la fine del petrolio a basso costo potrebbe essere la causa scatenante di un collasso delle società industrialmente avanzate. Per approfondimenti sul tema del picco del petrolio, si veda anche: Ugo Bardi, La fine del petrolio, Editori Riuniti, 2003. [Emilio Martines, ricercatore CNR, Redazione Cunegonda Italia]
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