la prossima fine del petrolio a basso costo



da cunegonda.org
martedi 16 marzo 2004


La prossima fine del petrolio a basso costo

Sin dai primordi della storia umana, il raggiungimento di un maggior
benessere materiale si è accompagnato ad un incremento nell'uso di energia.
Al giorno d'oggi l'uomo ha bisogno di energia meccanica per i macchinari
agricoli, per quelli industriali, e per i trasporti, di energia termica per
scaldarsi, per cucinare e per gli usi industriali, nonché, in misura minore,
di energia elettrica per l'illuminazione e per l'elaborazione dell'
informazione.

In effetti, il prodotto interno lordo (PIL) di una nazione, che pur non
costituendo una buona quantificazione dell'effettivo livello di benessere di
un popolo è, per definizione, una misura del livello di produzione di beni e
servizi, risulta estremamente ben correlato con i consumi di energia. Ciò è
vero sia quando si consideri un medesimo paese in diverse epoche storiche,
sia quando si confrontino nazioni differenti.

Mentre fino al 1800 la principale fonte di energia era costituita dalle
biomasse e dalla forza muscolare animale ed umana, l'inizio della
rivoluzione industriale ha segnato l'affermazione dell'uso delle fonti di
energia di origine fossile. In particolare, il carbon fossile è stata la
fonte energetica che ha alimentato le macchine a vapore che hanno costituito
il motore della rivoluzione industriale.

Il secolo appena trascorso ha successivamente visto un progressivo aumento
dell'importanza del petrolio come fonte energetica, fino a fargli superare
per importanza il carbone, grazie alle sue doti di maggiore facilità di
estrazione, di più facile trasportabilità e di maggior quantità di energia
fornita per unità di massa di combustibile. Centrale in questo spostamento
di paradigma è stato il motore a combustione interna, che ha rivoluzionato
il modo di intendere la mobilità di persone e merci.

Oggi, il petrolio fornisce il 35% dei consumi mondiali di energia, contro il
23% del carbone e il 21% del gas naturale. Questa quota è inferiore rispetto
a quella del 45% che si aveva nel 1973, al tempo del primo choc petrolifero,
in quanto nel frattempo si è avuto un aumento delle quote di gas naturale e
nucleare. Tuttavia, in termini assoluti si consuma più petrolio oggi che nel
1973, a causa del fatto che nel frattempo i consumi energetici mondiali sono
aumentati del 66%.

Più rilevante ancora è il fatto che il petrolio fornisce il 95% dell'energia
utilizzata per i trasporti, il che equivale a dire che questo settore è
completamente dipendente dal petrolio. Non va poi sottovalutato il fatto che
anche la moderna agricoltura intensiva è pesantemente dipendente dal
petrolio, sia per il funzionamento dei macchinari e per l'irrigazione che
per la produzione di fertilizzanti e pesticidi.

Quando si parla della questione delle riserve mondiali di petrolio, la tesi
corrente è che le riserve note dureranno altri 40 anni ai livelli di consumo
attuali, e che gli sviluppi della tecnologia saranno in grado di prolungare
ulteriormente tale durata. Di solito, viene anche aggiunto che in passato è
già accaduto che venissero sollevati allarmi riguardo a un possibile
esaurimento del petrolio, allarmi poi rivelatisi senza fondamento.

Il punto che qui vogliamo affrontare non è però quello dell'ammontare delle
riserve, pur essendo questo un elemento importante per il nostro
ragionamento. Vogliamo invece chiederci quanti barili di petrolio al giorno
saremo in grado di estrarre nel prossimo futuro, cioè quale potrà essere l'
evoluzione dell'offerta di petrolio, e fino a quando essa sarà in grado di
soddisfare una domanda in costante crescita.

Nel 1956 M. King Hubbert, un geologo statunitense, predisse, sulla base di
un semplice modello statistico da lui elaborato, che la produzione
giornaliera di petrolio degli USA (escluso l'Alaska) avrebbe raggiunto un
picco nel 1969, per poi diminuire. All'epoca, con una produzione in costante
crescita, questa predizione fu ritenuta stravagante e inattendibile.
Tuttavia, la produzione petrolifera statunitense raggiunse effettivamente il
suo massimo nel 1970, un solo anno dopo quanto predetto da Hubbert, per poi
declinare inesorabilmente.

Il modello di Hubbert si basa sulla considerazione che per attingere alle
risorse petrolifere presenti in un dato territorio occorrono investimenti in
capitale, che hanno sia un costo che dei tempi non trascurabili di messa in
opera. Questi investimenti quindi verranno effettuati soltanto via via che
si rivelino necessari ed economicamente convenienti. Per fare un esempio, il
capitale necessario per attingere ai giacimenti meno redditizi verrà messo
in opera solo quando la produzione dei giacimenti migliori inizi a
declinare. Il risultato di queste dinamiche è che la capacità produttiva di
una data regione, cioè il numero di barili al giorno che possono essere
estratti, ha un comportamento nel tempo caratterizzato da un aumento
iniziale e un successivo decremento. Questa forma "a campana" presenta un
massimo che si verifica quando all'incirca metà delle risorse complessive
della regione considerata sono state sfruttate.

Negli ultimi anni l'importanza del modello di Hubbert per predire l'
evoluzione della produzione petrolifera a livello mondiale ha attirato un
interesse sempre maggiore, grazie soprattutto a un gruppo di studiosi
riuniti nell'"Association for the Study of Peak Oil" (ASPO) . I ricercatori
in questione, alcuni dei quali sono geologi con decenni di esperienza nel
settore petrolifero, hanno effettuato una valutazione il più possibile
accurata delle riserve di petrolio esistenti sul pianeta. Questa valutazione
non è affatto semplice, visto che molti dati non sono pubblicamente
disponibili, o vengono alterati per ragioni economiche e politiche.

Le conclusioni raggiunte, che sono state pubblicate su riviste scientifiche
di indubbio prestigio come Scientific American e Nature , dicono che il
mondo è ormai molto vicino ad aver consumato metà delle riserve di petrolio
esistenti, e che il famoso picco di capacità produttiva si verificherà
intorno al 2010 o al 2015. Per il gas naturale si prevede un analogo picco
una decina d'anni più tardi.

Ciò che accadrà quando il picco verrà superato, e l'offerta di petrolio non
sarà più in grado di soddisfare una domanda in costante ascesa, è che i
prezzi inizieranno ad aumentare bruscamente. È prevedibile dunque che il
petrolio a basso costo, che è stato alla base dell'elevato livello di
ricchezza materiale raggiunto da una parte dell'umanità nel corso del XX
secolo, tra una decina d'anni non sarà più disponibile.

A questa affermazione, che risulta di primo acchito difficile da accettare,
gli scettici replicano con una illimitata fiducia nei progressi tecnologici,
che certamente consentiranno di scoprire nuovi grandi giacimenti. Eppure,
questa fiducia, così radicata in tutti coloro che sono cresciuti in un mondo
in cui la tecnologia è in grado di raggiungere obiettivi impensati solo
pochi decenni prima, è in questo caso mal riposta. I ricercatori hanno
mostrato, ed è confermato anche da grandi compagnie petrolifere come la
Exxon , che i ritrovamenti di nuovi giacimenti hanno raggiunto un picco
negli anni '60, e sono da allora in costante calo. Dal 1980, l'estrazione di
petrolio avviene a un ritmo più elevato del suo ritrovamento, e oggi viene
trovato un solo nuovo barile per ogni cinque che vengono estratti. Ciò si
verifica nonostante i notevolissimi progressi registrati nel campo delle
tecnologie per la ricerca dei giacimenti e per il loro sfruttamento. Oggi si
riesce a trivellare pozzi anche in mare ad elevate profondità, ma
ciononostante i nuovi ritrovamenti sono in calo, e anzi il fatto stesso che
si cerchino giacimenti in condizioni così difficili è una conferma delle
tesi appena esposte.

A queste considerazioni va poi aggiunto che gran parte del petrolio ancora
esistente sul pianeta si trova in Medio Oriente. Man mano che passa il
tempo, e altre aree del globo raggiungono il loro picco produttivo e
iniziano a diminuire la produzione, il ruolo chiave del Medio Oriente nell'
approvvigionamento petrolifero, e quindi l'importanza di quest'area in
termini geopolitici, si fa sempre più rilevante. Si può anzi affermare che
lo scenario qui delineato fornisce una chiave interpretativa molto chiara
per parecchi dei recenti eventi geopolitici.

Volendo schematizzare la situazione in poche parole, la prossima fine del
petrolio e del gas a basso costo, l'improponibilità del carbone per i suoi
inaccettabili costi ambientali e il limitato sviluppo delle fonti
rinnovabili, uniti ai rischi connessi ad un uso massiccio della fissione
nucleare, e alla lontananza temporale della realizzazione della fusione,
sono tutti fattori che puntano alla necessità di arrestare e possibilmente
invertire la crescita dei consumi energetici. Paradossalmente, va osservato
che la relativa scarsità degli idrocarburi potrebbe rivelarsi la salvezza
del genere umano, costituendo una limitazione forzosa delle emissioni di
gas-serra e delle conseguenti modificazioni del clima.

Ma una reale riduzione dei consumi non può essere attuata solo aumentando l'
efficienza con cui si usa l'energia, perché gli aumenti di efficienza sono
comunque condizionati da ben precisi limiti termodinamici. Occorre quindi
agire sulle cause stesse che sono alla base del continuo aumento dei
consumi, e attuare una fuoriuscita dal paradigma economico corrente, che
vede nella crescita continua della produzione di beni e servizi una
condizione essenziale per lo sviluppo del genere umano. D'altra parte, vista
la stretta correlazione esistente tra consumi energetici e ricchezza
materiale, questo cambiamento ha come inevitabile corollario la necessità di
instaurare adeguate politiche redistributive a livello planetario.

In mancanza di un approccio di questo tipo, la cui implementazione va
iniziata senza ulteriori ritardi, non è difficile prevedere che l'
approssimarsi del picco della produzione mondiale di petrolio sarà all'
origine di una sempre maggiore instabilità internazionale, che sfocerà in
nuove guerre per il controllo delle risorse rimanenti. In quei paesi che non
vorranno, o non potranno, cimentarsi in questi conflitti, il forte aumento
del prezzo dei combustibili sarà all'origine di scontri sociali di portata
mai vista prima, e potrebbe anche causare una brusca riduzione della
produzione agricola. Non è esagerato sostenere che, se non si inizia da
subito a correre ai ripari, la fine del petrolio a basso costo potrebbe
essere la causa scatenante di un collasso delle società industrialmente
avanzate.

Per approfondimenti sul tema del picco del petrolio, si veda anche: Ugo
Bardi, La fine del petrolio, Editori Riuniti, 2003.

[Emilio Martines, ricercatore CNR, Redazione Cunegonda Italia]