sobrietà e benessere



da cunegonda.info
giovedi 25 marzo 2004

Sobrietà. Una scelta per il benessere
 Spesso, di fronte alla parola "sobrietà", la prima associazione mentale è
quella della riproposizione di un neopauperismo anacoretico, dove la
rinuncia e il sacrificio consapevole divengono atti di autolimitazione, una
sorta di nemesi assolutoria nei confronti di uno stile di vita consumistico
che diventa sistemicamente insostenibile. Ma "sobrietà" non significa avere
di meno, sobrietà significa piuttosto rivoluzionare positivamente la nostra
esistenza liberandola dai vincoli del materiale per raggiungere un grado
reale di benessere, per noi e per il mondo che ci circonda.

In una società consumistica e mercantile riappropriarsi del concetto di
sobrietà significa comprendere che il benessere non si raggiunge attraverso
il possesso e il consumo di cose, ma soprattutto attraverso le relazioni con
gli altri e con noi stessi, e tanto maggiore sarà la dimensione dello spazio
dedicato alle relazioni con gli altri, quanto maggiore sarà il tempo
liberato dalle cose o dalla preoccupazione dovuta alla gestione della nostra
sfera materiale.

Dalla sobrietà ovviamente non nasce soltanto una riflessione su come
migliorare i ritmi e la qualità della nostra esistenza, attualmente scandita
incessantemente dai cicli del consumismo, ma scaturisce anche una
suggestione sugli attuali e insostenibili livelli di consumo delle risorse
naturali. La sobrietà, infatti, se correttamente sostenuta a livello sociale
attraverso un nuovo approccio culturale e tradotta in indirizzi di politica
economica, rappresenterebbe una delle tante vie attraverso le quali sarebbe
possibile fondare le condizioni per uno sviluppo più etico e meno aggressivo
che comporterebbe anche un rapporto più equo nei confronti dei paesi del Sud
del mondo.

Sulla sobrietà come atto di liberazione possiamo leggere questo interessante
testo di Wolfgang Sachs del Wuppertal Institute, tratto dagli Atti del
convegno "Abitare il limite", svoltosi a Città di Castello nel 1998.

La riscoperta della sobrietà
Vorrei cominciare con un aneddoto dello scrittore Heinrich Böll. Egli narra
di un turista che incontra su una spiaggia un uomo in vestiti semplici,
sdraiato nella sua barca da pesca e sonnecchiante al sole. Tira fuori una
macchina fotografica e, mentre gli fa una fotografia, l'uomo si sveglia. Il
turista gli offre una sigaretta e si lancia in una conversazione dicendo:
"Ah, il tempo è bellissimo e c'è molto pesce da pescare. Perché lei non esce
e cerca di catturare più pesce?" Il pescatore risponde: "Perché ho già
pescato abbastanza questa mattina". "Però," dice il turista, "se vai fuori 4
volte al giorno puoi portare a casa pesce per tre, quattro volte di più. E
sai cosa succederà? Forse tra due o tre anni potrai comprarti una barca a
motore, un gran numero di lance, e forse, chi lo sa, un giorno avrai uno
stabilimento di surgelamento o per l'affumicamento e poi un elicottero per
rintracciare i banchi di pesce". "E allora?" chiede il pescatore. "E allora
poi", conclude il turista trionfante, "potrai sedere tranquillamente sulla
spiaggia sonnecchiando al sole e contemplando il bellissimo oceano". E il
pescatore gli risponde: "È proprio quello che stavo facendo prima che
arrivasse lei".

Questo piccolo aneddoto rappresenta la storia dello sviluppo, che consiste
nell'acquisire progressivamente l'abbondanza dei beni per poi arrivare
all'abbondanza del tempo libero. Se questo è l'obiettivo dello sviluppo,
cioè il raggiungimento dell'emancipazione e della maggiore libertà di tempo,
dobbiamo dire che le società di oggi non hanno raggiunto questo obiettivo.
Perché? Perché il ricco cerca di realizzare un paradosso: vuole arrivare
dove il povero è già. L'automobile, per esempio, faceva risparmiare tempo e
rappresentava la speranza della liberazione. Dove è finita questa speranza
se la gente che possiede una macchina non si muove meno rispetto a chi non
la possiede? I motorizzati non trascorrono meno tempo nel traffico rispetto
ai non motorizzati; infatti coprono distanze più lunghe, vanno più lontano,
scelgono destinazioni più lontane. In quanto il risparmio di tempo offerto
dal motore viene subito tradotto in un prolungamento delle distanze
geografiche. La stessa cosa si vede in Internet e nell'E-mail in cui si ha
un guadagno di tempo incredibile, che però viene subito tradotto nella
proliferazione di nuove possibilità, di nuovi impegni e di nuovi compiti.
Quello che vorrei dire è che il tempo risparmiato è sempre stato trasformato
in distanze più grandi, in maggiori produzioni, attività, nuovi appuntamenti
e così via. La nuova crescita divora le ore risparmiate e dopo un po' questa
espansione genera altra pressione, nuova accelerazione e in questo modo il
ciclo riprende. Quindi l'utopia dell'affluenza ha tagliato le gambe
all'utopia della liberazione. Questo perché le cose, oggi, non sono
semplicemente cose: l'automobile non è solo un veicolo per il trasporto ma è
anche un simbolo culturale, quindi gioca sulla nostra immaginazione e
diventa infinito, perché la nostra immaginazione è infinita. Possiamo sempre
dare nuova identità, colore, sentimento e significato alle cose, perché
l'immaginazione è il combustibile del progresso consumistico. Per questo
motivo noi siamo giunti alla saturazione. È possibile avere abbastanza, ma
questa possibilità di avere abbastanza è questionabile, è un'area
contestata. Oggi, infatti, non abbiamo più bisogno di un tetto, di cibo, e
così via; essi però assumono molti significati: ci sono tanti tetti e tanti
cibi nel mondo e possono essere ulteriormente differenziati per diventare
più sofisticati. Questa esplosione verso una società di tante opzioni rende
quindi difficile abitare il limite, anche se al tempo stesso si aprono nuove
possibilità per parlare di limite e per abitare il limite. Più cose ci sono
più importante diventa per noi relazionarci criticamente alle cose.

Vorrei tornare su un aspetto che ho già ribadito e cioè sul fatto che le
cose che abbiamo sono ladre di tempo. I beni che possediamo, infatti, devono
essere scelti, acquistati, installati, usati, sperimentati, conservati,
riparati, tenuti in buono stato, buttati via. ecc. e tutto questo costa
tempo. Anche i tanti appuntamenti che abbiamo devono essere cercati,
coordinati, concordati, inseriti nell'agenda, mantenuti, valutati, portati a
termine. Quindi le tante cose, le tante opzioni sono sempre un attacco al
nostro tempo che è sempre limitato, perché il giorno nel suo moto
conservatore ha sempre e solo 24 ore. Di conseguenza la dinamica della
società delle multi-opzioni ci mette in una trappola: nella trappola del
tempo. Infatti la scarsità del tempo è forse la nemesi dell'affluenza della
ricchezza; ma c'è un problema, perché uno non cerca di possedere meno per
diventare un uomo migliore, semmai per diventare un uomo più indipendente.
La cosa strana che succede è che oggi diventa una cosa di sopravvivenza
avere la capacità di dire di no, perché la libertà può essere soffocata in
due modi: dalla mancanza di opzioni, per esempio il non aver qualcosa da
mangiare; dall'eccesso di opzioni.

Nel primo caso la libertà viene minacciata dalla mancanza, nell'altro caso
dalla confusione. Nella società consumistica, dove tutto gira attorno alla
moltiplicazione delle opzioni, la nostra libertà sta sgretolandosi nei
confronti dello strapotere dell'offerta; siamo minacciati dalla confusione
del troppo. I conflitti della nostra società derivano dall'eccesso, non
dalla povertà e ci conducono ad una conseguenza: non sappiamo più volere.
Non sappiamo più a cosa dedicarci, perché la stra-offerta delle opzioni fa
si che diventi sempre più difficile orientarsi. Per esempio con Internet si
apre un universo infinito di possibilità che non opprimono la libertà, ma la
minano per la sovrabbondanza smisurata di scelte disponibili.

Voi tutti conoscete la grande distinzione di S. Agostino fra libertà da
qualcosa e libertà per qualcosa. Noi viviamo in una società che ha
massimizzato la libertà da qualcosa: dal villaggio, dalle costrizioni
sociali, dalla moglie ecc.; ma, allo stesso tempo, ci ha fatto cadere in una
nuova trappola perché "la libertà per" diventa sempre più difficile da
esprimere e da indirizzare. Quindi l'arte di saper scegliere mi sembra
essenziale nella nostra società, che richiede oggi più che mai la capacità
di dire di "no". Se tu vuoi essere qualcuno che vuole qualcosa devi
esercitare l'arte del "no". Sembra paradossale, ma in una società strapiena
di opzioni l'austerità diventa la base per la libertà. È questo il punto di
ingresso a tutto il mio discorso sulla sobrietà. La capacità di essere
frugale oggi nei confronti delle tante possibilità, è diventata una chiave
del nostro benessere, non solo per noi ma per tutti, per il pianeta. L'arte
del vivere richiede il senso della giusta misura, della moderazione,
altrimenti non c'è sopravvivenza nella società. Nell'era delle mille
opzioni, la capacità di mettere a fuoco le cose implica il potere di dire di
no e diventa l'ingrediente importante per una vita più ricca. L'austerità è
sotterraneamente collegata all'edonismo. Questo legame forse è più attuale
oggi nelle nostre società ricche, rispetto a un tempo in cui solo alcuni
erano ricchi. Un drammaturgo ungherese-austriaco, Ödon von Horvarth, ha
detto: "In realtà sono una persona diversa, solo che non trovo mai il tempo
di esserlo".

[Wofgang Sachs, Wuppertal Institute, dagli Atti del Convegno CEM/Mondialità
"Abitare il limite", 1998]

Le riflessioni di Sachs intendono proprio attirare l'attenzione su come la
sobrietà possa realizzarsi in ogni nostro atto, in ogni nostra relazione,
con gli oggetti e con le persone, svincolando il concetto di sobrietà dalle
possibili connotazioni ascetiche e/o masochistiche. Anzi, sobrietà diventa
nelle parole di Sachs quasi sinonimo di edonismo, cioè condizione essenziale
a partire dalla quale possiamo costruire un nuovo e più completo benessere.

Riprendendo una definizione di Ivan Illich (teologo e sociologo austriaco)
la sobrietà è la base per l'edificazione di una società "conviviale", dove
alle relazioni di mercato vengono sostituite le relazioni di coesistenza tra
gli individui. Sottrarre un ruolo primario alle cose, infatti, si traduce
necessariamente anche nel superamento del modello consumistico e nella
scoperta che il benessere non è dato dalla quantità delle cose che ci
circondano ma dalla quantità delle relazioni con gli altri.

La sobrietà di realizza anche attraverso una ridefinizione di quei bisogni
definiti come essenziali, o di quei bisogni che risultano invece indotti,
stratificati sotto l'imponente peso della propaganda ai consumi. E se
sobrietà significa ridurre l'entità del nostro super-io materiale, allora ne
deriva una necessaria nuova disponibilità ai consumi collettivi, altra
importante forma di recupero di una dimensione sociale meno individualistica
e più sostenibile.

La sobrietà non è quindi un concetto banale, ma rappresenta invece una vera
e propria scelta "eversiva", proprio perché la sobrietà comprende queste
importanti dimensioni culturali, antropologiche e politiche. Il cambiamento
deve partire dalla coscienza personale, deve essere prima di tutto una
scelta interiore, che poi si rende visibile nei comportamenti, nei gesti,
nelle pratiche sociali, negli stili di vita. Si tratterà spesso di piccoli
gesti che si inscrivono però in grandi orizzonti perché accompagnati da una
coscienza politica e dalla consapevolezza di prendere parte ad una strategia
di cambiamento.

[Gianni, Redazione Cunegonda Italia]