[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
sobrietà e benessere
- Subject: sobrietà e benessere
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Fri, 23 Apr 2004 06:54:35 +0200
da cunegonda.info giovedi 25 marzo 2004 Sobrietà. Una scelta per il benessere Spesso, di fronte alla parola "sobrietà", la prima associazione mentale è quella della riproposizione di un neopauperismo anacoretico, dove la rinuncia e il sacrificio consapevole divengono atti di autolimitazione, una sorta di nemesi assolutoria nei confronti di uno stile di vita consumistico che diventa sistemicamente insostenibile. Ma "sobrietà" non significa avere di meno, sobrietà significa piuttosto rivoluzionare positivamente la nostra esistenza liberandola dai vincoli del materiale per raggiungere un grado reale di benessere, per noi e per il mondo che ci circonda. In una società consumistica e mercantile riappropriarsi del concetto di sobrietà significa comprendere che il benessere non si raggiunge attraverso il possesso e il consumo di cose, ma soprattutto attraverso le relazioni con gli altri e con noi stessi, e tanto maggiore sarà la dimensione dello spazio dedicato alle relazioni con gli altri, quanto maggiore sarà il tempo liberato dalle cose o dalla preoccupazione dovuta alla gestione della nostra sfera materiale. Dalla sobrietà ovviamente non nasce soltanto una riflessione su come migliorare i ritmi e la qualità della nostra esistenza, attualmente scandita incessantemente dai cicli del consumismo, ma scaturisce anche una suggestione sugli attuali e insostenibili livelli di consumo delle risorse naturali. La sobrietà, infatti, se correttamente sostenuta a livello sociale attraverso un nuovo approccio culturale e tradotta in indirizzi di politica economica, rappresenterebbe una delle tante vie attraverso le quali sarebbe possibile fondare le condizioni per uno sviluppo più etico e meno aggressivo che comporterebbe anche un rapporto più equo nei confronti dei paesi del Sud del mondo. Sulla sobrietà come atto di liberazione possiamo leggere questo interessante testo di Wolfgang Sachs del Wuppertal Institute, tratto dagli Atti del convegno "Abitare il limite", svoltosi a Città di Castello nel 1998. La riscoperta della sobrietà Vorrei cominciare con un aneddoto dello scrittore Heinrich Böll. Egli narra di un turista che incontra su una spiaggia un uomo in vestiti semplici, sdraiato nella sua barca da pesca e sonnecchiante al sole. Tira fuori una macchina fotografica e, mentre gli fa una fotografia, l'uomo si sveglia. Il turista gli offre una sigaretta e si lancia in una conversazione dicendo: "Ah, il tempo è bellissimo e c'è molto pesce da pescare. Perché lei non esce e cerca di catturare più pesce?" Il pescatore risponde: "Perché ho già pescato abbastanza questa mattina". "Però," dice il turista, "se vai fuori 4 volte al giorno puoi portare a casa pesce per tre, quattro volte di più. E sai cosa succederà? Forse tra due o tre anni potrai comprarti una barca a motore, un gran numero di lance, e forse, chi lo sa, un giorno avrai uno stabilimento di surgelamento o per l'affumicamento e poi un elicottero per rintracciare i banchi di pesce". "E allora?" chiede il pescatore. "E allora poi", conclude il turista trionfante, "potrai sedere tranquillamente sulla spiaggia sonnecchiando al sole e contemplando il bellissimo oceano". E il pescatore gli risponde: "È proprio quello che stavo facendo prima che arrivasse lei". Questo piccolo aneddoto rappresenta la storia dello sviluppo, che consiste nell'acquisire progressivamente l'abbondanza dei beni per poi arrivare all'abbondanza del tempo libero. Se questo è l'obiettivo dello sviluppo, cioè il raggiungimento dell'emancipazione e della maggiore libertà di tempo, dobbiamo dire che le società di oggi non hanno raggiunto questo obiettivo. Perché? Perché il ricco cerca di realizzare un paradosso: vuole arrivare dove il povero è già. L'automobile, per esempio, faceva risparmiare tempo e rappresentava la speranza della liberazione. Dove è finita questa speranza se la gente che possiede una macchina non si muove meno rispetto a chi non la possiede? I motorizzati non trascorrono meno tempo nel traffico rispetto ai non motorizzati; infatti coprono distanze più lunghe, vanno più lontano, scelgono destinazioni più lontane. In quanto il risparmio di tempo offerto dal motore viene subito tradotto in un prolungamento delle distanze geografiche. La stessa cosa si vede in Internet e nell'E-mail in cui si ha un guadagno di tempo incredibile, che però viene subito tradotto nella proliferazione di nuove possibilità, di nuovi impegni e di nuovi compiti. Quello che vorrei dire è che il tempo risparmiato è sempre stato trasformato in distanze più grandi, in maggiori produzioni, attività, nuovi appuntamenti e così via. La nuova crescita divora le ore risparmiate e dopo un po' questa espansione genera altra pressione, nuova accelerazione e in questo modo il ciclo riprende. Quindi l'utopia dell'affluenza ha tagliato le gambe all'utopia della liberazione. Questo perché le cose, oggi, non sono semplicemente cose: l'automobile non è solo un veicolo per il trasporto ma è anche un simbolo culturale, quindi gioca sulla nostra immaginazione e diventa infinito, perché la nostra immaginazione è infinita. Possiamo sempre dare nuova identità, colore, sentimento e significato alle cose, perché l'immaginazione è il combustibile del progresso consumistico. Per questo motivo noi siamo giunti alla saturazione. È possibile avere abbastanza, ma questa possibilità di avere abbastanza è questionabile, è un'area contestata. Oggi, infatti, non abbiamo più bisogno di un tetto, di cibo, e così via; essi però assumono molti significati: ci sono tanti tetti e tanti cibi nel mondo e possono essere ulteriormente differenziati per diventare più sofisticati. Questa esplosione verso una società di tante opzioni rende quindi difficile abitare il limite, anche se al tempo stesso si aprono nuove possibilità per parlare di limite e per abitare il limite. Più cose ci sono più importante diventa per noi relazionarci criticamente alle cose. Vorrei tornare su un aspetto che ho già ribadito e cioè sul fatto che le cose che abbiamo sono ladre di tempo. I beni che possediamo, infatti, devono essere scelti, acquistati, installati, usati, sperimentati, conservati, riparati, tenuti in buono stato, buttati via. ecc. e tutto questo costa tempo. Anche i tanti appuntamenti che abbiamo devono essere cercati, coordinati, concordati, inseriti nell'agenda, mantenuti, valutati, portati a termine. Quindi le tante cose, le tante opzioni sono sempre un attacco al nostro tempo che è sempre limitato, perché il giorno nel suo moto conservatore ha sempre e solo 24 ore. Di conseguenza la dinamica della società delle multi-opzioni ci mette in una trappola: nella trappola del tempo. Infatti la scarsità del tempo è forse la nemesi dell'affluenza della ricchezza; ma c'è un problema, perché uno non cerca di possedere meno per diventare un uomo migliore, semmai per diventare un uomo più indipendente. La cosa strana che succede è che oggi diventa una cosa di sopravvivenza avere la capacità di dire di no, perché la libertà può essere soffocata in due modi: dalla mancanza di opzioni, per esempio il non aver qualcosa da mangiare; dall'eccesso di opzioni. Nel primo caso la libertà viene minacciata dalla mancanza, nell'altro caso dalla confusione. Nella società consumistica, dove tutto gira attorno alla moltiplicazione delle opzioni, la nostra libertà sta sgretolandosi nei confronti dello strapotere dell'offerta; siamo minacciati dalla confusione del troppo. I conflitti della nostra società derivano dall'eccesso, non dalla povertà e ci conducono ad una conseguenza: non sappiamo più volere. Non sappiamo più a cosa dedicarci, perché la stra-offerta delle opzioni fa si che diventi sempre più difficile orientarsi. Per esempio con Internet si apre un universo infinito di possibilità che non opprimono la libertà, ma la minano per la sovrabbondanza smisurata di scelte disponibili. Voi tutti conoscete la grande distinzione di S. Agostino fra libertà da qualcosa e libertà per qualcosa. Noi viviamo in una società che ha massimizzato la libertà da qualcosa: dal villaggio, dalle costrizioni sociali, dalla moglie ecc.; ma, allo stesso tempo, ci ha fatto cadere in una nuova trappola perché "la libertà per" diventa sempre più difficile da esprimere e da indirizzare. Quindi l'arte di saper scegliere mi sembra essenziale nella nostra società, che richiede oggi più che mai la capacità di dire di "no". Se tu vuoi essere qualcuno che vuole qualcosa devi esercitare l'arte del "no". Sembra paradossale, ma in una società strapiena di opzioni l'austerità diventa la base per la libertà. È questo il punto di ingresso a tutto il mio discorso sulla sobrietà. La capacità di essere frugale oggi nei confronti delle tante possibilità, è diventata una chiave del nostro benessere, non solo per noi ma per tutti, per il pianeta. L'arte del vivere richiede il senso della giusta misura, della moderazione, altrimenti non c'è sopravvivenza nella società. Nell'era delle mille opzioni, la capacità di mettere a fuoco le cose implica il potere di dire di no e diventa l'ingrediente importante per una vita più ricca. L'austerità è sotterraneamente collegata all'edonismo. Questo legame forse è più attuale oggi nelle nostre società ricche, rispetto a un tempo in cui solo alcuni erano ricchi. Un drammaturgo ungherese-austriaco, Ödon von Horvarth, ha detto: "In realtà sono una persona diversa, solo che non trovo mai il tempo di esserlo". [Wofgang Sachs, Wuppertal Institute, dagli Atti del Convegno CEM/Mondialità "Abitare il limite", 1998] Le riflessioni di Sachs intendono proprio attirare l'attenzione su come la sobrietà possa realizzarsi in ogni nostro atto, in ogni nostra relazione, con gli oggetti e con le persone, svincolando il concetto di sobrietà dalle possibili connotazioni ascetiche e/o masochistiche. Anzi, sobrietà diventa nelle parole di Sachs quasi sinonimo di edonismo, cioè condizione essenziale a partire dalla quale possiamo costruire un nuovo e più completo benessere. Riprendendo una definizione di Ivan Illich (teologo e sociologo austriaco) la sobrietà è la base per l'edificazione di una società "conviviale", dove alle relazioni di mercato vengono sostituite le relazioni di coesistenza tra gli individui. Sottrarre un ruolo primario alle cose, infatti, si traduce necessariamente anche nel superamento del modello consumistico e nella scoperta che il benessere non è dato dalla quantità delle cose che ci circondano ma dalla quantità delle relazioni con gli altri. La sobrietà di realizza anche attraverso una ridefinizione di quei bisogni definiti come essenziali, o di quei bisogni che risultano invece indotti, stratificati sotto l'imponente peso della propaganda ai consumi. E se sobrietà significa ridurre l'entità del nostro super-io materiale, allora ne deriva una necessaria nuova disponibilità ai consumi collettivi, altra importante forma di recupero di una dimensione sociale meno individualistica e più sostenibile. La sobrietà non è quindi un concetto banale, ma rappresenta invece una vera e propria scelta "eversiva", proprio perché la sobrietà comprende queste importanti dimensioni culturali, antropologiche e politiche. Il cambiamento deve partire dalla coscienza personale, deve essere prima di tutto una scelta interiore, che poi si rende visibile nei comportamenti, nei gesti, nelle pratiche sociali, negli stili di vita. Si tratterà spesso di piccoli gesti che si inscrivono però in grandi orizzonti perché accompagnati da una coscienza politica e dalla consapevolezza di prendere parte ad una strategia di cambiamento. [Gianni, Redazione Cunegonda Italia]
- Prev by Date: CEIS Roma - News n. 032 del 19/04/2004
- Next by Date: la prossima fine del petrolio a basso costo
- Previous by thread: CEIS Roma - News n. 032 del 19/04/2004
- Next by thread: la prossima fine del petrolio a basso costo
- Indice: