etica o lifting? 5 regole



da corriere.it

lunedi 19 gennaio 2003

Etica o lifting?

Alla finanza di massa servono cinque regole

La prima riguarda le banche d'affari, in pieno conflitto d'interesse. Le
altre i revisori, i collocatori, gli amministratori delegati e le società
off-shore

In questa pagina pubblichiamo l'intervento di Marco Vitale svolto il 15
gennaio scorso all'incontro con la stampa estera a Roma. Si tratta di un'
analisi che, prendendo le mosse dallo scandalo Parmalat, spiega i
cambiamenti avvenuti in Occidente con l'avvento della finanza di massa e
avanza cinque proposte per adeguare il sistema alle trasformazioni.

La catastrofe Parmalat, accanto all'analisi del caso specifico, suggerisce
anche riflessioni di più ampio respiro. A ciò può aiutarci anche la lettura
dell'interessante libro di Fareed Zakaria, americano di origine indiana,
attuale direttore dell'edizione internazionale di Neswsweek , dal titolo
«Democrazia senza libertà» ( The future of freedom ). Truffa internazionale

Sono stato uno dei primi, anzi il primo in Italia, a sottolineare che siamo
di fronte ad un caso di truffa fondamentalmente internazionale. La proprietà
di controllo era italiana ed italiani gli amministratori. Ma i revisori
erano americani, la società di rating era americana, la banca principale
era, da molti anni, americana, le principali banche che hanno curato la
maggior parte delle emissioni, dei collocamenti e delle acquisizioni erano
americane o internazionali, gli astuti devices legali-finanziari con i quali
sono state eluse tante regole, responsabilità, controlli, sono prodotti
tipici delle grandi banche d'investimento internazionali ed alcuni sono
fotocopie del caso Enron, i due terzi dei creditori ed investitori sono
americani o, comunque, internazionali.
Ho sottolineato questo aspetto non per diminuire od annacquare le gravissime
responsabilità degli amministratori e degli organi di vigilanza italiani, e
del sistema Italia nel suo insieme, ma per porre il caso nella corretta
prospettiva, indispensabile per favorire una utile riflessione.
Parmalat è un caso di proporzioni colossali (che non vanno assolutamente
minimizzate, come ho sentito fare da alcuni eminenti politici italiani),
forse, com'è stato scritto dalla stampa internazionale, è la più grande
truffa aziendale della storia; certamente lo è in termini di Pil (d'altra
parte da questa unione tra Wall Street e la fantasia italiana non poteva
nascere qualcosa di banale), ma non si tratta di un caso isolato. Si tratta,
piuttosto, della punta di un nuovo iceberg che segnala un sistema che non
funziona più. Esso va dunque inquadrato come un anello della lunga, troppo
lunga, catena di truffe e di fallimenti finanziari che hanno
contraddistinto, negli ultimi anni, il nostro sistema da una parte e
dall'altra dell'Atlantico, catena che non finirà certamente a Collecchio.
E' il momento di domandarsi seriamente perché questa catena è così lunga,
sempre più lunga, così come le persone e i leader responsabili si posero la
stessa domanda a cavallo degli Anni Trenta del secolo scorso. E da quella
domanda scaturirono le risposte che ressero per settant'anni ma che oggi non
reggono più. La caduta del livello delle responsabilità istituzionali,
personali, professionali, è la chiave di volta per capire tanti eventi
negativi e distruttivi, in tanti campi, compreso quello della finanza.
Qui Zakaria prende le mosse dall'acquisizione per fusione, nell'autunno del
2000, da parte della Chase di J.P. Morgan che, per l'analista, è emblematica
della grande svolta che stiamo vivendo. Morgan è stata la prima banca
d'America per gran parte del '900. Ancora nel 1990 la sua capitalizzazione
era la più elevata a Wall Street tra tutte le banche, dieci volte superiore
a quella di City Bank. Dieci anni più tardi, il valore di mercato di Morgan
si era ridotto ad un decimo di quello di Citicorp. La Morgan era sempre
stata molto selettiva. J. Pierpont Morgan spiegò al Congresso che la pietra
miliare del credito era «il carattere ... prima ancora del denaro, della
proprietà e di qualsiasi altra cosa. Un uomo di cui non mi fido non
riuscirebbe ad ottenere denaro da me neanche se potesse firmare tutte le
garanzie del mondo». Oggi pensare ad un dirigente bancario che segua questi
principi fa ridere. Si tratta di «archeologia bancaria» o, come ha scritto
il Times , di «un anacronismo in un mondo finanziario dominato dalla massa».
Quell'epoca è finita, quell'etica è scomparsa. E la nuova epoca è solo
all'inizio e non l'abbiamo ancora capita. Per questo, per ora, sappiamo solo
esprimere nostalgie per il passato. Oggi il sistema è di massa, come tutti
sappiamo, e negli ultimi trent'anni l'accelerazione verso la
spersonalizzazione, l'irresponsabilità, la deregolamentazione è stata
stupefacente. Oggi abbiamo capito che persino i junk bonds di Michael Milken
possono avere un'utile funzione in un mercato sempre più segmentato,
impersonale e che vuole offrire e vendere ogni cosa a chi la vuole comprare,
comprese le bufale ai gonzi. Anche questi pagano commissioni.
Dagli Anni Ottanta il mestiere principale delle grandi banche è di dividere
i grossi capitali in fettine sempre più piccole e di venderle a chiunque,
senza preoccuparsi troppo né della qualità del contenuto né dell'esito
finale dell'investimento. Questa evoluzione o involuzione ha portato ad un'
involuzione e deresponsabilizzazione di tutte le professioni interessate,
che un tempo non lontano erano il cardine del sistema. Nel libro «America
punto e a capo» ho descritto l'involuzione della professione dei public
accountants . Zakaria conferma questa lettura e l'allarga ad altre categorie
professionali, dai legali ai dirigenti bancari. Ma è inutile piangere sul
latte versato. Quello che doveva accadere è accaduto ed indietro non si
torna.
Ma, per andare avanti, bisogna avere il coraggio e la lucidità di prendere
atto che il sistema creato, in sostanza, negli Anni Trenta del '900, non è
più in grado di far fronte ai problemi di oggi e di domani, ai problemi di
un mondo dominato dalla massificazione e dove l'etica e
l'autoregolamentazione delle professioni sono per ora scomparse. E dunque
bisogna introdurre nuovi strumenti, cercare nuove risposte. Potremmo anche,
e so che parecchi sono tentati di ragionare così, mettere le vicende Enron e
Parmalat in conto, come normali incidenti di percorso. In fondo
statisticamente, se rapportate al Pil, non sono grosse cifre, come ha
sostenuto il governatore della Banca d'Italia. Ma poi, quando questi casi
avvengono, la ribellione dei colpiti e l'indignazione dell'opinione pubblica
sono tali da farci capire che, diventando troppo frequenti, questi casi
intaccano le fondamenta del sistema. Non possiamo convivere con casi come
Bcci, Baring, Enron, World Com, Bipop, Ahold, Parmalat, uno dopo l'altro.
Non possiamo o, forse non vogliamo.
E con l'allargamento...
La problematica è destinata a diventare ancor più importante man mano che i
Paesi dell'ex blocco sovietico entreranno nel giro con la loro vocazione ad
attingere dall'Occidente le pratiche finanziarie più spericolate e
pericolose. Abbiamo poco tempo a disposizione per evitare il peggio.
Il sistema americano ha reagito, tra mille indugi e incertezze, vincendo
anche la resistenza di un riluttante presidente Bush, introducendo qualche
correttivo, soprattutto alzando le sanzioni. Ma poco o nulla ha fatto per le
misure preventive, certamente le più difficili. I grandi nodi sono stati
solo sfiorati a causa della grande forza politica e lobbistica dei soggetti
interessati. Accennerò solo a cinque di essi, quelli che sembrano a me i
principali.

1. Rivedere profondamente la struttura delle banche d'affari e i loro
micidiali conflitti di interesse. Gli accordi transattivi che alcune di esse
hanno concluso con il procuratore di New York sono la prova provata della
fondatezza del tema. Ma i risarcimenti pattuiti, apparentemente elevati,
sono bruscolini se rapportati all'entità delle partite in gioco e ai danni
che tali soggetti hanno inflitto ai risparmiatori e al sistema. Le
modestissime misure prese per alleviare i conflitti di interesse sono aria
fritta. Il business va avanti as usual come prima e più di prima, come
alcuni, anche recentissimi, aspetti del caso Parmalat chiaramente
dimostrano. Non esiste possibilità che gli Usa mettano mano seriamente a
questo problema, perché per gli Usa, come sistema, questo non è un problema
ma uno strumento del loro dominio finanziario. Le banche di investimento
sono il sistema. L'Europa dovrebbe pensare a una propria linea diversa.

2. E' ormai conclamata l'incapacità delle grandi società di revisione di
svolgere la funzione che la collettività loro assegna. La mutazione dei
revisori è stata descritta dal Wall Street Journal del 14 marzo 2002 con
queste parole: «da custodi ad adulatori». Non si tratta prevalentemente di
casi di disonestà o collusioni (anche se queste non mancano), ma di un modo
formalistico di intendere il proprio compito, di quello che Arthur Andersen,
il Signor Arthur Andersen, negli Anni Trenta, chiamava «Compliance Audit»,
indicandolo ai suoi soci come il maggior pericolo per il futuro della
revisione. Il pericolo si è oggi concretizzato ed è diventato irreversibile.
L'oligopolio collusivo formato dalle 4 o 5 società di revisione americane è
ormai un pericolo per il sistema finanziario mondiale, proprio perché questo
continua a fidarsi di una cosa della quale non ci si può più fidare.
Differenza clamorosa
Guardiamo la differenza tra i dati di bilancio e i dati veri di Parmalat,
come risultano oggi, allo stato degli atti (vedi la tabella 1). Si tratta di
differenze incredibili. Pure attribuendo a «quelli di Collecchio» una
capacità diabolica di imbrogliare i revisori, che non sono analfabeti
sprovveduti, e sono lautamente pagati per fare proprio questo mestiere,
questi non possono farsi ingannare e sbagliare in questa misura. C'è un
limite alla possibilità di sbagliare. In tutti i mestieri. Oltre questo
limite vuol dire che si è inesistenti, inutili, da cancellare.
E se non inizia la ricerca certamente non si troverà nulla. Penso, a
semplice titolo di discussione, a temi di questo tipo: le società di
revisione devono svolgere solo ed esclusivamente attività di revisione in
senso stretto e rigoroso (senza tutti i trucchi ed i finti filtri oggi in
vigore).
Devono essere selezionate e proposte all'assemblea dei soci da parte del
consiglio di sorveglianza o del collegio sindacale, ai quali risponderanno
ponendosi come organo operativo degli stessi.
Rotazione
Devono ruotare obbligatoriamente ogni tre anni.
Devono avere una specifica responsabilità civile nei confronti del mercato
in caso di semplice negligenza professionale (salva la responsabilità penale
e personale dei singoli soci e manager in caso di dolo e collusione).
L'azione di responsabilità in caso di negligenza sarà esercitata dall'organo
di sorveglianza del mercato, anche per conto di tutti i risparmiatori
danneggiati che vorranno unirsi all'azione.
Probabilmente bisognerebbe fissare un plafond quantitativo in termini di
numero massimo di società quotate revisionabile da una singola società
(questo limite potrebbe favorire lo sviluppo di società professionali
europee di minori dimensioni, indispensabili per rompere il pericoloso
oligopolio collusivo delle quattro società americane dominanti il mercato;
per fare bene la revisione non è necessario essere grandi, è sufficiente
essere seri ed onesti). (...)
Non vi è nessuna prospettiva che ci si muova in questa direzione negli Stati
Uniti d'America. Vi è una remota possibilità che qualcosa in questa
direzione possa nascere in Europa. Chi dovrebbe avere interesse a promuovere
e sostenere, sul piano politico, un'evoluzione in questa direzione?
L'industria e soprattutto la media impresa; i fondi di investimento; le
banche serie.

3. Accentuare la responsabilità civile per negligenza delle banche e degli
altri intermediari finanziari che curano l'emissione ed il collocamento dei
titoli. Le società di fondi e le merchant bank che ho presieduto dal 1989 ad
oggi non hanno mai investito una lira nel gruppo Parmalat. L'intera
industria dei fondi italiani ha in portafoglio pochissimi titoli Parmalat.
Perché? Perché non era difficile capire che il gruppo non era trasparente e
perché, pur sulla base dei dati falsi di bilancio, l'andamento negativo di
Parmalat e certe sue vistose anomalie di bilancio erano evidenti, come
dimostra la tabella 2, basata sui dati di bilancio ufficiali, i bilanci
falsi, quelli che gli analisti esaminavano.
Come può, sulla base di questi dati, l'analista di Citicorp raccomandare il
«buy» nel novembre 2003? Ce lo deve spiegare bene, ma molto bene.
Grillo pensante
Conosco numerose banche e istituzioni finanziari italiane che la
pericolosità di Parmalat l'avevano capita bene e in tempo e per questo sono
totalmente fuori dall' affaire . Non è un caso che l'industria dei fondi
italiani sia così poco investita in Parmalat. Credo che quello che da anni
fa aveva capito Beppe Grillo poteva essere capito da molti altri, a ciò
deputati per mestiere. Per questo è molto triste la difesa che le
istituzioni italiane preposte al sistema hanno, sino ad ora, fatto
rigettando ogni responsabilità e quindi cercando di impedire anche ogni
serena e costruttiva riflessione critica.
Allora dobbiamo domandarci: perché questa responsabilità non è stata
esercitata? Semplicemente perché questo esercizio di responsabilità non è
più richiesto. Il gioco si svolge secondo altre regole. Le cose vanno più o
meno così. La dirigenza dell'istituto si chiede: le commissioni dell'
operazione sono interessanti? Esistono bilanci in qualche modo certificati
accettabili? Esiste un qualche rating ? Esiste il parere legale che lo
schema dell'operazione è formalmente legale? Se la risposta a queste domande
è positiva si va avanti. E tutto il resto (profili soggettivi, poste di
bilancio anomale, struttura del Gruppo inutilmente complessa ed oscura,
governance inaccettabile e simili) non interessa più nessuno. Ritorniamo
così al tema generale sopra illustrato, di un modo meccanicistico,
impersonale, deresponsabilizzante di esercitare i propri compiti
professionali.
Questo è il nuovo modo di lavorare e sperare di cambiarlo con gli appelli
all'etica è illusorio. Io sono moralmente certo che, nel caso Parmalat, vi
siano stati casi di collusione e corruzione: ma questa è l'area d'indagine
dei magistrati. Non credo però che questo sia il caso per la maggioranza
degli operatori e delle operazioni; né posso credere che la maggioranza
degli operatori finanziari, bancari e professionali coinvolti fosse incapace
di intendere e di volere. Allora la risposta non può trovarsi che nel nuovo
modo di lavorare proprio della finanza di massa che ho cercato di
descrivere.
In altre direzioni
Ma indietro non si torna ed allora i meccanismi di difesa vanno cercati in
altre direzioni. Penso che la direzione maestra vada ricercata in un'elevata
e aggravata responsabilità civile per negligenza. Se è vero ed è giusto,
alla luce della delicata funzione che svolge, che la Banca d'Inghilterra
abbia uno statuto che esclude ogni responsabilità per semplice «negligenza»,
una banca commerciale ordinaria deve avere, per legge, un'esplicita piena e
forte responsabilità civile per semplice negligenza. Ciò aiuterà a mantenere
se non la fiducia almeno un minimo di affidamento dai risparmiatori. Ma
porterà anche a un miglioramento nell'esercizio della responsabilità
manageriale.
L'onere di questa responsabilità civile sarà, per le grandi banche,
normalmente abbastanza modesto: se il buco Parmalat fosse di 10 miliardi di
euro (ma penso che, alla fine, sarà di 5-6 miliardi) e venisse totalmente
coperto da una delle grandi banche internazionali del Gruppo, ciò
determinerebbe, per esempio, per Citicorp un onere pari solo a circa il 60%
dei profitti annuali prima delle imposte, ed al 95% nel caso della Bank of
America. Dunque in poco più di sei mesi nel primo caso, ed in quasi un anno,
nel secondo la perdita sarebbe assorbita. Un onere modesto per la banca ma
con effetti significativi sui bonus e altri compensi dei dirigenti. Ciò
dovrebbe presumibilmente aumentare attenzione e responsabilizzazione.
Se tutto, compresa la responsabilità, nei nostri tempi è commercializzabile,
dobbiamo cercare di migliorare i comportamenti con gli unici meccanismi che
gli uomini del nostro tempo capiscono: toccandoli nelle tasche. Naturalmente
questa responsabilità va segmentata. Sarà massima nei confronti del piccolo
investitore istituzionale, ridotta o al limite negata per gli investitori
istituzionali che dovrebbero avere un'autonoma capacità di analisi e sono
dunque, a loro volta, portatori di responsabilità.

4. Altro grande tema è quello dello strapotere del Ceo che copre insieme la
carica di presidente e consigliere delegato. Anche questo è un tema che è
stato ampiamente dibattuto in America, dopo i casi Enron e Worldcom, ma
nulla di serio è emerso né ha alcuna possibilità di emergere. Il caso
Parmalat dimostra, una volta di più, la criticità di questo tema, come avevo
ampiamente analizzato in «America punto e a capo», al quale rinvio. Anche
qui l'Europa o anche singolarmente il nostro Paese potrebbe imporre, per
legge, la soluzione della distinzione dei due ruoli, già diffusa nei Regno
Unito, così come potrebbe imporre, per legge, alcune delle buone pratiche di
governance messe a punto nei vari codici di comportamento, rispettati
formalmente anche da Parmalat, ma violati sostanzialmente.
Forse, se venissero imposti e sanzionati per legge, nell'ambito della nuova
legge sulle società, questi codici di comportamento potrebbero essere di
qualche utilità, se non altro togliendo alibi a molti professionisti dei
consigli di amministrazione e dei collegi sindacali.

5. L'uso e l'abuso delle società off shore non ha alcuna giustificazione e
funzionalità se non quella di aiutare i truffatori attuali o potenziali.
Anche qui non possiamo attendere nulla dagli Stati Uniti. La mia proposta è
che l'Italia, così duramente colpita del caso Parmalat, si metta in testa al
gruppo ed elabori una precisa proposta in base al quale nessun gruppo con
sede in Italia possa emettere titoli attraverso veicoli off-shore o,
comunque, attraverso Paesi che non assicurino un'adeguata funzione di
controllo dei mercati finanziari.
Scala generale
Queste sono le principali questioni che possono, almeno in parte, adattare
il sistema alle nuove esigenze su scala generale. Poi, in Italia, abbiamo
alcuni problemi tipicamente nostri, come quello di riportare il trattamento
legale del falso in bilancio a un livello di decenza, quella di riordinare
e, nel caso, rafforzare i poteri e le responsabilità di Consob, altri organi
di vigilanza, antitrust, Banca d'Italia.
In questo contesto di riordino, la nuova collocazione della Banca d'Italia,
ferma la sua indipendenza, va ripensata profondamente, alla luce del nuovo
assetto nazionale ed europeo, che l'ha proiettata verso compiti più ridotti,
anche se importanti, rispetto a quelli cui era abituata. Poiché, poi, sono
inevitabili scosse telluriche in certi terminali bancari, il sistema deve
decidere. O segue il sistema giapponese di annacquare e diluire tutto e, in
questo caso, si arriverà a nuove improvvide fusioni bancarie o si lascerà
via libera al rafforzamento di nuovi soci europei disposti ad assicurare una
nuova responsabilità e conduzione imprenditoriale e manageriale. Il secondo,
purtroppo contrastato dal governatore della Banca d'Italia, è lo sviluppo
più utile al Paese.
Credo anche importante introdurre subito una forma di class action , di
azione collettiva, a favore degli investitori.
Quelle descritte, sia generali che nostre specifiche, sono alcune delle
misure che possono aiutare a puntellare il sistema.
Un lavoro impegnativo
Ma molti altri temi vanno messi a fuoco ed approfonditi in un approccio
multidisciplinare molto approfondito. Il lavoro che ci attende è difficile e
impegnativo, e richiede un profondo sforzo di pensiero. Il sistema che ha
preso corpo nei duri Anni Trenta e che, bene o male, con continui
aggiustamenti, ci ha servito, abbastanza bene, per settant'anni è andato in
frantumi.
Il nuovo mondo sarà profondamente diverso. Nella sua costruzione anche la
ricerca di un'etica adatta ai nostri tempi - i tempi della finanza di massa
e della commercializzazione di tutto e di tutti - riemergerà. Perché un
sistema non può vivere di sole regole. Così come, sia nell'ambito degli
istituti finanziari che professionali, bisognerà rifondare una ben
diversamente appropriata formazione. Ma perché dal travaglio dei tempi
nascano una nuova etica e una nuova formazione, ci vorranno molto tempo,
molti sforzi, molti talenti, molta sofferenza, molte voci. E soprattutto
molta verità.
Per riportare il mostro creativo del capitalismo, che ancora una volta è
uscito dagli argini, in un alveo dove possa scorrere senza fare troppo male.