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etica o lifting? 5 regole
- Subject: etica o lifting? 5 regole
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Tue, 3 Feb 2004 06:54:58 +0100
da corriere.it lunedi 19 gennaio 2003 Etica o lifting? Alla finanza di massa servono cinque regole La prima riguarda le banche d'affari, in pieno conflitto d'interesse. Le altre i revisori, i collocatori, gli amministratori delegati e le società off-shore In questa pagina pubblichiamo l'intervento di Marco Vitale svolto il 15 gennaio scorso all'incontro con la stampa estera a Roma. Si tratta di un' analisi che, prendendo le mosse dallo scandalo Parmalat, spiega i cambiamenti avvenuti in Occidente con l'avvento della finanza di massa e avanza cinque proposte per adeguare il sistema alle trasformazioni. La catastrofe Parmalat, accanto all'analisi del caso specifico, suggerisce anche riflessioni di più ampio respiro. A ciò può aiutarci anche la lettura dell'interessante libro di Fareed Zakaria, americano di origine indiana, attuale direttore dell'edizione internazionale di Neswsweek , dal titolo «Democrazia senza libertà» ( The future of freedom ). Truffa internazionale Sono stato uno dei primi, anzi il primo in Italia, a sottolineare che siamo di fronte ad un caso di truffa fondamentalmente internazionale. La proprietà di controllo era italiana ed italiani gli amministratori. Ma i revisori erano americani, la società di rating era americana, la banca principale era, da molti anni, americana, le principali banche che hanno curato la maggior parte delle emissioni, dei collocamenti e delle acquisizioni erano americane o internazionali, gli astuti devices legali-finanziari con i quali sono state eluse tante regole, responsabilità, controlli, sono prodotti tipici delle grandi banche d'investimento internazionali ed alcuni sono fotocopie del caso Enron, i due terzi dei creditori ed investitori sono americani o, comunque, internazionali. Ho sottolineato questo aspetto non per diminuire od annacquare le gravissime responsabilità degli amministratori e degli organi di vigilanza italiani, e del sistema Italia nel suo insieme, ma per porre il caso nella corretta prospettiva, indispensabile per favorire una utile riflessione. Parmalat è un caso di proporzioni colossali (che non vanno assolutamente minimizzate, come ho sentito fare da alcuni eminenti politici italiani), forse, com'è stato scritto dalla stampa internazionale, è la più grande truffa aziendale della storia; certamente lo è in termini di Pil (d'altra parte da questa unione tra Wall Street e la fantasia italiana non poteva nascere qualcosa di banale), ma non si tratta di un caso isolato. Si tratta, piuttosto, della punta di un nuovo iceberg che segnala un sistema che non funziona più. Esso va dunque inquadrato come un anello della lunga, troppo lunga, catena di truffe e di fallimenti finanziari che hanno contraddistinto, negli ultimi anni, il nostro sistema da una parte e dall'altra dell'Atlantico, catena che non finirà certamente a Collecchio. E' il momento di domandarsi seriamente perché questa catena è così lunga, sempre più lunga, così come le persone e i leader responsabili si posero la stessa domanda a cavallo degli Anni Trenta del secolo scorso. E da quella domanda scaturirono le risposte che ressero per settant'anni ma che oggi non reggono più. La caduta del livello delle responsabilità istituzionali, personali, professionali, è la chiave di volta per capire tanti eventi negativi e distruttivi, in tanti campi, compreso quello della finanza. Qui Zakaria prende le mosse dall'acquisizione per fusione, nell'autunno del 2000, da parte della Chase di J.P. Morgan che, per l'analista, è emblematica della grande svolta che stiamo vivendo. Morgan è stata la prima banca d'America per gran parte del '900. Ancora nel 1990 la sua capitalizzazione era la più elevata a Wall Street tra tutte le banche, dieci volte superiore a quella di City Bank. Dieci anni più tardi, il valore di mercato di Morgan si era ridotto ad un decimo di quello di Citicorp. La Morgan era sempre stata molto selettiva. J. Pierpont Morgan spiegò al Congresso che la pietra miliare del credito era «il carattere ... prima ancora del denaro, della proprietà e di qualsiasi altra cosa. Un uomo di cui non mi fido non riuscirebbe ad ottenere denaro da me neanche se potesse firmare tutte le garanzie del mondo». Oggi pensare ad un dirigente bancario che segua questi principi fa ridere. Si tratta di «archeologia bancaria» o, come ha scritto il Times , di «un anacronismo in un mondo finanziario dominato dalla massa». Quell'epoca è finita, quell'etica è scomparsa. E la nuova epoca è solo all'inizio e non l'abbiamo ancora capita. Per questo, per ora, sappiamo solo esprimere nostalgie per il passato. Oggi il sistema è di massa, come tutti sappiamo, e negli ultimi trent'anni l'accelerazione verso la spersonalizzazione, l'irresponsabilità, la deregolamentazione è stata stupefacente. Oggi abbiamo capito che persino i junk bonds di Michael Milken possono avere un'utile funzione in un mercato sempre più segmentato, impersonale e che vuole offrire e vendere ogni cosa a chi la vuole comprare, comprese le bufale ai gonzi. Anche questi pagano commissioni. Dagli Anni Ottanta il mestiere principale delle grandi banche è di dividere i grossi capitali in fettine sempre più piccole e di venderle a chiunque, senza preoccuparsi troppo né della qualità del contenuto né dell'esito finale dell'investimento. Questa evoluzione o involuzione ha portato ad un' involuzione e deresponsabilizzazione di tutte le professioni interessate, che un tempo non lontano erano il cardine del sistema. Nel libro «America punto e a capo» ho descritto l'involuzione della professione dei public accountants . Zakaria conferma questa lettura e l'allarga ad altre categorie professionali, dai legali ai dirigenti bancari. Ma è inutile piangere sul latte versato. Quello che doveva accadere è accaduto ed indietro non si torna. Ma, per andare avanti, bisogna avere il coraggio e la lucidità di prendere atto che il sistema creato, in sostanza, negli Anni Trenta del '900, non è più in grado di far fronte ai problemi di oggi e di domani, ai problemi di un mondo dominato dalla massificazione e dove l'etica e l'autoregolamentazione delle professioni sono per ora scomparse. E dunque bisogna introdurre nuovi strumenti, cercare nuove risposte. Potremmo anche, e so che parecchi sono tentati di ragionare così, mettere le vicende Enron e Parmalat in conto, come normali incidenti di percorso. In fondo statisticamente, se rapportate al Pil, non sono grosse cifre, come ha sostenuto il governatore della Banca d'Italia. Ma poi, quando questi casi avvengono, la ribellione dei colpiti e l'indignazione dell'opinione pubblica sono tali da farci capire che, diventando troppo frequenti, questi casi intaccano le fondamenta del sistema. Non possiamo convivere con casi come Bcci, Baring, Enron, World Com, Bipop, Ahold, Parmalat, uno dopo l'altro. Non possiamo o, forse non vogliamo. E con l'allargamento... La problematica è destinata a diventare ancor più importante man mano che i Paesi dell'ex blocco sovietico entreranno nel giro con la loro vocazione ad attingere dall'Occidente le pratiche finanziarie più spericolate e pericolose. Abbiamo poco tempo a disposizione per evitare il peggio. Il sistema americano ha reagito, tra mille indugi e incertezze, vincendo anche la resistenza di un riluttante presidente Bush, introducendo qualche correttivo, soprattutto alzando le sanzioni. Ma poco o nulla ha fatto per le misure preventive, certamente le più difficili. I grandi nodi sono stati solo sfiorati a causa della grande forza politica e lobbistica dei soggetti interessati. Accennerò solo a cinque di essi, quelli che sembrano a me i principali. 1. Rivedere profondamente la struttura delle banche d'affari e i loro micidiali conflitti di interesse. Gli accordi transattivi che alcune di esse hanno concluso con il procuratore di New York sono la prova provata della fondatezza del tema. Ma i risarcimenti pattuiti, apparentemente elevati, sono bruscolini se rapportati all'entità delle partite in gioco e ai danni che tali soggetti hanno inflitto ai risparmiatori e al sistema. Le modestissime misure prese per alleviare i conflitti di interesse sono aria fritta. Il business va avanti as usual come prima e più di prima, come alcuni, anche recentissimi, aspetti del caso Parmalat chiaramente dimostrano. Non esiste possibilità che gli Usa mettano mano seriamente a questo problema, perché per gli Usa, come sistema, questo non è un problema ma uno strumento del loro dominio finanziario. Le banche di investimento sono il sistema. L'Europa dovrebbe pensare a una propria linea diversa. 2. E' ormai conclamata l'incapacità delle grandi società di revisione di svolgere la funzione che la collettività loro assegna. La mutazione dei revisori è stata descritta dal Wall Street Journal del 14 marzo 2002 con queste parole: «da custodi ad adulatori». Non si tratta prevalentemente di casi di disonestà o collusioni (anche se queste non mancano), ma di un modo formalistico di intendere il proprio compito, di quello che Arthur Andersen, il Signor Arthur Andersen, negli Anni Trenta, chiamava «Compliance Audit», indicandolo ai suoi soci come il maggior pericolo per il futuro della revisione. Il pericolo si è oggi concretizzato ed è diventato irreversibile. L'oligopolio collusivo formato dalle 4 o 5 società di revisione americane è ormai un pericolo per il sistema finanziario mondiale, proprio perché questo continua a fidarsi di una cosa della quale non ci si può più fidare. Differenza clamorosa Guardiamo la differenza tra i dati di bilancio e i dati veri di Parmalat, come risultano oggi, allo stato degli atti (vedi la tabella 1). Si tratta di differenze incredibili. Pure attribuendo a «quelli di Collecchio» una capacità diabolica di imbrogliare i revisori, che non sono analfabeti sprovveduti, e sono lautamente pagati per fare proprio questo mestiere, questi non possono farsi ingannare e sbagliare in questa misura. C'è un limite alla possibilità di sbagliare. In tutti i mestieri. Oltre questo limite vuol dire che si è inesistenti, inutili, da cancellare. E se non inizia la ricerca certamente non si troverà nulla. Penso, a semplice titolo di discussione, a temi di questo tipo: le società di revisione devono svolgere solo ed esclusivamente attività di revisione in senso stretto e rigoroso (senza tutti i trucchi ed i finti filtri oggi in vigore). Devono essere selezionate e proposte all'assemblea dei soci da parte del consiglio di sorveglianza o del collegio sindacale, ai quali risponderanno ponendosi come organo operativo degli stessi. Rotazione Devono ruotare obbligatoriamente ogni tre anni. Devono avere una specifica responsabilità civile nei confronti del mercato in caso di semplice negligenza professionale (salva la responsabilità penale e personale dei singoli soci e manager in caso di dolo e collusione). L'azione di responsabilità in caso di negligenza sarà esercitata dall'organo di sorveglianza del mercato, anche per conto di tutti i risparmiatori danneggiati che vorranno unirsi all'azione. Probabilmente bisognerebbe fissare un plafond quantitativo in termini di numero massimo di società quotate revisionabile da una singola società (questo limite potrebbe favorire lo sviluppo di società professionali europee di minori dimensioni, indispensabili per rompere il pericoloso oligopolio collusivo delle quattro società americane dominanti il mercato; per fare bene la revisione non è necessario essere grandi, è sufficiente essere seri ed onesti). (...) Non vi è nessuna prospettiva che ci si muova in questa direzione negli Stati Uniti d'America. Vi è una remota possibilità che qualcosa in questa direzione possa nascere in Europa. Chi dovrebbe avere interesse a promuovere e sostenere, sul piano politico, un'evoluzione in questa direzione? L'industria e soprattutto la media impresa; i fondi di investimento; le banche serie. 3. Accentuare la responsabilità civile per negligenza delle banche e degli altri intermediari finanziari che curano l'emissione ed il collocamento dei titoli. Le società di fondi e le merchant bank che ho presieduto dal 1989 ad oggi non hanno mai investito una lira nel gruppo Parmalat. L'intera industria dei fondi italiani ha in portafoglio pochissimi titoli Parmalat. Perché? Perché non era difficile capire che il gruppo non era trasparente e perché, pur sulla base dei dati falsi di bilancio, l'andamento negativo di Parmalat e certe sue vistose anomalie di bilancio erano evidenti, come dimostra la tabella 2, basata sui dati di bilancio ufficiali, i bilanci falsi, quelli che gli analisti esaminavano. Come può, sulla base di questi dati, l'analista di Citicorp raccomandare il «buy» nel novembre 2003? Ce lo deve spiegare bene, ma molto bene. Grillo pensante Conosco numerose banche e istituzioni finanziari italiane che la pericolosità di Parmalat l'avevano capita bene e in tempo e per questo sono totalmente fuori dall' affaire . Non è un caso che l'industria dei fondi italiani sia così poco investita in Parmalat. Credo che quello che da anni fa aveva capito Beppe Grillo poteva essere capito da molti altri, a ciò deputati per mestiere. Per questo è molto triste la difesa che le istituzioni italiane preposte al sistema hanno, sino ad ora, fatto rigettando ogni responsabilità e quindi cercando di impedire anche ogni serena e costruttiva riflessione critica. Allora dobbiamo domandarci: perché questa responsabilità non è stata esercitata? Semplicemente perché questo esercizio di responsabilità non è più richiesto. Il gioco si svolge secondo altre regole. Le cose vanno più o meno così. La dirigenza dell'istituto si chiede: le commissioni dell' operazione sono interessanti? Esistono bilanci in qualche modo certificati accettabili? Esiste un qualche rating ? Esiste il parere legale che lo schema dell'operazione è formalmente legale? Se la risposta a queste domande è positiva si va avanti. E tutto il resto (profili soggettivi, poste di bilancio anomale, struttura del Gruppo inutilmente complessa ed oscura, governance inaccettabile e simili) non interessa più nessuno. Ritorniamo così al tema generale sopra illustrato, di un modo meccanicistico, impersonale, deresponsabilizzante di esercitare i propri compiti professionali. Questo è il nuovo modo di lavorare e sperare di cambiarlo con gli appelli all'etica è illusorio. Io sono moralmente certo che, nel caso Parmalat, vi siano stati casi di collusione e corruzione: ma questa è l'area d'indagine dei magistrati. Non credo però che questo sia il caso per la maggioranza degli operatori e delle operazioni; né posso credere che la maggioranza degli operatori finanziari, bancari e professionali coinvolti fosse incapace di intendere e di volere. Allora la risposta non può trovarsi che nel nuovo modo di lavorare proprio della finanza di massa che ho cercato di descrivere. In altre direzioni Ma indietro non si torna ed allora i meccanismi di difesa vanno cercati in altre direzioni. Penso che la direzione maestra vada ricercata in un'elevata e aggravata responsabilità civile per negligenza. Se è vero ed è giusto, alla luce della delicata funzione che svolge, che la Banca d'Inghilterra abbia uno statuto che esclude ogni responsabilità per semplice «negligenza», una banca commerciale ordinaria deve avere, per legge, un'esplicita piena e forte responsabilità civile per semplice negligenza. Ciò aiuterà a mantenere se non la fiducia almeno un minimo di affidamento dai risparmiatori. Ma porterà anche a un miglioramento nell'esercizio della responsabilità manageriale. L'onere di questa responsabilità civile sarà, per le grandi banche, normalmente abbastanza modesto: se il buco Parmalat fosse di 10 miliardi di euro (ma penso che, alla fine, sarà di 5-6 miliardi) e venisse totalmente coperto da una delle grandi banche internazionali del Gruppo, ciò determinerebbe, per esempio, per Citicorp un onere pari solo a circa il 60% dei profitti annuali prima delle imposte, ed al 95% nel caso della Bank of America. Dunque in poco più di sei mesi nel primo caso, ed in quasi un anno, nel secondo la perdita sarebbe assorbita. Un onere modesto per la banca ma con effetti significativi sui bonus e altri compensi dei dirigenti. Ciò dovrebbe presumibilmente aumentare attenzione e responsabilizzazione. Se tutto, compresa la responsabilità, nei nostri tempi è commercializzabile, dobbiamo cercare di migliorare i comportamenti con gli unici meccanismi che gli uomini del nostro tempo capiscono: toccandoli nelle tasche. Naturalmente questa responsabilità va segmentata. Sarà massima nei confronti del piccolo investitore istituzionale, ridotta o al limite negata per gli investitori istituzionali che dovrebbero avere un'autonoma capacità di analisi e sono dunque, a loro volta, portatori di responsabilità. 4. Altro grande tema è quello dello strapotere del Ceo che copre insieme la carica di presidente e consigliere delegato. Anche questo è un tema che è stato ampiamente dibattuto in America, dopo i casi Enron e Worldcom, ma nulla di serio è emerso né ha alcuna possibilità di emergere. Il caso Parmalat dimostra, una volta di più, la criticità di questo tema, come avevo ampiamente analizzato in «America punto e a capo», al quale rinvio. Anche qui l'Europa o anche singolarmente il nostro Paese potrebbe imporre, per legge, la soluzione della distinzione dei due ruoli, già diffusa nei Regno Unito, così come potrebbe imporre, per legge, alcune delle buone pratiche di governance messe a punto nei vari codici di comportamento, rispettati formalmente anche da Parmalat, ma violati sostanzialmente. Forse, se venissero imposti e sanzionati per legge, nell'ambito della nuova legge sulle società, questi codici di comportamento potrebbero essere di qualche utilità, se non altro togliendo alibi a molti professionisti dei consigli di amministrazione e dei collegi sindacali. 5. L'uso e l'abuso delle società off shore non ha alcuna giustificazione e funzionalità se non quella di aiutare i truffatori attuali o potenziali. Anche qui non possiamo attendere nulla dagli Stati Uniti. La mia proposta è che l'Italia, così duramente colpita del caso Parmalat, si metta in testa al gruppo ed elabori una precisa proposta in base al quale nessun gruppo con sede in Italia possa emettere titoli attraverso veicoli off-shore o, comunque, attraverso Paesi che non assicurino un'adeguata funzione di controllo dei mercati finanziari. Scala generale Queste sono le principali questioni che possono, almeno in parte, adattare il sistema alle nuove esigenze su scala generale. Poi, in Italia, abbiamo alcuni problemi tipicamente nostri, come quello di riportare il trattamento legale del falso in bilancio a un livello di decenza, quella di riordinare e, nel caso, rafforzare i poteri e le responsabilità di Consob, altri organi di vigilanza, antitrust, Banca d'Italia. In questo contesto di riordino, la nuova collocazione della Banca d'Italia, ferma la sua indipendenza, va ripensata profondamente, alla luce del nuovo assetto nazionale ed europeo, che l'ha proiettata verso compiti più ridotti, anche se importanti, rispetto a quelli cui era abituata. Poiché, poi, sono inevitabili scosse telluriche in certi terminali bancari, il sistema deve decidere. O segue il sistema giapponese di annacquare e diluire tutto e, in questo caso, si arriverà a nuove improvvide fusioni bancarie o si lascerà via libera al rafforzamento di nuovi soci europei disposti ad assicurare una nuova responsabilità e conduzione imprenditoriale e manageriale. Il secondo, purtroppo contrastato dal governatore della Banca d'Italia, è lo sviluppo più utile al Paese. Credo anche importante introdurre subito una forma di class action , di azione collettiva, a favore degli investitori. Quelle descritte, sia generali che nostre specifiche, sono alcune delle misure che possono aiutare a puntellare il sistema. Un lavoro impegnativo Ma molti altri temi vanno messi a fuoco ed approfonditi in un approccio multidisciplinare molto approfondito. Il lavoro che ci attende è difficile e impegnativo, e richiede un profondo sforzo di pensiero. Il sistema che ha preso corpo nei duri Anni Trenta e che, bene o male, con continui aggiustamenti, ci ha servito, abbastanza bene, per settant'anni è andato in frantumi. Il nuovo mondo sarà profondamente diverso. Nella sua costruzione anche la ricerca di un'etica adatta ai nostri tempi - i tempi della finanza di massa e della commercializzazione di tutto e di tutti - riemergerà. Perché un sistema non può vivere di sole regole. Così come, sia nell'ambito degli istituti finanziari che professionali, bisognerà rifondare una ben diversamente appropriata formazione. Ma perché dal travaglio dei tempi nascano una nuova etica e una nuova formazione, ci vorranno molto tempo, molti sforzi, molti talenti, molta sofferenza, molte voci. E soprattutto molta verità. Per riportare il mostro creativo del capitalismo, che ancora una volta è uscito dagli argini, in un alveo dove possa scorrere senza fare troppo male.
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