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come non costruire areoporti
- Subject: come non costruire areoporti
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Wed, 24 Dec 2003 07:17:09 +0100
da corriere.it venerdi 19 dicembre 2003 CRONACHE Agrigento ha scartato la pianura vicino a Licata «Nuovi aeroporti? Spianiamo le colline» La Sicilia sogna altri sei scali. Uno dovrebbe sorgere sulle alture di Racalmuto. Bisognerebbe portare via terra per 200 mila Tir di Gian Antonio stella Racalmuto con le sue colline: qui dovrebbe sorgere il nuovo aeroporto (Tulumello) A leggere i programmi, gli studi, le analisi, i grafici che traboccano dagli uffici regionali, provinciali, comunali, gli abitanti della Sicilia sembrano avere un solo obiettivo nella vita: dimenticare la delusione per tutte le occasioni mancate di decollo economico decollando loro stessi. A milioni e milioni. Ed ecco che l'aerostazione di Catania, nonostante gli annosi problemi di vento e di cenere che periodicamente ne fanno invocare la chiusura, si vede già proiettata nel giro di una trentina di anni dagli attuali 4 a 25 milioni di passeggeri, 7 in più rispetto a quelli che oggi ospita la Malpensa. Palermo, un po' meno ambiziosa, punta nel giro di qualche anno a triplicare i suoi tre milioni e mezzo oltre i dieci. E poi c'è l'aeroporto Trapani, che è aperto a part time e per lunghi mesi appare malinconico, vuoto e spettrale come le vicine saline, ma già si vede travolto dal nuovo rinascimento di vorticosi interscambi transmediterranei e Comiso che, recuperate ai voli civili le piste fino a ieri militari, già vede all'orizzonte non solo il muso in atterraggio di migliaia di carghi che arriveranno da ogni dove per poi portare in giro per il mondo i fichi e le melanzane e i pomodoretti ma pure quello di velivoli stracolmi di turisti e uomini d'affari: «E' qui che s'investe?». E a mettere tutti insieme questi sciami di 737 e Atr e Concorde imbottiti di passeggeri, sali nei grafici a trenta, quaranta, cinquanta milioni di persone che altro non hanno in mente da qui ai prossimi decenni che di planare e decollare dalla Sicilia. Col risultato che, davanti a tanto via vai, vogliono il loro scalo («minchia e chi siamo noi?!») anche Vittoria, Messina, Gela, Siracusa aprendo la strada domani, chissà, pure a Militello Rosmarino o Palazzolo Acreide. Per non parlare del futuro aeroporto intercontinentale (sui collegamenti aerospaziali c'è qualche ritardo progettuale) nella piana di Agira, provincia di Enna, che nel medio termine dovrebbe accogliere il grosso di questi stormi di Jumbo stando al passo delle avio-metropoli planetarie come Denver in Colorado. Un progetto che, va da sé, dovrà essere corredato da autostrade a sei corsie e svincoli da infarto e viadotti conficcati nel cielo e appezzamenti per chilometri di ristoranti e parcheggi e paninoteche e drugstore e grandi magazzini e oreficerie e magari negozi di calzature dai nomi di scoreggiona raffinatezza come quello che domina la statale da Agrigento a Palma di Montechiaro: «Scarpe diem». Frasci di Sciascia incise su una lapide sullo sfondo di Racalmuto (Tulumello) Dite voi: potrebbe mai Agrigento, in tale contesto, farsi sfuggire di mano il futuro? Non ha diritto forse, la città fondata da Dedalo arrivato in volo con Icaro, a uno straccio di aeroporto? Certo, c'è chi suggerisce che basterebbe fare finalmente l'agognata bretella per Caltanissetta per avere già oggi Catania e Palermo abbastanza vicine in attesa del super-scalo di cui dicevamo di Enna. Ma perché rinunciare al sogno di uno scalo domestico? Uno dopo l'altro, così, sono stati esaminati sette possibili siti. Via via scartati in favore di Racalmuto a partire da quello di Piano Romano, vicino a Licata, per decenni individuato, essendo piatto come un biliardo, come il più adatto. Geniale, nello studio di prefattibilità ambientale, la spiegazione del rifiuto: «il sito di Licata si trova in una delle rare pianure della cosa siciliana mentre il sito di Racalmuto si trova in una zona di colline interne, classiche della Sicilia, molto ondulata, a volte dolcemente, a volte con dirupi dovuti all'affioramento della roccia». E' o no l'ideale, per metterci un aeroporto? Il sindaco del paese, l'ulivista Gigi Restivo, la vedova di Sciascia, gli amici dello scrittore, Legambiente e l'intera comunità salvo eccezioni sono saltati su: ma come? Un aeroporto in collina? Proprio sotto la casa in contrada Noce dove l'autore del «Giorno della civetta» ha scritto tutti i suoi libri? Buttando giù 106 case, le vigne, i frutteti? Senza avere compiuto il minimo studio sui venti che ci sono in zona? Una rivolta. Alla quale il presidente della società «Aeroporto Agrigento Valle dei Templi» Marcello Massinelli, in una serie di interviste ai giornali locali, ha risposto spennellando miele. E dicendo che «la zona sotto l'aspetto isofonico, cioè dei rumori, è la migliore a livello italiano», che i padroni delle case abbattute potranno indicare un familiare da assumere e infine che «non si può minimamente pensare di fermare il progresso in nome di Sciascia». Già che c'era, dopo aver fatto trapelare l' ipotesi che lo scalo dia lavoro a 350 persone (il triplo di quante lavorano all'aeroporto di Trieste), ha buttato lì: «Invece di criticare soltanto qualcuno potrebbe anche suggerire qualcosa di importante a cominciare dal nome che verrà dato all'aeroporto. Perché non chiamarlo aeroporto Leonardo Sciascia?». Un poeta. «Cose di pazzi!», ride Vito Riggio, presidente dell'Enac (l'ente nazionale per l'aviazione civile) siciliano sì ma ma non decollato, «Questa storia è l 'emblema di come, in nome del campanile, si sia perduta ogni visione non solo nazionale ma perfino regionale. Sono tutti convinti che l'aerostazione porti sviluppo, sviluppo, sviluppo. E siccome poi, costruito l'aeroporto, sanno benissimo che non avrebbero manco i passeggeri necessari, alcuni già prefigurano la possibilità di invogliare la gente offrendo biglietti gratuiti. E tutto questo mentre la Finanziaria taglia». Oh, mamma, a proposito: e i soldi? Niente paura, rispondono i padri dell' idea: un po' li metterà l'Europa, un po' la Regione, un po' la Provincia, un po' i privati... L'importante è partire. Avere subito i finanziamenti per cominciare con gli espropri e gli sbancamenti. Vale a dire 40 miliardi di vecchie lire. Per piallare le colline così da stendere una pista di oltre due chilometri, dicono, basterà scavare al massimo fino a 10 metri di profondità e portar via un milione e 400 mila metri cubi di terra. Una stima che secondo il comune è falsa e smentita dagli stessi progetti ufficiali, che ad opere finite parlano del doppio: 2 milioni e 800 mila metri cubi di terra. Un affarone per le cosche mafiose che, stando ai finanziamenti chiesti in banca, stanno rastrellando caterpillar e ragni ed escavatori. Un incubo per chi ha un minimo di amore per la Sicilia: un camion medio, lungo nove metri, ne porta 14, di metri di terra. Vale a dire che per rimuovere le colline servirebbero 200 mila autotreni che messi in fila formerebbero una coda di 1.800 chilometri. Se ne lavorassero trenta alla volta (una enormità, su stradine di campagna larghe tre metri) per dieci ore al giorno a un quarto d'ora a carico ci metterebbero quasi un anno. Dopo di che, finiti i finanziamenti e cambiata la maggioranza di governo, là dove sono le colline amate da Leonardo Sciascia rischia di restare solo una distesa piatta e spelacchiata di terra incolta. Vogliamo raccogliere l'invito della società? E diamoglielo un nome sciasciano, a questo aeroporto! «Aeroporto quaquaraquà».
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