informatica l'utopia del controllo totale



il manifesto - 16 Novembre 2003

L'utopia del controllo totale
FRANCO CARLINI


L'utopia del controllo totale
Negli aeroporti si testa il riconoscimento individuale in base ai dati
biometrici; una multinazionale di cosmetici scheda i clienti tramite
un'etichetta elettronica e una telecamera sullo scaffale, un preside fa
altrettanto con gli studenti del suo liceo

FRANCO CARLINI

Tra le disgrazie che l'11 settembre ha «regalato» al mondo c'è la
mania-follia dei controlli biometrici, basati sulle impronte digitali, sulla
configurazione dei vasi sanguigni della retina o sulla forma del viso.
Queste caratteristiche uniche di ogni persona dovrebbero garantire che chi
passa da un posto di controllo o chi entra in un edificio sia la persona che
dice di essere e che sia tra quelle autorizzate. Oppure, viceversa,
potrebbero consentire di intercettare senza ombra di dubbio i ricercati o
sospetti. Per le aziende dell'hardware e del software biometrici si è aperta
una strada luminosa di affari, anche se questi sistemi non sono per ora così
affidabili come loro stesse vanno promettendo. Il più critico di tutti è
senza dubbio il riconoscimento facciale: un computer «fotografa» il volto,
ne estrae le caratteristiche salienti (come occhi, naso, bocca) e ne misura
la posizione relativa, tracciando una sorta di schema; questo viene
confrontato con quelli depositati in precedenza in una banca dati. La
benemerita associazione americana per i diritti civili (Aclu) il mese scorso
ha ottenuto ufficialmente il rapporto indipendente steso alla fine della
sperimentazione condotta all'aeroporto Logan di Boston, lo stesso da cui si
imbarcarono 10 dei 19 i terroristi dell'11 settembre, e le cifre sono
sconfortanti. Nel corso dell'esperimento i volti di 40 dipendenti volontari
dell'aeroporto vennero selezionati come se fossero dei sospetti, dopo di che
vennero fatti passare ai punti di controllo. Ebbene, il riconoscimento
avvenne correttamente solo 96 volte su 249, con una percentuale di successo
miserevole, pari al 39 per cento. Il rapporto non rivela quanti siano stati
invece i «falsi positivi», ovvero il numero di volte che il computer ha
classificato come «sospetto» un volto che invece era pulito. I falsi
positivi devono essere il minimo possibile perché diversamente si generano
troppi allarmi, creando un sovraccarico eccessivo di lavoro per gli addetti
alla sicurezza.

Si torna allora alle vecchie impronte digitali: è di questi giorni la
notizia che i passeggeri dell'aeroporto parigino di Roissy Charles-de-Gaulle
dalla prossima estate potranno volontariamente depositare le loro impronte
in un archivio e in cambio otterranno un controllo di frontiera più fluido.
Peccato che, come ha dimostrato l'anno scorso un ricercatore giapponese,
anche le impronte siano facilmente falsificabili e che a farlo saranno
ovviamente i professionisti del crimine.

Sempre per restare sul territorio francese, una discreta protesta ha
suscitato la decisione del gestore della rete regionale delle metropolitane
(Rapt) di associare l'abbonamento annuale a un codice che identifica
univocamente il titolare: ogni passaggio dai cancelli viene registrato e
archiviato. Il sistema tecnologico adottato (Navigo) è molto efficiente
perché basta avvicinare la carta con chip al lettore per essere abilitati al
passaggio, senza alcun contatto fisico o «strisciata», ma non si vede
l'esigenza della conservazione degli archivi, al punto che la stessa Cnil,
la Commissione nazionale informatica e libertà, ha chiesto chiarimenti alla
Rapt: le statistiche ovviamente si possono fare senza associare codice a
persona e non c'è alcun bisogno di sapere quante volte e quando la nostra gi
ornalista Anna Maria Merlo è andata a Fontainbleau. Malgrado le obiezioni la
prassi resta in vigore e sembra una tipica espressione di una rinnovata
voglia di controllo sui cittadini, tipica del neoautoritarismo che le
tecnologie rendono «finalmente» possibile.

E poiché è sulle piccole cose che si intuiscono le grandi tendenze, varrà la
pena di guardare a cosa sta succedendo nella piccolissima città di Black
Arrow in Oklahoma, 75 mila abitanti. Anche qui le signore e le signorine
usano il Lipfinity, un rossetto della Max Factor, ma quelle che negli ultimi
quattro mesi l'hanno acquistato nel grande magazzino Wal-Mart, sono stati
ripresi da una telecamera che inviava le immagini a 1200 chilometri di
distanza negli uffici della Procter & Gable di Cincinnati, e non sapevano
che nella confezione di rossetto era immersa (nascosta) un'etichetta
intelligente a radio frequenza (Rfid). Wal-Mart e P&G garantiscono che le
etichette servivano solo per sperimentare un nuovo sistema di gestione degli
scaffali e dei magazzini, ma allora perché tanta segretezza? La cosa è stata
scoperta solo grazie a una soffiata al Chicago Sun-Times da parte di un
impiegato. Va ricordato che il colosso americano della distribuzione ha già
deciso di imporre a tutti i fornitori l'adozione degli Rfid, entro il 2005 e
che lo stesso farà il Dipartimento della Difesa; da questa operazione
Wal-Mart conta di risparmiare tra il 12 e il 20 per cento nella gestione dei
magazzini, ma sul fronte dei consumatori cresce l'irrequietezza, dato che
finora non è stata fornita alcuna seria garanzia di privatezza nella
gestione dei dati. E non per caso: a valle della distribuzione ci sono
quelli che sognano di lasciare le etichette accese anche dopo l'acquisto,
che così potranno essere usate per informare il frigorifero (anch'esso
«intelligente», a sua volta) del suo contenuto e il frigo potrà provvedere
da solo a ordinare delle nuove sottilette non appena si accorge che
scarseggiano. La domanda che è lecito porsi è se sia davvero questa
l'innovazione che ci serve. O quantomeno se sia quella prioritaria. E in
ogni caso se valga la pena di rinunciare a blocchi sempre più consistenti
della propria vita privata per ottenere dei vantaggi così marginali.

Le intrusioni del resto già si sprecano, come quella perpetrata alla scuola
elementare Enterprise Charter School di Buffalo nello stato di New York. Qui
un preside fanatico della tecnologia, tale Gary Stillman, ha obbligato i
bambini a indossare le etichette per poter registrare con precisione
l'orario di ingresso e di uscita; ma pensa di applicarle anche ai libri
della biblioteca, agli acquisti alla cafeteria e al bus scolastico.

E magari se andrà avanti il progetto delle poste americane, anche alle
lettere verranno appiccicati gli Rfid, di modo che esse siano tracciabili in
ogni istante, ma in questo caso anche mittente e destinatario saranno
obbligatoriamente ben identificati e memorizzati. Anche per chi non sia
ammalato di paranoia del controllo, nessuno di questi scenari è allettante.