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kyoto non ci sono alternative
- Subject: kyoto non ci sono alternative
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Sat, 6 Dec 2003 10:18:17 +0100
da l'unità.it 5 dicembre 2003 Kyoto, non ci sono alternative di Edo Ronchi Invece di vedere solo la metà vuota del bicchiere, in particolare la mancata adesione degli Stati Uniti e le incertezze della Russia, proviamo a valutare e tenere in considerazione la metà piena. Intanto 119 Paesi hanno ratificato il Protocollo di Kyoto: una larga maggioranza delle Nazioni Unite si è ormai formata attorno a questo Protocollo. Nessuno sottovaluta il peso degli Stati Uniti, ma non credo che nemmeno gli Stati Uniti possano sottovalutare a lungo quello di un'ampia maggioranza delle Nazioni Unite che, insieme all'Unione Europea, intende dare attuazione alla Convenzione quadro sui cambiamenti climatici contrastando l'aumento delle emissioni inquinanti di gas serra. La Russia di Putin può negoziare la sua adesione cercando di trarne il massimo vantaggio possibile, ma con un limite che i negoziatori europei conoscono bene: la Russia ha un peso (per la riduzione delle sue emissioni del 1990 e per l'interesse ad un sistema energetico efficiente) maggiore dentro che fuori dal Protocollo. Lo schieramento internazionale che sostiene una strategia multilaterale, inoltre, coincide, in buona parte, con quello a favore del Protocollo di Kyoto: l'uscita della Russia da tale schieramento non pare molto probabile. Comunque questo Paese oggi non ha un peso tale, tecnologico, economico e politico, da determinare, da solo, l'esito finale del Protocollo di Kyoto. Non darei un peso eccessivo alla questione del quorum del Protocollo di Kyoto: al fatto che delle due condizioni operative del Protocollo, (che sia ratificato da 55 Paesi che rappresentino il 55% delle emissioni di gas serra), sia stata fino ad ora superata solo la prima. Intanto la Russia, per la crisi del suo sistema industriale, ha già, a prescindere dal Protocollo, fortemente ridotto le sue emissioni del 1990. Il vero problema sono gli Stati Uniti che producono una parte rilevante di emissioni di gas serra e che continuano a farle crescere (+19% rispetto a quelle del 1990) da una parte e, dall'altra, alcuni grandi Paesi in via di sviluppo (Cina, India, Brasile e altri) che vedranno crescere fortemente le loro emissioni totali e che non hanno assunto impegni di riduzione, neanche per il futuro. I 119 Paesi che hanno ratificato il Protocollo, con politiche nazionali e di cooperazione internazionale, possono applicare le misure previste realizzando positivi risultati ambientali, con costi accettabili, ma anche con vantaggi tecnologici ed economici. Nonostante le esitazioni, e perfino la confusione che sembra caratterizzare la politica del Governo italiano, l'Unione Europea ha cominciato ad attuare il Protocollo, con particolare impegno di alcuni Paesi Europei (Germania e Regno Unito) con misure non ancora soddisfacenti, ma che, comunque, hanno portato a frenare l'incremento delle emissioni europee ad uno 0,5% rispetto al 1990. Per alcune ragioni di fondo. Intanto il cambiamento climatico rappresenta ormai un pericolo reale: abbiamo avuto, nel 2003, un'estate caldissima ed ora abbiamo piogge alluvionali in molte zone. La Convenzione quadro è in vigore dal 1992: essa obbliga a prendere misure per contrastare l'aumento dei gas serra. Il modello del Protocollo di Kyoto non ha alternative: l'amministrazione Bush lo critica ma non ha, fino ad ora, proposto alcuna alternativa, né praticato una via più efficace, visto che le emissioni degli Stati Uniti continuano a crescere in modo consistente e insostenibile (più 19% rispetto al 1990). Per ridurre le emissioni è necessario fissare e raggiungere obiettivi precisi; questi obiettivi non possono essere raggiunti spontaneamente dal mercato né dall'evoluzione tecnologica, richiedono politiche e misure che devono essere verificate e controllate a livello internazionale, richiedono meccanismi flessibili di collaborazione e cooperazione internazionali: per ridurre le emissioni è necessario, in altre parole, dare attuazione al Protocollo di Kyoto. Anche per andare oltre gli obiettivi del primo step, insufficienti per contenere, nel medio termine, i cambiamenti climatici entro limiti sostenibili, fissando quindi obiettivi di riduzione più ambiziosi già per il 2020 e coinvolgendo anche i grandi Paesi in via di sviluppo, è necessario applicare il sistema multilaterale, i meccanismi, le politiche e le misure del Protocollo di Kyoto. Il Protocollo di Kyoto è il risultato di oltre 10 anni di trattative internazionali, di ben 9 Conferenze mondiali: deve andare avanti, intanto con la sua attuazione nei 119 Paesi che lo hanno ratificato e che possano dare un significativo contributo al taglio delle emissioni dei gas serra. Ciò comporterebbe svantaggi economici per questi Paesi? Non necessariamente. Vediamo l'esempio dell'Italia. In Italia l'aumento delle emissioni di CO2 è quasi interamente imputabile alla loro fortissima crescita avvenuta nel settore dei trasporti. In questo settore il Governo Berlusconi ha incoraggiato la crescita delle emissioni abolendo la carbon tax, riducendo i finanziamenti al trasporto pubblico locale (gli autobus in servizio di linea, immatricolati nel 2001, erano 3500, nel 2003 sono scesi a 1900), privilegiando gli investimenti in autostrade rispetto a quelli destinati alle ferrovie ed al cabotaggio. Investimenti per una mobilità più sostenibile, meno congestionata, farebbero calare le emissioni di CO2 e crescere la qualità dei nostri trasporti. Nel settore della produzione di energia elettrica, per fare un altro esempio, la quantità di carbone utilizzata nelle centrali dell'Enel è cresciuta da circa 9,5 milioni di tonnellate nel 2000 a 11,3 milioni nel 2002. I grammi di CO2 prodotti per kilowattora nelle nostre centrali termoelettriche sono cresciuti, da un valore medio di 692 nel 2000 a 720 nel 2002, circa il 4% in più in soli due anni. Se invece di promuovere una crescita così consistente del carbone, si fosse puntato con decisione sulla tecnologia più avanzata delle nuove centrali a gas a ciclo combinato, con rendimenti elevati anche con piccole taglie, con lo stesso costo, si potevano avere riduzioni delle emissioni di CO2. Anche per l'efficienza energetica si può fare molto. Sono, per esempio, in commercio elettrodomestici (frigoriferi, congelatori, lavatrici, lavastoviglie, condizionatori) a bassi consumi ed alta efficienza energetica: sostituendo i vecchi elettrodomestici in uso con questi migliori modelli si potrebbero, mediamente, dimezzare i loro consumi elettrici; i maggiori costi dell'acquisto si potrebbero ripagare, in pochi anni, col risparmio sulle bollette. Ogni kilowattora risparmiato consente di ridurre circa 700 grammi di emissioni delle produzione di energia termoelettrica, con una riduzione delle emissioni di ogni famiglia pari a 5 quintali di CO2 all'anno. Ed anche per le fonti rinnovabili si può fare molto di più: come mai in Germania vi sono 12.000 Megawatt di centrali eoliche ed in Italia non si arriva a 800? Come mai in Italia si punta così poco sulla generazione distribuita, con impianti di piccola taglia, con fonti rinnovabili o convenzionali, ad alta efficienza, in prossimità dell'utenza, con risparmio nei costi di trasporto e maggiore possibilità di produzione combinata di energia elettrica e di calore? Queste carenze, accentuate dal Governo Berlusconi, hanno prodotto in Italia una crescita di oltre il 7% delle emissioni di gas serra rispetto al 1990, a fronte di un impegno di riduzione del 6,5%. L'applicazione del Protocollo di Kyoto farebbe, invece, bene al clima, ma anche all'Italia, contribuendo alla modernizzazione ecologica, al miglioramento del nostro sistema energetico, ma anche della competitività del Paese.
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